Capitolo n. 123 – life
Leto barcollò sino alla
blindata, senza neppure controllare dallo spioncino, chi avesse suonato.
Era Farrell.
“Ehi … e tu cosa ci fai
qui? Già finito di lavorare con il tuo pivello?” – biascicò, aggrappandosi al
maniglione in acciaio satinato.
“Cristo Jared, ma cosa …?!”
– e l’irlandese fece appena in tempo a sorreggerlo, senza finire la frase,
prima che il marito rovinasse giù per gli scalini, che dividevano l’ingresso
dal living in penombra.
L’artista non aveva
alzato completamente le tapparelle elettroniche, limitandosi ad accendere
diverse candele ovunque ed un abatjour Tiffany, dono del fratello, di ritorno
da un viaggio in terra di Francia.
Un oggetto inusuale per
quel mastino di Shannon, come lo apostrofò Jared, ringraziandolo per il
pensiero.
Tempi lontani.
Sbiaditi.
Come la bellezza di
Jared, che stava sfiorendo, minacciata dagli eccessi, in cui era ricaduto da
qualche settimana.
Pasti saltati, vitamine
al posto del cibo, alcolici ad ogni orario del giorno e della notte, lontano
dalla vista di chi gli voleva bene e qualche sonnifero, per rifugiarsi in un
oblio, dove non era costretto ad ascoltare più nulla.
E nessuno.
Come ora stava
accadendo con Farrell, sbigottito davanti a quel suo stato penoso.
Jared era stato bravo a
fingere, in sua presenza, con i figli, i parenti.
Eppure tutto gli moriva
dentro, perché nulla lo rendeva più felice e motivato a stare nel mondo.
Un mondo senza Glam
Geffen, che stava diventando un’ossessione per lui.
Del resto neppure in
sua compagnia, Leto si sentiva più a suo agio.
Era come una forzatura,
un contentino, che l’uomo gli concedeva, forse per farlo stare zitto, per non
sentirsi dire quanto avessero fallito entrambi, almeno a livello sentimentale.
Colin si fece forza, perché
teneva ancora alle reciproche promesse.
Almeno alle proprie.
“Tesoro vieni,
stenditi, tanto che preparo un caffè, ok?” – disse sconvolto, adagiandolo sul
divano.
“Ma perché sei qui …?
Come mi hai trovato …?” – cominciò a piangere, in una sbornia triste, dalle
tinte amare.
“Me l’ha scritto
Robert, in un sms” – rivelò senza remore.
“Quello non si fa mai i
cazzi suoi … mai … è … è uno stronzo, come … come il suo degno compare … Ti ricordi,
Cole, quando mi dava della puttana, il tuo adorato UK buddy??!” – e rise
sguaiato, provando a raggiungere con la mano destra, la bottiglia di tequila
semi vuota e lasciata sul tavolino del salotto.
Farrell la afferrò,
vuotandone il contenuto nel lavandino, con rabbia, ma determinazione.
“Che fai, era l’ultima!!”
– gli urlò tra le scapole il coniuge, dopo essere avanzato verso di lui come un
fantoccio, pronto a cadere di nuovo.
Quando in realtà, era
precipitato già del tutto.
“Dio, sembra di essere
tornati indietro nel tempo, sai Jay? Solo che c’ero io al posto tuo e solo
standomene, ora, da questa parte, mi rendo conto di quanto sia svilente aiutare
qualcuno che non ne vuole sapere di essere salvato, miseria schifosa!” – sbottò,
riportandolo ad accomodarsi, aggrappato a lui.
“Mi … mi dispiace Colin
… Ma devo dirti una cosa …” – singhiozzò inerme, senza staccarsi dal suo collo,
appeso a lui come un bambino impaurito.
“Il motivo per il quale
ti stai riducendo in questo modo?” – mormorò l’attore, esausto, ma allo stesso
modo timoroso nel dovere ascoltare, ciò che già immaginava.
Leto annuì.
“Non … non ne uscirò
mai … Come quando mi drogavo, la sensazione è quella” – ammise, senza più
difese ed improvvisamente lucido.
