martedì 5 maggio 2015

LIFE - CAPITOLO N. 118

Capitolo n. 118 – life



Jared conficcò i propri zaffiri, tra le scapole nude di Geffen, seduto sul bordo opposto a quello, dove il cantante si era rannicchiato, girandosi sul fianco destro, abbarbicato al cuscino sgualcito, come i suoi zigomi, imporporati di emozione ed estasi.

Erano bastate un paio d’ore, nel cottage dell’avvocato, sulle colline intorno a Los Angeles, per perdersi.

Di nuovo.

“Non potresti restare ancora un po’, Glam?” – chiese flebile.

Avevano parlato poco, un fatto inusuale, ma cosa avrebbero potuto dirsi?

Il loro appuntamento era clandestino, la loro vita parallela, alle rispettive realtà, idem.

“I bimbi mi aspettano e poi devo … Devo fare delle cose, organizzare un viaggio” – si giustificò inconsistente, senza voltarsi, mentre si infilava i pantaloni ed allacciava una cintura costosa, riaccomodandosi di spalle.

Leto fece svanire quella distanza, con una movenza felina, naturale, colmando il vuoto, che percepiva al centro del petto, nel cinturare quel busto massiccio, aderendo al corpo dell’uomo, che intrecciò le rispettive dita, baciando i palmi del front man – “Scusami, ma non posso davvero fermarmi Jay”

“Di quale viaggio parli, siamo appena tornati …”

“Accompagno Jude in Svizzera, per i suoi problemi di salute”

“Jude e Robert”

“Sì, ovvio” – e si alzò un po’ brusco, abbandonando quella morsa così adorabile e calda, recuperando poi la camicia dalla sedia, accanto al cassettone in radica.

“E i bambini?”

“Vengono con noi, Cami, Dadi, Pepe e Lula insomma”

“Andavi via senza dirmelo” – fu una riflessione ad alta voce, composta, non puerile.

“Assolutamente no Jared” – bissò nervoso.

“Dividi i tuoi giorni in spazi, più o meno importanti, collocando ognuno di noi in una casella ben precisa: la mia è la più squallida, non trovi?” – sbottò secco, cercando i jeans ed il maglione, sparsi sul parquet, non portava altro.

“L’abbiamo deciso insieme di ridurci così, se davvero ci tieni a saperlo!” – replicò aspro, fissandolo.

“Così come?! Una scopata alla settimana e via, a farci bastare questo schifo?!” – inveii paonazzo.

Questa volta fu Geffen ad azzerare quel paio di metri tra loro, per afferrargli i polsi e non certo nello stesso modo di poco prima, mentre gli faceva l’amore, virile e devastante, tra le sue gambe magre e toniche.

“Se pensi di litigare ogni volta, allora è meglio smetterla qui e subito!” – ruggì assordante ai sensi di Leto.

Trattenere le lacrime, per entrambi, non era semplice.

“Noi … Noi non siamo così … C’è … C’è troppo amore, Glam …” – e la sua voce sembrò precipitare in un abisso di sconforto.


Niente era riuscito ad allontanarli, dopo tanti anni.
Nessuno era stato capace di farli  smettere.




La visita improvvisa di Louis, gli diede una strana sensazione.

Lux aprì la blindata, dopo avergli risposto al citofono, con aria assonnata.

Stava riposando, senza avere ancora toccato cibo, dopo avere salutato Taylor, senza alcuna prospettiva di vederlo nuovamente.

In fondo non lo desiderava affatto.

“Ciao mon petit ... Vieni, accomodati”

“Buon pomeriggio” – Tomlinson sembrò volere alleggerire l’imbarazzo reciproco, con quel tono scanzonato – “… Ti sei dimenticato il tablet in hotel, eccolo qui” – e lo estrasse dallo zaino, in tessuto verde militare, dal quale difficilmente si separava.

Era stato uno dei primi doni di Harry.

“Ti ringrazio, ma potevamo trovarci da qualche parte, non credo che tuo marito sarebbe felice di saperti da me, adesso”

“Sono ancora libero di scegliermi gli amici, sai?” – replicò deciso.

“Vuoi bere una tonica? Un tè …? Io mi preparo la cena, sto morendo di fame”

“So che ti sei messo in viaggio con Taylor …” – osò il più giovane, seguendolo in cucina.

“Già” – mormorò assorto il francese, concentrato su uova e padella, non gli andava di impazzire ai fornelli, del resto.

“Hai scelto bene” – Boo tossì, appollaiandosi all’estremità della penisola.

“Mi ha chiesto un favore ed io l’ho accontentato” – e lo guardò.

“Sì, sì, certo” – sorrise teso – “… tu fai così, sei … sei gentile con gli sconosciuti”

“Ma Taylor non lo è” – obiettò tagliando del prosciutto a dadini – “Vuoi una omelette anche tu?”

“No, a posto così, ho lo stomaco chiuso”

“Come mai?”

“Tensione … Con Hazza, ecco, ci ho litigato, dopo Aspen, non doveva picchiarti”

“Facci pace, non serve rovinarsi il matrimonio per me, credimi” – e la sua non fu una risata, bensì un singulto soffocato da un sorriso triste e malinconico.

“E poi non doveva crederti, quando gli hai detto che era colpa tua, cosa cavolo ti è saltato in mente Vincent?” – domandò vivace.

“Era un buon sistema per non farsi rimpiangere, non credi?”

“Che scemenza!”

“E’ necessario mon petit” – replicò fermo – “… La nostra vacanza era cominciata bene, ma poi tutto è degenerato, purtroppo, con mio immenso dolore, sia chiaro”

Louis gli si avvicinò, gli occhi sgranati su di lui, bellissimo.

“Che se è solo la metà del mio, non può lasciarti vivere sereno, Vincent” – affermò limpido e commovente.

