lunedì 23 dicembre 2013

ZEN - CAPITOLO N. 231

Capitolo n. 231 – zen



“Domani è il suo compleanno …”

“Jay …”

“Quando il suo sorriso diventerà polvere … ed il suo sguardo cenere … Che ne sarà di noi Colin?”

Leto lo disse inginocchiato sulla sabbia, le mani contorte contro l’addome, il busto piegato in avanti, quasi a ciondolarsi nel vento.

Farrell rimaneva in piedi ad un metro da lui, incapace di dargli un minimo di pace.


“A volte penso che Glam sia stato il collante della nostra storia o comunque un elemento fondamentale, sai? Quando non ci sarà più, il mio dolore rovinerà per sempre il nostro matrimonio … impazzirò, senza riuscire a metabolizzare questo lutto” – disse in lacrime.

“Jay ascolta” – e lo abbracciò, abbassandosi anche lui – “Noi ci faremo aiutare, non sarà semplice, ma se lo vorremo, potremo salvarci, non credi?” – chiese fissandolo angosciato.

Il cantante lo guardò a quel punto, scuotendo la testa.

“La mia stabilità emotiva è andata a farsi fottere Cole … Sono stato una bestia con Jimmy … Ho fumato dell’erba e … e l’ho molestato” – rivelò senza più lacrime, pervaso da un’improvvisa alienazione.

“Jared …” – l’irlandese era costernato, ma non si mosse.

“Come puoi sopportare ancora la mia vista Colin??” – gli urlò disperato in faccia.

Lui lo strinse.
Lo strinse forte, senza dire niente.



“Io … io temo che non potrò farcela sai cucciolo?”

Geffen quasi lo sussurrò, nella semi oscurità della stanza, con Lula accanto, che gli massaggiava l’incavo all’altezza dello sterno, dove gli spasmi sembravano essersi calmati.

“Non erano questi i patti, papà” – gli sorrise, gli occhi grandi e lucidi.

“Tu … tu hai ragione” – ansimò, il petto che si gonfiava di respiri grevi.

Erano da soli.

Scott e Robert erano scesi nel living a preparare un caffè.

“Eppure se questo è l’inizio della fase peggiore … la malattia Lula …”

“So che stai male, però non devi arrenderti” – disse serio, senza smettere di toccarlo in quel punto.

“La morfina non mi basta … forse adesso funziona, ma domani …”

“Domani andrà un po’ meglio …”

“So che faresti l’impossibile Lula, per me, però”

“Lo sto già facendo …” – sorrise ancora, ma dalla sua fronte caddero delle gocce di sudore.

Stava assorbendo il malessere di Glam e l’avvocato se ne rese conto.

“Amore cosa …?”

Lula si accasciò, crollando in un sonno profondo.
Era stremato.

Geffen lo strinse, cullandolo.
Lo baciò tra i capelli, iniziando a mormorare una cantilena, che ricordava di avere ascoltato anni prima alla fondazione.

Fu come un frammento di vita, che tornava in superficie, da un passato, dove Glam aveva dato un senso al suo cammino, senza più rancori o sfide.

La più importante la stava perdendo: paradossalmente non serviva combattere, ma non poteva arrendersi.

La salvezza era un’incognita assoluta: solo Lula riusciva ancora ad infondergli un minimo di speranza.

A Geffen non restava che aggrapparsi ad essa, anche con l’ultimo briciolo di forza rimastagli: non aveva alternative.



“Sarà sempre peggio, vero Scott?”

Il medico rimase in silenzio, scrutando Downey.

“Robert dovresti avere cura di te, dopo quanto hai passato e non solo di recente”
L’artista ricambiò lo sguardo intenso.

“Per il mio cancro? Il mio sistema immunitario? Il tentato suicidio?” – prese un respiro – “Tutto passa in secondo piano, dopo quanto abbiamo visto oggi” – concluse assorto, sorseggiando una tisana bollente.



Il busto dorato di Louis, si muoveva sinuosamente nella luce del tramonto, che sembrava accarezzarlo, come i palmi tremolanti di Harry, disteso al centro del letto, mentre gli risaliva dentro, ad occhi chiusi, colpevoli.


Tra scatoloni ammassati negli angoli, i segni lasciati dai quadri tolti dalle pareti, le mensole vuote, il loro giaciglio disfatto e spoglio, ma vivo di loro, come non mai.


Era meraviglioso il contatto, il percepirlo così bagnato, che ad Harry, per un attimo, sembrò di avere fatto solo un brutto sogno, ripensando a Sylvie.

Certo gli aveva dato piacere ed era stato troppo strano quel sentirsi in grado di poterle andare a genio e di riuscirci, con lei, ad avere un rapporto sessuale completo.


Ora il sorriso di Louis, gli arriva dritto addosso, come una condanna inconsapevole: il suo Boo divampava in quell’orgasmo, accelerando il ritmo e lasciandosi impalare senza più alcuna premura.

Voleva godere e fare sì che altrettanto accadesse al suo Harry.

Collisero, esplodendo appagati.

Lou crollò su Haz, estasiato e sconvolto.

Si avvinghiarono, come al solito: l’esigenza di non sentirsi così adulti era impellente; una parte del loro mondo era ancora fatta di giochi alla play station e pomiciate, seduti nell’ultima fila di un cinema.


Il futuro poteva piombargli addosso come neppure riuscivano ad immaginare, purtroppo.

