Capitolo n. 231 – zen
“Domani è il suo
compleanno …”
“Jay …”
“Quando il suo
sorriso diventerà polvere … ed il suo sguardo cenere … Che ne sarà di noi
Colin?”
Leto lo disse
inginocchiato sulla sabbia, le mani contorte contro l’addome, il busto piegato
in avanti, quasi a ciondolarsi nel vento.
Farrell rimaneva in
piedi ad un metro da lui, incapace di dargli un minimo di pace.
“A volte penso che
Glam sia stato il collante della nostra storia o comunque un elemento
fondamentale, sai? Quando non ci sarà più, il mio dolore rovinerà per sempre il
nostro matrimonio … impazzirò, senza riuscire a metabolizzare questo lutto” –
disse in lacrime.
“Jay ascolta” – e lo
abbracciò, abbassandosi anche lui – “Noi ci faremo aiutare, non sarà semplice,
ma se lo vorremo, potremo salvarci, non credi?” – chiese fissandolo angosciato.
Il cantante lo guardò
a quel punto, scuotendo la testa.
“La mia stabilità
emotiva è andata a farsi fottere Cole … Sono stato una bestia con Jimmy … Ho
fumato dell’erba e … e l’ho molestato” – rivelò senza più lacrime, pervaso da
un’improvvisa alienazione.
“Jared …” –
l’irlandese era costernato, ma non si mosse.
“Come puoi sopportare
ancora la mia vista Colin??” – gli urlò disperato in faccia.
Lui lo strinse.
Lo strinse forte,
senza dire niente.
“Io … io temo che non
potrò farcela sai cucciolo?”
Geffen quasi lo
sussurrò, nella semi oscurità della stanza, con Lula accanto, che gli
massaggiava l’incavo all’altezza dello sterno, dove gli spasmi sembravano
essersi calmati.
“Non erano questi i
patti, papà” – gli sorrise, gli occhi grandi e lucidi.
“Tu … tu hai ragione”
– ansimò, il petto che si gonfiava di respiri grevi.
Erano da soli.
Scott e Robert erano
scesi nel living a preparare un caffè.
“Eppure se questo è
l’inizio della fase peggiore … la malattia Lula …”
“So che stai male,
però non devi arrenderti” – disse serio, senza smettere di toccarlo in quel
punto.
“La morfina non mi
basta … forse adesso funziona, ma domani …”
“Domani andrà un po’
meglio …”
“So che faresti
l’impossibile Lula, per me, però”
“Lo sto già facendo
…” – sorrise ancora, ma dalla sua fronte caddero delle gocce di sudore.
Stava assorbendo il
malessere di Glam e l’avvocato se ne rese conto.
“Amore cosa …?”
Lula si accasciò,
crollando in un sonno profondo.
Era stremato.
Geffen lo strinse,
cullandolo.
Lo baciò tra i
capelli, iniziando a mormorare una cantilena, che ricordava di avere ascoltato
anni prima alla fondazione.
Fu come un frammento
di vita, che tornava in superficie, da un passato, dove Glam aveva dato un
senso al suo cammino, senza più rancori o sfide.
La più importante la
stava perdendo: paradossalmente non serviva combattere, ma non poteva
arrendersi.
La salvezza era
un’incognita assoluta: solo Lula riusciva ancora ad infondergli un minimo di
speranza.
A Geffen non restava
che aggrapparsi ad essa, anche con l’ultimo briciolo di forza rimastagli: non
aveva alternative.
“Sarà sempre peggio,
vero Scott?”
Il medico rimase in
silenzio, scrutando Downey.
“Robert dovresti
avere cura di te, dopo quanto hai passato e non solo di recente”
L’artista ricambiò lo
sguardo intenso.
“Per il mio cancro?
Il mio sistema immunitario? Il tentato suicidio?” – prese un respiro – “Tutto
passa in secondo piano, dopo quanto abbiamo visto oggi” – concluse assorto,
sorseggiando una tisana bollente.
Il busto dorato di
Louis, si muoveva sinuosamente nella luce del tramonto, che sembrava
accarezzarlo, come i palmi tremolanti di Harry, disteso al centro del letto,
mentre gli risaliva dentro, ad occhi chiusi, colpevoli.
Tra scatoloni
ammassati negli angoli, i segni lasciati dai quadri tolti dalle pareti, le
mensole vuote, il loro giaciglio disfatto e spoglio, ma vivo di loro, come non
mai.
Era meraviglioso il
contatto, il percepirlo così bagnato, che ad Harry, per un attimo, sembrò di
avere fatto solo un brutto sogno, ripensando a Sylvie.
Certo gli aveva dato
piacere ed era stato troppo strano quel sentirsi in grado di poterle andare a
genio e di riuscirci, con lei, ad avere un rapporto sessuale completo.
Ora il sorriso di
Louis, gli arriva dritto addosso, come una condanna inconsapevole: il suo Boo
divampava in quell’orgasmo, accelerando il ritmo e lasciandosi impalare senza
più alcuna premura.
Voleva godere e fare
sì che altrettanto accadesse al suo Harry.
Collisero, esplodendo
appagati.
Lou crollò su Haz,
estasiato e sconvolto.
Si avvinghiarono,
come al solito: l’esigenza di non sentirsi così adulti era impellente; una
parte del loro mondo era ancora fatta di giochi alla play station e pomiciate,
seduti nell’ultima fila di un cinema.
Il futuro poteva
piombargli addosso come neppure riuscivano ad immaginare, purtroppo.
