Capitolo n. 118 – life
Jared conficcò i propri
zaffiri, tra le scapole nude di Geffen, seduto sul bordo opposto a quello, dove
il cantante si era rannicchiato, girandosi sul fianco destro, abbarbicato al
cuscino sgualcito, come i suoi zigomi, imporporati di emozione ed estasi.
Erano bastate un paio
d’ore, nel cottage dell’avvocato, sulle colline intorno a Los Angeles, per
perdersi.
Di nuovo.
“Non potresti restare
ancora un po’, Glam?” – chiese flebile.
Avevano parlato poco,
un fatto inusuale, ma cosa avrebbero potuto dirsi?
Il loro appuntamento
era clandestino, la loro vita parallela, alle rispettive realtà, idem.
“I bimbi mi aspettano e
poi devo … Devo fare delle cose, organizzare un viaggio” – si giustificò
inconsistente, senza voltarsi, mentre si infilava i pantaloni ed allacciava una
cintura costosa, riaccomodandosi di spalle.
Leto fece svanire
quella distanza, con una movenza felina, naturale, colmando il vuoto, che
percepiva al centro del petto, nel cinturare quel busto massiccio, aderendo al
corpo dell’uomo, che intrecciò le rispettive dita, baciando i palmi del front
man – “Scusami, ma non posso davvero fermarmi Jay”
“Di quale viaggio
parli, siamo appena tornati …”
“Accompagno Jude in
Svizzera, per i suoi problemi di salute”
“Jude e Robert”
“Sì, ovvio” – e si alzò
un po’ brusco, abbandonando quella morsa così adorabile e calda, recuperando
poi la camicia dalla sedia, accanto al cassettone in radica.
“E i bambini?”
“Vengono con noi, Cami,
Dadi, Pepe e Lula insomma”
“Andavi via senza
dirmelo” – fu una riflessione ad alta voce, composta, non puerile.
“Assolutamente no
Jared” – bissò nervoso.
“Dividi i tuoi giorni
in spazi, più o meno importanti, collocando ognuno di noi in una casella ben
precisa: la mia è la più squallida, non trovi?” – sbottò secco, cercando i
jeans ed il maglione, sparsi sul parquet, non portava altro.
“L’abbiamo deciso
insieme di ridurci così, se davvero ci tieni a saperlo!” – replicò aspro,
fissandolo.
“Così come?! Una
scopata alla settimana e via, a farci bastare questo schifo?!” – inveii
paonazzo.
Questa volta fu Geffen
ad azzerare quel paio di metri tra loro, per afferrargli i polsi e non certo
nello stesso modo di poco prima, mentre gli faceva l’amore, virile e
devastante, tra le sue gambe magre e toniche.
“Se pensi di litigare
ogni volta, allora è meglio smetterla qui e subito!” – ruggì assordante ai
sensi di Leto.
Trattenere le lacrime,
per entrambi, non era semplice.
“Noi … Noi non siamo
così … C’è … C’è troppo amore, Glam …” – e la sua voce sembrò precipitare in un
abisso di sconforto.
Niente era riuscito ad
allontanarli, dopo tanti anni.
Nessuno era stato
capace di farli smettere.
La visita improvvisa di
Louis, gli diede una strana sensazione.
Lux aprì la blindata,
dopo avergli risposto al citofono, con aria assonnata.
Stava riposando, senza
avere ancora toccato cibo, dopo avere salutato Taylor, senza alcuna prospettiva
di vederlo nuovamente.
In fondo non lo
desiderava affatto.
“Ciao mon petit ...
Vieni, accomodati”
“Buon pomeriggio” –
Tomlinson sembrò volere alleggerire l’imbarazzo reciproco, con quel tono
scanzonato – “… Ti sei dimenticato il tablet in hotel, eccolo qui” – e lo
estrasse dallo zaino, in tessuto verde militare, dal quale difficilmente si
separava.
Era stato uno dei primi
doni di Harry.
