Capitolo n. 3 – nakama
Geffen sfrecciava lungo
la superstrada, con il suo nuovo bolide, rosso ciliegia, appena consegnatogli
da Maranello il giorno prima: era il regalo di matrimonio, che si era fatto,
per la loro luna di miele.
Jared, il vento tra i capelli,
gli occhi verso la notte piena di luci, non diceva granché, concentrato sul
percorso ed incuriosito.
“Las Vegas?”
“Indovinato” – Glam
sorrise, prendendogli la mano, ma solo tra una cambio di marcia ed il
successivo; lui odiava quello automatico, la macchina doveva sentirla,
dominarla e lasciarsi trasportare, come aveva sempre fatto nella sua turbolenta
vita.
“Ci giochiamo la casa
al tavolo verde?” – Leto rise.
Era divertito dal
dinamismo del suo compagno di viaggio, che sembrava davvero ringiovanito, come
scrivevano i giornali scandalistici.
Un viaggio, che avevano
fatto insieme per lungo tempo, a singhiozzo, certo, ma sempre consapevoli di
esserci, reciprocamente.
In ogni attimo, anche
il peggiore.
Talvolta Geffen aveva
provato ad allontanarlo, a lasciarlo andare, a liberarlo da sé, ma era stato
così inutile, così svilente.
In compenso Jared non
l’aveva mai fatto: lui Glam lo voleva davvero, ad ogni costo eppure aveva
sempre avuto paura di accettarlo, di dargli spazio, almeno quello ufficiale,
quello alla luce del sole.
Amore, amante, amico.
Geffen era stata ogni
cosa possibile.
Ed impossibile, per
Leto.
Adesso era suo marito.
Era il terzo padre di
tutti quei figli, che non vedevano Glam come una persona da odiare, come se
avesse spodestato Colin.
Lo adoravano ed era
naturale correre da lui quando si aveva bisogno di qualcosa.
Perché zio Glam c’era,
quando gli altri si dimenticavano una ricorrenza, un saggio, una gara.
Lui poteva tutto,
perché si inventava ciò che neppure esisteva.
Era quanto Jared aveva
sempre desiderato.
Una breve sosta ad una
stazione di servizio, due cheeseburger vegani.
“Dio che schifezza, non
mi ci abituerò mai!” – Glam rise, stiracchiandosi sulla panchina.
Avrebbe potuto
comprarselo quel chiosco, illuminato da lampadine multicolore, screpolate e
dondolanti.
Eppure era buffo
starsene lì, con i bicchieroni di Coca Cola tra loro, come una barriera blanda,
come due pedoni o due alfieri, su di una scacchiera immaginaria.
Sotto le stelle.
“Mi sa che pioverà” –
esordì Jared, masticando.
Si guardarono.
Poi scoppiarono a
ridere, come ragazzini.
Ridursi a parlare del
meteo, la prima notte di nozze, era a dire poco comico.
Silenzio.
“Vado a prendere altre
patatine, almeno sono decenti” – scherzò l’avvocato, all’improvviso un po’ più
teso.
“No aspetta” – lo
bloccò il cantante.
“Sì amore, vuoi
qualcosa di diverso?”
Una domanda densa di
significati non detti.
Seppure espliciti.
Jared scosse il capo,
quindi arrise timido al proprio uomo.
“No, sto bene …
davvero”
“Io ti credo Jay” – e
si sporse verso il suo collo, posandovi un bacio caldissimo, che sapeva di dopo
barba e sottaceti.
Qualcosa di vero.
Glam lo era, senza mai
ingannarlo.
Leto doveva dargliene
pieno merito.
“A … a quindici anni” –
quasi balbettò.
L’oscurità divenne pece
intorno.
“… lui era come sei tu
ora Glam … Un tipo solido, affidabile … Mi diceva sempre di sì e tu … tu questo
non lo fai, non sono mica un” – Jared scattò in piedi, accartocciando il
sacchetto dei panini, per poi gettarlo nella pattumiera poco distante.
“Insomma” – tornò a
sedersi, mentre Geffen lo fissava – “… lui era il tassello mancante, ciò che io
volevo come padre, a qualunque prezzo e se solo fosse stato più tenero, con me,
non brutale come invece accadde, forse io … forse io”
Il respiro gli si mozzò.
Geffen lo strinse forte
a sé e lo porto via da lì.
Immediatamente.
“A cosa pensi?”
Taylor glielo chiese,
mentre entrambi guardavano il soffitto, nudi, cercando la sua mano e
brandendola tra la propria, come se potesse averlo davvero un po’ per sé.
Farrell non rispose
subito.
Rifletterci e costruire
l’ennesima bugia, non avrebbe fatto altro, che indebolire il loro rapporto nato
dal nulla o meglio, sulle macerie di un legame totalizzante, come quello che
lui sentiva di avere con Jared, nonostante la separazione.
“Ho avuto una
discussione con il regista, niente di serio”
Mentiva.
Per tranquillizzarlo,
perché Kitsch meritava un minimo di serenità, per essersi buttato senza
paracadute, per lui, liquidando Richard con un sms.
Una doccia gelida, che
le spalle larghe di Geffen jr avrebbero sopportato senza alcun dramma.
Quanto sbagliava
Taylor, nel crederlo.
