mercoledì 6 maggio 2015

LIFE - CAPITOLO N. 119

Capitolo n. 119 – life



Appena li vide dallo spioncino, Taylor perse un battito.

Aprì con il cuore in gola e la gioia negli occhi lucidi all’improvviso – “Ciao Ricky, che bella sorpresa … ehi principessa”

“Ciao amore … Abbiamo finito presto dal pediatra, ora Veronica sta meglio” – e gliela passò, con estrema dolcezza.

Kitsch la strinse sul cuore, emozionato come mai prima di allora.

“Posso farle qualcosa, del latte caldo forse?” – domandò trepidante, avanzando nel living.

“Ho tutto nel borsone” – e se lo tolse, armeggiando con la lunga tracolla – “… sono sempre armato” – rise, poi si guardò intorno – “E’ davvero una bomboniera qui … E’ tuo?”

“No, non posso permettermelo, i prezzi di Los Angeles sono proibitivi per me, finché non avrò un ingaggio a sei zeri” – spiegò con estrema serenità, mentre la piccola giocava con i suoi capelli.

“Papà ha diversi alloggi sfitti, in zone migliori e molto più spaziosi, che ne dici di trasferirti? Gli chiederò di applicarti lo stesso affitto” – propose serio, dandogli una carezza sulla schiena.

Taylor mentalmente apprezzò quel modo di ragionare di Richard: se avesse provveduto lui, si sarebbe sentito il più classico degli amanti, mantenuto e spedito a nascondersi in qualche loft di lusso, a Malibu oppure West Hollywood.

Al tempo stesso, però, forse a Ricky non piaceva entrare nelle stesse lenzuola, dove Taylor si era divertito con Colin e Jude: il giovane doveva accettare la sua gelosia, anzi, lo gratificava.

Così come lo sguardo intenerito dell’architetto, mentre provava a cambiare Veronica.

“Oh mamma, sto facendo un pasticcio”

“No, no vai benissimo” – e gli baciò la spalla destra, mormorandogli – “… ti voglio da impazzire, non penso ad altro, non ragiono più sai?” – e lo avvolse da dietro, continuando ad osservare i suoi gesti impacciati, ma risoluti ad ottenere un buon risultato, mentre la neonata sgambettava e rideva.

“Per me è lo stesso …” – sussurrò, avvampando, l’attore.

“Le piaci … Come la capisco” – e gli rise nel collo, dove posò un ulteriore bacio.

Uno dei tanti, quella sera.




Geffen gli diede un bacio casto sullo zigomo destro, dopo averlo riaccompagnato a casa.

“La prossima volta chiamo un taxi, non volevo farti fare tardi Glam …” – disse in un soffio, la mano sulla maniglia interna della portiera.

“Più che altro usa l’auto” – sorrise pacato – “… e non quel catorcio di bici, con le gomme perennemente bucate”

“Ho preso un chiodo” – e tossì, rendendogli malvolentieri la giacca in renna, che l’avvocato gli aveva imposto di indossare, prima di andarsene dal cottage.

“Ed anche del freddo, vedo, sempre mezzo nudo te ne vai in giro, non sei più un ragazzino di Woodstock” – lo canzonò, scompigliandogli i capelli, affettuoso.

Nessuno avrebbe mai detto, che solo venti minuti prima, i due si erano consumati in un amplesso quasi selvaggio, sul tappeto del soggiorno, in quel rifugio segreto e così caro ai rispettivi cuori, da anni.

“Quella era roba per te, dinosauro” – Jared gli fece una linguaccia, poi si appese al suo collo, prima di un ultimo saluto – “Ti voglio bene Glam, a presto, fatti sentire dalla Svizzera, ok?” – si congedò frettoloso, incapace di nascondere il proprio pianto incipiente.

I vetri scuri, stavano celando il loro amore.

“D’accordo Jay … A presto …” – e lo trattenne per un polso, senza fargli male, non sarebbe accaduto mai, del resto – “… Io ti amo …” – ed incollò le loro labbra, perché quel sentimento era come un sigillo, inalterabile e che nessuno avrebbe scalfito.

Mai.




Colin seguì i suoi passi veloci nel viale del parco, poi lo sentì salire le scale di corsa e chiudersi in bagno.

I getti della doccia partirono dopo pochi secondi, così la musica ad alto volume.

L’irlandese si mise a sedere sul letto, artigliando i bordi del materasso.

