giovedì 26 maggio 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 64

Capitolo n. 64 – nakama



Bastò una sola occhiata, per farli allontanare dagli studi televisivi, di L.A. News, senza che nessuno badasse loro.

L’assistente alla regia, che Louis aveva puntato, aveva poca esperienza ed era lì per uno stage non pagato.
Molto più interessante cercarsi un angolo tranquillo, dove fare una conoscenza approfondita e fugace, di quel giovane avvenente, che, forse, un tempo era stato anche più bello, di quanto Boo apparisse ora, a chi lo circondava.

Tutti sembravano fantasmi senza nome.
Anche il giovanotto palestrato, che lo aveva piegato e violato, con foga, contro ad un lavello, in una sorta di sgabuzzino.
Un posto squallido, come quanto stava succedendo.

Tutto tremolava intorno, dallo specchio logoro sugli angoli metallizzati e opachi, al cestino stracolmo di salviette usate e stropicciate: buttate via.

Quanto Louis.




“Dov’ero finito?”
Geffen glielo chiese distrattamente, sulla via del ritorno verso Palm Springs.

“Ero andato fuori, a fumare” – rispose Boo, assorto.

Erano soli, sulla fuoriserie dell’avvocato.

“Forse volevi restare in città …”

“No, preferisco così, te l’ho detto Glam” – aggiunse un po’ infastidito.

“Come vanno le cose con Arthur?”

“Quali cose? Scopiamo e basta” – e si accese l’ennesima sigaretta, buttando fuori dal finestrino il fumo, che gli stava irritando gli occhi già lucidi.

“Dovremmo parlarne, invece, sai Boo?”

“Che hai, eh Glam? Il caro JJ ti ha rimproverato? Vuole scegliere lui, per me, chi deve sbattermi o comprarmi regali?” – e rise alienato.
Quella non era di sicuro una Camel.

Geffen si ossigenò – “Jared non centra niente, ok?”

“Allora lasciami in pace e se non vuoi più vedermi, basta dirlo, troverò un’alternativa!” – e si rannicchiò sul sedile, dandogli le spalle, esile e sfinito.

Stava scomparendo.
In ogni senso.

Geffen cambiò direzione, alla prima rotonda.

“Perché torniamo indietro?” – chiese smarrito Tomlinson, rendendosi conto della manovra del suo amante.

“Ho una riunione domani, l’avevo scordato: ti lascio dal nonno, tanto c’è Petra, si stanno preparando per la cerimonia, dovresti saperlo” – bissò asciutto l’uomo, concentrato dalla strada trafficata.

“Certo che lo so … Petra mi ha fatto una testa così, per il vestito, il cesto con i petali di rosa … Come quando ci siamo sposati io e”

Poi tutto si spezzò, nella sua voce, nel suo addome: si sentì così sporco.
Così inadeguato.

“Sì i nostri bambini fanno sempre così … Partecipano e plaudono ai nostri matrimoni: per fortuna li risparmiamo dai relativi divorzi” – affermò acre il più anziano.

Poi gli diede una carezza sulla nuca – “Non volevo offenderti Louis, ma sono un po’ stanco …”

“Non di me, spero” – e gli diede un bacio caldo, nel collo taurino.

“No, assolutamente no.”




Keller concluse la propria relazione sulle industrie farmaceutiche Halls, con una battuta, alla quale risero tutti, Geffen per primo.

“Bene, abbiamo segnato il punto anche in questa causa, grazie Arthur” – Glam inforcò gli occhialini da lettura, mentre si complimentava, sfogliando ulteriori fascicoli – “… ora se Hopper volesse aggiornarci sulla fusione tra”

Il suo discorso fu interrotto bruscamente da qualcuno, che si palesò in maniera grossolana, nonostante il tentativo di Flora di fermarlo.

Era Tomlinson.
Palesemente e vergognosamente ubriaco fradicio.

“Quanta bella gente!” – esordì, con una risata farfugliata e irritante.

“Louis?!” – Geffen scattò in piedi, mentre Keller avvampava, in pieno imbarazzo, anche se nessuno degli astanti era a conoscenza della sua tresca con Boo.

Il ragazzo si schiantò contro la parete, strofinandosi la faccia stravolta – “… l’ha … l’ha messa incinta … quella stronza è … è incinta del mio Harry” – e scoppiò a piangere, crollando sul parquet, come un fantoccio.

Arthur non esitò a soccorrerlo, portandolo via, verso l’appartamento annesso allo studio legale.

Glam lo seguì due minuti dopo.


Keller stava preparando del caffè, quando il suo socio varcò la soglia di quel bilocale, arredato in stile moderno e impersonale.

“Dov’è?” – chiese brusco Geffen, fermandosi al centro della minuscola cucina.

“Di là, sul letto, dove se no?” – ribatté acre, senza girarsi.

“Cosa ti prende Arthur?”

“Mi prende che è uno schifo, ok?!” – e si voltò, con veemenza.

Glam si tolse la giacca – “Lo so perfettamente” – disse più calmo.

“L’ha saputo da Petra … Che presto avrà un fratellino o una sorellina” – rivelò mortificato, mentre versava una brodaglia maleodorante, in una tazza azzurro cielo.

