martedì 9 dicembre 2014

LIFE - CAPITOLO N. 69

Capitolo n. 69 – life



Law chiuse la telefonata con Robert, addossato alla macchinetta del caffè; poi si voltò, ritrovandosi davanti Geffen, che, dall’espressione del viso, aveva ascoltato ogni loro parola.

“Ciao Glam …”

“Buongiorno Jude, come sta Taylor?” – chiese incolore, ma come frastornato.

“Migliora” – sorrise smarrito, andandogli vicino, per abbracciarlo, a sorpresa – “… devo tornare da lui … Abbi cura di Robert” – mormorò, ancora commosso.

Confuso.

Quasi quanto Glam, che annuì, assorto in molteplici e nitide considerazioni.

Un passo indietro, poi un altro, appena l’inglese si allontanò da lui e Geffen si ritrovò agli ascensori.

Ne discese trafelato Hemsworth, con un plico di fogli in mano, quelli da compilarsi in caso di ricovero urgente.

Tom aveva avuto un malore, subito dopo colazione.
La pressione arteriosa era scese pericolosamente, così i suoi globuli, in un rimescolio di cifre e dettagli, che Mason aveva provato a spiegargli, mentre tentava invano di tranquillizzarlo.

La terapia era stata aggressiva ed il fisico di Hiddleston non aveva retto, seppure in fase di piena guarigione, per la sua leucemia.

Al tenente rimbombava in testa la battuta chiassosa di un collega anziano “l’operazione è riuscita, ma il paziente è morto!”

Ora non c’era nulla da ridere, anzi.

Gli occhi di Geffen sembrarono trafiggerlo, con il loro malcelato affanno.

Lo stesso, che albergava nelle iridi del poliziotto.

“E’ successo qualcosa a Tommy?” – domandò istintivo il legale.

“Sì, un collasso, ora è in oncologia ed io devo riempire questi moduli e non so neppure da dove cominciare” – quasi piagnucolò, lui che non aveva paura durante le sparatorie, lui così grande e grosso da incutere riverenza, appena si accigliava cupo.

Chris sembrava un bambino, all’improvviso, spinto alla deriva, senza il suo Tom.

“Ti aiuto io, avanti, non preoccuparti” – Glam gli sorrise, paterno ed in quell’attimo Hemsworth capì molte cose, nell’atteggiamento del compagno, che si era affezionato a Geffen per buone ragioni, assolutamente pulite.

“Ok … Sì, sì grazie, Tommy direbbe che sono il solito caprone”

“Lui è l’anima poetica della vostra unione e tu sei la forza, la quercia …” – disse piano l’uomo, dopo essersi accomodato, le mani gelide.

Stava pensando a Robert ed alle lacrime di Jude.
Di certo, anche il marito, ne aveva versate a fiumi, nell’apprendere che l’ex avrebbe iniziato una relazione con Taylor.

Era la svolta, era il cambio vita, a cui Law voleva rinunciare e questo doveva avere gratificato Downey, come non mai, dopo tante umiliazioni.

Per una frazione di secondo, quel questionario sembrò tremargli tra le dita: Glam provò a calmarsi, concentrandosi sulla seconda pagina, scoprendo che era divenuta bianca, per poi macchiarsi di minuscole chiazze su un’unica riga, dove apparve una scritta “tu puoi salvare, chi dona al mondo un cuore puro, come Tom”.

Geffen ebbe un sussulto, poi percepì un suono, forse delle risa, forse un riflesso di un’eco lontana, ma quel documento era tornato come prima, con le sue caselle, da selezionare, con i puntini di sospensione, negli spazi vuoti, da completare.

L’avvocato si erse di colpo, fissando poi Chris – “Andiamo da Tom: voglio vederlo, adesso.”




Le impronte sulla spiaggia erano quelle di un bambino.

Tom lo pensò, sorridendo, scrutandole, mentre ne seguì le tracce, verso la battigia.
Provò un’angoscia inspiegabile, come se qualcuno fosse in pericolo, ma non c’era anima viva.

Si diresse veloce verso le onde, nonostante ciò e dopo una frazione di secondo, alcuni rumori lo distrassero nuovamente.
Provenivano da un punto alle sue spalle, indecifrabile, almeno finché non lo vide e riconobbe.

“Lula …?!”

Il suo tono era debole, come la visione di ciò che lo circondava.
Forse il suo sangue si era spogliato di ogni energia.

