Capitolo n. 119 – life
Appena li vide dallo
spioncino, Taylor perse un battito.
Aprì con il cuore in
gola e la gioia negli occhi lucidi all’improvviso – “Ciao Ricky, che bella
sorpresa … ehi principessa”
“Ciao amore … Abbiamo
finito presto dal pediatra, ora Veronica sta meglio” – e gliela passò, con
estrema dolcezza.
Kitsch la strinse sul
cuore, emozionato come mai prima di allora.
“Posso farle qualcosa,
del latte caldo forse?” – domandò trepidante, avanzando nel living.
“Ho tutto nel borsone”
– e se lo tolse, armeggiando con la lunga tracolla – “… sono sempre armato” –
rise, poi si guardò intorno – “E’ davvero una bomboniera qui … E’ tuo?”
“No, non posso
permettermelo, i prezzi di Los Angeles sono proibitivi per me, finché non avrò
un ingaggio a sei zeri” – spiegò con estrema serenità, mentre la piccola
giocava con i suoi capelli.
“Papà ha diversi
alloggi sfitti, in zone migliori e molto più spaziosi, che ne dici di
trasferirti? Gli chiederò di applicarti lo stesso affitto” – propose serio, dandogli
una carezza sulla schiena.
Taylor mentalmente
apprezzò quel modo di ragionare di Richard: se avesse provveduto lui, si
sarebbe sentito il più classico degli amanti, mantenuto e spedito a nascondersi
in qualche loft di lusso, a Malibu oppure West Hollywood.
Al tempo stesso, però,
forse a Ricky non piaceva entrare nelle stesse lenzuola, dove Taylor si era
divertito con Colin e Jude: il giovane doveva accettare la sua gelosia, anzi,
lo gratificava.
Così come lo sguardo
intenerito dell’architetto, mentre provava a cambiare Veronica.
“Oh mamma, sto facendo
un pasticcio”
“No, no vai benissimo”
– e gli baciò la spalla destra, mormorandogli – “… ti voglio da impazzire, non
penso ad altro, non ragiono più sai?” – e lo avvolse da dietro, continuando ad osservare
i suoi gesti impacciati, ma risoluti ad ottenere un buon risultato, mentre la
neonata sgambettava e rideva.
“Per me è lo stesso …”
– sussurrò, avvampando, l’attore.
“Le piaci … Come la
capisco” – e gli rise nel collo, dove posò un ulteriore bacio.
Uno dei tanti, quella
sera.
Geffen gli diede un
bacio casto sullo zigomo destro, dopo averlo riaccompagnato a casa.
“La prossima volta
chiamo un taxi, non volevo farti fare tardi Glam …” – disse in un soffio, la
mano sulla maniglia interna della portiera.
“Più che altro usa
l’auto” – sorrise pacato – “… e non quel catorcio di bici, con le gomme
perennemente bucate”
“Ho preso un chiodo” –
e tossì, rendendogli malvolentieri la giacca in renna, che l’avvocato gli aveva
imposto di indossare, prima di andarsene dal cottage.
“Ed anche del freddo,
vedo, sempre mezzo nudo te ne vai in giro, non sei più un ragazzino di
Woodstock” – lo canzonò, scompigliandogli i capelli, affettuoso.
Nessuno avrebbe mai
detto, che solo venti minuti prima, i due si erano consumati in un amplesso
quasi selvaggio, sul tappeto del soggiorno, in quel rifugio segreto e così caro
ai rispettivi cuori, da anni.
“Quella era roba per
te, dinosauro” – Jared gli fece una linguaccia, poi si appese al suo collo,
prima di un ultimo saluto – “Ti voglio bene Glam, a presto, fatti sentire dalla
Svizzera, ok?” – si congedò frettoloso, incapace di nascondere il proprio
pianto incipiente.
I
vetri scuri, stavano celando il loro amore.
“D’accordo Jay … A
presto …” – e lo trattenne per un polso, senza fargli male, non sarebbe
accaduto mai, del resto – “… Io ti amo …” – ed incollò le loro labbra, perché
quel sentimento era come un sigillo, inalterabile e che nessuno avrebbe
scalfito.
Mai.
Colin seguì i suoi
passi veloci nel viale del parco, poi lo sentì salire le scale di corsa e
chiudersi in bagno.
I getti della doccia
partirono dopo pochi secondi, così la musica ad alto volume.
L’irlandese si mise a
sedere sul letto, artigliando i bordi del materasso.