E l’età di quell’innocenza sembrava volgere in un disincanto, quasi banale, dove ferirsi ed uccidersi, a poco a poco, sarebbe diventata la … normalità.



Brent aprì con un sorriso, che immediato si spense sul suo bellissimo volto.

“Papà …”

“Buonasera figliolo … Scusa se non ti ho avvisato, posso entrare?”

Si era tolto il cappello, imbarazzato; era in divisa.

Brent spuntò dal corridoio laterale, avvolto in un asciugamano piuttosto ridotto, mentre con un secondo si stava tamponando i capelli.

Lui e Brent volevano uscire per una pizza e si stavano preparando.


“Salve signor Laurie” – si rivolse a lui, educato, l’ufficiale.
“Salve colonnello …” – replicò lo psicologo, ponendosi tra l’uomo ed il fidanzato, indietreggiato nel frattempo di alcuni passi.

“Posso dunque?” – richiese, senza alcuna veemenza.

“Ok … se per Brendan va bene …”

“Certo, si sieda dove vuole … avremmo un impegno, con suo figlio”

“Mi dispiace, avrei voluto fare una telefonata, ma mi sono reso conto che Brent ha cambiato numero … credo”

“Sì l’ho fatto. Come mai sei qui?” – si intromise il giovane, asciutto.

“Ho ricevuto diverse e-mail … da Harry”
“Gli ho fornito io il tuo indirizzo di posta elettronica”

“Sì, nessun problema. E’ di ciò che mi ha scritto, che volevo parlarti. Adesso.”



Kiro fu accolto da Scott e Robert con perplessità.

“Glam mi sta aspettando … E’ qui?”
“E’ di sopra …” – gli indicò Downey.

Il giapponese portava con sé una grossa valigetta nera.

“Ok, volete avvisarlo?”

“Ciao Kiro, vieni pure”

Geffen si affacciò, vestito di una tuta bianca.
Era affascinante, anche se provato.


“Ehi boss, allora ci sei … Ok arrivo” – e salutò frettoloso il medico e l’artista, che si scambiarono un’occhiata esaustiva, su quella visita inattesa.



Geffen lo fece accomodare nel proprio studio privato.

“Qui staremo tranquilli … Come stai Kiro?”

“Bene e tu? Qualche speranza?” – chiese serio.

“Nessuna. Hai portato ciò che ti ho chiesto?”

“Certo …” – ed aprì quell’involucro, rivelando un grande contenitore in plexiglas, di forma rettangolare, con incastrato nel centro un secondo, di forma circolare: nel perimetro esterno a questi, una decina di serpenti sembravano vorticare in una danza macabra.

“Ma possono respirare?”

“Sì Glam, ci sono le micro bocchette di aereazione, vedi?”

“Già … E’ da lì che arriva questo tanfo?” – e si tappò naso e bocca, disturbato da quel fetore.

“Appunto … Efficace al cento per cento con i cani anti droga dell’aeroporto, sai?” – e rise.

“Bene … Quante sono?” – ed indicò le bustine di erba bene allineate nel cerchio.

“Duecento dosi … Ci sono quattro strati … Un attimo e” – Kiro fece scattare dei blocchi, liberando il contenuto, che scivolò sulla scrivania.

“Il signore è servito” – esclamò il nipponico, con una sorta di reverenza.

Geffen inspirò, scrutando ancora quello strano scrigno.

“Medusa …” – mormorò – “Ed i suoi tentacoli che si allungano su di me, per portarmi all’inferno … Dove merito di finire, a quanto pare” – affermò, guardando poi Kiro.


“Nessuno merita il cancro. Nessuno.” – affermò lui, mordendosi poi le labbra ben disegnate, mentre richiudeva il tutto nella ventiquattrore.


“Ti vedi ancora con l’agente Costa?” – domandò Glam, offrendogli da bere.

“Sì e no …”

“Quanto ti devo, Kiro?”

“Duecentomila … eravamo d’accordo …” – disse con un’esitazione

“Certo. Ne aggiungo diecimila, per il disturbo e … La solidarietà” – rise un po’ di sbieco, aprendo la cassaforte alle sue spalle.

Kiro ne sbirciò il contenuto, notando un revolver di grosso calibro.


“E quello a che ti serve big Geffen?” – domandò cauto.

Glam richiuse, sbuffando – “Se una mattina mi sveglierò più codardo del solito … se non dovessi più resistere … Nemmeno con la tua magica droga del sol levante …” – sorrise, scuotendo la testa.

“Mia madre ti manda questa” – e gli passò una boccetta scura.

“Una pozione d’amore Kiro?”

“Ma no …” – rise più rilassato, mettendo via il denaro in una tasca interna del suo giubbotto in pelle – “E’ un antidolorifico … Certo un po’ speciale” – e gli fece l’occhiolino.

“Estratto da qualche animale in via di estinzione? Sono contro questi abomini” – e gliela ripassò alterato.

“No, niente del genere Glam: solo erbe” – gli assicurò il giovane, per poi andarsene, senza che Geffen lo accompagnasse.

Ormai era sera.

Colin e Jared erano seduti a metà della caletta: si erano accesi un fuoco e Lula gli aveva portato delle coperte, restando lì con loro.

Il bimbo parlava di qualcosa, che li faceva ridere sereni.

Era una bella immagine.


L’ultima di quella giornata difficile.


Geffen se la stava come gustando dal terrazzo, pervaso da una quiete malinconica e dolcissima.






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