Capitolo n. 121 – life
Percepire le sue dita,
calde ed amorevoli, tra i capelli, fu il migliore dei risvegli per Kevin.
Erano ormai ad alta
quota e Geffen lo aveva sistemato nella cabina privata, all’interno del jet di
Antonio, in volo verso la Svizzera.
“Mangi qualcosa
piccolo?” – gli chiese con dolcezza ed un velato timore nella voce, di dire la
cosa sbagliata.
“No Glam, grazie, ho lo
stomaco chiuso e la testa pesante …” – nel dirlo, il bassista si mise seduto,
appoggiandosi allo schienale in pelle, di quel giaciglio un po’ inusuale.
“Forse perché sei a
digiuno” – azzardò l’uomo, sorridendogli.
“Forse” – Kevin scrollò
le spalle, guardandosi intorno, palesemente a disagio ad ogni minuto che
passava.
Geffen lo aveva
raccolto come se fosse un randagio, senza più meta e la minima illusone verso
un domani, che anche Mark aveva rovinato, senza neppure rendersene conto.
Era così, che il
giovane si sentiva, in fondo: chi amava non si accorgeva mai abbastanza di lui
e delle sue esigenze.
“Quando arriviamo?” –
chiese brusco.
Glam inarcò un
sopracciglio, perplesso – “Tra almeno cinque ore tesoro …”
Kevin non avrebbe
voluto ascoltarlo in quel modo, sentirlo così vicino, come Geffen ambiva:
averlo perduto, infatti, era stato uno smacco insopportabile per lui.
L’ex rimaneva un punto
fermo, nella sua vita sgangherata ed entrambi credevano, prima di Aspen, di
avere raggiunto un ottimo equilibrio, dopo anni di traversie e delusioni.
Sbagliavano.
Forse.
“Appena saremo a
Ginevra, prenderò un aereo per il ritorno, perché non so davvero cosa mi ci hai
portato a fare in questo viaggio, ti serve una mascotte?”
“Per quella ho Lula e
persino Pepe” – scherzò Geffen, alzandosi dal bordo, dove si era accomodato.
“Non fare finta di
niente Glam! Io sono così incazzato che”
“Lo so!” – lo
interruppe fermo e vigoroso, tornando immediatamente da lui, per afferrargli le
braccia muscolose e nude, come il suo busto smagrito: faceva caldo e Kevin indossava
unicamente dei boxer, sotto le lenzuola in seta blu notte.
“Glam …” – i suoi occhi
si riempirono di lacrime.
I suoi sbalzi d’umore
erano così deleteri.
“Lo so Kevin che non è
stato semplice, con Tim e con Mark, giusto? Non mi hai detto nulla, da quando
ci siamo ritrovati sulla scogliera, ora vorrei conoscere i fatti, se non ti
pesa troppo raccontarmeli, è ovvio: prenditi il tempo necessario, in fondo non
sono affari miei, hai voluto estromettermi, forse con ragione, non lo nego”
“Glam …” – ed appoggiò
la fronte sul suo petto spazioso – “… sono così stanco” – singhiozzò composto,
vergognandosi per la propria ingenuità, appena scorse l’astuccio delle fedi,
appoggiato su di un comodino, accanto ai suoi abiti, piegati in ordine.
Geffen lo avvolse – “Sei
stato sfortunato … Lo siamo stati tutti, io per primo, nel perderti amore …”
Kevin ebbe un sussulto,
poi un guizzo, con il quale prese le distanze, fisiche e, con una frase aspra,
anche emotive – “Perché fai così?!? Cosa ti salta in mente, perché mi vuoi
usare ancora?? Non ti basta quello che mi hai fatto quando stavamo insieme
Glam??!”
Geffen prese un respiro
– “So quello che ti ho fatto Kevin e non pretendo un bel niente”
“Allora non parlarmi in
questa maniera, illudendomi su chissà cosa, sul tuo seguire un istinto del
momento, un capriccio, perché tu sei fatto così accidenti!!”
