mercoledì 13 maggio 2015

LIFE - CAPITOLO N. 121

Capitolo n. 121 – life



Percepire le sue dita, calde ed amorevoli, tra i capelli, fu il migliore dei risvegli per Kevin.

Erano ormai ad alta quota e Geffen lo aveva sistemato nella cabina privata, all’interno del jet di Antonio, in volo verso la Svizzera.

“Mangi qualcosa piccolo?” – gli chiese con dolcezza ed un velato timore nella voce, di dire la cosa sbagliata.

“No Glam, grazie, ho lo stomaco chiuso e la testa pesante …” – nel dirlo, il bassista si mise seduto, appoggiandosi allo schienale in pelle, di quel giaciglio un po’ inusuale.

“Forse perché sei a digiuno” – azzardò l’uomo, sorridendogli.

“Forse” – Kevin scrollò le spalle, guardandosi intorno, palesemente a disagio ad ogni minuto che passava.

Geffen lo aveva raccolto come se fosse un randagio, senza più meta e la minima illusone verso un domani, che anche Mark aveva rovinato, senza neppure rendersene conto.

Era così, che il giovane si sentiva, in fondo: chi amava non si accorgeva mai abbastanza di lui e delle sue esigenze.

“Quando arriviamo?” – chiese brusco.

Glam inarcò un sopracciglio, perplesso – “Tra almeno cinque ore tesoro …”

Kevin non avrebbe voluto ascoltarlo in quel modo, sentirlo così vicino, come Geffen ambiva: averlo perduto, infatti, era stato uno smacco insopportabile per lui.

L’ex rimaneva un punto fermo, nella sua vita sgangherata ed entrambi credevano, prima di Aspen, di avere raggiunto un ottimo equilibrio, dopo anni di traversie e delusioni.

Sbagliavano.

Forse.

“Appena saremo a Ginevra, prenderò un aereo per il ritorno, perché non so davvero cosa mi ci hai portato a fare in questo viaggio, ti serve una mascotte?”

“Per quella ho Lula e persino Pepe” – scherzò Geffen, alzandosi dal bordo, dove si era accomodato.

“Non fare finta di niente Glam! Io sono così incazzato che”

“Lo so!” – lo interruppe fermo e vigoroso, tornando immediatamente da lui, per afferrargli le braccia muscolose e nude, come il suo busto smagrito: faceva caldo e Kevin indossava unicamente dei boxer, sotto le lenzuola in seta blu notte.

“Glam …” – i suoi occhi si riempirono di lacrime.

I suoi sbalzi d’umore erano così deleteri.

“Lo so Kevin che non è stato semplice, con Tim e con Mark, giusto? Non mi hai detto nulla, da quando ci siamo ritrovati sulla scogliera, ora vorrei conoscere i fatti, se non ti pesa troppo raccontarmeli, è ovvio: prenditi il tempo necessario, in fondo non sono affari miei, hai voluto estromettermi, forse con ragione, non lo nego”

“Glam …” – ed appoggiò la fronte sul suo petto spazioso – “… sono così stanco” – singhiozzò composto, vergognandosi per la propria ingenuità, appena scorse l’astuccio delle fedi, appoggiato su di un comodino, accanto ai suoi abiti, piegati in ordine.

Geffen lo avvolse – “Sei stato sfortunato … Lo siamo stati tutti, io per primo, nel perderti amore …”

Kevin ebbe un sussulto, poi un guizzo, con il quale prese le distanze, fisiche e, con una frase aspra, anche emotive – “Perché fai così?!? Cosa ti salta in mente, perché mi vuoi usare ancora?? Non ti basta quello che mi hai fatto quando stavamo insieme Glam??!”

Geffen prese un respiro – “So quello che ti ho fatto Kevin e non pretendo un bel niente”

“Allora non parlarmi in questa maniera, illudendomi su chissà cosa, sul tuo seguire un istinto del momento, un capriccio, perché tu sei fatto così accidenti!!”

“Potrei farti ricredere, su ogni tua singola affermazione Kevin, sai?”

“E se io non ci tenessi affatto??!”

“Kevin …”

“Io non voglio più morire di te, di noi, hai capito??!”




Ruffalo non sapeva più dove cercarlo.

Si fece coraggio ed arrivò ai cancelli della residenza di Meliti.

Per una somma di cose, provava imbarazzo nel trovarsi in quel luogo, dove aveva preso dimora Matt, con il suo Dimitri.

I due, infatti, facevano ormai parte dell’arredamento da giardino, come soleva ripetere il sovietico, non sapendo più cosa pensare su quel soggiorno nella tana del nemico.

In sostanza Miller si era adeguato alla situazione, godendosi a pieno la relazione con il mercenario: curava le rose del nonno, si osava persino apostrofarlo in quel modo, quando il patriarca spuntava da qualche angolo, sempre guardingo nei suoi riguardi.

In fondo, però, averli sott’occhio, restava la soluzione migliore, dopo tutti i guai combinati da quegli scapestrati.

Molto innamorati, dovette ammettere il grande vecchio.