“Glam …”
E fu un sussurro,
quello di Farrell, anche di rassegnazione.
“Abbiamo ricominciato a
frequentarci”
“Forse … Forse esisteva
ancora, sai, un briciolo di me, che avrebbe voluto non crederci, dandoti
fiducia Jared” – la voce gli tremò, mentre si rialzava, facendosi scivolare da
dosso il sembiante esile ed emaciato del compagno, che non aveva mai smesso di
guardarlo, gli zaffiri sgranati e tremuli, come una goccia di rugiada, che non
si decide a cadere dal fiore, al quale si sente legata da una simbiosi inspiegabile.
Come il loro amore,
sopravvissuto a troppi temporali.
Ad autentiche tempeste,
ad essere obiettivi.
“Non c’è più niente, in
te, Jay, che merita di essere considerato, se dopo quanto abbiamo vissuto e
condiviso, rimani ancora così legato a Glam Geffen, se ci fai l’amore, quando
io sono al lavoro oppure in ogni fottuto posto, lontano da te!” – e sul finire,
il tono si alzò, come il ribollire del sangue, che Colin si sentiva scorrere
dalle tempie al collo.
Gli mancava l’aria e si
affrettò ad ingerire una micro capsula, che teneva sempre nelle tasche dei
jeans, per gli sbalzi di pressione, così dannosi per chi, come lui, aveva
superato un ictus davvero grave.
Peccato non esserci
riusciti anche con Jared Joseph Leto, con il dolore che unicamente quest’ultimo,
sapeva provocargli, ad una profondità tangibile, per quanto faceva male.
Come in quel preciso
momento.
Il bussare, in
principio, fu lieve, poi più deciso, visto che nessuno, evidentemente, aveva
sentito il suono della campana, che Ruffalo aveva usato, per farsi accogliere
nello chalet di Geffen.
Fu lui ad aprirgli.
Mark aveva la barba
incolta, lo sguardo stanco, per il jet lag, ma anche l’aria di chi non si
sarebbe arreso facilmente, senza parlare con Kevin.
Ci fu un attimo di
silenzio imbarazzato, ma anche contemplativo, da parte di Glam.
“Hai fatto un viaggio a
vuoto, professore, anche se la tua mossa è di grande effetto” – e lo fece
accomodare.
“Lui dov’è?” – chiese secco
l’ex infermiere, guardandosi intorno.
L’enorme camino in
pietra era acceso e scoppiettante, sulle poltrone i bimbi sonnecchiavano,
avvolti in plaid scozzesi, con la tv accesa su di un canale di cartoni, che
ormai nessuno più seguiva, da almeno mezz’ora.
Le luci erano spente,
tranne i faretti nei corridoi laterali e lungo la massiccia scala a chiocciola,
in legno tinta miele, che portava ai piani superiori.
Fuori pioveva.
“Ti accompagno da
Kevin, così la facciamo finita subito” – replicò scuro in volto il legale,
facendogli strada – “E’ in mansarda, sta componendo un pezzo alla chitarra, si
distrae così, è una sua abitudine”
“Lo so” – disse mesto
Ruffalo, tallonandolo.
Jared si stava
tormentando i polsi, con le dita frenetiche e gelide, senza avere più il
coraggio di sostenere lo sguardo severo, ma sconfitto, di Farrell.
“Ho tanta … tanta
paura, sai …?” – riuscì a dire flebile, ma Colin non si mosse, in piedi a pochi
passi da lui, sprofondato tra cuscini tinta porpora e nei suoi sensi di colpa.
“No, tu non ne hai mai
avuta, Jay, di perdere me od i nostri figli, questa è la verità: sapevi che
sarei puntualmente tornato, che avrei ceduto, che ti avrei perdonato!”
“Io … io l’ho fatto
Cole … sempre” – e due lacrime gli
segnarono gli zigomi scarni.
“Questo non è un
bilancio, non costringermi a rivangare certi periodi, ma se davvero vuoi
saperlo, la maggiore parte delle volte eri TU a spingermi tra le braccia di
altri!” – ribatté chiudendo i pugni.
