Capitolo n. 68 – life
Chris preparò un bagno
caldo, aiutando Tom ad immergersi nella vasca, dove ben presto si aggregò anche
Luna, in braccio al suo super papà biondo.
“Eccoci qui … Come va
la testa, amore?”
“Un po’ così … Mi sento
intontito, ma meglio di stamattina”
Hiddleston si era
tagliato i capelli, riducendoli a meno di un centimetro.
Il suo volto, un po’
spigoloso ed asciutto, confermava il malessere generale, dovuto ai dosaggi
delle chemio, peraltro risolutive, in base alle ultime analisi.
“Hai tu la paperella
viola della nostra peste?” – chiese il poliziotto, sforzandosi in un bel
sorriso, soprattutto per la serenità della piccola, mentre invece avrebbe
voluto piangere, gridare e stringere a sé il suo Tommy, prendendosi tutto il
male, che il compagno stava patendo, da quando aveva scoperto la malattia.
“Sì, è qui, tra i sali
e le candele … Ne accendo un paio?”
“Certo … Ho ordinato
dal cinese, uno spuntino di mezzanotte” – sussurrò Chris, mentre Luna schizzava
schiuma ovunque, ridendo felice.
Tom la strinse sul
petto, serrando le palpebre.
“Andrà tutto bene, vero
Chris?” – domandò sommesso, cercando poi le sue mani, che gli cinsero il polso
sinistro, per poi ricoprirlo di baci.
“Te lo prometto, sì, io
te lo prometto Tom”
Gli avanzi della pizza,
stavano a metà tra i piatti di plastica e le lattine di Pepsi, accartocciate
sopra al tavolino, davanti al divano.
Il letto, nel soppalco,
rimandava nell’aria, un lieve cigolio, annullato dalla musica a medio volume,
che nessuno avrebbe sentito, grazie alle pareti insonorizzate.
Così gli ansiti di
Colin e Taylor, avvinghiati tra le coperte, ad amarsi da almeno mezz’ora.
Non era scopare.
Assolutamente no.
C’era troppa emozione,
nei loro occhi, troppe lacrime, nel cuore di entrambi, che si erano presi il
tempo ed il modo, di non pensare a Jude ed a Jared, anche se per poco.
O almeno sino all’alba.
Farrell si spingeva in
lui, ad occhi ora chiusi, ora aperti, sul volto madido di Taylor, confondendo
la realtà, con i fotogrammi taglienti, che invadevano la sua mente, colmandola
del ricordo di Leto, in ogni sua espressione recente.
“Co Colin … mioddio” –
gli gemette nel collo il giovane, aggrappandosi a lui, sul punto di venire
nello stesso momento.
Accadde e fu bellissimo
ed anestetizzante.
Si baciarono.
A lungo.
Poi ricominciarono.
Colin era dolce,
attento, capace e Taylor, abbandonandosi alle sue braccia tatuate, alla sua
virilità, a quel modo, che Farrell, aveva di guardarlo, da quando l’irlandese
varcò la soglia, riuscì a credere, per un istante, che quella notte potesse
cambiare la sua vita.
Jared salì in macchina,
attivando lo strano aggeggio, che Vas aveva lasciato alla signora Wong, dopo
avere riaccompagnato i bambini alla End House.
Era molto presto, ma la
sicurezza della famiglia, era anche legata a quegli spostamenti inattesi ed in
orari improbabili.
Il cantante li aveva
salutati uno ad uno, sistemandoli a nanna, ancora per qualche ora, promettendo
ad Isotta di tornare per il pranzo, insieme a Colin, della cui assenza si
lamentarono un po’ tutti.
La motivazione degli
impegni di lavoro, era credibile, ma solo fino ad un certo punto.
Fu semplice localizzare
il suv di Farrell ed una volta impostate le coordinate, Jared partì, verso il
quartiere, dove abitava Taylor, ricordando a malapena che lui vivesse lì.
Forse ne avevano parlato,
durante la breve presenza di Kitsh alla residenza della celebre coppia.
Forse.
Il veicolo era chiuso,
il borsone di Colin sul sedile posteriore, il cellulare nel vano dietro al
cambio.