Soldino arrivò correndo ed avrà avuto sei o sette anni: Hiddleston lo conobbe ben dopo, a Los Angeles, ma quel faccino, quei capelli ed infine i fanali colore cioccolato, non potevano essere che di Lula.

“Zio Tom!!”

Sì, era lui.

“Ciao tesoro” – e lo accolse sul petto, inginocchiandosi, anche per la stanchezza.

“Ma tu non dovresti essere qui!” – esclamò allegro, prendendolo poi per mano.

“Dove mi porti?” – domandò perplesso, ma ubbidiente alle sue iniziative vivaci.

“Da nessuna parte, il tuo posto è accanto a Chris e Luna, non credi?”

“Sì … Qui, però, non sento dolore …”

“Giusto! … Però non hai intorno il loro affetto, anche quando ti fanno arrabbiare” – e rise gioioso.

“Sì, in effetti …” – il terapista sorrise, affiancandolo, seduto, sulla sabbia tiepida.

“Presto tornerai a casa, zio … E dovrai ricordarti una cosa … Un nome, ok?”

“Un nome, Lula? Ok, ci proverò”

“Alaysa”

“Al cosa?” – ed aggrottò la fronte, per poi strabuzzare la vista.

Soldino era sparito.

“Alaysa!” – echeggiò nell’aria, satura di luce.

Sempre più accecante.



“Alaysa? Tom svegliati!”

Era Glam, erano le sue braccia, il suo calore, il suo profumo, anche di adulto, con quel torace spazioso, non meno di quello di Chris, ma Geffen era diverso, era qualcosa, che Tom avrebbe fatto fatica a descrivere, soprattutto nella serenità, con la quale si accorse di lui, ridestandosi felice, da quel sogno così strano.

“Glam …”

“Bentornato, forse avevi la febbre, deliravi” – lo accolse, commosso, provando ad essere spiritoso.

“Ho visto Lula …”

“Cosa …?!” – gli uscì come un sussurro.

Geffen sapeva che quella non poteva essere una coincidenza.

Mason arrivò tempestivo, avvisato da Chris, sul risveglio di Tom.

Lo raggiunse anche Scott, con un kit per analisi immediate, di nuova generazione.

Pochi elementi furono sufficienti ed esaustivi.

Jim era attonito, anche se soddisfatto per quei risultati preliminari.

“Certo dobbiamo fare altri esami e subito” – precisò, mentre Hemsworth era incollato al suo angelo dagli occhi belli come le stelle.

“Ti senti bene, vero?” – chiese innamorato, cullandolo.

“Ho … appetito … Non lo trovi strano Chris?” – e rise, come alleggerito da un macigno, scomparso di netto.

Così come Glam, che nessuno riuscì a trovare, da nessuna parte.




Liam chiuse la valigia, accovacciato al lato destro del letto, dove l’aveva posata, riempiendola di indumenti alla rinfusa.

Abbassando il bordo superiore, tornò a guardare Zayn, seduto su di una poltrona, in fondo alla stanza, a contorcersi le mani, mentre lo stava ascoltando.

“Ti ho mentito su troppe cose, Zee … Comprendo la tua necessità di rifugiarti in Louis, nella sua bellezza, che non eguaglierò mai ed in qualcosa, che io non ho … Che non ho saputo darti” – affermò mesto, cercando le scarpe ed innervosendosi, mentre non le trovava.

Aveva perso così tanto, con i propri errori, questa la sua conclusione.

“Ma perché ti colpevolizzi in questo modo?!” – sbottò Malik, alzandosi, per aiutarlo.

“Lascia stare, faccio da solo” – quasi protestò, sollevando la trapunta, ritrovandosi faccia a faccia con lui, che aveva un così buon profumo, un profilo incantevole, un corpo asciutto e smagrito dalla tensione.

Zayn non mangiava da diversi giorni, anzi, si nutriva a mala pena.

Payne, dopo essersi congedato da Harry, era corso da lui, per vuotare il sacco, pentendosi per quell’indagine personale, anche se legittimata dal loro fidanzamento, dal desiderio di avere un futuro, dopo la riabilitazione di Liam.

“Louis mi ha scritto una e-mail, suo marito lo ha aggredito, in preda ad una sbornia pesante e per poco non è accaduto il peggio” – rivelò di un fiato il paleontologo, repertando finalmente quei maledetti stivaletti da motociclista, che proprio lui aveva regalato a Liam, che avvampò.

