martedì 17 dicembre 2013

ZEN - CAPITOLO N. 229

Capitolo n. 229 – zen


Downey mise il segna libro a metà di quel romanzo; era una trama romantica, molto distante da ciò che sentiva in quel momento.

“Rob …?”
La voce di Law era flebile: si era svegliato lentamente, sorprendendosi nel vederlo lì, al suo capezzale.

“Buongiorno Jude” – lo salutò con un sorriso dolce, anche se un po’ forzato, dandogli anche una carezza sulla fronte stempiata.
Vi posò persino un bacio, alzandosi, per recuperargli un bicchiere d’acqua.

“Ti ringrazio …”
“Bevi piano … vuoi che ti sistemi lo schienale?”

“Sì Rob, grazie …” – disse timido.

“Hai fame? Dico all’infermiera di portarti la colazione”
“No, rimani qui … Se vuoi ovvio” – ed abbozzò un sorriso, provando a calmarsi.

L’americano si accomodò nuovamente, senza convinzione, altrettanto in imbarazzo.

Si rese conto dell’avvampare del marito e provò a tranquillizzarlo.

“Non sono qui per discutere, Jude o per chissà cos’altro tu stai pensando ora … Cerca di guarire, le bambine hanno bisogno anche di te” – affermò fingendo serenità.

Law allungò la mano destra, non senza tremare.

“Mi dispiace Robert” – e gli sfiorò incerto l’addome, contratto sotto il maglioncino aderente, che gli stava una meraviglia.

“Lo so, lo dici sempre, non fai che ripeterlo ogni volta che riesci a farmi male come nessuno Jude” – disse fissando un punto lontano da quelle iridi di ghiaccio, che continuavano a toccarlo, in una maniera inspiegabile, legandolo a Law con un filo invisibile ed inossidabile.


“Perché non mi guardi Rob? … Ti faccio schifo, posso capirlo” – sospirò con afflizione sincera.

“No, perché dovresti? Per tante colpe io possa riconoscerti, non riesco a non amarti, però forse è un sentimento così malato e logoro, da non potermene liberare, come un vecchio reumatismo o … o peggio …” – ed avrebbe voluto sorridere, ma la commozione lo investì a pieno.


Law si sollevò, nonostante la debolezza, poi lo avvolse, tenendolo a sé, facendogli assaporare le proprie lacrime.
Così il suo dispiacere.



Jared si strofinò gli occhi, mettendosi seduto.

Glam dormiva, con un’espressione triste.

Il cantante avrebbe voluto svegliarlo, ma preferì scendere a preparare qualcosa da mettere sotto i denti: aveva stranamente appetito.


La villa era deserta; Pana e Daniel erano andati un paio di giorni a Parigi, prima di rientrare al lavoro.

Le foto di Lula capeggiavano su svariati mobili e Jared cominciò a guardarle, provando sensazioni intense.

Soldino di pochi mesi, malnutrito, che giungeva all’orfanotrofio, poi all’asilo, quindi a Los Angeles, ma anche in montagna oppure sulla spiaggia di Haiti, davanti al capanno andato a fuoco.
Nessuna più recente.

Piegati dietro ad una cornice, infine, dei giornali, pubblicati sull’isola, che parlavano dell’attentato, dove Lula venne gravemente ferito.

Gli articoli erano evidenziati con delle righe gialle fosforescenti, ma c’erano anche delle macchie: sembravano lacrime, su quelle frasi, dove qualcuno aveva fatto il reportage di quelle ore terribili.

Si parlava del figlio del noto Glam Geffen, in condizioni disperate, per le ferite riportate a seguito dell’esplosione.


Jared prese fiato, rimettendo a posto, ma la voce di Geffen lo fece sobbalzare.

“Cosa stai facendo tesoro?” – chiese un po’ brusco.

“Glam … ciao … Leggevo questi, come mai li tieni qui?” – ribatté avvicinandosi, per farsi abbracciare dall’uomo.


“Sono un ricordo … come gli altri, di Lula” – spiegò assorto.

“Sì, ma un po’ macabro e se lui li trovasse come ho fatto io?” – bissò con un bel sorriso.

“E’ già successo … credo, ma non hanno più importanza” – e, sciogliendo il loro incastro, Glam si diresse in cucina.

“Vuoi delle uova come me?” – Jared lo inseguì quasi.

“No, mi danno la nausea”

“Ops scusa …”

“Fa niente, è come se fossi una donna incinta, giusto per farti capire” – rise svogliato, appollaiandosi su di uno sgabello, per versare del succo tropicale.

“Quindi il caffè, i miei vegan burgy …”

“No, quelli mi hanno sempre fatto … ehm” – rise ancora, più rilassato.

Leto si strinse nuovamente a lui, che lo baciò con tenerezza.

“Ti amo tanto Jay …” – mormorò, scrutando i lineamenti di Leto, che affondò il volto nel suo collo, un attimo dopo.

“Anch’io … non so spiegarti quanto … è stato così bello ciò che abbiamo condiviso”
“Non accadrà più Jared” – e gli impose il proprio sguardo celeste e profondo.


“Posso capirlo Glam”
“No, non è per quello … La mia salute non centra”

“Veramente pensavo ad altre motivazioni, non ultima Robert” – e tornò dietro la penisola, dove aveva appoggiato il suo piatto, ormai raffreddatosi.