Aveva riconosciuto
l’hummer di Geffen, forse il legale aveva dato semplicemente un passaggio a
Jared e c’era una spiegazione anche per quel modo di rientrare alla End House,
da parte del cantante.
Scattò in piedi, appena
Leto abbassò lo stereo, quindi bussò.
“Tesoro tutto bene?” –
chiese turbato nel profondo.
“Ciao Cole, sei già
qui? Credevo giraste fino a tardi” – gli rispose il consorte, senza tradire
alcuna emozione particolare.
“No, è domani … Ti
porto fuori a cena, che ne dici?”
A quel punto, Jared si
palesò, schiudendo la porta – “Sono un po’ stanco … Ho forato e Glam mi ha dato
uno strappo sino a qui, anche se non poteva … Hai saputo di Jude?”
“Di Jude? No, cosa gli
è capitato?” – e controllò le e-mail sul palmare.
“Ti ha scritto?”
“Sì, c’è anche una
telefonata oh miseria …”
“E’ in partenza per
Ginevra, verrà ricoverato nella clinica, dove mi hanno fatto il ricambio del
sangue, ricordi?” – e passò in camera, tamponandosi le chiome fluenti.
“Come potrei
dimenticarmi quel periodo amore mio …?” – e lo abbracciò, dandogli poi un lungo
bacio.
L’acqua e le menzogne
di Leto, avevano portato via il sapore di Geffen.
Ancora una volta, Jared
si era salvato.
Robert gli rimboccò il
plaid in fondo ai piedi e Jude sorrise, allungato sopra il divano del loro
attico.
“La tempesta sull’oceano
sta passando, Glam ha detto che decolleremo all’alba” – lo aggiornò, in
evidente disagio.
La situazione di Law lo
faceva stare così male.
“Ok … A me piace il suo
chalet, è un luogo incantevole, le bimbe si divertiranno” – ed indicò le loro
principesse, in terrazza con Pam, che aveva preparato anche la cena.
La coppia preferì
averle lì e non alla villa del nonno, per spiegare a Dadi e Cami, come stavano
realmente le cose.
Raccontare bugie sullo
stato di salute di Jude era inutile.
“Vado a controllare il
forno” – disse a fiato corto Downey.
“Robert ehi … Vieni qui”
– Law gli tese le braccia, avvolgendolo a sé, un attimo dopo.
“Amore io … Non è
giusto …” – gli singhiozzò nel collo.
“Cosa Robert …?” –
sorrise amorevole, cullandolo – “… Non ho più vent’anni” – scherzò.
Si guardarono.
“Sì, ma”
“La diagnosi di Scott è
rassicurante, non credi?”
“Certo!” – replicò fermo
– “Ti rimetterai in men che non si dica!”
“Ovvio Holmes … Tu non
mi hai mai mentito …” – e lo baciò, intenso.
Erano talmente
innamorati, da incantare chiunque li guardasse, come Pamela, pronta a chiamarli
a tavola.
Così le loro figlie,
che corsero ad aggrovigliarsi a loro, partecipi di quell’emozione unica.
Suonarono.
Era Geffen.
“Ciao cica, mi hanno
detto che qui si mangia gratis, paella e tortini di riso”
“Olà maldido, appena in
tempo, sentivi l’aroma lungo le scale?” – la donna rise, facendolo accomodare.
“Come stanno Rob e
Jude?” – chiese sotto voce l’uomo, appendendo il trench nell’ingresso.
“Si fanno coraggio …
Robert sta morendo di paura, ad essere sinceri … Dovresti rassicurarlo:
nessuno, come fai tu, ci riuscirebbe” – e gli schiacciò un occhiolino complice,
spingendolo nel living.
“Buonasera a tutti”
L’accoglienza fu
calorosa.
Con l’arrivo di Glam,
sembrò che ogni cosa potesse sistemarsi.
Miracolosamente.
Vas, Peter, con Pepe e
Lula, arrivarono tre minuti dopo.
Pam aveva apparecchiato
all’aperto, usando colori vivaci ed accendendo una decina di candele e
lanterne.
L’atmosfera era di
festa, così i suoi piatti saporiti.
Nessuno sembrò più
malato.
La presenza di soldino,
poi, dava un tocco magico alla serata.
Nelle sue parole, chiunque
poteva trovare conforto ed i suoi auspici, su quel viaggio, furono dei
migliori.
Forse fingeva, pensò
Downey, al centro dell’attenzione e del sostegno morale, più che Jude, anch’egli
impegnato a confortarlo.