“Potrei farti
ricredere, su ogni tua singola affermazione Kevin, sai?”
“E se io non ci tenessi
affatto??!”
“Kevin …”
“Io non voglio più
morire di te, di noi, hai capito??!”
Ruffalo non sapeva più
dove cercarlo.
Si fece coraggio ed
arrivò ai cancelli della residenza di Meliti.
Per una somma di cose,
provava imbarazzo nel trovarsi in quel luogo, dove aveva preso dimora Matt, con
il suo Dimitri.
I due, infatti,
facevano ormai parte dell’arredamento da giardino, come soleva ripetere il
sovietico, non sapendo più cosa pensare su quel soggiorno nella tana del
nemico.
In sostanza Miller si
era adeguato alla situazione, godendosi a pieno la relazione con il mercenario:
curava le rose del nonno, si osava persino apostrofarlo in quel modo, quando il
patriarca spuntava da qualche angolo, sempre guardingo nei suoi riguardi.
In fondo, però, averli
sott’occhio, restava la soluzione migliore, dopo tutti i guai combinati da
quegli scapestrati.
Molto innamorati,
dovette ammettere il grande vecchio.
Mark si inoltrò nel
parco, appena i bodyguard lo autorizzarono.
Meliti non era
disponibile, perché in ospedale per un checkup.
In sua vece, si
palesarono Pam e Carmela, completamente ignare su che fine avesse fatto Kevin.
Il docente decise
quindi di spostarsi alla End House, dove ad accoglierlo trovò unicamente Jared.
“Vieni Mark, andiamo in
biblioteca, così staremo tranquilli …”
Erano in corso delle
pulizie generali, in vista di un ricevimento, che Farrell aveva deciso di dare
in onore della madre Rita, per il suo anniversario di matrimonio, con il nuovo
coniuge, un produttore di Hollywood.
“Date una festa?” –
chiese esitante l’ex infermiere.
“Una cosa del genere …
Per mia suocera” – Leto sorrise tirato, versando del caffè – “… al telefono mi
hai accennato di Kevin … Cosa gli è capitato?”
“Non ne ho idea, Jared,
questo è il problema, anche se temo che lui abbia frainteso una situazione …
Tra Niall e me, ecco”
Il front man aggrottò
la fronte, lisciandosi indietro le ciocche tagliate da poco.
Era sbarbato e sembrava
più giovane, senza quella barba da hipster: in effetti il bianco, che ormai
chiazzava quell’ammasso di peli, spesso incolti, lo irritava, facendolo sentire
stupido e vanitoso.
“Cosa di preciso? Un
bacio?”
“Ma no, no,
assolutamente! Niall si è sentito male in università ed io gli ho prestato
soccorso”
“Un gesto naturale,
cosa c’è di sbagliato Mark?”
“Direi nulla, però a
vederci vicini, forse, per Kevin è stato offensivo”
“Può darsi … Hai
provato da Geffen?”
“Ho telefonato al suo
studio, ma Flora mi ha detto del suo viaggio con Robert e Jude … Tu credi che
Kevin sia con loro?”
“Posso provare a
contattare Glam … Aspetta” – e compose un numero esclusivo, che iniziò a
suonare, per fortuna.
La voce dell’avvocato
si rivelò tesa da subito.
“Ciao sono io … Non
volevo disturbarti, però qui c’è Mark ed è in ansia per Kevin: l’hai portato
con te?”
La sua parlantina era
sciolta, quanto fremente.
Geffen decise di essere
sincero.
“Sì, è con noi, con me
ed i bambini, staremo con nostro figlio, Kevin ha bisogno di pace, adesso, di
riprendersi, anche se non ho idea di cosa gli sia accaduto, ma c’è di mezzo
proprio Mark” – affermò sbrigativo.
Jared sentiva mille
spine nel cuore.
