Capitolo n. 72 – life
Kevin scivolò con le
proprie labbra, dal mento, al collo, sino al petto glabro di Tim, bloccato
contro alla parete della loro camera, aprendogli lento la camicia, semi chiusa
sul resto del corpo nudo.
Dovevano uscire a cena,
ma il bassista, dopo una doccia veloce e solitaria, aveva deciso di
interrompere il compagno, che si stava svestendo, per raggiungerlo sotto ai
getti tiepidi, come loro abitudine.
“La faremo dopo …” –
gli sussurrò roco, prima di succhiargli i capezzoli, turgidi e scuri.
“Mio Dio Kevin” –
ansimò, inarcandosi, mentre l’altro gli brandiva i polsi, dopo averglieli
sollevati oltre la testa spettinata.
“Voglio il nostro
bambino, adesso” – gli disse, dopo essere risalito, baciandolo intenso, per poi
sollevarlo e portarlo sul letto, poco distante dal punto in cui erano.
Un punto di svolta, per
il loro futuro, con i biglietti per Haiti ed i documenti, stilati dallo studio
Geffen, per l’adozione di un orfano della Fondazione, pronti per essere
presentati entro la settimana.
Quella prima di Natale.
Kevin lo preparò con
calma, quasi esasperandolo, ma senza mai interrompere quella girandola di
preliminari, che stavano facendo impazzire Tim, in ogni sua fibra vitale.
Era magnifico essere
così vicini ed in sintonia, dopo un percorso lungo e tortuoso, verso la
stabilità ed una convivenza senza più intoppi.
Al loro quotidiano
mancava Lula, la sua risata argentina, i dispetti, gli orari legati ai suoi
ritmi di cucciolo, dalla scuola, alle visite, ai giochi.
Ora, Kevin e Tim si
sentivano pronti ad incominciare una nuova avventura, con la benedizione ed il
sostegno di Glam, felice come nessuno, per la loro iniziativa.
Tutte riflessioni
accantonate, per quelle ore di intimità assoluta, che mai sarebbe venuta meno,
Kevin ne era sicuro e faceva il possibile per non perdere il proprio fascino:
palestra, dieta mirata e salutare, al contrario di Tim, che mangiava tutto ciò
che voleva, senza praticare alcuno sport, mantenendosi asciutto e tonico.
Invidiabile ed
ammirevole, in ogni centimetro della sua pelle liscia, che il marito stava
divorando, leccando, sino a giungere nel punto esatto, dove sapeva
trasmettergli il massimo del piacere, affondando finalmente in Tim, che non
avrebbe resistito oltre.
Il contatto carnale
divampò in un ritmo sinergico e poi dolcissimo, dove l’erotismo lasciò il posto
all’appartenenza, alla complicità.
“Piccolo mio …” –
inspirò Kevin, fronte contro fronte, lacrime nelle lacrime, mentre gli veniva
dentro, copioso, anche nel commuoversi, stringendolo forte a sé.
Tim pensò che non
sarebbe mai più stato così felice.
Forse mai più.
Dimitri irruppe nella
stanza squallida, dell’ennesimo motel, dove trovò rifugio con Matt, avvinghiato
ad una prostituta.
Erano alticci e
rumorosi, al punto di svegliare di colpo il giovane, rannicchiato in poltrona,
dove si era assopito, guardando un vecchio film.
I soldi, che Geffen
aveva dato loro, erano quasi tutti nel borsone, nascosto sopra l’armadio, se
non fosse stato per quell’ammanco di poche migliaia di dollari, utili a saziare
i vizi del sovietico, come quella sera.
“Ehi stronzetto o vai
fuori dai coglioni o ti unisci a noi, che ne pensi, finocchio?!” – biascicò il
mercenario, gettando la donna sul giaciglio disfatto, che non avevano più
condiviso.
C’era anche un divano e
Matt dormiva lì, impaurito quanto un cane bastonato, dai modi sempre più
irruenti del suo socio in affari.
“Allora sei diventato
anche sordo, oltre che ritardato e psicopatico?” – gli urlò praticamente in
faccia, Dimitri, dando voce all’alcol ed alla rabbia, per dei sentimenti, che
non era ancora riuscito ad arginare e spegnere, dentro di sé, ogni volta che
incrociava lo sguardo limpido e celeste di Miller, accartocciatosi all’estremo,
su quella stoffa sbiadita e fuori moda.