Farrell lo aveva
scordato lì, senza preoccuparsi che qualcuno potesse cercarlo, anche per
urgenze, delle quali, evidentemente, non si era dato pena.
Jared non riusciva a
giustificarlo, annientato dal dubbio che il marito non avesse perso tempo a
consolarsi con Taylor, il cui nome spiccava sulla prima targhetta in alto,
della rastrelliera dei campanelli, che Leto stava scrutando, il cuore a mille.
Kitsh non era ancora
abbastanza famoso per blindare la sua privacy, anzi.
Gli agenti o chiunque
gli portasse un copione, doveva trovarlo senza equivoci o ritardi, per non
perdere un’occasione lavorativa.
Trovarlo,
come aveva fatto Jared, ormai nell’androne del palazzo, grazie all’arrivo della
squadra per le pulizie, che gli aprì volentieri.
Salì in ascensore,
destinazione attico, le dita tremanti, gelide, l’addome contratto, nell’immaginarsi
l’inevitabile.
Taylor era così affascinante,
senza contare che all’epoca della sua collaborazione al fianco di Colin, il
giovane si era preso una cotta per lui.
Era uno stillicidio di
deduzioni e sospetti, che portarono Jared a suonare un paio di volte e poi a
dare un calcio alla blindata del loft di Kitsh, che gli aprì in boxer e camicia,
questa di Colin, indossata al volo, per andare a vedere chi fosse a demolirgli la
porta.
“E’ qui vero?!”
Leto non ci vedeva
dalla rabbia e neppure attese una risposta.
Si precipitò nel
living, poi alzò gli zaffiri verso la zona notte, scorgendo la sagoma di Colin
dietro ad una parete a vetri, oltre la quale c’era il bagno.
L’irlandese si era
fatto una doccia e stava tornando a stendersi accanto a Taylor, per consumare
la colazione, già pronta ad attenderlo, sopra ad un vassoio, tra le lenzuola
stropicciate e macchiate di loro.
Appena si accorse di
Jared, Farrell perse un battito.
“Io non cambierò mai,
vero Colin? E’ questo che mi hai urlato in faccia ieri sera, riferendoti a
Glam, giusto?!” – avvampò, andando verso gli scalini, che il consorte aveva già
bruciato, scendendo, mentre Taylor era contro la parete del soggiorno, incapace
di reagire in qualche modo.
“Non fare scenate, non
servono ad un cazzo!! Risparmiami la tua ipocrisia e vattene! Lasciami in
pace!!”
“A fare stronzate, ti
piacerebbe, vero??! Con questa puttana, che non ha di meglio da fare che farsi
scopare dai mariti degli altri?!?”
“Non tirare di mezzo
Taylor, lui non centra niente!!” – ruggì, schivando un primo schiaffo, poi un
pugno, che andò a segno, non senza che Colin reagisse, brandendo il busto magro
di Jared, strattonandolo verso l’uscita, nonostante questo si dimenasse come una
furia.
“Lasciami, non finisce
così tra noi, bastardo!!” – urlò il front man, opponendosi con dei calci ed
infine altri colpi, alla schiena dell’attore.
Vedendolo in difficoltà
o credendolo tale, Taylor provò a dividerli, ricevendo una spinta da entrambi,
impegnati a divincolarsi.
Un gesto vigoroso, ma
non volontario, che lo scaraventò a terra, facendogli sbattere la testa contro
uno spigolo, violentemente.
Colin si rese subito
conto della gravità della situazione.
Sollevò Taylor,
esanime, chiamando il suo nome.
“Jay prendi dell’acqua!!
Mio Dio sta sanguinando!!”
“Chiamo un’ambulanza!” –
replicò sconvolto, cercando il telefonino nei jeans, per comporre il 911
immediatamente.
“Buongiorno”
Il sorriso di Glam era
così amorevole, nel dargli il bentornato dal mondo dei sogni, anche quella
mattina di inizio dicembre, che Robert lo baciò intenso, prima ancora di
proferire una sola sillaba.
Geffen era già in
tenuta d’assalto, come lo canzonava Downey, quando si vestiva elegantissimo,
per andare in aula.
“Oggi farai una strage …
Dovrei seguirti, mimetizzato da attaccapanni o tappezzeria, in tribunale e
spiarti” – rise giocoso, mentre il compagno gli zuccherava il tè bollente.