E l’età di quell’innocenza
sembrava volgere in un disincanto, quasi banale, dove ferirsi ed uccidersi, a
poco a poco, sarebbe diventata la … normalità.
Brent aprì con un
sorriso, che immediato si spense sul suo bellissimo volto.
“Papà …”
“Buonasera figliolo …
Scusa se non ti ho avvisato, posso entrare?”
Si era tolto il
cappello, imbarazzato; era in divisa.
Brent spuntò dal
corridoio laterale, avvolto in un asciugamano piuttosto ridotto, mentre con un
secondo si stava tamponando i capelli.
Lui e Brent volevano
uscire per una pizza e si stavano preparando.
“Salve signor Laurie”
– si rivolse a lui, educato, l’ufficiale.
“Salve colonnello …”
– replicò lo psicologo, ponendosi tra l’uomo ed il fidanzato, indietreggiato nel
frattempo di alcuni passi.
“Posso dunque?” –
richiese, senza alcuna veemenza.
“Ok … se per Brendan
va bene …”
“Certo, si sieda dove
vuole … avremmo un impegno, con suo figlio”
“Mi dispiace, avrei
voluto fare una telefonata, ma mi sono reso conto che Brent ha cambiato numero
… credo”
“Sì l’ho fatto. Come
mai sei qui?” – si intromise il giovane, asciutto.
“Ho ricevuto diverse
e-mail … da Harry”
“Gli ho fornito io il
tuo indirizzo di posta elettronica”
“Sì, nessun problema.
E’ di ciò che mi ha scritto, che volevo parlarti. Adesso.”
Kiro fu accolto da
Scott e Robert con perplessità.
“Glam mi sta
aspettando … E’ qui?”
“E’ di sopra …” – gli
indicò Downey.
Il giapponese portava
con sé una grossa valigetta nera.
“Ok, volete
avvisarlo?”
“Ciao Kiro, vieni
pure”
Geffen si affacciò,
vestito di una tuta bianca.
Era affascinante,
anche se provato.
“Ehi boss, allora ci
sei … Ok arrivo” – e salutò frettoloso il medico e l’artista, che si
scambiarono un’occhiata esaustiva, su quella visita inattesa.
Geffen lo fece
accomodare nel proprio studio privato.
“Qui staremo
tranquilli … Come stai Kiro?”
“Bene e tu? Qualche
speranza?” – chiese serio.
“Nessuna. Hai portato
ciò che ti ho chiesto?”
“Certo …” – ed aprì
quell’involucro, rivelando un grande contenitore in plexiglas, di forma
rettangolare, con incastrato nel centro un secondo, di forma circolare: nel
perimetro esterno a questi, una decina di serpenti sembravano vorticare in una
danza macabra.
“Ma possono
respirare?”
“Sì Glam, ci sono le
micro bocchette di aereazione, vedi?”
“Già … E’ da lì che
arriva questo tanfo?” – e si tappò naso e bocca, disturbato da quel fetore.
“Appunto … Efficace
al cento per cento con i cani anti droga dell’aeroporto, sai?” – e rise.
“Bene … Quante sono?”
– ed indicò le bustine di erba bene allineate nel cerchio.
“Duecento dosi … Ci
sono quattro strati … Un attimo e” – Kiro fece scattare dei blocchi, liberando
il contenuto, che scivolò sulla scrivania.
“Il signore è servito”
– esclamò il nipponico, con una sorta di reverenza.
Geffen inspirò,
scrutando ancora quello strano scrigno.
“Medusa …” – mormorò –
“Ed i suoi tentacoli che si allungano su di me, per portarmi all’inferno … Dove
merito di finire, a quanto pare” – affermò, guardando poi Kiro.
“Nessuno merita il
cancro. Nessuno.” – affermò lui, mordendosi poi le labbra ben disegnate, mentre
richiudeva il tutto nella ventiquattrore.
“Ti vedi ancora con l’agente
Costa?” – domandò Glam, offrendogli da bere.
“Sì e no …”
“Quanto ti devo,
Kiro?”
“Duecentomila …
eravamo d’accordo …” – disse con un’esitazione
“Certo. Ne aggiungo
diecimila, per il disturbo e … La solidarietà” – rise un po’ di sbieco, aprendo
la cassaforte alle sue spalle.
Kiro ne sbirciò il
contenuto, notando un revolver di grosso calibro.
“E quello a che ti
serve big Geffen?” – domandò cauto.
Glam richiuse,
sbuffando – “Se una mattina mi sveglierò più codardo del solito … se non
dovessi più resistere … Nemmeno con la tua magica droga del sol levante …” –
sorrise, scuotendo la testa.
“Mia madre ti manda
questa” – e gli passò una boccetta scura.
“Una pozione d’amore
Kiro?”
“Ma no …” – rise più
rilassato, mettendo via il denaro in una tasca interna del suo giubbotto in
pelle – “E’ un antidolorifico … Certo un po’ speciale” – e gli fece l’occhiolino.
“Estratto da qualche
animale in via di estinzione? Sono contro questi abomini” – e gliela ripassò
alterato.
“No, niente del
genere Glam: solo erbe” – gli assicurò il giovane, per poi andarsene, senza che
Geffen lo accompagnasse.
Ormai era sera.
Colin e Jared erano
seduti a metà della caletta: si erano accesi un fuoco e Lula gli aveva portato
delle coperte, restando lì con loro.
Il bimbo parlava di
qualcosa, che li faceva ridere sereni.
Era una bella
immagine.
L’ultima di quella
giornata difficile.
Geffen se la stava
come gustando dal terrazzo, pervaso da una quiete malinconica e dolcissima.
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