Aveva riconosciuto l’hummer di Geffen, forse il legale aveva dato semplicemente un passaggio a Jared e c’era una spiegazione anche per quel modo di rientrare alla End House, da parte del cantante.

Scattò in piedi, appena Leto abbassò lo stereo, quindi bussò.

“Tesoro tutto bene?” – chiese turbato nel profondo.

“Ciao Cole, sei già qui? Credevo giraste fino a tardi” – gli rispose il consorte, senza tradire alcuna emozione particolare.

“No, è domani … Ti porto fuori a cena, che ne dici?”

A quel punto, Jared si palesò, schiudendo la porta – “Sono un po’ stanco … Ho forato e Glam mi ha dato uno strappo sino a qui, anche se non poteva … Hai saputo di Jude?”

“Di Jude? No, cosa gli è capitato?” – e controllò le e-mail sul palmare.

“Ti ha scritto?”

“Sì, c’è anche una telefonata oh miseria …”

“E’ in partenza per Ginevra, verrà ricoverato nella clinica, dove mi hanno fatto il ricambio del sangue, ricordi?” – e passò in camera, tamponandosi le chiome fluenti.

“Come potrei dimenticarmi quel periodo amore mio …?” – e lo abbracciò, dandogli poi un lungo bacio.

L’acqua e le menzogne di Leto, avevano portato via il sapore di Geffen.

Ancora una volta, Jared si era salvato.




Robert gli rimboccò il plaid in fondo ai piedi e Jude sorrise, allungato sopra il divano del loro attico.

“La tempesta sull’oceano sta passando, Glam ha detto che decolleremo all’alba” – lo aggiornò, in evidente disagio.

La situazione di Law lo faceva stare così male.

“Ok … A me piace il suo chalet, è un luogo incantevole, le bimbe si divertiranno” – ed indicò le loro principesse, in terrazza con Pam, che aveva preparato anche la cena.

La coppia preferì averle lì e non alla villa del nonno, per spiegare a Dadi e Cami, come stavano realmente le cose.

Raccontare bugie sullo stato di salute di Jude era inutile.

“Vado a controllare il forno” – disse a fiato corto Downey.

“Robert ehi … Vieni qui” – Law gli tese le braccia, avvolgendolo a sé, un attimo dopo.

“Amore io … Non è giusto …” – gli singhiozzò nel collo.

“Cosa Robert …?” – sorrise amorevole, cullandolo – “… Non ho più vent’anni” – scherzò.

Si guardarono.

“Sì, ma”

“La diagnosi di Scott è rassicurante, non credi?”

“Certo!” – replicò fermo – “Ti rimetterai in men che non si dica!”

“Ovvio Holmes … Tu non mi hai mai mentito …” – e lo baciò, intenso.

Erano talmente innamorati, da incantare chiunque li guardasse, come Pamela, pronta a chiamarli a tavola.

Così le loro figlie, che corsero ad aggrovigliarsi a loro, partecipi di quell’emozione unica.

Suonarono.
Era Geffen.


“Ciao cica, mi hanno detto che qui si mangia gratis, paella e tortini di riso”

“Olà maldido, appena in tempo, sentivi l’aroma lungo le scale?” – la donna rise, facendolo accomodare.

“Come stanno Rob e Jude?” – chiese sotto voce l’uomo, appendendo il trench nell’ingresso.

“Si fanno coraggio … Robert sta morendo di paura, ad essere sinceri … Dovresti rassicurarlo: nessuno, come fai tu, ci riuscirebbe” – e gli schiacciò un occhiolino complice, spingendolo nel living.

“Buonasera a tutti”

L’accoglienza fu calorosa.
Con l’arrivo di Glam, sembrò che ogni cosa potesse sistemarsi.
Miracolosamente.

Vas, Peter, con Pepe e Lula, arrivarono tre minuti dopo.

Pam aveva apparecchiato all’aperto, usando colori vivaci ed accendendo una decina di candele e lanterne.

L’atmosfera era di festa, così i suoi piatti saporiti.

Nessuno sembrò più malato.
La presenza di soldino, poi, dava un tocco magico alla serata.

Nelle sue parole, chiunque poteva trovare conforto ed i suoi auspici, su quel viaggio, furono dei migliori.

Forse fingeva, pensò Downey, al centro dell’attenzione e del sostegno morale, più che Jude, anch’egli impegnato a confortarlo.

