giovedì 21 maggio 2015

LIFE - CAPITOLO N. 123

Capitolo n. 123 – life



Leto barcollò sino alla blindata, senza neppure controllare dallo spioncino, chi avesse suonato.

Era Farrell.

“Ehi … e tu cosa ci fai qui? Già finito di lavorare con il tuo pivello?” – biascicò, aggrappandosi al maniglione in acciaio satinato.

“Cristo Jared, ma cosa …?!” – e l’irlandese fece appena in tempo a sorreggerlo, senza finire la frase, prima che il marito rovinasse giù per gli scalini, che dividevano l’ingresso dal living in penombra.

L’artista non aveva alzato completamente le tapparelle elettroniche, limitandosi ad accendere diverse candele ovunque ed un abatjour Tiffany, dono del fratello, di ritorno da un viaggio in terra di Francia.

Un oggetto inusuale per quel mastino di Shannon, come lo apostrofò Jared, ringraziandolo per il pensiero.

Tempi lontani.
Sbiaditi.

Come la bellezza di Jared, che stava sfiorendo, minacciata dagli eccessi, in cui era ricaduto da qualche settimana.

Pasti saltati, vitamine al posto del cibo, alcolici ad ogni orario del giorno e della notte, lontano dalla vista di chi gli voleva bene e qualche sonnifero, per rifugiarsi in un oblio, dove non era costretto ad ascoltare più nulla.

E nessuno.

Come ora stava accadendo con Farrell, sbigottito davanti a quel suo stato penoso.


Jared era stato bravo a fingere, in sua presenza, con i figli, i parenti.

Eppure tutto gli moriva dentro, perché nulla lo rendeva più felice e motivato a stare nel mondo.

Un mondo senza Glam Geffen, che stava diventando un’ossessione per lui.
Del resto neppure in sua compagnia, Leto si sentiva più a suo agio.

Era come una forzatura, un contentino, che l’uomo gli concedeva, forse per farlo stare zitto, per non sentirsi dire quanto avessero fallito entrambi, almeno a livello sentimentale.

Colin si fece forza, perché teneva ancora alle reciproche promesse.
Almeno alle proprie.


“Tesoro vieni, stenditi, tanto che preparo un caffè, ok?” – disse sconvolto, adagiandolo sul divano.

“Ma perché sei qui …? Come mi hai trovato …?” – cominciò a piangere, in una sbornia triste, dalle tinte amare.

“Me l’ha scritto Robert, in un sms” – rivelò senza remore.

“Quello non si fa mai i cazzi suoi … mai … è … è uno stronzo, come … come il suo degno compare … Ti ricordi, Cole, quando mi dava della puttana, il tuo adorato UK buddy??!” – e rise sguaiato, provando a raggiungere con la mano destra, la bottiglia di tequila semi vuota e lasciata sul tavolino del salotto.

Farrell la afferrò, vuotandone il contenuto nel lavandino, con rabbia, ma determinazione.

“Che fai, era l’ultima!!” – gli urlò tra le scapole il coniuge, dopo essere avanzato verso di lui come un fantoccio, pronto a cadere di nuovo.

Quando in realtà, era precipitato già del tutto.

“Dio, sembra di essere tornati indietro nel tempo, sai Jay? Solo che c’ero io al posto tuo e solo standomene, ora, da questa parte, mi rendo conto di quanto sia svilente aiutare qualcuno che non ne vuole sapere di essere salvato, miseria schifosa!” – sbottò, riportandolo ad accomodarsi, aggrappato a lui.


“Mi … mi dispiace Colin … Ma devo dirti una cosa …” – singhiozzò inerme, senza staccarsi dal suo collo, appeso a lui come un bambino impaurito.

“Il motivo per il quale ti stai riducendo in questo modo?” – mormorò l’attore, esausto, ma allo stesso modo timoroso nel dovere ascoltare, ciò che già immaginava.

Leto annuì.

“Non … non ne uscirò mai … Come quando mi drogavo, la sensazione è quella” – ammise, senza più difese ed improvvisamente lucido.

