mercoledì 8 luglio 2015

NAKAMA - CAPITOLO N. 3

Capitolo n. 3 – nakama



Geffen sfrecciava lungo la superstrada, con il suo nuovo bolide, rosso ciliegia, appena consegnatogli da Maranello il giorno prima: era il regalo di matrimonio, che si era fatto, per la loro luna di miele.

Jared, il vento tra i capelli, gli occhi verso la notte piena di luci, non diceva granché, concentrato sul percorso ed incuriosito.

“Las Vegas?”

“Indovinato” – Glam sorrise, prendendogli la mano, ma solo tra una cambio di marcia ed il successivo; lui odiava quello automatico, la macchina doveva sentirla, dominarla e lasciarsi trasportare, come aveva sempre fatto nella sua turbolenta vita.

“Ci giochiamo la casa al tavolo verde?” – Leto rise.

Era divertito dal dinamismo del suo compagno di viaggio, che sembrava davvero ringiovanito, come scrivevano i giornali scandalistici.

Un viaggio, che avevano fatto insieme per lungo tempo, a singhiozzo, certo, ma sempre consapevoli di esserci, reciprocamente.

In ogni attimo, anche il peggiore.

Talvolta Geffen aveva provato ad allontanarlo, a lasciarlo andare, a liberarlo da sé, ma era stato così inutile, così svilente.

In compenso Jared non l’aveva mai fatto: lui Glam lo voleva davvero, ad ogni costo eppure aveva sempre avuto paura di accettarlo, di dargli spazio, almeno quello ufficiale, quello alla luce del sole.

Amore, amante, amico.

Geffen era stata ogni cosa possibile.

Ed impossibile, per Leto.

Adesso era suo marito.

Era il terzo padre di tutti quei figli, che non vedevano Glam come una persona da odiare, come se avesse spodestato Colin.

Lo adoravano ed era naturale correre da lui quando si aveva bisogno di qualcosa.

Perché zio Glam c’era, quando gli altri si dimenticavano una ricorrenza, un saggio, una gara.

Lui poteva tutto, perché si inventava ciò che neppure esisteva.

Era quanto Jared aveva sempre desiderato.

Una breve sosta ad una stazione di servizio, due cheeseburger vegani.


“Dio che schifezza, non mi ci abituerò mai!” – Glam rise, stiracchiandosi sulla panchina.

Avrebbe potuto comprarselo quel chiosco, illuminato da lampadine multicolore, screpolate e dondolanti.

Eppure era buffo starsene lì, con i bicchieroni di Coca Cola tra loro, come una barriera blanda, come due pedoni o due alfieri, su di una scacchiera immaginaria.

Sotto le stelle.

“Mi sa che pioverà” – esordì Jared, masticando.

Si guardarono.

Poi scoppiarono a ridere, come ragazzini.

Ridursi a parlare del meteo, la prima notte di nozze, era a dire poco comico.

Silenzio.

“Vado a prendere altre patatine, almeno sono decenti” – scherzò l’avvocato, all’improvviso un po’ più teso.

“No aspetta” – lo bloccò il cantante.

“Sì amore, vuoi qualcosa di diverso?”

Una domanda densa di significati non detti.

Seppure espliciti.

Jared scosse il capo, quindi arrise timido al proprio uomo.

“No, sto bene … davvero”

“Io ti credo Jay” – e si sporse verso il suo collo, posandovi un bacio caldissimo, che sapeva di dopo barba e sottaceti.

Qualcosa di vero.

Glam lo era, senza mai ingannarlo.

Leto doveva dargliene pieno merito.

“A … a quindici anni” – quasi balbettò.

L’oscurità divenne pece intorno.

“… lui era come sei tu ora Glam … Un tipo solido, affidabile … Mi diceva sempre di sì e tu … tu questo non lo fai, non sono mica un” – Jared scattò in piedi, accartocciando il sacchetto dei panini, per poi gettarlo nella pattumiera poco distante.

“Insomma” – tornò a sedersi, mentre Geffen lo fissava – “… lui era il tassello mancante, ciò che io volevo come padre, a qualunque prezzo e se solo fosse stato più tenero, con me, non brutale come invece accadde, forse io … forse io”

Il respiro gli si mozzò.

Geffen lo strinse forte a sé e lo porto via da lì.
Immediatamente.




“A cosa pensi?”

Taylor glielo chiese, mentre entrambi guardavano il soffitto, nudi, cercando la sua mano e brandendola tra la propria, come se potesse averlo davvero un po’ per sé.

Farrell non rispose subito.

Rifletterci e costruire l’ennesima bugia, non avrebbe fatto altro, che indebolire il loro rapporto nato dal nulla o meglio, sulle macerie di un legame totalizzante, come quello che lui sentiva di avere con Jared, nonostante la separazione.

“Ho avuto una discussione con il regista, niente di serio”

Mentiva.

Per tranquillizzarlo, perché Kitsch meritava un minimo di serenità, per essersi buttato senza paracadute, per lui, liquidando Richard con un sms.

Una doccia gelida, che le spalle larghe di Geffen jr avrebbero sopportato senza alcun dramma.

Quanto sbagliava Taylor, nel crederlo.

