Capitolo n. 228 – zen
Lui cantava.
Quando si sentiva
giù, quando tutto andava storto, Jared Leto imbracciava la chitarra acustica
oppure si metteva al pianoforte e … suonava, cantando qualche vecchio pezzo
oppure un inedito, ma era da tanto che niente lo ispirava.
Farlo a Palm Springs,
in quel living luminoso e deserto, gli piaceva più che in ogni altro luogo del
mondo.
Un mondo che presto
sarebbe stato senza Glam.
Glam Geffen che,
appoggiato allo stipite, lo guardava ed ascoltava.
Nel passaggio in cui
Leto disse di quando aveva sedici anni ed arrivò a Los Angeles, per la prima
volta, Glam provò un nodo allo stomaco.
A quell’epoca l’avvocato
era in università, studente modello, promessa del Foro, in qualsiasi stato
avesse voluto esercitare.
Geffen preferì
restare nella città degli angeli, senza sapere che il migliore vi era appena
sbarcato, ma unicamente per dimostrare al padre di essere ciò che lui
pretendeva dal figlio: un legale coriaceo, spietato, che faceva e disfaceva le
regole.
Un po’ come Jared
fece, con il cuore di Glam, appena si conobbero e l’uomo se ne innamorò.
Perdutamente ricambiato.
Scott scorse la
cartella di Jude, poi sorrise, rassicurando Downey.
“E’ solo un’ulcera,
con il trattamento in atto, si sarà già cicatrizzata: è uno spiacevole
ricordino lasciato dall’alcol, Rob” – disse più serio.
“Lo so, ma i valori
del sangue?”
“Stabili, così il
fegato, ma Jude dovrà seguire una dieta mirata, penso che Foster gliela abbia
prescritta”
“Certo sarà così …
Non abbiamo avuto il tempo di parlarne, Jude si è sentito male appena tornato a
casa …” – spiegò agitandosi nuovamente, ma Colin lo strinse, passandogli un
caffè.
“Grazie …” – disse mesto,
scrutandolo.
“Io devo andare, ho
Jimmy in studio, voleva parlarmi … a dopo”
“Ciao Scott … Senti
Cole, volevo ringraziarti anche per avere assistito Jude, durante la mia … la
mia assenza”
Farrell inspirò – “Assenza
più che giustificata Rob, non preoccupati: Jude starà meglio e potrete salvare il
vostro matrimonio, l’ho detto1 anche a lui di impegnarsi, senza più ferirti in
quel modo: mi ha raccontato delle vostra discussione, era disperato”
“C’era anche Glam?”
“Sì ed è stato quando
Jude gli ha chiesto di prendersi cura di te … Un po’ buffo” – asserì triste,
sedendosi su di un divanetto – “Dovremmo occuparci noi di Glam, non dargli
delle ulteriori angosce … Non che tu la sia, Robert, perché ti ama tanto e
farebbe qualsiasi cosa per te, prodigandosi come nessuno”
“Come neppure Jude?” –
domandò accomodandosi lento.
“Dovete solo imparare
di nuovo ad amarvi come un tempo … Non è semplice, te lo posso garantire”
Harry riunì le foto
sopra il tavolo del soggiorno, sorridendo nella penombra, infranta da un paio
di lampade ad angolo.
Louis si era
addormentato, dopo avere fatto l’amore, proprio in mezzo a quella confusione.
La lastra di vetro,
dove erano sparsi ricordi, appunti, disegni, mostrava l’impronta del fisico
asciutto di Boo, dopo che Haz lo aveva incollato ad essa, spingendosi nel suo
ragazzo con foga, virilità ed appartenenza assolute.
Il giovane avvocato
si era rivestito senza fretta, dedicandosi a quell’incombenza, almeno
parzialmente: avrebbero traslocato presto, per insediarsi nel loft, che Meliti
aveva donato loro per le nozze.
Il vecchio non aveva
voluto sentire ragioni.
Harry aveva provato
ad imbastire un discorso sull’affitto, ma Antonio si dimostrò inamovibile e
paterno, semplicemente adorabile.
“Haz …” – mugolò strofinandosi
gli occhi, il suo cucciolo.
“Tesoro, ti ho
disturbato …?”
“Vieni qui” – e fece
un broncio, da accartocciare il cuore.
Nudo, caldissimo
sotto la coperta di pile, Boo non voleva altro che Harry lo riprendesse, ma più
dolcemente.
Lo destabilizzava ad
ogni rapporto sessuale: era magnifico, certo, ma Louis, dopo, si sentiva come
fatto a pezzi e ricomposto, come amalgamato, dal seme di Harry, copioso e
stimolante.
“Eccomi … Dai Boo,
fammi spazio …” – rise.
“Il tuo posto è qui” –
rise a propria volta, sistemandoselo tra le gambe asciutte.