“No, no … Ho sentito be
benissimo” – balbettò in lacrime ed in balia di un senso di soffocamento, che
gli provocava capogiri, sempre più frequenti, oltre che ad una nausea
insopportabile e cefalee improvviste, come in quel preciso istante.
“Dunque deciditi!
Questa puttana va a ore, più resta, più mi costa! Il suo pappone è in strada,
giusto per farti capire la situazione” – e ridacchiò sguaiato e ripetitivo.
Matt respirò forte,
come a raccogliere le ultime forze, ma i contorni del suo volto, riflesso nello
specchio dell’armadio, divennero più rigidi.
Dimitri lo notò, senza
badarci più di tanto: fece un passo indietro, poi tolse le scarpe tacco dodici
alla sconosciuta, piuttosto infastidita da quel contesto più che assurdo.
La ragazza poi si
concentrò più attenta su Matt, illuminandosi in un bel sorriso – “Ehi, ma il
tuo amichetto è davvero uno schianto!” – e rise compiaciuta di quella scoperta.
“Non è il mio
amichetto!” – ruggì Dimitri, sculacciandola mentre si allungava al suo fianco.
“Peccato, per te,
intendo” – le sussurrò lei, maliziosa ed ancora fissa su Miller, che si era
sollevato, puntandoli, come se fossero due prede.
Il mercenario ebbe come
un tremito, lungo la spina dorsale e quasi si spaventò, appena Matt afferrò per
i capelli la donna, strappandogliela dalle grinfie, come se fosse un trofeo.
Nella semioscurità, la
lama di un coltello, che Miller le impose ad un centimetro dalla giugulare,
luccicò sinistra e malvagia, quanto le sue intenzioni.
“Ora te la faccio a
pezzi sotto al naso, grandissimo bastardo e poi troverò il modo che la colpa
ricada su di te, che ne pensi, eh Dimitri??!” – ruggì.
Quello non poteva
essere Matt.
Quello era Alexander,
pensò il russo, ormai balzato in piedi, in boxer e disarmato.
“Ehi non perdiamo la
calma … Lei … Lei non conta niente e non centra niente, con noi”
“Cosa ti inventi??! Hai
stuprato mio fratello, l’hai buttato via come un giocattolo rotto, dopo avere
fatto i tuoi porci comodi ed ora vorresti farmi credere che ci tieni a Matt?!!”
– gridò strattonando quella povera disgraziata, che stava per svenire dal
terrore.
“Non combinare casini,
se no torneremo in galera, lo capisci questo??!” – inveì Dimitri, provando a
disarmarlo, inutilmente.
In compenso Miller si
sbilanciò, quanto bastasse affinché la giovane fuggisse via, come se avesse
incontrato il demonio in persona.
Alexander si ritrovò
con le spalle al muro, ma non aveva alcuna intenzione di arrendersi.
Sferrò un paio di
colpi, per ferire Dimitri, che si difese con una sedia, finendo per inciampare
in un logoro tappetino da salotto.
Il suo avversario gli
piombò addosso, atterrandolo totalmente, pronto ad assestare un fendente,
dritto al cuore di colui, che ormai considerava un essere immondo.
“Sei morto, lurida
feccia moscovita” – sibilò Alexander, le iridi iniettate di sangue,
letteralmente spaventose.
Ne seguì uno scatto,
come un accenno di convulsione: il suo braccio si ritorse, dietro la schiena,
come se una forza invisibile, lo avesse sopraffatto di netto.
Era Matt o ciò che ne
restava di lui, intrappolato in quel corpo, che non sapeva più dominare, da
quando il gemello era riemerso dagli inferi della sua anima, per tormentarlo e
condannarlo ad un’esistenza orribile.
“No … no maledetto … Io
voglio vivere, voglio … voglio” – tossì Alexander, prima di spegnersi,
crollando in un angolo, privo di sensi, pallido e tremante.
Dimitri esitò prima di
avvicinarsi, poi si rese conto che Matt era tornato, da come lo stava
guardando, in lacrime ed esausto.
“Cristo santo …” –
mormorò, inaspettatamente in ansia per le sue sorti.
“Dim … Non … non farmi
male …” – lo rifuggì lui, anche se debole, ma senza successo.