I bambini, in fondo, erano cinque, intorno a quel desco imbandito e chiassoso di allegria e canzoni.

L’americano si mise infine al pianoforte, mentre Glam filmava le esibizioni dei cuccioli, impegnati a ballare sulle note di canzoni pop degli anni ottanta.

Era una festa.
Erano tutti, un po’ pazzi.




Veronica si era addormentata senza fare capricci, nel suo trasportino.

Richard l’aveva sistemata su di una poltrona, tra mille cuscini, al principio della scala, che portava al soppalco, dove si era spogliato senza perdere tempo, prima di raggiungere Taylor a letto.

Il tempo: non ne aveva a più sufficienza per accontentare tutti e, ben presto, avrebbe anche esaurito le scuse, per giustificare un’assenza troppo prolungata, prima di tornare da Sonia.

La moglie aveva notato le nuove abitudini del coniuge, i ritardi, inconsueti per la sua indole, ma la California, non era l’Australia.

Il caos contro l’ordine, la follia, mista ad esagerazione, contro metodo e disciplina: almeno era a ciò, che il primogenito di Geffen l’aveva abituata, dopo la fuga a Sidney, dove avrebbero gettato le basi del loro futuro.

Ora la prospettiva era diversa e Sonia controllava l’orologio ogni cinque minuti: una novità, per lei.

Sbuffò, andandosene a dormire, con la tv accesa ed una pizza, avanzata a metà per Ricky, nel frigo, mal digerita.

Prese sonno più per questo, che per essersi rilassata.

Si sarebbe svegliata accanto a lui: ne era sicura.
O quasi.



https://www.youtube.com/watch?v=q9ayN39xmsI


I primi raggi di sole colpirono le iridi di Niall, appena giunto in ateneo.

Stava provando dei brividi lungo la spina dorsale, da quando era sceso dal bus: forse non si era coperto abbastanza.


Quei fasci dorati investirono anche Jared, nel medesimo attimo; il cantante stava facendo yoga su di una collina, lontano dal suo quotidiano, dove non trovava più alcuna ragione per sorridere, senza sentirsi un ipocrita, senza speranze.

Glam scostò di poco le tende, poi guardò Pamela, assopitasi vestita quanto lui, sopra un sofà, tra dvd e popcorn: si erano visti un film, poi un secondo, confidandosi, ridendo ed anche piangendo un po’, dopo essere rientrati a villa Meliti.

Il  maldido  posò un bacio lieve tra le sue ciocche corvine, sorrise e se ne andò.

L’aria nel parco, sapeva di buono, di primavera.

Geffen controllò i messaggi, poi provò a chiamare Jared, ma il suo cellulare risultò non raggiungibile.

Era vero.
Lui, non l’avrebbe  raggiunto mai, in alcun senso, seppure gli stesse vivendo dentro, anche in quel momento, di solitudine assoluta, per entrambi.


Taylor percorse con la punta delle dita, ogni piega e curva, dell’impronta lasciata dal corpo di Richard, andatosene via da ore.

Strinse le palpebre, annusando il cuscino, come un cucciolo, senza più punti di riferimento.

Era terribilmente felice.
E triste.


Sonia ebbe un sussulto.
Richard stava di nuovo parlando nel sonno.

Parole confuse, ma poi una risata leggera, bella, come la sua immagine, rimandata da uno specchio poco distante, mentre le dava la schiena.

Di nuovo un parlottio.

Un nome biascicato, poi un deglutire forzato, un’espressione più mesta.

Michael.

Il nome era quello, ne fu certa.
Strano.

Il collega di Ricky alla multinazionale, quel Michael, che lei incontrò ad un meeting della società, non poteva trattarsi che di lui, perché non ne conoscevano altri.

O forse no.
Chissà.      


Robert si stiracchiò, poi sbirciò l’espressione serena di Jude, rannicchiato accanto a lui: non si erano slacciati mai.

Sorrise.

“Ti amo Judsie …” – con la sua voce accarezzò il silenzio, così come il giorno, nelle sue tinte luminose, stava facendo con il profilo di Law.

Perfetto, una meraviglia.

Mai quanto i suoi opali, che si schiusero su Downey, sorprendendolo, perché il moro lo credeva ancora nel mondo dei sogni.

“Ti amo anch’io Robert … Tanto.”











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