I bambini, in fondo,
erano cinque, intorno a quel desco imbandito e chiassoso di allegria e canzoni.
L’americano si mise
infine al pianoforte, mentre Glam filmava le esibizioni dei cuccioli, impegnati
a ballare sulle note di canzoni pop degli anni ottanta.
Era una festa.
Erano
tutti, un po’ pazzi.
Veronica si era
addormentata senza fare capricci, nel suo trasportino.
Richard l’aveva
sistemata su di una poltrona, tra mille cuscini, al principio della scala, che
portava al soppalco, dove si era spogliato senza perdere tempo, prima di
raggiungere Taylor a letto.
Il
tempo: non ne aveva a più sufficienza per accontentare
tutti e, ben presto, avrebbe anche esaurito le scuse, per giustificare un’assenza
troppo prolungata, prima di tornare da Sonia.
La moglie aveva notato
le nuove abitudini del coniuge, i ritardi, inconsueti per la sua indole, ma la
California, non era l’Australia.
Il caos contro l’ordine,
la follia, mista ad esagerazione, contro metodo e disciplina: almeno era a ciò,
che il primogenito di Geffen l’aveva abituata, dopo la fuga a Sidney, dove
avrebbero gettato le basi del loro futuro.
Ora la prospettiva era
diversa e Sonia controllava l’orologio ogni cinque minuti: una novità, per lei.
Sbuffò, andandosene a
dormire, con la tv accesa ed una pizza, avanzata a metà per Ricky, nel frigo,
mal digerita.
Prese sonno più per
questo, che per essersi rilassata.
Si sarebbe svegliata
accanto a lui: ne era sicura.
O
quasi.
https://www.youtube.com/watch?v=q9ayN39xmsI
I primi raggi di sole
colpirono le iridi di Niall, appena giunto in ateneo.
Stava provando dei
brividi lungo la spina dorsale, da quando era sceso dal bus: forse non si era
coperto abbastanza.
Quei fasci dorati
investirono anche Jared, nel medesimo attimo; il cantante stava facendo yoga su
di una collina, lontano dal suo quotidiano, dove non trovava più alcuna ragione
per sorridere, senza sentirsi un ipocrita, senza speranze.
Glam scostò di poco le
tende, poi guardò Pamela, assopitasi vestita quanto lui, sopra un sofà, tra dvd
e popcorn: si erano visti un film, poi un secondo, confidandosi, ridendo ed
anche piangendo un po’, dopo essere rientrati a villa Meliti.
Il maldido posò un bacio lieve tra le sue ciocche
corvine, sorrise e se ne andò.
L’aria nel parco,
sapeva di buono, di primavera.
Geffen controllò i
messaggi, poi provò a chiamare Jared, ma il suo cellulare risultò non
raggiungibile.
Era
vero.
Lui, non l’avrebbe raggiunto
mai, in alcun senso, seppure gli stesse vivendo dentro, anche in quel
momento, di solitudine assoluta, per entrambi.
Taylor percorse con la
punta delle dita, ogni piega e curva, dell’impronta lasciata dal corpo di
Richard, andatosene via da ore.
Strinse le palpebre,
annusando il cuscino, come un cucciolo, senza più punti di riferimento.
Era terribilmente
felice.
E
triste.
Sonia ebbe un sussulto.
Richard stava di nuovo
parlando nel sonno.
Parole confuse, ma poi
una risata leggera, bella, come la sua immagine, rimandata da uno specchio poco
distante, mentre le dava la schiena.
Di nuovo un parlottio.
Un nome biascicato, poi
un deglutire forzato, un’espressione più mesta.
Michael.
Il nome era quello, ne
fu certa.
Strano.
Il collega di Ricky
alla multinazionale, quel Michael, che lei incontrò ad un meeting della
società, non poteva trattarsi che di lui, perché non ne conoscevano altri.
O forse no.
Chissà.
Robert si stiracchiò,
poi sbirciò l’espressione serena di Jude, rannicchiato accanto a lui: non si
erano slacciati mai.
Sorrise.
“Ti amo Judsie …” – con
la sua voce accarezzò il silenzio, così come il giorno, nelle sue tinte luminose,
stava facendo con il profilo di Law.
Perfetto, una
meraviglia.
Mai quanto i suoi
opali, che si schiusero su Downey, sorprendendolo, perché il moro lo credeva
ancora nel mondo dei sogni.
“Ti
amo anch’io Robert … Tanto.”
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