Capitolo n. 79 – life
Il calore della sue
dita, gli lambì le caviglie, poi una sensazione umida, piacevole, altrettanto
calda, infine un tocco morbido, di lana ed ancora le sue mani, le mani di Jude,
che aveva posato un bacio, su quella porzione di pelle, tra i piedi nudi e le
gambe di Robert, liberato dagli indumenti, per metterlo sotto la doccia e
fargli riprendere i sensi, prima di stenderlo sul letto, di una camera per gli
ospiti.
Law gli rimboccò la
coperta, intorno al busto, cercando poi una maglietta in un cassettone,
purtroppo vuoto.
“Tesoro dove tieni i
vestiti?”
“Nella mia stanza …” –
gli replicò roco l’americano, fissando la sua schiena e tutto di lui.
Del
suo Jude.
“Allora salgo a
prenderli, presumo sia di sopra” – sorrise.
“No, no lascia stare,
voglio dormire ed ho un bisogno fottuto di bere” – ed inspirò, rifugiando il
profilo nel cuscino.
“Non te lo permetterò …
E poi come parli, Robert, non ti riconosco” – e rise, provando a mitigare la
situazione.
“Neppure io riconosco
chi mi sta davanti: piombi qui, come un pazzo o meglio, dici cose che direbbe
solo un … un pazzo”
“La tua durezza non mi
farà cambiare idea ed anche se adesso mi respingi io”
“Sono sposato con Glam
ed abbiamo un bambino!” – gli urlò, scattando a sedersi, i pugni chiusi,
dolenti, tra le lenzuola stropicciate.
Jude prese fiato,
strofinandosi la faccia abbronzata.
“Ti lascio il tempo per
riflettere, è doveroso, Rob, ma solo sino a Londra, dove ci ritroveremo e mi
darai una risposta, ok?”
“Ma scherzi, vero?!” –
e si alzò, un po’ incerto, nudo.
Downey recuperò il telo
spugna, ancora fradicio, avvolgendosi dai fianchi in giù.
“Robert non agitarti di
nuovo”
“Tu, io, Taylor e Glam,
nella tua città, a Natale e noi due a complottare, come adolescenti, sul
piantare in asso o meno i nostri uomini, la sera prima del ballo della
scuola??!”
Era furente.
Disidratato ed ansimava
ogni frase.
Law prese dell’acqua e
gliela porse – “Ti prego bevine un po’ amore”
“ED IO TI SUPPLICO DI
ANDARTENE JUDE!!”
I passi di Kevin furono
leggeri, mentre gli si avvicinava, alle spalle.
“Ehi daddy, tutto
bene?”
“Ciao tesoro, sì, sì,
non preoccuparti ho solo un po’ di febbre” – gli rispose, con dolcezza,
tamponandosi il volto gocciolante.
“Ti ho notato, mentre
fuggivi qui, come se avessi visto un fantasma, l’impressione era quella” – rise
affettuoso, sistemandogli i bottoni della camicia, allacciata storta.
“E’ un periodo
complicato Kevin”
“Sì, lo so, eri nervoso
anche dal nonno, insomma … Con Robert è già finita? Scusa se sono brusco, ma
non voglio vederti soffrire e se posso aiutarti, non hai che da chiedermelo,
ok?”
Geffen si ossigenò.
“Ti ringrazio … Ora,
però, la tua priorità sono Tim ed il figlio, che accoglierete nella vostra
famiglia, mentre il tuo vecchio ex saprà cavarsela da solo” – rise aspro – “… e
poi con Robert, no, non è finita …”
“Ok daddy …” – e
sorrise timido, senza sapersi staccare da quel modo, che aveva di definirlo
ancora.
Di sentirlo.
“Ok. Ora andiamo.”
Colin si sistemò i
capelli con il gel, osservando la sua immagine allo specchio.
Jared aveva ragione.
Farrell stava
“invecchiando” molto bene.
Il suo fascino sembrava
acuirsi, di anno in anno ed appena Eamon varcò la soglia del bagno della suite,
affittata dalla coppia per quella settimana, lo canzonò immediato.
“Ehi vuoi candidarti a
Mr. Universo?!”
“Fratellone!” – lo
accolse allegro, abbracciandolo forte.
“Ciao Colin, ti vedo in
forma!”
“E tu a che mese sei?”
– e ridacchiò, lisciandogli la pancia prominente, di chi ama champagne e manicaretti.
“A Steven piaccio
così!” – obiettò imbronciandosi per un attimo, per poi scoppiare a ridere.
“Oh lo so, lo so … Ed a
Jared io piaccio così, del resto, ma è dura tenersi in allenamento costante,
sai? Ma ne vale la pena”
“E la mia acciughina preferita
dov’è?”
