Capitolo n. 226 – zen
Il calore di Geffen
gli lambiva il cuore, l’anima, ogni centimetro, che l’uomo sfiorava della pelle
di Robert, procurandogli non solo piacere, ma, soprattutto, un conforto, a cui
l’attore non poteva rinunciare; non il quel momento.
Una breve telefonata
tra i due coniugi, poche ore prima, lo aveva svilito ulteriormente.
C’era stato solo
silenzio, un po’ crudele, un po’ meschino.
Downey avvertiva in
quel mutismo, dopo un semplice “ciao” a denti stretti, tutta la rabbia di Jude,
la sua costernazione, davanti ad un tradimento, che l’inglese, in precedenza,
aveva persino auspicato, pur di togliersi dai piedi lo spettro di Christopher.
“Una
scopata e via, così non ci pensi più!”
Robert, purtroppo o
per fortuna, non ci pensava di finirci a letto sul serio, perché quel ragazzo
era suo figlio o poteva esserlo, emotivamente ed anagraficamente; dettagli.
Inutili dettagli.
Era come un gioco
pericoloso, di seduzione ed abbandono reciproco, di fuga da sé stessi:
Christopher gli ricordava troppo il Robert dell’adolescenza e dei periodi
successivi, fatti di montagne russe quotidiane.
Un giorno su.
Un giorno giù.
Adesso i baci di Glam
si facevano feroci ed assordanti, della sua gioia, per averlo ritrovato, quando
invece, Robert per primo, credeva che l’avvocato volesse Jared nella propria
vita, in quell’ultima, estrema fase maledetta, dove l’incontrare il sorriso e
gli zaffiri di Leto, potevano arrecargli un minimo di sollievo.
Di consolazione.
Magra consolazione,
ad essere onesti, ma che importava?
Per giunta Colin era
d’accordo, quasi un paradosso, ma, in realtà, un gesto d’amore: nient’altro.
Perché il volere
vedere ovunque pietà, era controproducente, secondo Downey e Geffen sbagliava
nel respingere chiunque gli dimostrasse attenzione.
A dire il vero, era
Jared l’esclusivo destinatario di quel trattamento odioso.
La spiegazione era
semplice, quanto lampante: LUI era
l’amore di Glam.
Tutto il resto girava
intorno, orbitava con ostinazione, come Kevin e Scott o con semplice dipendenza
e simbiosi, come Robert.
Chris spalancò la
porta della suite, fiondandosi dentro, seguito da Ivan, intento a fargli da
scudo, tra sè ed una serie di paparazzi e reporter molto invadenti.
Le loro domande su di
un ritorno di fiamma con Rice, immortalato all’arrivo a Londra con l’artista,
si consolidavano sempre di più.
“Che teste di cazzo!”
– sbottò Ivan e Chris annuì, cercando una sigaretta nella tasca interna del
giacchino in pelle.
“Miseria le ho
perse!” – ringhiò, dando poi un calcio ad una sedia.
“Ehi calmati … scendo
a prenderne un pacchetto, se vuoi, anche se dovresti smettere” – propose il
sovietico, ma Chris lo lacerò con uno sguardo strano.
“Lascia stare”
“Cosa ti prende, è
successo qualcosa? Magari con quel damerino?” – chiese brusco.
“Quale parte del
discorso, sulla nostra collaborazione, non ti è chiaro, Ivan?! Tu lavori per
me, non allargarti in altre direzioni, perché mi fai solo incazzare, ok??!” –
esclamò a pugni stretti.
“D’accordo” – replicò
educato il body guard, andando alla finestra, per vedere se i fotografi se ne
erano andati.
Christopher deglutì a
vuoto, poi sparì nel bagno.
Un paio di minuti
dopo, Ivan avvertì dei suoni strani, come di un vetro rotto, forse una
bottiglietta di profumo o dei sali per l’idromassaggio, quindi delle
imprecazioni ed un singhiozzio disperato.
Si precipitò, ma
senza invadere la privacy del leader dei Red Close.
Bussò piano.
“Chris stai bene?”
Un “No” soffocato lo fece allarmare.
Christopher se ne
stava accucciato sopra uno sgabello, le braccia chiuse sull’addome piegato,
come se avesse delle fitte, ma non si trattava di un malore, bensì di un
disagio più profondo.
Piangeva come un
bambino,
“Chris …” – mormorò
Ivan, andando ad avvolgerlo con cura.
Lo prese in braccio,
portandolo sul letto: gli tolse le scarpe e lo coprì, rimboccandogli la coperta
in fondo ai piedi, dandogli poi una carezza sulla schiena.
“Faccio portare un tè
con dei biscotti …” – propose alzando la cornetta del telefono, ma Chris lo
bloccò per il polso, affondando il volto bellissimo nel cuscino.
“Rimani qui Ivan …”
“Certo … dove vuoi
che vada? …” – sorrise – “Io lavoro per te” – aggiunse senza alcuna malizia, ma
con sconfinato affetto.
Anzi amore.
Traboccava dai suoi occhi
scuri, liquidi, meravigliosi.
Come tutto di lui.
“Faresti l’amore con
me Ivan …?”