“Spero non metta in
atto qualche ripicca con me” – disse girandosi sul fianco destro, abbracciato
al cuscino, visto che l’irlandese evitava di tenerlo sul petto, come Kitsch
avrebbe desiderato.
Da morirci.
“Ma figurati … Ora
dormiamo, ti va? Sono distrutto, scusami” – e gli diede la schiena, con poca
galanteria.
Era il gelo.
All’improvviso.
Jude gli massaggiò
l’inguine, mettendosi più comodo, dentro di lui.
Robert si inarcò
leggermente, inclinandosi, seguendo quelle carezze così generose.
“Ju Jude” – ansimò nel
collo dell’inglese, appendendosi a lui come un naufrago.
“Sì amore” – Law lo
guardò, sudato, sorridente, dilatandogli la bocca, mentre lo baciava.
E non solo quelle
labbra invitanti si aprirono a lui, senza più timori.
Jude si era rimesso, le
cure avevano funzionato.
Vennero insieme, senza
neppure più contare o considerare quante volte fosse accaduto, in tanti anni di
unione.
Era così che si
percepivano: un’unica persona, dopo una moltitudine di traversie, di
incomprensioni, finalmente chiarite ed evaporate, alla luce di una solida
certezza: non si sarebbero più lasciati.
Mai più.
Geffen cercò dentro di sé
un metodo, per dare a Jared un po’ di sollievo emotivo.
Si erano immersi nella
piscina dell’attico, all’unica suite, dotata di quell’optional dai dettagli
faraonici.
Il New Golden Astoria,
troneggiava al centro della città del puro divertimento, nel bel mezzo del
deserto del Nevada.
“Cosa avrebbe dovuto
fare? O dirti, amore, quel giorno?”
Il quesito era spinoso,
come quel percorso, che entrambi stavano per intraprendere, come in base ad un
tacito accordo.
Per giungere ad un’agognata
soluzione, pensò Leto.
“Di solito mi parlava
delle partite a baseball …”
Glam sorrise, tenendolo
tra le sue ali massicce, anche se quel ricordo faceva male anche a lui, come un
riflesso, in uno stupido intreccio del destino e delle coincidenza.
“Mio padre, vedi, mi
regalò una palla firmata da Joe di Maggio … Era autentica e rappresentò l’unico
dono, da parte sua, per avere vinto un torneo scolastico … Avevo sedici anni,
no, no quattordici, ecco …”
“Wow Di Maggio? L’ex
marito della Monroe?” – anche Jared sorrise, un po’ infantile.
“Esattamente lui … L’avevo
vista in una vetrina di cimeli sportivi e lui era con me, una pura casualità,
anzi, un evento epocale” – ironizzò irrigidendosi nel tono, ma poi riprese,
ostentando naturalezza.
“Fu una sorpresa,
quindi?”
“Puoi giurarci Jay”
“Zio, però, raccontava
sempre un sacco di palle” – e rise, spontaneo.
Glam aggrottò la fronte
spaziosa ed abbronzata – “Tu gli volevi bene, vero?”
Leto annuì, mordendosi
le labbra – “Io esco … scusami …” – e nuotò sino al bordo, quello verso le
vetrate, che immettevano nel soggiorno e da lì nella camera, dove avrebbero
dormito.
Geffen lo raggiunse
dopo un minuto, con circospezione, indossando un accappatoio identico a quello
del suo consorte.
Avorio dorato.
“Lo bevi un drink,
tesoro?”
“Sì, una tonica magari …”
Il leader dei Mars se
ne stava seduto sul divano, nella semi oscurità di quella reggia, dalle
finiture pacchiane.
Lo avevano esclamato
all’unisono, appena varcata la soglia, poche ore prima.
“A cena hai mangiato
come un usignolo”
“Colpa del vegan burger”
– replicò imbarazzato, afferrando il bicchiere con i due palmi gelidi.
“Ah di responsabilità,
quell’orrore gastronomico, ne ha più di una, te lo assicuro” – Geffen rise,
provando a distrarlo – “… ne sa qualcosa la mia ulcera”
“Ma tu non hai ulcere” –
e ridacchiò, allungandosi, per appoggiare la testa umida sulle sue gambe.
“Stai comodo?” –
chiese, accarezzandogli le ciocche scompigliate.
“Sì Glam, grazie …”
“Se sei stanco andiamo
a coricarci Jay”
La sua gentilezza non
era una novità, così il trattarlo come se Jared fosse di porcellana.
Purtroppo quel clima
sapeva di attesa, anche se Geffen non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura.
Attesa
per vedere se Leto si
sarebbe sbloccato prima o poi, se fosse tornato nella sua dimensione fatta
anche di erotismo, di passione.
Di partecipazione alla
realtà, anche se i componenti della sua vasta famiglia, lo ritenevano in
convalescenza da mesi e non completamente ristabilito, per occuparsi dei più
piccoli o della sua attività musicale e cinematografica.
Prima dell’incidente,
con Shannon avevano imbastito alcuni progetti e persino una proposta di regia,
era arrivata nella casella di posta elettronica del front man, da parte della
Universal.
Un progetto intrigante,
affidato poi ad un tizio polacco, molto in voga negli ambienti giusti, dove
aveva saputo vendersi bene.
“Non riesco a tenere
gli occhi aperti Glam … Troppe emozioni” – disse flebile.
“Rilassati … Con me sei
al sicuro Jay e lo sarai per sempre.”
“
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