“Vieni con me, non
sarebbe più semplice? Del resto nelle vesti di legale, nei film, eri molto
credibile, sai?” – e gli porse la tazza.
“Ti ringrazio … Mi vizi
troppo”
“Sei ancora
convalescente, non dimenticarlo Rob”
“La nostra governante
non fa che dirmelo, preparando pesce al vapore e carote bollite: mi hanno asportato
la milza, non la cistifellea” – e fece una smorfia adorabile – “Potresti
dirglielo tu?” – e rise gioioso, sentendo Pepe salutarli dal baby control.
“Pista!!”
La loro birba, in meno
di tre secondi, era già sul lettone, a saltare, sventolando Tigro, il suo
peluche preferito.
“Comunque Robert, oggi
è domenica” – Glam scoppiò a ridere.
“Eh …?! Allora cosa ci
fai tutto addobbato in quel modo?!” – e sgranò i suoi carboni liquidi,
prendendo Pepe sul petto.
“Le gemelle hanno la
loro rappresentazione teatrale, alle undici, l’hai scordato?” – bisbigliò
dispettoso.
“Oh mamma, no, no,
certo che … Sì” – sospirò, addentando la sua seconda fetta di torta, mentre
Peter impiastricciava le coperte di Nutella.
La suoneria di Glam li
interruppe.
“Questa sarà Pamela,
indecisa su quale vestito indossare e già in agitazione, vedrai” – Glam sorrise,
controllando il visore – “… No, è … Shannon …?”
“E’ successo qualcosa?”
“Non lo so tesoro … Sì,
pronto?”
Un tepore ovattato,
rassicurante.
A Taylor sembrò di
galleggiarci dentro, finché non percepì altre sensazioni, brevi suoni, un bip
regolare, poi un aroma di caffè, mescolato ad un profumo maschile più
prevalente.
Infine scorse un sorriso,
riaprendo a fatica le palpebre, la nuca come un mattone, il fiato amarognolo,
probabilmente per qualche farmaco.
“Ciao piccolo …”
Law si sporse verso di
lui, posandogli un bacio casto e caldissimo sulla bocca, mentre gli teneva tra
i palmi, la mano destra, libera da aghi e sensori.
“Jude …”
“Non stancarti, ok?” –
mormorò commosso, dandogli una carezza sugli zigomi, per poi baciarlo di nuovo,
più profondo.
Taylor pensò di sognare
o di avere un’allucinazione, dopo quella carambola.
Rammentava nitidamente
quanto occorsogli, per cui la memoria era intatta.
“Jude come hai saputo?”
– chiese flebile, ma felice.
“E’ stato Colin ad
avvisarmi … Mi ha detto tutto”
“Tutto …?”
“Nessun problema, va
bene Taylor?” – lo rassicurò pacato, ma le emozioni che provava erano così
evidenti.
Esaustive.
Terribilmente affettuose
e partecipi.
Jared, rannicchiato di
spalle, rispetto alla soglia della sua camera di ospedale, se ne stava immobile,
lo sguardo fisso verso il comodino a rotelle, dove Shan stava appoggiando un
succo di frutta.
“Potevi berne almeno un
po’, cavoli … Sei più zuccone di un mulo, Jay”
“Non mi va nulla e poi
voglio andarmene” – si lamentò, abbracciato al cuscino.
“Scott ha detto di
aspettare qui, avevi la pressione alta e vuole ricontrollarla, prima di
dimetterti”
“Sto benissimo”
“Ma figurati … Ah, c’è
Glam, è arrivato” – e si alzò sorridente, per accoglierlo, però Leto jr ebbe
una reazione completamente opposta.
Si voltò di scatto, le
iridi infuocate – “Perché sei qui?!! Sparisci!!” – gli inveì contro, con piena
sorpresa di Geffen, che non si scompose.
“Tuo fratello mi ha
avvisato e volevo sapere com’erano andate le cose, tra te e Colin”
“Si sono azzuffati,
come due coglioni, ecco come sono andate le cose ed a rimetterci è stato
Taylor!” – si intromise il batterista, contrariato e roco, quanto risoluto.