“Credo sia con Jude e non ho idea di come andranno le cose tra loro: ho provato a dissuaderlo, a resistere a questa specie di tentazione o dipendenza … Poi ho preferito farmi da parte, perché non c’è più nulla da cambiare o da aspettarsi … Vorrei combattere, ma per garantire quale futuro ed a chi, soprattutto?”

Jared inspirò – “Viviamo il presente, che ne pensi?”

“Tu sei il mio tutto, passato, presente e … Ok, è un’illusione” – sorrise, tendendogli le mani.

“Farei qualsiasi cosa per salvarti Glam”

“Una discutibile giustizia non terrena, non gestibile, lo impedirebbe: abbiamo avuto la nostra occasione e l’abbiamo sprecata … C’est la vie, come direbbe Vincent”

Si riabbracciarono.

“La cura in Svizzera sembra averti fatto bene” – disse speranzoso, accoccolandosi sulla spalla sinistra dell’avvocato.

“L’ennesima chimera Jay …”

Un lieve rumore li distrasse.

Era Downey.

“Perdonatemi … non volevo disturbarvi …” – disse mortificato in un sussurro.

Geffen tese le mani anche a lui, così Jared.

Robert si mosse lento, poi permise ad entrambi di coinvolgerlo in quel gesto caldo e solidale.

Piansero, i due amori di Glam, che li cullava, baciando le loro tempie, tremando tra i loro respiri, che gli davano la vita, come nulla su questa terra, da quando era nato.



Colin gli sistemò i cuscini, provando a distrarlo.

“Domani torni a casa Jude”
“Sì, Scott me lo ha detto …”

Farrell prese una sedia.

“Perché perdi ancora del tempo con me, Cole? Non lo merito”

“Non sparare cazzate”
“Dovresti stare con Jared”

“E’ da Glam … Questa volta rimarrà lì, non so per quanto tempo … Mi ha mandato un sms, poi stasera mi telefonerà …” – rivelò, senza inflessioni particolari.

“Anche Robert è andato a Palm Springs … Cosa dobbiamo aspettarci?”
“Lui non li ha mai abbandonati: ora tocca a Jay e Rob rendere il favore, dimostrare gratitudine, dopo che hanno preferito noi a Geffen …”

“Con questi risultati, per me Colin, ma tu non dovresti scendere al mio livello, sai?”

“Alti e bassi, abissi ed altari, nessuno di noi due è immune da periodi terribili e di colpe verso chi ci ha amati incondizionatamente: ci penso spesso, a quanto mi ha donato Jared … Ci siamo scelti, quando eravamo troppo incasinati, ma sapevamo che ne valeva la pena, almeno una parte di noi lo sapeva. Abbiamo stentato a decodificarla e ci siamo traditi, perduti, ripresi, ma, alla fine, ciò che ci lega è incredibile … I sentimenti per Glam non sono da meno, anzi, lui lo avrebbe reso felice senza le brutture, di cui mi sono macchiato … Eppure non potrei mai rinunciare a Jared e lui a me, ne sono sicuro, così sicuro da vivere questo periodo con pazienza … anch’io, glielo devo, a Geffen … anch’io, forse come e più di Jay.”



Una nevicata a Londra, mentre non era ancora primavera.

Forse l’ultima della stagione invernale, molto rigida quell’anno.

Chris rideva, prendendo a palle di neve Ivan, che, per difendersi, lo placcò, per poi metterselo sulle spalle, facendolo roteare e sculacciandolo a dovere.

Ridevano come due ragazzini.

Gli scatti dei paparazzi fecero il giro del mondo in poche ore.


Robert le stava osservando sul tablet di Jared: gliele aveva mostrate il leader dei Mars, con un sorriso, mentre l’attore tagliava l’insalata e Leto cuoceva delle alette di pollo, unico cibo che andava a Geffen.

“Sono splendidi Rob … e cotti” – Jay rise.
“Già … Sono contento per Christopher, era ora trovasse un equilibrio”

“Sì … infatti … che ne dici, lo metto il curry? Povera bestiola comunque …” – disse sconsolato.

Downey rise.

“Non saprei, chiedilo a Glam …”
“E’ con Lula … a proposito, le pizze, cavoli!” – ed aprì il forno, accorgendosi per fortuna che non si erano bruciate, non del tutto.


Le risa del bimbo risuonarono nella stanza, cariche di gioia.
Geffen schiuse le palpebre.

Lula era sul davanzale, a guardare l’oceano.

“Cucciolo …”
“Ciao papi!” – e volò sopra il letto.

“Dove sono gli zii?”
“Di sotto, a cucinare … anzi no, a fare casini!” – e rise ancora, adorabile.

“Vieni qui …” – e lo prese sul petto.
“Hai tanto male papi?”

“No … la morfina riesce a tenere sotto controllo le solite fitte, ma non sarà sempre così, vero soldino?”

Lula si inginocchiò, massaggiandolo all’altezza dello stomaco – “Ora devi mangiare papà … devi resistere … Anche quando penserai di non riuscire ad andare avanti, ok?”

“Ok …”

“Promesso?”

“Promesso, angelo mio …” – e si riassopì, dopo avere scorto delle nubi all’orizzonte, avvicinarsi inesorabili e cupe.







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