“Glam …”

E fu un sussurro, quello di Farrell, anche di rassegnazione.

“Abbiamo ricominciato a frequentarci”

“Forse … Forse esisteva ancora, sai, un briciolo di me, che avrebbe voluto non crederci, dandoti fiducia Jared” – la voce gli tremò, mentre si rialzava, facendosi scivolare da dosso il sembiante esile ed emaciato del compagno, che non aveva mai smesso di guardarlo, gli zaffiri sgranati e tremuli, come una goccia di rugiada, che non si decide a cadere dal fiore, al quale si sente legata da una simbiosi inspiegabile.

Come il loro amore, sopravvissuto a troppi temporali.
Ad autentiche tempeste, ad essere obiettivi.


“Non c’è più niente, in te, Jay, che merita di essere considerato, se dopo quanto abbiamo vissuto e condiviso, rimani ancora così legato a Glam Geffen, se ci fai l’amore, quando io sono al lavoro oppure in ogni fottuto posto, lontano da te!” – e sul finire, il tono si alzò, come il ribollire del sangue, che Colin si sentiva scorrere dalle tempie al collo.

Gli mancava l’aria e si affrettò ad ingerire una micro capsula, che teneva sempre nelle tasche dei jeans, per gli sbalzi di pressione, così dannosi per chi, come lui, aveva superato un ictus davvero grave.

Peccato non esserci riusciti anche con Jared Joseph Leto, con il dolore che unicamente quest’ultimo, sapeva provocargli, ad una profondità tangibile, per quanto faceva male.

Come in quel preciso momento.




Il bussare, in principio, fu lieve, poi più deciso, visto che nessuno, evidentemente, aveva sentito il suono della campana, che Ruffalo aveva usato, per farsi accogliere nello chalet di Geffen.

Fu lui ad aprirgli.

Mark aveva la barba incolta, lo sguardo stanco, per il jet lag, ma anche l’aria di chi non si sarebbe arreso facilmente, senza parlare con Kevin.

Ci fu un attimo di silenzio imbarazzato, ma anche contemplativo, da parte di Glam.

“Hai fatto un viaggio a vuoto, professore, anche se la tua mossa è di grande effetto” – e lo fece accomodare.

“Lui dov’è?” – chiese secco l’ex infermiere, guardandosi intorno.

L’enorme camino in pietra era acceso e scoppiettante, sulle poltrone i bimbi sonnecchiavano, avvolti in plaid scozzesi, con la tv accesa su di un canale di cartoni, che ormai nessuno più seguiva, da almeno mezz’ora.

Le luci erano spente, tranne i faretti nei corridoi laterali e lungo la massiccia scala a chiocciola, in legno tinta miele, che portava ai piani superiori.

Fuori pioveva.

“Ti accompagno da Kevin, così la facciamo finita subito” – replicò scuro in volto il legale, facendogli strada – “E’ in mansarda, sta componendo un pezzo alla chitarra, si distrae così, è una sua abitudine”

“Lo so” – disse mesto Ruffalo, tallonandolo.




Jared si stava tormentando i polsi, con le dita frenetiche e gelide, senza avere più il coraggio di sostenere lo sguardo severo, ma sconfitto, di Farrell.

“Ho tanta … tanta paura, sai …?” – riuscì a dire flebile, ma Colin non si mosse, in piedi a pochi passi da lui, sprofondato tra cuscini tinta porpora e nei suoi sensi di colpa.

“No, tu non ne hai mai avuta, Jay, di perdere me od i nostri figli, questa è la verità: sapevi che sarei puntualmente tornato, che avrei ceduto, che ti avrei perdonato!”

“Io … io l’ho fatto Cole … sempre” – e due lacrime gli segnarono gli zigomi scarni.

“Questo non è un bilancio, non costringermi a rivangare certi periodi, ma se davvero vuoi saperlo, la maggiore parte delle volte eri TU a spingermi tra le braccia di altri!” – ribatté chiudendo i pugni.

