giovedì 11 dicembre 2014

LIFE - CAPITOLO N. 70

Capitolo n. 70 – life



Petra, come una vera donnina, apparecchiò la tavola, per la cena.

Per tre.

Harry la spiava dal bancone della cucina, dove stava tagliando pomodori e carote, con il groppo in gola più insopportabile, che ricordasse.

“Tesoro, papi Louis non viene, te l’ho spiegato in auto …” – le sussurrò dolce, raggiungendola con il vassoio, stracolmo delle sue cose preferite.

Durante il ritorno, era stato penoso dirle che loro due, come genitori ci sarebbero stati sempre per lei, ma come coppia si erano separati, per problemi di convivenza e caratteriali.

Ovviamente Styles aveva ridotto il discorso ai termini più semplici possibili, ma la bimba era sveglia, oltre che abituata ad avere amici con famiglie disgregate, da divorzi e litigi, così da anticipare persino certe parole del giovane legale.

“Ok lo tolgo …” – mormorò triste, gli occhi grandi, di quel celeste così particolare, da essere ipnotico.

“No, no, dai lascialo pure, lo useremo per la frutta, ok?”

“Ma papi Boo è arrabbiato anche con me?” – chiese accomodandosi, sullo sgabello coloratissimo.

“Assolutamente no, amore!” – bissò Haz, quasi nel panico.

Quindi cominciarono a mangiare.
In silenzio, sino all’ultima portata.



Lux buttò il giaccone sopra al tavolo rotondo dell’ingresso, sbuffando nervoso.

Louis lo seguì mestamente nel salone: gli aveva detto della separazione ufficializzata da quelle carte, preparate da Harry, che entrambi, alla fine, avevano siglato, senza neppure più lacrime.

Il dolore che aveva dentro, era come cristallizzato nelle sue iridi e nei suoi gesti, quasi meccanici.

“Ok, preparo qualcosa oppure ordiniamo” – disse distratto il francese, in totale assenza di appetito.

Boo andò a rannicchiarsi sulla prima poltrona a tiro, raccogliendosi le gambe, fissando il vuoto.

“Mon petit, stammi a sentire” – esordì un po’ esausto l’affarista: vederlo in quelle condizioni, lo dilaniava letteralmente.

“E’ … è andato tutto storto, sai Vincent?” – e su quella frase spezzata, Louis incominciò a piangere, con compostezza.

“Lo so tesoro, ma dovete darvi del tempo … Magari tra qualche anno vi ritroverete, più maturi, più stabili, più convinti”

“Ma di cosa, esattamente?” – e lo fissò, sconvolto.

Lux scosse il capo brizzolato – “Miseria Lou … Perché diavolo ti comporti, come hai fatto con Zayn, se lo ami così tanto, se ami in questo modo Harry?! Me lo sai dire?!” – sbottò con una certa durezza.


“Anche volendo, non saprei darti una risposta … Mi dispiace soltanto di averti coinvolto”

“So tenere testa ai puledri gelosi, ma questa è un’altra storia, mon petit: Haz ne ha sofferto troppo, è stata anche un’umiliazione, capisci?” – aggiunse più calmo.

“Quando andrai in Svizzera, per … Per la tua cura?” – chiese un po’ alienato.

Lux aggrottò la fronte, risollevandosi – “Non funziona così, Louis”

Il ragazzo ebbe un tremito più intenso – “Ma tu almeno, me lo vuoi ancora un po’ di bene? Mi ami almeno un … un” – singhiozzò, provando un capogiro, del quale Vincent non si rese conto subito.

Louis si accasciò sul tappeto, balbettando ancora qualcosa.

“Tesoro!”

Lux lo aiutò a risedersi, sentendo che scottava.

Lo fece stendere sul divano, prendendo anche una coperta, per alleviare quel gelo, che gli scuoteva il corpo sempre più magro.

Infine Vincent recuperò il cellulare.

“Sì, pronto Brent? Ciao, sono Lux ed ho bisogno di te, qui, a casa mia: tuo fratello sta davvero male … Ok, sì e dì a Brendan di portarsi la valigetta, credo gli ci voglia un sedativo, ha appena rotto con Harry, non so se ne sei al corrente … D’accordo, va bene, vi aspetto, grazie.”

La telefonata fu piuttosto concitata e Brent si allarmò come non mai.

Sul lavoro Louis manteneva una facciata di circostanza, ma gli occhi arrossati, il nervosismo sempre più frequente, con cui svolgeva le proprie mansioni, avevano fatto presagire il peggio, all’ex capitano, già da diverse settimane.




Miss Wong sembrò vagare con il carrello delle vivande, per gli interminabili corridoi della End House, da un’ala, all’altra.

In quella ovest si era insediato Farrell, un po’ di corsa, senza badare granché agli abiti trasferiti nella sua personale cabina armadio, adiacente la sua nuova camera, il cui arredo si riduceva ad un letto in ferro battuto, una scrivania, un comodino ed un salotto, tutto nei toni del bianco e del verde acqua.

“La ringrazio, ma sarei sceso io …” – la accolse gentile l’irlandese, interrompendo la lettura di un libro sulle armi medievali.

L’attore doveva documentarsi, in vista del nuovo ruolo appena accettato, per un set, che sarebbe stato allestito in Francia, alla periferia di Parigi, nel febbraio successivo.

Un lavoro, di cui Jared non sapeva ancora nulla.

Doveva essere una sorpresa, nei piani di Colin, per trascorrere un paio di mesi lontani da Los Angeles ed accogliere la primavera in terra d’Europa, solo loro due ed i bimbi, che li avrebbero raggiunti nei fine settimana.