“Temo si tratti di un
equivoco e ti chiedo un favore personale: fai venire Kevin all’apparecchio e
permetti a Mark di spiegarsi”
“E’ una pessima idea e
poi Kevin sta riposando”
Era vero anche questo.
Glam si era spostato
nella zona passeggeri e la sua conversazione stava incuriosendo Robert e Jude.
“Perché ti intrometti
tra loro Glam, cazzo!?!” – sbottò Leto.
“Non faccio niente del
genere, accidenti! Se davvero vuoi saperlo, grazie ad una visione di Lula,
siamo appena arrivati in tempo, soldino ed io, prima che Kevin commettesse una
sciocchezza!!” – tuonò livido.
Jared si ammutolì.
“Ma … Ma cosa stai
dicendo …?”
“Non è una balla ed a
tempo debito, se Kevin lo vorrà, potrà chiarirsi con quel bastardo di un
texano!”
“Da che pulpito Glam!!
Mark non gli ha fatto alcun torto, ti ripeto che è stato un abbaglio da parte
di Kevin, ok?!!”
I suoi improperi non
ebbero altro riscontro se non un clic.
La conversazione era
stata chiusa ed il satellitare di Geffen spento.
Sino a destinazione.
Il busto di Taylor,
nella penombra del soppalco, tremò, ondeggiando ancora un paio di volte, prima
di accasciarsi.
Impalato e sublime, il
suo corpo si muoveva con una frenesia ipnotizzante, sul membro di Richard, in
piena estasi quanto lui.
Si strinsero forte,
dopo, quando tutto ebbe fine.
Anche se era unicamente
un inizio, di quel pomeriggio, che avevano deciso di trascorrere lontani da
tutti i casini esistenziali, familiari e lavorativi.
“Non ho mai fatto l’amore
così tanto, sai …?” – gli ansimò nel collo l’architetto, ritardando l’attimo,
in cui sarebbe uscito da lui.
“Ne avevamo un
disperato bisogno entrambi … Mi sei mancato da morire Ricky” – e lo baciò,
senza riuscire a nascondere la sua commozione.
Geffen jr lo scrutò,
distaccandosi malvolentieri dalla sua bocca succosa – “Ti voglio bene Tay …
Posso chiamarti così?” – rise giocoso.
“Certo, è carino, sa di
orientale ed io adoro il Giappone … e dintorni” – rise a propria volta, allegro
e senza pensieri.
Senza correre con la
mente a quando si sarebbe ritrovato da solo, davanti alla tv, a coccolare il
peluche di Veronica, dimenticato tra i cuscini del divano.
Era un pezzetto della
vita di Richard, che il caso aveva lasciato lì, affinché Kitsch non smettesse
mai di pensare a lui ed alla loro principessa.
Era
bello illudersi, ma non indolore.
Ruffalo si grattò la
nuca, rosso in volto.
“Temo di avere commesso
una leggerezza Jared, venendo qui … Perdonami” – esordì mortificato, rompendo
quell’odioso silenzio, che seguì alla telefonata con Geffen.
“No, tu hai fatto bene
a passare da me, eri in pena per Kevin, anche se ora se ne prenderà cura Glam,
stanne certo” – e ridacchiò, amaramente sarcastico, gli occhi vividi di
rammarico e sospetto.
“Credevo che tu e Colin
foste felici”
“No … Sono io quello
che non riesce ad esserlo, nonostante un marito come Cole … Non è stata certo
una passeggiata agli inizi, però sono anni che lui è … è quasi perfetto” – e si
tamponò gli zigomi con i polsini della camicia in jeans, rubata a Geffen,
durante uno dei loro incontri al cottage.
Ruffalo gli porse un
fazzoletto.
“Ti ringrazio … Tu sei psichiatra,
vero?”
“No, insegno non
esercito … E’ diverso …” – e non sapeva più neppure ciò che diceva, voleva solo
andarsene.
Vedere Leto in quelle
condizioni era un supplizio.