Leto annuì debole, la vista offuscata, non solo dal pianto.
Ora le sue falangi sottili, erano salite agli avambracci, come in un raccogliersi e chiudersi, verso ciò che stava succedendo.

“Ok … Rimarrò qui … Non ti disturberò, non … non esisterò più Cole, se non per i bambini, spero …” – e deglutì a vuoto, tornando a scrutarlo – “… spero tu non vorrai negarmi di vederli ed accudirli”

“Come potrei …?” – e si sentì venire meno, perché, nonostante il tormento interiore, Jared non era mai mancato ad una recita, una vaccinazione, un colloquio a scuola, una gita, quando Farrell, al contrario, era impegnato più che mai su nuovi set.

Probabilmente anche la carenza di ingaggi, per Leto, era stato un fattore determinante in quella sua crisi esistenziale o almeno così volle giustificarlo mentalmente il consorte, in quel frangente così drammatico ed all’apparenza senza soluzione alcuna.


“Po potresti dire loro che … che li vedrò domani o dopo, magari tra qualche giorno, quando starò meglio? Potresti farlo, Cole?” – domandò senza enfasi, con una dignità ritrovata, quando si trattava del suo ruolo di genitore, ineccepibile.

Farrell si strofinò la faccia tirata e vermiglia, con la voglia di spaccare ogni cosa si trovasse nel raggio di pochi metri.

Ogni cosa, ma non la più preziosa esistesse ancora per il suo cuore provato.

Meglio andarsene, andare via da lì, accettando la sconfitta più cocente, dopo la stupida e perpetrata illusione di avere Jared tutto per sé, dopo infinite e logoranti battaglie, a volte vinte, a volte perse.

“Vuoi il divorzio, Colin?”
Con quella richiesta, improvvisa, Farrell ebbe come un sussulto, come se si ridestasse da un catarsi dolente ed oscuro: per lui, il leader dei Mars, restava un punto di riferimento, anche quando non c’era o lo abbandonava o lo tradiva.

Era un rimescolio di riflessioni, di sensazioni scomode ed ingombranti, che ormai si stavano addensando come le nubi di un uragano, nella sua testa confusa e smarrita.

“Non lo so … non dire stronzate” – sibilò, a corto di ossigeno, la sua figura ormai rivolta verso l’uscita, le gambe che se ne fuggivano da sole, come alla disperata ricerca di una via di fuga.

Di una salvezza insperata.

Un secondo dopo, il tonfo della porta, inondò l’ambiente di un rumore molesto.

Fu la volta di Leto di percepire una sorta di scossa, come se avesse ricevuto uno schiaffo alla nuca.

Chiuse le palpebre, pervaso da un gelo, che gli arrivò nelle ossa, cristallizzandolo in quell’istante, in cui aveva perduto Colin.

Provò nausea, un capogiro, forse sarebbe svenuto e sarebbe stata la cosa migliore, riuscì persino a pensarlo.

A crederlo.

Mentre invece gli sarebbe sembrato impossibile, percepire un calore, intorno al busto tatuato, contro la propria schiena e poi via via dappertutto, avvolto dalla presa virile e disperata di Colin, che non se ne era andato affatto.

Il suo ragazzo di Dublino, aveva aperto e poi sbattuto quella barriera, senza varcare la soglia, oltre la quale non avrebbe più avuto l’istinto di tornare indietro da Jared, dominato dalla razionalità e dal buon senso, di porre fine ad un rapporto così deleterio per entrambi, a volere essere realistici.

Eppure essere folli, nel restare in quella tortuosa spirale di sentimenti, gli apparve come l’unico vero senso, da donare alle loro vite.

“Sono così innamorato di te Jay … Così maledettamente innamorato di te, accidenti” – gli respirò e pianse nella bocca, mentre lo cullava, sotto ad una coperta, restando vestiti, ma intrecciati, di nuovo.

 Senza alcuna garanzia che sarebbe durato per sempre.












 COLIN FARRELL IN CANNES 2015







Nessun commento:

Posta un commento