Harry fece un cenno
di assenso, baciandolo sul mento e poi sulla bocca.
Aveva voglia di
tenerezza, ma Lou aveva voglia di lui.
Accontentarlo fu
indispensabile e terribilmente eccitante.
Le applique si
spensero e nel buio gli ansiti iniziarono a crescere.
Liberi, puri,
invincibili.
Geffen se lo immaginò
con gli zaffiri sgranati su quelle mille luci, andarsene in giro nei jeans
strappati, di una taglia assurda per un ragazzo “… sono sempre stato secco, sai?” – Glam si ricordò improvviso di
quella battuta, da parte di Jared, mentre scorrazzavano in Ferrari lungo la
costa.
Il vento tra i
capelli non lunghi come aveva ora, con la frangia, la riga in mezzo,
bellissimo, fatto di luce, quando rideva, ma anche quando ridiventava serio ed
ammetteva – “Diciamo che non ho mai
mangiato granché … Soldi pochi, cibo scarso” – e faceva male e faceva bene,
sentirlo parlare in quel modo, aprirsi spontaneo, senza vergognarsi di Glam.
Perché Glam era come
un papà amorevole.
Perché Glam lo
avrebbe portato a prendersi un gelato enorme ed i pop corn.
Perché Glam era
tutto.
Ed era lì.
Adesso.
Jared si accorse di
lui.
Si alzò felice,
dimenticandosi chissà quale discorso, avrebbe voluto fargli, troppo emozionato,
troppo commosso.
Geffen lo strinse
forte, percependo tra ricordi e presente, non solo la sua pelle liscia e di un
profumo inconfondibile, ma un amore, capace di fargli scoppiare il petto.
Era immenso,
totalitario, era il principio, il mentre e la fine.
Già, la fine …
Glam lo guardò,
memorizzando ulteriormente il suo profilo, il naso e gli zigomi delicati, le
sopracciglia folte, le rughe leggere, mentre gli sorrideva, quasi alle lacrime.
Lo baciò.
Ed avrebbe voluto
inghiottirlo: Jared non si sarebbe consumato, come stava facendo il suo corpo
per la malattia; lui sarebbe rimasto.
Lui esisteva ed era
ciò che Geffen desiderava di più.
Che non avrebbe più
voluto lasciare andare via.
Precipitarono sul
divano, incuranti di avere lasciato, forse, le porte aperte, le finestre
socchiuse.
Che il mondo sapesse
quanto loro due si appartenevano: tutti lo sapevano, in fondo.
La carnalità del
momento, un po’ esasperata dall’urgenza di toccarsi, di rassicurarsi
reciprocamente, li portò ad un gesto convulso, ma simbiotico, nel liberarsi di
abiti ed un’ultima, vaga, incertezza.
Tornarono a baciarsi,
perché quel contatto era sempre stato il migliore.
Jared poteva avvertire
le pulsazioni ridondanti di Glam, arrivargli all’addome, poi al cervello,
quindi scendere repentine ed acute all’inguine, ormai bollente quanto quello
del suo eterno amante, per poi struggersi nei rispettivi sguardi,
contemplativi, estatici.
Il busto del leader
dei Mars ondeggiava ad ogni spinta, le sue falangi segnavano e quasi si
conficcavano nella schiena di Geffen, vigoroso, instancabile, che raggiungeva
ogni punto sensibile di Jay, del suo Jay, che piangeva e rideva, godendo al
limite del concepibile.
Glam lo tirò su,
inginocchiandosi e portandoselo sul bacino, dove lo aiutò a ritmare la fase
estrema di quell’amplesso straordinario.
Masturbò Jared,
affinché provasse le sue medesime sensazioni, baciandolo nel frattempo ad occhi
aperti.
Gemiti e lacrime,
sancirono l’orgasmo simultaneo, che li travolse.
Tremando, come mai
prima, Glam gli accarezzò il viso stravolto ed appagato.
“Non andare via …
Rimani qui con me, Jay”
Leto annuì, aderendo
a lui, come se ne facesse parte in ogni senso terreno ed oltre.
Tenendosi per mano
salirono al piano superiore.
Riempirono la vasca
dell’idromassaggio e vi si immersero, senza rompere il silenzio, fatto solo di
occhiate serene.
Si distesero, Jared
rannicchiato tra le gambe di Glam, che non smetteva di accarezzargli le tempie,
dove di tanto in tanto posava un bacio ed un sorriso.
Li avrebbe strappati
al destino, ad uno ad uno, per ogni singolo attimo, gli fosse stato concesso di
vivere accanto a chi gli aveva insegnato ad amare, a farlo senza reticenze,
senza il terrore di apparire debole.
Jared era la sua
forza più grande.
Era acqua nel
deserto, un fiore sopra l’asfalto.
Jared era Jared.
Cancellava tutto.
Anche il dolore.
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