“Spero non metta in atto qualche ripicca con me” – disse girandosi sul fianco destro, abbracciato al cuscino, visto che l’irlandese evitava di tenerlo sul petto, come Kitsch avrebbe desiderato.

Da morirci.

“Ma figurati … Ora dormiamo, ti va? Sono distrutto, scusami” – e gli diede la schiena, con poca galanteria.

Era il gelo.

All’improvviso.




Jude gli massaggiò l’inguine, mettendosi più comodo, dentro di lui.

Robert si inarcò leggermente, inclinandosi, seguendo quelle carezze così generose.

“Ju Jude” – ansimò nel collo dell’inglese, appendendosi a lui come un naufrago.

“Sì amore” – Law lo guardò, sudato, sorridente, dilatandogli la bocca, mentre lo baciava.

E non solo quelle labbra invitanti si aprirono a lui, senza più timori.

Jude si era rimesso, le cure avevano funzionato.

Vennero insieme, senza neppure più contare o considerare quante volte fosse accaduto, in tanti anni di unione.

Era così che si percepivano: un’unica persona, dopo una moltitudine di traversie, di incomprensioni, finalmente chiarite ed evaporate, alla luce di una solida certezza: non si sarebbero più lasciati.

Mai più.




Geffen cercò dentro di sé un metodo, per dare a Jared un po’ di sollievo emotivo.

Si erano immersi nella piscina dell’attico, all’unica suite, dotata di quell’optional dai dettagli faraonici.

Il New Golden Astoria, troneggiava al centro della città del puro divertimento, nel bel mezzo del deserto del Nevada.

“Cosa avrebbe dovuto fare? O dirti, amore, quel giorno?”

Il quesito era spinoso, come quel percorso, che entrambi stavano per intraprendere, come in base ad un tacito accordo.

Per giungere ad un’agognata soluzione, pensò Leto.

“Di solito mi parlava delle partite a baseball …”

Glam sorrise, tenendolo tra le sue ali massicce, anche se quel ricordo faceva male anche a lui, come un riflesso, in uno stupido intreccio del destino e delle coincidenza.

“Mio padre, vedi, mi regalò una palla firmata da Joe di Maggio … Era autentica e rappresentò l’unico dono, da parte sua, per avere vinto un torneo scolastico … Avevo sedici anni, no, no quattordici, ecco …”

“Wow Di Maggio? L’ex marito della Monroe?” – anche Jared sorrise, un po’ infantile.

“Esattamente lui … L’avevo vista in una vetrina di cimeli sportivi e lui era con me, una pura casualità, anzi, un evento epocale” – ironizzò irrigidendosi nel tono, ma poi riprese, ostentando naturalezza.

“Fu una sorpresa, quindi?”

“Puoi giurarci Jay”

“Zio, però, raccontava sempre un sacco di palle” – e rise, spontaneo.

Glam aggrottò la fronte spaziosa ed abbronzata – “Tu gli volevi bene, vero?”

Leto annuì, mordendosi le labbra – “Io esco … scusami …” – e nuotò sino al bordo, quello verso le vetrate, che immettevano nel soggiorno e da lì nella camera, dove avrebbero dormito.

Geffen lo raggiunse dopo un minuto, con circospezione, indossando un accappatoio identico a quello del suo consorte.

Avorio dorato.


“Lo bevi un drink, tesoro?”

“Sì, una tonica magari …”

Il leader dei Mars se ne stava seduto sul divano, nella semi oscurità di quella reggia, dalle finiture pacchiane.

Lo avevano esclamato all’unisono, appena varcata la soglia, poche ore prima.


“A cena hai mangiato come un usignolo”

“Colpa del vegan burger” – replicò imbarazzato, afferrando il bicchiere con i due palmi gelidi.

“Ah di responsabilità, quell’orrore gastronomico, ne ha più di una, te lo assicuro” – Geffen rise, provando a distrarlo – “… ne sa qualcosa la mia ulcera”

“Ma tu non hai ulcere” – e ridacchiò, allungandosi, per appoggiare la testa umida sulle sue gambe.

“Stai comodo?” – chiese, accarezzandogli le ciocche scompigliate.

“Sì Glam, grazie …”

“Se sei stanco andiamo a coricarci Jay”

La sua gentilezza non era una novità, così il trattarlo come se Jared fosse di porcellana.


Purtroppo quel clima sapeva di attesa, anche se Geffen non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura.

Attesa  per vedere se Leto si sarebbe sbloccato prima o poi, se fosse tornato nella sua dimensione fatta anche di erotismo, di passione.

Di partecipazione alla realtà, anche se i componenti della sua vasta famiglia, lo ritenevano in convalescenza da mesi e non completamente ristabilito, per occuparsi dei più piccoli o della sua attività musicale e cinematografica.

Prima dell’incidente, con Shannon avevano imbastito alcuni progetti e persino una proposta di regia, era arrivata nella casella di posta elettronica del front man, da parte della Universal.

Un progetto intrigante, affidato poi ad un tizio polacco, molto in voga negli ambienti giusti, dove aveva saputo vendersi bene.


“Non riesco a tenere gli occhi aperti Glam … Troppe emozioni” – disse flebile.

“Rilassati … Con me sei al sicuro Jay e lo sarai per sempre.”








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