Lux lo avvolse, rassicurante e dolce.

“I nostri sentimenti hanno avuto il loro tempo Boo … Sei stato così importante e per nulla al mondo rinuncerei a te, però io non sono come Geffen, non tengo il piede in più scarpe, non voglio finire in questa maniera”

Si guardarono, intensi.

“Ho … Ho come una dipendenza da te” – ed arrossì, adorabile.

“Dovremmo epurarla di un po’ di sfumature” – propose complice.

“Che brutta parola, epurare …”

“Dobbiamo essere drastici, mon petit, se vogliamo condividere un percorso casto, ma gratificante”

“Hai parlato con Hugh?” – chiese aggrottando la fronte, quasi buffo.

“Ci sono arrivato senza aiuti” – e rise solare, portandolo con sé fuori in terrazza.

“Guarda che sole” – sospirò Tomlinson, indicando il tramonto sulla città.

“Ti voglio bene Louis …” – e posò un bacio sulla tempia sinistra del ragazzo, allacciato a lui, che lo teneva sotto l’ala paterna, che a Boo mancava, nonostante la riconciliazione con il genitore naturale.

“Con Taylor cosa è successo?” – chiese timido.

“Nulla di cui devi preoccuparti … Davvero mon petit, ok?”

“Ok …”




Ad ogni pausa, sul volto liscio di Kitsch, spuntava un sorriso raggiante, mentre mandava sms a raffica, a qualcuno, che Colin stava fraintendendo, sulla propria identità.

“Vedo che il transalpino ti ha colpito al cuore” – ridacchiò l’irlandese, porgendogli un caffè.

“No, non hai capito, non è Lux” – spiegò tranquillo, premendo invio.

Il suo cellulare vibrò – “Ops, devo rispondere, sì pronto” – disse emozionato, allontanandosi di poco da Farrell, che arricciò il naso, incuriosito dal suo atteggiamento adolescenziale, ma simpatico.

Con Kitsch aveva raggiunto un ottimo livello di confidenza ed a Jared non sembrava più dare fastidio il sentirlo nominare, quando il marito gli faceva la cronaca della giornata sul set.

“Ok … non importa, avevo ordinato delle cose da Barny, ma faremo domani o quando vuoi … Certo, se ha la febbre, povera cucciola … Anch’io … Stasera ci possiamo sentire? … Ok … Hai ragione, sì scusami” – sorrise forzato, provando ad ingoiare la delusione – “… Certo, sì, va bene a colazione, ci troviamo lì, grazie” – e riattaccò.

Colin inspirò greve, andandogli vicino – “Non dovresti”

“Cosa?” – Taylor ebbe un sussulto.

“Dirgli grazie, dopo che ti ha scaricato per stasera, con una scusa banale”

“Non è così, la sua bambina si è ammalata” – lo difese convinto.

“Quindi è sposato, giusto?”

“Ma che centra, Colin?”

“Saranno dei bei casini, spero ne valga la pena”

“Senti chi parla, tu che avevi donne e figli, con Jared che stava da cani ad aspettarti!”

Farrell annuì, senza scomporsi – “Per questo ti sto avvisando, non certo per offenderti o denigrare la persona che ami”

Kitsch si morse le labbra sottili, un po’ infantile – “Si vede così tanto …?”

“Accidenti sì” – Colin rise affabile.

“Stiamo così bene insieme … E’ Geffen, comunque”

“Glam?!?”

“Ma no Richard!!”

Erano persino comici, in quello scambio di battute, e non certo da copione.

“Ah meno male” – e dicendolo, Farrell si tamponò il sudore, in una gag ormai irrefrenabile.

“Ti ringrazio per i consigli, per me contano”

“Quando vuoi, io ci sono, Taylor, anche se non ho un curriculum a cinque stelle”

“Sbagli, sai Colin? Tu sei una brava persona, una delle migliori, che io conosca in questa giungla”

Farrell ammiccò guascone – “Sì, me la cavicchio …” – rise – “… Ci stanno chiamando, dai torniamo di là, ancora una mezz’ora e poi tutti a casa!”




Senza spiegarselo, erano scivolati tra il divano ed il tavolino, sul tappeto, facendo cadere persino delle suppellettili, per la foga e l’urgenza di appartenersi, rimandando la fine di quell’incontro.

Geffen gli aveva infilato i palmi sotto il pullover, strappandoglielo quasi, come il resto di quegli indumenti strausati.

Jared conservava in ogni abitudine, il marchio della povertà, conosciuta durante l’infanzia ed oltre.

Al contrario di Glam, perfetto in ogni particolare, griffato dalla testa ai piedi, anche quando usciva a fare una passeggiata sulla spiaggia di Palm Springs, un sarto personale da quando aveva sei anni, un vecchio conoscente del padre.

Un futuro imperatore, che si contendeva il più bello del reame, con un re spavaldo e fiero, quale si era da sempre dimostrato Farrell, anch’egli nato tra gli agi di un’ottima famiglia dublinese, ma altrettanto trasandato ed affezionato a vestiti e scarpe logore, forse per pigrizia, forse per qualche consiglio ricevuto dai nonni, molto parsimoniosi e lungimiranti.

Leto talvolta pensava a come sarebbe stata la propria esistenza, se non li avesse conosciuti: nessuno dei due.

Se avesse addirittura scelto di avere una moglie paravento, qualche pargolo da lei, una carriera meno discontinua, un bel quadretto, difeso da uno staff ben pagato, come accadeva per numerosi artisti, di sua conoscenza.

Lui non sarebbe mai stato felice così.
Eppure, non lo era neppure ora, ad essere onesti.


E l’onestà, sembrava essere volata via, da un pezzo.

Come i suoi sogni.










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