Jared se ne stava
seduto sul bordo, adesso, pronto a balzare come una tigre ferita e fuori
controllo, per una somma di ragioni, che gli stavano spezzando il cuore.
“Robert ti ha
ingannato, ti ha umiliato e tu l’hai perdonato” – singhiozzò – “Ed io che
volevo solo la tua presenza, che sono stato sincero, nel volerti bene, Glam, ho
ricevuto in cambio il tuo rifiuto più assurdo e cattivo!” – si sfogò,
battendogli i pugni sul petto, fronteggiandolo con disperazione.
Geffen lo avvolse, con
tenerezza, lasciando che Jared bagnasse con il suo pianto, la sua costosa
giacca, senza badarci.
“Perché complichi
sempre tutto, Jay?” – domandò sommesso, dandogli un bacio tra le ciocche
arruffate, come il suo respiro.
Downey finì di
preparare Pepe, controllando poi l’ora, per l’ennesima volta.
Vas bussò, chiedendo se
erano pronti, con educazione.
“Sì, è che volevo
aspettare Glam, ma ormai ci raggiungerà a teatro”
“Vuoi che lo chiami,
Robert?”
“No, lo faccio io, voi
scendente intanto, arrivo tra cinque minuti”
La telefonata di Law,
arrivò appena il sovietico ed il bambino uscirono nel corridoio.
“Sì …?”
“Ciao Rob, ti disturbo?”
Il suo tono era strano,
ma estremamente gentile.
“No, no, ciao Jude, ho
saputo di Taylor” – disse trafelato, provando un’angoscia, alla quale non seppe
dare una spiegazione immediata.
“Sì, sono qui con lui …
Cioè, sono in sala attesa, perché le infermiere mi hanno cacciato: Taylor ha
subito un intervento di routine, per aspirare l’ematoma subdurale, così mi ha spiegato
Steven” – dettagliò un po’ ansioso.
“Ma ora sta bene, vero?”
“Sì, una … una
meraviglia, per fortuna” – sorrise.
Ne seguì una breve
pausa.
Interminabile.
“Volevi dirmi qualcosa,
Jude?”
“Sì Robert, perché tu
sei da sempre il mio migliore amico … Non solo, certo, tu lo sai cosa provo per
te”
“Jude …”
Il tempo sembrò
fermarsi.
“Appena ho saputo di
Taylor, mi sono pentito per averlo trattato con superficialità, con egoismo, ma
non per quanto gli è accaduto, anche se ne sono responsabile, nel suo sentirsi
abbandonato, capisci?”
“Certo …”
“E poi appena l’ho
visto ho sentito che … Che era giusto mi fermassi con lui, gli rimanessi
accanto … Gli voglio bene, Robert”
“Tesoro, io sono
contento per te, davvero e … E poi non devi chiedere il permesso a me per
innamorarti di nuovo, anzi, è … E’ una cosa bellissima Jude”
Era sincero, se non
fosse stato per quelle due lacrime, che gli segnarono, roventi, le gote già in
fiamme.
“Forse innamorarsi …
Forse va oltre ciò che sento adesso, non lo so neppure io … Sono confuso, ma
fiducioso” – sorrise dolce, anche se sopraffatto anch’egli da un pianto, di cui
non si vergognò.
“Jude io voglio che tu
sia felice, sappilo” – Downey provò a dominarsi, dopo essere scivolato sul
parquet lucido, che rifletteva la sua immagine minuscola e perfetta nelle
proporzioni, a cui Law stava pensando proprio in quell’attimo.
“Andremo a Londra,
appena Taylor si sentirà meglio, volevo dirtelo e poi … Poi approfondiremo il
discorso, perché i ragazzi desiderano vederti … Con Glam, è chiaro”
“Sì, faremo così … Ora
vai, Taylor ha bisogno di te, ok …?”
E lui aveva un dannato
bisogno di staccare, di non sentire più la sua voce, che lo aveva accompagnato
in tanti anni di convivenza, di scelte, di amore purissimo.
Il
loro amore, che sembrò, all’improvviso, venire messo da parte,
per lasciare spazio al domani, scalpitante, come il cuore di Robert, stritolato
da un rammarico, sfociato in un urlo, che nessuno riuscì ad udire.
Fortunatamente.
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