Mark si inoltrò nel parco, appena i bodyguard lo autorizzarono.

Meliti non era disponibile, perché in ospedale per un checkup.

In sua vece, si palesarono Pam e Carmela, completamente ignare su che fine avesse fatto Kevin.



Il docente decise quindi di spostarsi alla End House, dove ad accoglierlo trovò unicamente Jared.

“Vieni Mark, andiamo in biblioteca, così staremo tranquilli …”

Erano in corso delle pulizie generali, in vista di un ricevimento, che Farrell aveva deciso di dare in onore della madre Rita, per il suo anniversario di matrimonio, con il nuovo coniuge, un produttore di Hollywood.

“Date una festa?” – chiese esitante l’ex infermiere.

“Una cosa del genere … Per mia suocera” – Leto sorrise tirato, versando del caffè – “… al telefono mi hai accennato di Kevin … Cosa gli è capitato?”

“Non ne ho idea, Jared, questo è il problema, anche se temo che lui abbia frainteso una situazione … Tra Niall e me, ecco”

Il front man aggrottò la fronte, lisciandosi indietro le ciocche tagliate da poco.

Era sbarbato e sembrava più giovane, senza quella barba da hipster: in effetti il bianco, che ormai chiazzava quell’ammasso di peli, spesso incolti, lo irritava, facendolo sentire stupido e vanitoso.

“Cosa di preciso? Un bacio?”

“Ma no, no, assolutamente! Niall si è sentito male in università ed io gli ho prestato soccorso”

“Un gesto naturale, cosa c’è di sbagliato Mark?”

“Direi nulla, però a vederci vicini, forse, per Kevin è stato offensivo”

“Può darsi … Hai provato da Geffen?”

“Ho telefonato al suo studio, ma Flora mi ha detto del suo viaggio con Robert e Jude … Tu credi che Kevin sia con loro?”

“Posso provare a contattare Glam … Aspetta” – e compose un numero esclusivo, che iniziò a suonare, per fortuna.

La voce dell’avvocato si rivelò tesa da subito.

“Ciao sono io … Non volevo disturbarti, però qui c’è Mark ed è in ansia per Kevin: l’hai portato con te?”

La sua parlantina era sciolta, quanto fremente.

Geffen decise di essere sincero.

“Sì, è con noi, con me ed i bambini, staremo con nostro figlio, Kevin ha bisogno di pace, adesso, di riprendersi, anche se non ho idea di cosa gli sia accaduto, ma c’è di mezzo proprio Mark” – affermò sbrigativo.

Jared sentiva mille spine nel cuore.

“Temo si tratti di un equivoco e ti chiedo un favore personale: fai venire Kevin all’apparecchio e permetti a Mark di spiegarsi”

“E’ una pessima idea e poi Kevin sta riposando”

Era vero anche questo.

Glam si era spostato nella zona passeggeri e la sua conversazione stava incuriosendo Robert e Jude.

“Perché ti intrometti tra loro Glam, cazzo!?!” – sbottò Leto.

“Non faccio niente del genere, accidenti! Se davvero vuoi saperlo, grazie ad una visione di Lula, siamo appena arrivati in tempo, soldino ed io, prima che Kevin commettesse una sciocchezza!!” – tuonò livido.

Jared si ammutolì.

“Ma … Ma cosa stai dicendo …?”

“Non è una balla ed a tempo debito, se Kevin lo vorrà, potrà chiarirsi con quel bastardo di un texano!”

“Da che pulpito Glam!! Mark non gli ha fatto alcun torto, ti ripeto che è stato un abbaglio da parte di Kevin, ok?!!”

I suoi improperi non ebbero altro riscontro se non un  clic.

La conversazione era stata chiusa ed il satellitare di Geffen spento.

Sino a destinazione.




Il busto di Taylor, nella penombra del soppalco, tremò, ondeggiando ancora un paio di volte, prima di accasciarsi.

Impalato e sublime, il suo corpo si muoveva con una frenesia ipnotizzante, sul membro di Richard, in piena estasi quanto lui.

Si strinsero forte, dopo, quando tutto ebbe fine.

Anche se era unicamente un inizio, di quel pomeriggio, che avevano deciso di trascorrere lontani da tutti i casini esistenziali, familiari e lavorativi.

“Non ho mai fatto l’amore così tanto, sai …?” – gli ansimò nel collo l’architetto, ritardando l’attimo, in cui sarebbe uscito da lui.

“Ne avevamo un disperato bisogno entrambi … Mi sei mancato da morire Ricky” – e lo baciò, senza riuscire a nascondere la sua commozione.

Geffen jr lo scrutò, distaccandosi malvolentieri dalla sua bocca succosa – “Ti voglio bene Tay … Posso chiamarti così?” – rise giocoso.

“Certo, è carino, sa di orientale ed io adoro il Giappone … e dintorni” – rise a propria volta, allegro e senza pensieri.

Senza correre con la mente a quando si sarebbe ritrovato da solo, davanti alla tv, a coccolare il peluche di Veronica, dimenticato tra i cuscini del divano.