Leto annuì debole, la
vista offuscata, non solo dal pianto.
Ora le sue falangi
sottili, erano salite agli avambracci, come in un raccogliersi e chiudersi,
verso ciò che stava succedendo.
“Ok … Rimarrò qui … Non
ti disturberò, non … non esisterò più Cole, se non per i bambini, spero …” – e deglutì
a vuoto, tornando a scrutarlo – “… spero tu non vorrai negarmi di vederli ed
accudirli”
“Come potrei …?” – e si
sentì venire meno, perché, nonostante il tormento interiore, Jared non era mai
mancato ad una recita, una vaccinazione, un colloquio a scuola, una gita,
quando Farrell, al contrario, era impegnato più che mai su nuovi set.
Probabilmente anche la
carenza di ingaggi, per Leto, era stato un fattore determinante in quella sua
crisi esistenziale o almeno così volle giustificarlo mentalmente il consorte,
in quel frangente così drammatico ed all’apparenza senza soluzione alcuna.
“Po potresti dire loro
che … che li vedrò domani o dopo, magari tra qualche giorno, quando starò
meglio? Potresti farlo, Cole?” – domandò senza enfasi, con una dignità
ritrovata, quando si trattava del suo ruolo di genitore, ineccepibile.
Farrell si strofinò la
faccia tirata e vermiglia, con la voglia di spaccare ogni cosa si trovasse nel
raggio di pochi metri.
Ogni cosa, ma non la
più preziosa esistesse ancora per il suo cuore provato.
Meglio andarsene,
andare via da lì, accettando la sconfitta più cocente, dopo la stupida e
perpetrata illusione di avere Jared tutto per sé, dopo infinite e logoranti
battaglie, a volte vinte, a volte perse.
“Vuoi il divorzio,
Colin?”
Con quella richiesta,
improvvisa, Farrell ebbe come un sussulto, come se si ridestasse da un catarsi
dolente ed oscuro: per lui, il leader dei Mars, restava un punto di
riferimento, anche quando non c’era o lo abbandonava o lo tradiva.
Era un rimescolio di
riflessioni, di sensazioni scomode ed ingombranti, che ormai si stavano addensando
come le nubi di un uragano, nella sua testa confusa e smarrita.
“Non lo so … non dire
stronzate” – sibilò, a corto di ossigeno, la sua figura ormai rivolta verso l’uscita,
le gambe che se ne fuggivano da sole, come alla disperata ricerca di una via di
fuga.
Di una salvezza
insperata.
Un secondo dopo, il
tonfo della porta, inondò l’ambiente di un rumore molesto.
Fu la volta di Leto di
percepire una sorta di scossa, come se avesse ricevuto uno schiaffo alla nuca.
Chiuse le palpebre,
pervaso da un gelo, che gli arrivò nelle ossa, cristallizzandolo in quell’istante,
in cui aveva perduto Colin.
Provò nausea, un
capogiro, forse sarebbe svenuto e sarebbe stata la cosa migliore, riuscì
persino a pensarlo.
A
crederlo.
Mentre invece gli
sarebbe sembrato impossibile, percepire un calore, intorno al busto tatuato,
contro la propria schiena e poi via via dappertutto, avvolto dalla presa virile
e disperata di Colin, che non se ne era andato affatto.
Il suo ragazzo di
Dublino, aveva aperto e poi sbattuto quella barriera, senza varcare la soglia,
oltre la quale non avrebbe più avuto l’istinto di tornare indietro da Jared,
dominato dalla razionalità e dal buon senso, di porre fine ad un rapporto così
deleterio per entrambi, a volere essere realistici.
Eppure essere folli,
nel restare in quella tortuosa spirale di sentimenti, gli apparve come l’unico
vero senso, da donare alle loro vite.
“Sono così innamorato
di te Jay … Così maledettamente innamorato di te, accidenti” – gli respirò e
pianse nella bocca, mentre lo cullava, sotto ad una coperta, restando vestiti,
ma intrecciati, di nuovo.
Senza alcuna garanzia che sarebbe durato per
sempre.
COLIN FARRELL IN CANNES 2015
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