Mark ci si vedeva
riflesso, ad ogni singulto del cantante.
“Io sarei proprio un
bel caso clinico, te lo garantisco Mark” – e rise alienato, cercando delle
pillole in un cassetto della scrivania, in radica massiccia.
“Forse non dovresti
prendere quella roba Jared”
“Mi impasticco da
quando avevo dodici anni, c’era sempre qualcosa da dimenticare, da cancellare,
ma con Glam, io, proprio non ci riesco … Non ci riesco dannazione” – ed iniziò
a piangere, sfogandosi.
Ruffalo lo abbracciò,
lui era così bravo a consolare il prossimo.
“Sicuro di volere
uscire?”
Taylor glielo chiese
mentre si rivestivano, senza fretta.
“Certo, non voglio mica
nascondermi, sai? Adesso ti porto a mangiare un gelato oppure dove preferisci,
ok?” – e lo abbracciò.
Fuori splendeva un sole
magnifico.
Avrebbero voluto
tenersi per mano, mentre arrivavano all’auto di Richard, ma questi stava
cercando le chiavi e Taylor gli occhiali, nelle tasche di un cardigan, tinta
sabbia, dono di Law, uno dei pochi, che il ragazzo volle tenere.
Il suono dell’antifurto
si sovrappose ad un richiamo, dal marciapiede opposto.
Uno sconosciuto si
stava sbracciando, dopo essere sceso veloce da un taxi, già ripartito da pochi
secondi.
Ricky si bloccò,
fissando quel tizio, che, con un sorriso carico di gioia, attraversò
velocemente la strada.
Il medesimo sorriso,
che si schiuse anche sul viso del primogenito di Geffen.
“Michael …” – mormorò sommesso,
poi Ricky volle ripetere quel nome, poche sillabe, che trafissero Taylor,
memore di quanto raccontatogli dal compagno.
Nell’abbraccio, che ne
seguì, l’attore colse così tanto affiatamento tra loro, da non riuscire più
neppure a respirare.
“Come diavolo hai fatto
a trovarmi?!” – domandò in piena confusione Geffen jr.
“Ti ho localizzato, con
quell’aggeggio brevettato da Pollack, hai presente?”
“Oh cavoli … Attraverso
il mio cellulare …”
“Avrei dovuto avvisarti
Ricky, ma volevo farti una sorpresa, spero non ti dispiaccia” – quindi si rivolse
a Kitsch, presentandosi, nome e cognome, poi una legittima curiosità – “Sei un
suo nuovo collega?”
Richard si intromise
senza rimandare – “No, no, Taylor è”
“Un suo amico, un nuovo
amico di Los Angeles, sono un cliente del padre di Ricky”
Michael si morse le
labbra – “Ok … Di Glam Geffen quindi, lo squalo … Sei un artista … Sinceramente
sono sicuro di averti visto da qualche parte …”
“Al cinema, è quello il
mio mestiere, recitare intendo”
“Sì, capisco …” – poi tornò
a puntare l’ex – “… Forse stavate andando da qualche parte … Io mi fermo una
settimana, per un convegno ed avrei avuto piacere di parlare un po’ con te,
Ricky …”
“Sì, ok, allora
chiamami, il numero non è cambiato”
“Lo farò … Alloggio all’Hilton,
comunque … Se mi cerchi, suite 409” – e rise nervoso, recuperando un taxi, con
l’app del suo smartphone di ultima generazione.
Taylor avrebbe voluto
prenderlo a pugni, ma si limitò a salutarlo svelto, salendo poi sul suv di
Richard, che si unì a lui in un soffio.
“Tesoro …”
“Metti in moto e guida,
per favore, non dire nulla, non ora!” – ringhiò ribollendo.
Richard si allontanò,
senza riuscire a non guardare gli specchietti retrovisori e la sagoma di
Michael rimpicciolirsi, metro dopo metro, battito dopo battito.
KYLE SCHMID IS MICHAEL
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