“Ti ringrazio, ma
potevamo trovarci da qualche parte, non credo che tuo marito sarebbe felice di
saperti da me, adesso”
“Sono ancora libero di
scegliermi gli amici, sai?” – replicò deciso.
“Vuoi bere una tonica? Un
tè …? Io mi preparo la cena, sto morendo di fame”
“So che ti sei messo in
viaggio con Taylor …” – osò il più giovane, seguendolo in cucina.
“Già” – mormorò assorto
il francese, concentrato su uova e padella, non gli andava di impazzire ai
fornelli, del resto.
“Hai scelto bene” – Boo
tossì, appollaiandosi all’estremità della penisola.
“Mi ha chiesto un
favore ed io l’ho accontentato” – e lo guardò.
“Sì, sì, certo” –
sorrise teso – “… tu fai così, sei … sei gentile con gli sconosciuti”
“Ma Taylor non lo è” –
obiettò tagliando del prosciutto a dadini – “Vuoi una omelette anche tu?”
“No, a posto così, ho
lo stomaco chiuso”
“Come mai?”
“Tensione … Con Hazza,
ecco, ci ho litigato, dopo Aspen, non doveva picchiarti”
“Facci pace, non serve
rovinarsi il matrimonio per me, credimi” – e la sua non fu una risata, bensì un
singulto soffocato da un sorriso triste e malinconico.
“E poi non doveva
crederti, quando gli hai detto che era colpa tua, cosa cavolo ti è saltato in
mente Vincent?” – domandò vivace.
“Era un buon sistema
per non farsi rimpiangere, non credi?”
“Che scemenza!”
“E’ necessario mon
petit” – replicò fermo – “… La nostra vacanza era cominciata bene, ma poi tutto
è degenerato, purtroppo, con mio immenso dolore, sia chiaro”
Louis gli si avvicinò,
gli occhi sgranati su di lui, bellissimo.
“Che se è solo la metà
del mio, non può lasciarti vivere sereno, Vincent” – affermò limpido e
commovente.
Lux lo avvolse,
rassicurante e dolce.
“I nostri sentimenti
hanno avuto il loro tempo Boo … Sei stato così importante e per nulla al mondo
rinuncerei a te, però io non sono come Geffen, non tengo il piede in più
scarpe, non voglio finire in questa maniera”
Si guardarono, intensi.
“Ho … Ho come una
dipendenza da te” – ed arrossì, adorabile.
“Dovremmo epurarla di
un po’ di sfumature” – propose complice.
“Che brutta parola,
epurare …”
“Dobbiamo essere
drastici, mon petit, se vogliamo condividere un percorso casto, ma
gratificante”
“Hai parlato con Hugh?”
– chiese aggrottando la fronte, quasi buffo.
“Ci sono arrivato senza
aiuti” – e rise solare, portandolo con sé fuori in terrazza.
“Guarda che sole” –
sospirò Tomlinson, indicando il tramonto sulla città.
“Ti voglio bene Louis
…” – e posò un bacio sulla tempia sinistra del ragazzo, allacciato a lui, che
lo teneva sotto l’ala paterna, che a Boo mancava, nonostante la riconciliazione
con il genitore naturale.
“Con Taylor cosa è
successo?” – chiese timido.
“Nulla di cui devi
preoccuparti … Davvero mon petit, ok?”
“Ok …”
Ad ogni pausa, sul
volto liscio di Kitsch, spuntava un sorriso raggiante, mentre mandava sms a
raffica, a qualcuno, che Colin stava fraintendendo, sulla propria identità.
“Vedo che il
transalpino ti ha colpito al cuore” – ridacchiò l’irlandese, porgendogli un
caffè.
“No, non hai capito,
non è Lux” – spiegò tranquillo, premendo invio.
Il suo cellulare vibrò
– “Ops, devo rispondere, sì pronto” – disse emozionato, allontanandosi di poco
da Farrell, che arricciò il naso, incuriosito dal suo atteggiamento
adolescenziale, ma simpatico.