“E’ andato a prendersi
un po’ di coccole dalla mamma, scortandola dal parrucchiere, poi
dall’estetista, insomma un giro tutto loro, io ero di troppo, perché
sparleranno di me sicuramente!”
“E dai Cole, non ci
credo … Su vieni, facciamolo anche noi!”
Lux chiuse la valigia,
controllando biglietti e passaporto.
Jerome gli aveva
grugnito al telefono un po’ di insulti coloriti, prima di accettare la sua
proposta di accompagnarlo in Svizzera, per fargli un po’ di compagnia, durante
il trattamento miracoloso, che lo avrebbe restituito al mondo, sano come un
pesce.
Queste furono le parole
rassicuranti di Mason, mentre gli consegnava cartella clinica ed istruzioni,
per raggiungere la clinica elvetica.
Louis lo stava spiando
da più di cinque minuti, in silenzio.
“Ehi anche noi stiamo
per andarcene …”
“Mon petit, dai entra,
che fai lì?” – e gli sorrise paterno, per poi abbracciarlo – “Andarvene, ma non
eravamo d’accordo che”
“No, no aspetta
Vincent, ci sono novità …” – e sorrise – “… Sì insomma, Glam ha passato a Harry
una montagna di pratiche da seguire, come consulente esterno ed ha già versato
un congruo anticipo: ora andiamo a cercarci un loft in affitto, in una zona
migliore, capisci? Stiamo facendo nuovi progetti”
“Sono ottime notizie
Lou, ne sono felice”
“Haz non rientrerà allo
studio Geffen, come desiderava, però lavorerà per loro: una giusta via di mezzo
antistress” – spiegò sereno.
Lux annuì – “Bon! Come
vedi le cose stanno andando al loro posto, a poco a poco, mon petit”
“Sì, però avremmo
voluto venire con te e lo faremmo ancora, se tu solo volessi”
“Ma non lo voglio” – rise
– “… Voi dovete restare con Petra, andare per agenzie, però prima del trasloco,
potreste rimanere qui: c’è la cuoca, poi la governante, insomma anche la bimba
sarebbe seguita, quando voi avrete da sbrigare pratiche, che ne pensi? Dillo ad
Harry, ok?”
“Ok …” – e gli si
appese al collo, stampandogli un bacio sulla guancia sinistra – “Grazie
infinite Vincent … Sei unico”
“Io vi voglio bene …
Siete la mia famiglia, non dimenticarlo mai, mon petit.”
Quel pranzo sembrò
andare meglio, già dalla prima portata.
L’unica differenza era
la presenza della mamma di Zayn, al loro tavolo, oltre a George, che Liam salutò
con educazione, stabilendo un immediato clima di armonia.
La signora Malik era
socievole, ben disposta verso Payne, che sotto la tovaglia stringeva la mano di
Zayn, guardandolo sempre, incontrando puntuale il suo sorriso.
Quell’esserino tutto spigoli,
che aveva amato con la paura di spezzarlo come un giunco, sino a pochi minuti
prima di uscire di casa, ora era la persona più statuaria, nel proprio sostegno,
che il vulcanologo potesse trovare.
Ed amare, incondizionatamente,
senza più frottole, senza drogarsi, se non di Zayn stesso.
“Quindi se volete
unirvi a noi, per il Capodanno, a Parigi” – propose l’archeologa, non lasciando
parlare mai il consorte, che ammiccava verso Zayn, consapevole della logorrea
cronica della madre.
“Non saprei signora
Malik, a me piacerebbe” – replicò esitante Liam.
“Ne parleremo con
calma, decideremo insieme” – e, nel dirlo, Zayn lo baciò nel collo, mandandogli
in subbuglio ogni senso.
“Per Natale, invece,
mio padre ci voleva riunire, ad un ricevimento, in quel nuovo locale sulla
spiaggia … Dark blue si chiama” – accennò Payne.
“Sì, è del fratello di
Louis e ci lavora anche lui” – precisò George, guardando il figlio.
“Papà non ne era a
conoscenza, ovviamente” – Liam rise imbarazzato.
“Possiamo cambiare
posto” – intervenne Zee, smarrito.
“No Zee, no piccolo,
non sarà necessario: dovremo abituarci a vivere tutti nella stessa città, senza
più ombre, senza più segreti” – e lo baciò teneramente, commuovendo i suoi
genitori.
Tim gli portò una
tisana, poi gli sorrise, appena Geffen lo guardò.
“Forse era meglio un
brandy, vero Glam?”
“Forse … Berrò questa,
non voglio sbronzarmi, non oggi”
“Tra poco atterreremo
ed io sono terrorizzato, sai?” – e si accomodò nella poltrona antistante quella
del legale.