Era un pezzetto della vita di Richard, che il caso aveva lasciato lì, affinché Kitsch non smettesse mai di pensare a lui ed alla  loro principessa.

Era bello illudersi, ma non indolore.




Ruffalo si grattò la nuca, rosso in volto.

“Temo di avere commesso una leggerezza Jared, venendo qui … Perdonami” – esordì mortificato, rompendo quell’odioso silenzio, che seguì alla telefonata con Geffen.

“No, tu hai fatto bene a passare da me, eri in pena per Kevin, anche se ora se ne prenderà cura Glam, stanne certo” – e ridacchiò, amaramente sarcastico, gli occhi vividi di rammarico e sospetto.

“Credevo che tu e Colin foste felici”

“No … Sono io quello che non riesce ad esserlo, nonostante un marito come Cole … Non è stata certo una passeggiata agli inizi, però sono anni che lui è … è quasi perfetto” – e si tamponò gli zigomi con i polsini della camicia in jeans, rubata a Geffen, durante uno dei loro incontri al cottage.

Ruffalo gli porse un fazzoletto.

“Ti ringrazio … Tu sei psichiatra, vero?”

“No, insegno non esercito … E’ diverso …” – e non sapeva più neppure ciò che diceva, voleva solo andarsene.

Vedere Leto in quelle condizioni era un supplizio.

Mark ci si vedeva riflesso, ad ogni singulto del cantante.

“Io sarei proprio un bel caso clinico, te lo garantisco Mark” – e rise alienato, cercando delle pillole in un cassetto della scrivania, in radica massiccia.

“Forse non dovresti prendere quella roba Jared”

“Mi impasticco da quando avevo dodici anni, c’era sempre qualcosa da dimenticare, da cancellare, ma con Glam, io, proprio non ci riesco … Non ci riesco dannazione” – ed iniziò a piangere, sfogandosi.

Ruffalo lo abbracciò, lui era così bravo a consolare il prossimo.




“Sicuro di volere uscire?”

Taylor glielo chiese mentre si rivestivano, senza fretta.

“Certo, non voglio mica nascondermi, sai? Adesso ti porto a mangiare un gelato oppure dove preferisci, ok?” – e lo abbracciò.

Fuori splendeva un sole magnifico.

Avrebbero voluto tenersi per mano, mentre arrivavano all’auto di Richard, ma questi stava cercando le chiavi e Taylor gli occhiali, nelle tasche di un cardigan, tinta sabbia, dono di Law, uno dei pochi, che il ragazzo volle tenere.

Il suono dell’antifurto si sovrappose ad un richiamo, dal marciapiede opposto.

Uno sconosciuto si stava sbracciando, dopo essere sceso veloce da un taxi, già ripartito da pochi secondi.

Ricky si bloccò, fissando quel tizio, che, con un sorriso carico di gioia, attraversò velocemente la strada.

Il medesimo sorriso, che si schiuse anche sul viso del primogenito di Geffen.

“Michael …” – mormorò sommesso, poi Ricky volle ripetere quel nome, poche sillabe, che trafissero Taylor, memore di quanto raccontatogli dal compagno.

Nell’abbraccio, che ne seguì, l’attore colse così tanto affiatamento tra loro, da non riuscire più neppure a respirare.

“Come diavolo hai fatto a trovarmi?!” – domandò in piena confusione Geffen jr.

“Ti ho localizzato, con quell’aggeggio brevettato da Pollack, hai presente?”

“Oh cavoli … Attraverso il mio cellulare …”

“Avrei dovuto avvisarti Ricky, ma volevo farti una sorpresa, spero non ti dispiaccia” – quindi si rivolse a Kitsch, presentandosi, nome e cognome, poi una legittima curiosità – “Sei un suo nuovo collega?”

Richard si intromise senza rimandare – “No, no, Taylor è”

“Un suo amico, un nuovo amico di Los Angeles, sono un cliente del padre di Ricky”

Michael si morse le labbra – “Ok … Di Glam Geffen quindi, lo squalo … Sei un artista … Sinceramente sono sicuro di averti visto da qualche parte …”

“Al cinema, è quello il mio mestiere, recitare intendo”

“Sì, capisco …” – poi tornò a puntare l’ex – “… Forse stavate andando da qualche parte … Io mi fermo una settimana, per un convegno ed avrei avuto piacere di parlare un po’ con te, Ricky …”

“Sì, ok, allora chiamami, il numero non è cambiato”

“Lo farò … Alloggio all’Hilton, comunque … Se mi cerchi, suite 409” – e rise nervoso, recuperando un taxi, con l’app del suo smartphone di ultima generazione.

Taylor avrebbe voluto prenderlo a pugni, ma si limitò a salutarlo svelto, salendo poi sul suv di Richard, che si unì a lui in un soffio.


“Tesoro …”

“Metti in moto e guida, per favore, non dire nulla, non ora!” – ringhiò ribollendo.

Richard si allontanò, senza riuscire a non guardare gli specchietti retrovisori e la sagoma di Michael rimpicciolirsi, metro dopo metro, battito dopo battito.


 TAYLOR





 KYLE SCHMID IS MICHAEL


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