Con Kitsch aveva
raggiunto un ottimo livello di confidenza ed a Jared non sembrava più dare
fastidio il sentirlo nominare, quando il marito gli faceva la cronaca della
giornata sul set.
“Ok … non importa,
avevo ordinato delle cose da Barny, ma faremo domani o quando vuoi … Certo, se
ha la febbre, povera cucciola … Anch’io … Stasera ci possiamo sentire? … Ok …
Hai ragione, sì scusami” – sorrise forzato, provando ad ingoiare la delusione –
“… Certo, sì, va bene a colazione, ci troviamo lì, grazie” – e riattaccò.
Colin inspirò greve,
andandogli vicino – “Non dovresti”
“Cosa?” – Taylor ebbe
un sussulto.
“Dirgli grazie, dopo
che ti ha scaricato per stasera, con una scusa banale”
“Non è così, la sua
bambina si è ammalata” – lo difese convinto.
“Quindi è sposato,
giusto?”
“Ma che centra, Colin?”
“Saranno dei bei
casini, spero ne valga la pena”
“Senti chi parla, tu
che avevi donne e figli, con Jared che stava da cani ad aspettarti!”
Farrell annuì, senza
scomporsi – “Per questo ti sto avvisando, non certo per offenderti o denigrare
la persona che ami”
Kitsch si morse le
labbra sottili, un po’ infantile – “Si vede così tanto …?”
“Accidenti sì” – Colin
rise affabile.
“Stiamo così bene
insieme … E’ Geffen, comunque”
“Glam?!?”
“Ma no Richard!!”
Erano persino comici,
in quello scambio di battute, e non certo da copione.
“Ah meno male” – e
dicendolo, Farrell si tamponò il sudore, in una gag ormai irrefrenabile.
“Ti ringrazio per i
consigli, per me contano”
“Quando vuoi, io ci
sono, Taylor, anche se non ho un curriculum a cinque stelle”
“Sbagli, sai Colin? Tu
sei una brava persona, una delle migliori, che io conosca in questa giungla”
Farrell ammiccò
guascone – “Sì, me la cavicchio …” – rise – “… Ci stanno chiamando, dai
torniamo di là, ancora una mezz’ora e poi tutti a casa!”
Senza spiegarselo,
erano scivolati tra il divano ed il tavolino, sul tappeto, facendo cadere
persino delle suppellettili, per la foga e l’urgenza di appartenersi,
rimandando la fine di quell’incontro.
Geffen gli aveva
infilato i palmi sotto il pullover, strappandoglielo quasi, come il resto di
quegli indumenti strausati.
Jared conservava in
ogni abitudine, il marchio della povertà, conosciuta durante l’infanzia ed
oltre.
Al contrario di Glam,
perfetto in ogni particolare, griffato dalla testa ai piedi, anche quando
usciva a fare una passeggiata sulla spiaggia di Palm Springs, un sarto
personale da quando aveva sei anni, un vecchio conoscente del padre.
Un futuro imperatore,
che si contendeva il più bello del reame, con un re spavaldo e fiero, quale si
era da sempre dimostrato Farrell, anch’egli nato tra gli agi di un’ottima
famiglia dublinese, ma altrettanto trasandato ed affezionato a vestiti e scarpe
logore, forse per pigrizia, forse per qualche consiglio ricevuto dai nonni,
molto parsimoniosi e lungimiranti.
Leto talvolta pensava a
come sarebbe stata la propria esistenza, se non li avesse conosciuti: nessuno
dei due.
Se avesse addirittura
scelto di avere una moglie paravento, qualche pargolo da lei, una carriera meno
discontinua, un bel quadretto, difeso da uno staff ben pagato, come accadeva
per numerosi artisti, di sua conoscenza.
Lui non sarebbe mai
stato felice così.
Eppure, non lo era
neppure ora, ad essere onesti.
E l’onestà, sembrava
essere volata via, da un pezzo.
Come
i suoi sogni.
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