Dimitri lo avvolse,
cullandolo – “Mi hai salvato … Da quel pazzoide … da quel” – disse piano, poi
lo baciò, con tenerezza.
Matt si sentì crepitare
una miriade di colori, sotto alle palpebre chiuse, per non svegliarsi da quel
sogno e poi nel centro dell’addome, dove ora l’altro stava spargendo carezze
amorevoli, per confortarlo, nel silenzio del loro incredibile ritrovarsi.
Louis terminò la favola
della buona notte, con l’ennesimo finale inventato di sana pianta, consuetudine
che tanto piaceva alla loro Petra.
Harry, appoggiato allo
stipite, di quella mini reggia, destinata alla loro principessa da zio Vincent,
avrebbe voluto raccogliere entrambi sul proprio petto, per tenerli a sé sino al
mattino seguente.
E
poi per sempre.
Un’afflizione pungente,
lo stava frantumando come non mai.
Boo lo guardò, senza
preavviso, annuendo, per confermargli che la figlia si era arresa alla
sonnolenza, dopo avere addobbato l’albero di Lux, loro tre, oltre al francese,
che si tenne in disparte, con varie scuse, per la maggiore parte del tempo,
dedicato al ricompattarsi del nucleo di Haz e Lou, anche se con molti spigoli
da smussare, negli sguardi e nei gesti di entrambi.
“Io torno in mansarda …
Ho ringraziato Brent e mio cognato, ma proprio non ci riuscivo a rimanere da
loro” – ammise Tomlinson, sconfortato, appena uscirono in corridoio, per prendere
ognuno la propria strada, in quel labirinto.
Il giovane si sentì a
disagio, nel condizionare, involontariamente, ma in maniera inevitabile, l’affiatamento
tra Laurie ed il consorte, che quasi si vergognavano della felicità acquisita,
anche se non sbandierata sfacciatamente.
“Ti capisco Boo e … E
comunque volevo chiederti scusa, vorrei morire per quello che è successo la
sera che” – Styles chiuse gli occhi, rivedendo confusamente la scena di quella
sua reazione smodata, nell’apprendere di Zayn e Louis.
Quindi avvertì il palmo
tiepido di quest’ultimo, posarsi sulla propria guancia destra.
“Io ho sbagliato, Haz”
“No, no, la violenza
non è mai giustificata!” – replicò affranto, fissandolo, ora.
“Abbiamo … abbiamo
superato anche questa …” – sorrise amaro – “… Forse no, un divorzio non è
davvero una vittoria, anzi …”
“Ho preso una
decisione, Louis, volevo proportela: una terapia di coppia, che ne pensi?” –
disse trafelato, il cuore a mille.
“Di … coppia? Ma noi
siamo divorziati”
“No … Cioè, non ho
ancora depositato gli atti, che hai firmato e”
“Li abbiamo firmati,
Haz” – e deglutì a vuoto.
“Sì, sì, certo, ma …
Dannazione, potremmo venirne fuori, se solo tu mi dessi una chance, se ce la
dessimo a vicenda, dopo tutti questi casini!” – e strinse i pugni, presagendo
il suo rifiuto, da come Boo lo stava scrutando.
“No … No, è … E’ presto
per … Io non lo so” – e si piegò, precipitando sul parquet, tenendosi l’addome,
come se una fitta lo avesse vinto.
Era l’ossigeno, a
venirgli meno, oltre al non avere toccato cibo, da tante ore, ingurgitando
vitamine e bevande energetiche.
Harry lo accarezzò,
massaggiandogli i muscoli tesi e gelidi, sotto al maglione.
“Se non per noi, fallo
almeno per la nostra Petra, amore” – e lo baciò tra i capelli.
“Anch’io ti amo Haz” –
disse flebile, cercando poi la sua bocca, per rinascere.
Petra, accucciolata in
grembo a Vincent, li stava spiando, con il suo zio preferito.
“Forse è fatta …” –
bisbigliò l’affarista ed a lei si illuminarono quelle gemme fatte di cielo ed
argento.
“E se poi ci ripensano?”
– sussurrò Petra, imbronciandosi al solo pensiero.
Vederli andare verso il
piano superiore, tenendosi per mano, però, fu la migliore delle rassicurazioni.
TIM
KEVIN
MATT
DIMITRI
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