Glielo disse con il
tono di un naufrago o, semplicemente, di un ex ragazzino, ribelle e confuso, ai
margini di una realtà, che non gli piaceva più.
Il suo viaggio era
stato breve, anche se intenso e risolutivo.
Un periodo della sua
esistenza era finito, ma le persone restavano e conviverci non era semplice.
Un dialogo aspro con
Boydon, prima di decollare verso l’Inghilterra, l’occhiata di Farrell,
incrociato per caso ad un semaforo, mentre l’irlandese si recava in clinica da
Law: tutti i siti on line ne stavano parlando, come il gossip di punta.
Idem per la
separazione di Robert e la sua fuga con Geffen.
Il peggio, però,
restava lo sguardo deluso di Clarissa, mentre le spiegava la sua assenza per
circa un mese, a causa di quel ruolo per la tv, che stava rivelando i propri
limiti ed ostacoli.
Il regista lo aveva
rimproverato di essere troppo rigido, di sicuro per la mancanza di esperienza.
Era più severo
rispetto a quello americano, ma onesto nel fargli capire che per recitare,
occorreva anche una preparazione specifica.
In tanti si
improvvisavano attori, ma non sempre c’era del talento, anche grezzo, su cui
migliorarsi.
L’invidia, poi,
completava il quadro, un po’ mesto, dopo esaltanti aspettative, da parte sua,
che adesso si pensava un po’ ingenuo, vergognandosene inesorabilmente.
Le mani di Ivan erano
grandi ed amorevoli.
Quello che stava
accadendo, tra loro, non era sesso.
E Chris guardava Ivan
con altrettanta partecipazione.
Pulita e sincera.
I loro corpi
viaggiavano nella dimensione parallela, eccitandosi, perché la chimica tra essi
era perfetta.
Così il fondersi,
nella bocca e tra le gambe, fianchi robusti contro fianchi più esili, in un
incastro dapprima ruvido e poi sempre più fluido, in un cadenza crescente, sino
ad un primo, precoce, orgasmo.
“Scusami piccolo … è
che non ho più fatto l’amore senza di te” – gli sussurrò dolce Ivan, baciandolo
con tenerezza.
“Scusami tu … per
tutto”
“Ma di cosa …?” – e
con delicatezza fece collimare i loro profili madidi.
“Ti voglio bene Ivan”
“Anch’io. E non
smetterò. Mai.”
Geffen uscì dalla
doccia tamponandosi l’addome.
Si guardò allo
specchio.
Aveva qualche livido,
ma ancora non si vedevano le costole, come
spesso scherzava con Scott, su come potesse degenerare il suo fisico massiccio.
Si sentiva bene, come
rigenerato, ma la consapevolezza che sarebbe durato poco quello stato di
grazia, era vigile e spietata.
Tornò da Robert,
trovandolo addormentato.
Arrise alle sue
fattezze proporzionate, a quel suo percepirlo indifeso e generoso, quasi
sprovveduto, nonostante fossero quasi coetanei.
Quasi …
Downey avrebbe fatto
qualche sagace battuta, in altre circostanze, meno tristi.
Glam pensò a come il
proprio cancro, avesse come trascinato tuti in un delirio di inquietudine e di
senso di perdita anticipato.
Era, nel bene o nel
male, un punto di riferimento e questa responsabilità gli pesava, ormai.
Avrebbe dovuto
pensare a curarsi, a cercare un rimedio in ogni angolo del pianeta: i mezzi non
gli mancavano; eppure era venuta meno la caparbietà di artigliarsi alla vita,
in qualsiasi modo.
Chiuse le palpebre ed
il profumo della salsedine lo investì immediato.
I passi leggeri di
Syria si avvicinarono.
“Sei qui stellina …”
– la chiamò, come faceva spesso con Isotta.
“Ciao Glam …
guardami”
Era lì, ad un metro
da lui, una visione nell’abito di voile bianco, come se una nuvola l’avesse
intrappolata, di luce e di uno splendore unico.
“Mi tieni con te,
questa volta?” – domandò sereno, tendendole le mani.
Si allacciarono,
cominciando a camminare verso l’oceano.
“Tu vorresti …?” –
bissò esitante.
“In questo preciso
istante forse no … Mi sento in forma, però è una mera illusione e lo sai anche
tu” – rise mesto, sollevandola, facendo roteare la sua figura sinuosa ed
attraente, per poi baciarla, in una maniera assurdamente bella.
“In questo mondo mi
sento nuovamente in grado di affrontare qualunque avversità, Syria … E’
incredibile …”
“Dovresti prendere un
po’ di questa magia ed usarla in quello dove non sei più felice Glam …”
“Qui lo sarei?”
“Forse” – rise
leggiadra, correndo nel vento verso degli scogli.
Lula li stava
aspettando.
“Papà dobbiamo
tornare” – disse facendo un saltello.
Il cicalino dei
messaggi lo riaccolse da questa parte dell’universo.
Erano poche righe, da
parte di Jared.
§
Io non ti capisco più e faccio solo cazzate, lontano da te … Quando sarai a
Palm Springs dobbiamo parlare, ma parlare davvero Glam. Abbi cura di te, tuo
Jay §
IVAN
CHRIS
JAY
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