“Mi spiace, ma ero distrutto dal vostro comportamento, dal fatto che tu piangevi, tra le braccia di Louis, per qualcosa, che non avevi voluto condividere con me!” – si scaldò – “E ti perdono per i baci, anche se mi hanno ucciso! E persino se ci hai scopato, non me ne importa un cazzo, io ti perdono, ti perdono e basta!!” – si prese la testa, scattando come una molla, come se un fuoco lo stesse divorando.

Malik seguì il suo movimento, sostenendolo poi, avvolgendolo, amorevole e sincero.

“Io non ho smesso di amarti Liam … Ho combinato un casino, con Boo, ho giocato con il fuoco, in principio e … Ed è sempre stato così, tra noi, dopo Vincent, come se non fossimo rivali, bensì complici …”

Payne scosse il capo sudato, stava morendo di caldo.

“De devo farmi una doccia” – sussurrò esausto, per gli effetti dei farmaci, che ancora prendeva, onde evitare di ricadere nel vizio della cocaina.

Un percorso ad ostacoli, che lui affrontava dignitosamente e, prima di quell’amara scoperta, con la consapevolezza di non essere più da solo, che Zee ci sarebbe stato sempre per lui: aveva persino comprato gli anelli, fantasticando sul loro matrimonio e preparando addirittura Eric, con dolcezza, quasi con metodo.

Si baciarono, dopo essersi fissati per un minuto senza fine.

Sotto la doccia, poi, iniziarono a fare l’amore, forse per l’ultima volta.





Meliti sbuffò, facendoli accomodare.

“Harry è già qui, con Petra, nel salone al primo piano” – brontolò scorbutico, facendo strada a Lux ed a Louis, pallido e triste.

“Ok, mon petit voleva parlargli, giusto Louis?” – gli si rivolse affettuoso, mentre Antonio si accendeva un sigaro.

Tomlinson, senza aggiungere niente a quel saluto iniziale al nonno, si allontanò, per andare dalla sua famiglia o ciò che ne restava.

“State di nuovo insieme, voi due?” – chiese brusco l’anziano patriarca.

“Ma non dire sciocchezze!” – sbottò il francese, versandosi un aperitivo.

“Questi ragazzi sono un disastro, non che sia una novità: in famiglia sono pochi a salvarsi”

“Tu come stai?”

“Tiro avanti, verso un venticinque dicembre, che già prevedo sotto tono, con una rassegna di mugugni e rancori da antologia” – spiegò, affossandosi sul divano in pelle trapuntata bordeaux.

“Ti riferisci a Jared e Colin?”

“Vedo che il gossip corre veloce Vincent” – rise divertito – “Ma non solo loro: tu credi che Robert e Glam siano gli sposini dell’anno?”





“Ancora adesso mi chiedo come mai non ti sono bastato”

Styles lo disse senza alcun risentimento, mentre Louis, relegato ad una scrivania, guardava stranito, le carte del divorzio.

Il loro divorzio.

Si tamponò gli zigomi, mentre Haz stava dicendo ancora qualcosa, ma non gli importava cosa.

Si stava spegnendo, in un’angoscia schiacciante.

“C’era … C’era un tale, uno che frequentava la tavola calda, dove facevo il cameriere, appena arrivato a Los Angeles … Era brutto, ma simpatico, ci sapeva fare con le ragazze e se ne portava appresso sempre una diversa, magari gli offrivano anche il pranzo, fingeva di avere perso il portafogli o di averlo dimenticato” – tirò su dal naso, scorrendo le formalità, con le iridi tremolanti ed invase dal pianto.

“Boo ascolta …”

“No, non ho ancora finito” – sorrise alienato – “… e poi lui diceva che non era bello lasciarsi, sotto le feste, con il rischio di rimetterci un regalo … Era un coglione, mentre io pensavo che sarebbe stato unicamente più triste farlo prima di Natale, perché è una ricorrenza che amplifica le emozioni, siano esse positive o negative … Ma, in questo ultimo caso, è orribile perdere chi si ama, per tutte quelle fottute abitudini semplici, magari condivise per anni oppure una volta sola …” – ed incrociando le braccia sulla cartellina, vi ci posò sopra la fronte, stanco.

Styles gli si avvicinò, sfiorandogli con il palmo sinistro, la porzione tra le scapole, dove era solito spargere baci caldissimi, come le lacrime, che adesso segnavano le gote di entrambi.


Erano così simili, nella loro afflizione.

Nel loro fallimento.










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