In quel momento, Farrell provava solo rabbia e frustrazione.
Jared se ne stava nell’ala est, mentre nel mezzo rimaneva il loro universo, le loro cose, i ricordi, le camere dei figli, il salone dei regali, dove l’albero di Natale era da allestire, senza che nessuno ne avesse voglia.

Incontrarsi sarebbe stato imbarazzante, perché nessuno, questa volta, avrebbe chiesto scusa.

Come beffa finale, poi, vedere andare via dall’ospedale Taylor, abbracciato a Jude, era stato un po’ amaro, per Colin, che si stava interrogando sulla propria indole e quella sorta di ribellione all’amore, che nutriva per Jared, così totale da metterlo in fuga, ogni tanto, alla ricerca di uno spazio libero da una vera ossessione, per quell’angelo di Bossier City, il cui volto gli si era conficcato nel cervello e nel cuore, come un dardo, spesso avvelenato dal dubbio e dal sospetto, soprattutto per il suo legame inscindibile con Glam Geffen.




“Le gemelle sono state brave …”

“Sì Robert, sono molto orgoglioso di loro” – disse Glam, rimanendo in piedi davanti agli scaffali della biblioteca, dove, a suo dire, doveva sbrigare del lavoro arretrato: faceva finta di cercare un vecchio codice penale, mentre Downey non si muoveva dalla soglia.

“Sei arrivato in ritardo alla rappresentazione, a pranzo non hai spiaccicato parola, dopo di che sei andato in studio di domenica”

“Era per un’urgenza, dovevo fare delle verifiche, te l’ho spiegato Rob!” – lo interruppe brusco, dandogli comunque le spalle.

“E guardami quando parliamo!” – protestò l’artista, azzerando la distanza, per girarlo a sé, con veemenza.

Geffen gli regalò una carezza sullo zigomo destro, gli occhi lucidi.

“Glam …”

“E’ … E’ stata una brutta giornata Robert” – e lo avvolse con dolcezza.

“Non … Io non volevo alzare la voce amore … Scusami, scusami” – Downey lo disse piano, cercando poi le sue labbra, che il consorte mai gli avrebbe negato.

“Ho … ho bisogno di sentirti, Robert … di sapere se” – e deglutì a vuoto, senza guardarlo, tenendolo a sé, come se lo assorbisse, grazie alla sua corporatura più massiccia.

Law aveva trovato il tempo di inviare un sms al suo ex, dopo avere raccontato a Taylor della loro conversazione a distanza.
Il giovane si era commosso, per la sincerità dell’inglese, ripromettendosi di fare il possibile per fare funzionare le cose, anche con Downey, visto che avrebbe avuto uno stretto contatto con le figlie di entrambi.

“Di sapere se ti amo più di Jude?” – domandò sommesso.

Si scrutarono.

“No … No piccolo, non è una gara, so che non amerai più nessuno, quanto hai amato lui” – e sorrise, con quella consapevolezza matura, che lo rendeva irresistibile, a chiunque la cogliesse o ne facesse parte, anche un minimo.

“Ho detto una cosa stupida, Glam e ti ho offeso … Non solo per questo, ti chiedo di perdonarmi” – quasi non respirava, per l’emozione.

“Se stai con me per Pepe, se cerchi di darmi una gioia, perché mi vuoi bene, se hai perduto quel sentimento, che ci ha fatti innamorare, a dispetto di ogni cosa, allora non rimanere qui, Robert, non farlo, perché ci faremo unicamente del male … E sia chiaro, non te ne sto facendo una colpa: non si può amare per forza, credimi” – e gli spostò indietro un paio di ciocche ribelli, dal volto incantevole.

“Se è vero, com’è vero, che non amerò più nessuno, quanto ho amato Jude, è altrettanto vero, che mai ho amato qualcuno, quanto ho amato te, Glam” – replicò solido.

Geffen lo baciò, irruente quanto una tempesta improvvisa, facendosi bastare quell’affermazione, talmente convinta, da apparirgli assolutamente sincera.




“E’ una febbre nervosa, Vincent … Louis necessita di riposo, di un ambiente neutro, quindi, con Brent, pensavamo di ospitarlo: abbiamo appena acquistato una villetta sulla spiaggia, ci sono due camere in più”

Brendan lo disse con estrema educazione, mentre con l’affarista erano usciti in terrazza a fumarsi una sigaretta.

“Una per i bimbi, una per gli ospiti” – sorrise Lux, puntando l’orizzonte, con le sue iridi celeste chiaro.

“Sì, forse un giorno, ma senza fretta … Come vedi, l’esempio di Louis ed Harry ci frena un po’”

“Sciocchezze” – sbottò, le mani in tasca, il piglio schietto, tipico delle sue origini.

“Non quando si tratta di un bambino e tu lo sai … Non puoi non saperlo” – l’analista si corresse, pentendosi della sua uscita, ricordando la morte di Jacques ed il rapporto irrequieto con il padre poliziotto, che ora lo stava guardando.

“Petra sarà la gemma della loro vita, nonostante questi casini, anche se sarebbe stato più opportuno che l’adottassi io, anche se single … All’epoca pensai di fare un dono a lui ed a Harry, lo ammetto … Mi sento responsabile di questo disastro, tu non sai quanto, perché potevo insistere, impedendogli di andare via da me, però Boo è un’unica persona, insieme al suo Haz e tu lo sai, vero?”

Laurie annuì, lisciandosi i baffi.

“Pensate voi a mon petit? Ditegli che gli farò visita domani, ora devo andare a sbrigare una faccenda. Arrivederci Brendan.”




 PETRA



 VINCENT LUX


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