Il suo jet era bene
arredato e funzionale.
“Sì, lo ero anch’io,
prima di firmare i documenti dell’adozione di Lula … E pensa, fu Jared a
convincermi” – rammentò malinconico.
“Conosco i dubbi, che
ebbe Kevin, poi si innamorò talmente di soldino che” – e si morse le labbra,
innocente.
“Nessuno resisteva a
quella peste adorabile” – e strizzò le palpebre, immaginandosi tra le nuvole lì
sotto, il suo sorriso.
Lula c’era sempre, tra
loro, in qualche modo.
“Kevin è preoccupato
per te, Glam ed io non sono da meno” – rise simpatico.
“Tu sei sempre stato
nel mio cuore Tim, perché hai reso felice Kevin, perché hai voluto bene a
soldino e lui ti amava, eri il suo terzo papà ed io so di potere contare su di
te”
“Appunto, quindi se
vuoi sfogarti”
“Vedi Tim, come so
complicarmi la vita io, non ci riuscirebbe nessuno”
“Hai un cuore grande
Glam, in molti ci cercano uno spazio, magari sgomitando”
“Sono giochi
pericolosi, anche se io non l’ho mai fatto con i sentimenti, nonostante mi si
possa accusare, a piena ragione, di superficialità nel gestire le mie
relazioni, spesso inconcludenti”
“Ti sbagli” – scosse a
testa – “… quando qualcuno è nei guai, corre da te e mai che tu dica di no, te
ne rendi conto? Sei talmente generoso, altruista, guarda ciò che hai fatto alla
fondazione”
“Sono loro ad avere
salvato me e non viceversa Tim” – sorrise distratto da mille pensieri.
“Ora torno da Kevin …
Già mi manca” – gli bisbigliò, per poi allontanarsi senza fare rumore.
Sassi sull’oceano.
Downey li stava tirando
da alcuni minuti.
Di solitudine.
Dopo avere piantato
nella sabbia, una bottiglia di vodka, già vuota a metà.
“Non dovresti bere”
La sua voce non gli era
familiare.
Si girò per vedere chi
fosse.
“Brent …? Tu sei Brent
giusto?” – e rise scomposto, barcollando.
Tomlinson jr lo
sorresse – “Sì, sono io”
“E cosa ci fai tu qui,
bel fanciullo?” – e si scostò, continuando a puntarlo come se il giovane fosse
un alieno.
“Faccio una pausa …
Lavoro qui vicino, te ne sei scordato Robert?”
“Uhm sì … Eccolo là il
Dark Blue, già addobbato a festa … E’ qui la festa, cazzo!” – gridò al vento ed
ai gabbiani, vedendoli volteggiare in una strana nebbia.
“Perché fai così?”
“Così come? Ahh mi
ubriaco? Non sono affari tuoi” – e crollò, come un fantoccio, la bottiglia tra
le gambe divaricate, lo sguardo fisso su di essa, allucinato.
“Senti, ti offro il
pranzo e molto caffè, che ne pensi?” – propose garbato, inginocchiandosi al suo
lato destro.
“Non ho molta fame …”
“Ci sono lasagne e
parmigiana, so che sono tra i tuoi piatti preferiti, oggi lo chef cucina
italiano”
“Cucina oppure è,
italiano?” – biascicò.
“E’ vietnamita …”
Downey rise mesto – “Amo
l’Italia, avevo preso una casa, un appartamento da sogno, a Milano, conosci
Milano, Brent?”
“Sì, più o meno …”
“Poi l’ho venduta e ne
ho acquistate altre, per i nostri figli, miei e di Jude, forse pensando che
ognuno di loro ne avesse scelta una, prima o poi, per andarci a vivere … che
stronzata, non credi? Scegliere per la vita altrui … Nessuno ne ha il diritto”
“Mio padre lo aveva
fatto, in ogni dettaglio e pensava fosse giusto, che fosse quello il modo di volermi
bene, non ne conosceva altri”
“Nemmeno il mio, te lo
assicuro” – sembrò più lucido sull’ultima affermazione, nonostante il suo alito.
Downey iniziò a
piangere, vergognandosene a morte.
“Mi dispiace … Mi dispiace così tanto Brent” - singhiozzò sconfitto l'attore.
Brent lo avvolse, aiutandolo
ad alzarsi – “Sul retro c’è il mio ufficio, con un bel divano: ti corichi ed io
ti porto da mangiare, ok?”
“Ok … sei … sei una
brava persona Brent”
“Anche tu Robert. Anche
tu, non dimenticarlo mai.”
BRENT
Nessun commento:
Posta un commento