“Era meglio se usavi la moka” – mormorò Geffen, con un sorriso amichevole.

“Era meglio se mi trasferivo a Chicago”

“Oh sì Arthur, bel progetto, un po’ passato in cavalleria o sbaglio?”

“Quelli della McKenzie and Bart mi assumerebbero anche adesso, se solo lo volessi, ok?”

“E cosa è che vuoi, posso saperlo?!” – sibilò Geffen, provvedendo lui a fare un ottimo espresso.

Keller prese fiato – “Tu ed io non abbiamo mai litigato e non lo faremo per Louis o per la mia omosessualità repressa: per questo ci sono gli analisti”

“Che stronzata … Per questo ci sono gli amici, ok?”

“Ok …” – replicò rassegnato, cercando poi nel mobile qualcosa da mangiare, più per sé, che per Boo, spuntato all’improvviso.

“Tesoro” – lo accolse spontaneo Glam, turbato per le sue condizioni.

“Lui mi ha davvero dimenticato … Adesso mi è chiaro” – affermò più presente a sé stesso.
Aveva vomitato anche l’anima, senza che loro neppure se ne accorgessero.
Si era liberato dall’alcol, ma non dal suo tormento più recondito.

“Louis dobbiamo fare qualcosa di concreto, ok? Un breve periodo alla Foster, vedrai che ti rimetterai”

“No Glam … Non voglio ricoverarmi … Io voglio Harry!!” – esplose, perdendo poi i sensi.

Le grida di Keller gli arrivarono distanti, così le imprecazioni di Geffen, che non esitò a cercare Scott.

Come se potesse servire.




Rovia riordinò le poche cose di Bea e Baby, dentro i loro bagagli, con estrema cura, provando a non ascoltare l’ennesima discussione, che Norman stava avendo al telefono, con la ex.

Luna, la sera prima alle giostre, aveva invitato le cucciole di Reedus ad aggregarsi al corteo di damigelle, per le nozze dei genitori, non senza qualche perplessità, da parte dell’ex tenente della narcotici, che abbozzò un assenso tiepido, giusto per accontentarle.

Paul era anche uscito presto, per una commissione misteriosa, nella speranza non tanto che il compagno cambiasse idea, ma che Sara non facesse il solito casino.
Come stava avvenendo, in effetti.

Norman riattaccò mandandola al diavolo, poi uscì dalla cabina armadio, dove si era rifugiato, distante dal living, dove Bea e Sandra stavano giocando.

“Dice che così le rovino! Ti pare possibile!?” – sbottò inferocito.

Rovia perse un battito – “In che senso scusa?”

“Nel senso che … Ma lasciamo perdere!”

“No” – replicò fermo, reggendo il suo sguardo.

“Paul non si ragiona con questa, ok?”

“Cosa ha detto, voglio saperlo”

“Ha detto che quella cricca di arricchiti, è un covo di depravati, mafiosi e finocchi, uno schifo, per lei, totale!” – confessò senza nascondergli nulla.

Rovia si morse le labbra – “Però l’avvocato di Sara, quando è stato stabilito l’assegno di mantenimento, non ha esitato a sottolineare che tu avevi una relazione con il sottoscritto, schifosamente ricco, così da permetterti l’emissione di una cifra assai più alta, ogni mese, anche per sopperire al suo trauma, di moglie tradita e abbandonata per uno come me, giusto?”

C’era un’estrema dignità, nei suoi occhi, nelle sue affermazioni schiette e incontrovertibili.

Reedus annuì – “Cazzo se hai ragione, piccolo, ora mi sente” – ringhiò aspro.

“No, la chiama io papà”
Bea era sbucata dal nulla, con il telefonino tra le dita minuscole e perfette.
Con le stesse compose il numero di casa, seguita in quell’iniziativa dallo stupore silenzioso della coppia, rimasta senza parole.

“Ciao mamma, sì sono io … Era per gli zii Chris e Tom, Baby e io vogliamo andarci, al loro matrimonio, perché sono sempre stati buoni con noi, come papi e Paul, ok?”

Un sorriso e poi riattaccò.

“Cavoli …” – disse stranito Norman, mentre Rovia se ne stava con la mano sinistra sulla bocca, con il cuore in gola, quasi tremando per l’emozione.

Beatrice gli si avvicinò – “Tanto lo so che ci hai comprato i vestiti e volevo ringraziarti Paul: posso chiamarti così? Perché non sei il fratello di papà, non sei uno zio, sei il suo fidanzato!” – e rise allegra, abbracciandolo poi con trasporto, dopo che Rovia era precipitato in ginocchio a cullarla, colmo di gioia.

Per lui e Bea, da quel giorno, tutto cambiò.




Quando Louis lo vide, ogni cosa sembrò polverizzarsi, intorno a loro.

“Harry …”

Boo gli corse incontro, scontrandosi quasi con il suo corpo, più solido e prestante, avvinghiandosi a lui come un naufrago.
Peccato che le ali di Styles, sembrarono ricambiare la sua devozione, con una certa riluttanza.

E peccato che unicamente Keller, andato a supplicare Harry, di seguirlo sino a lì, se ne rendesse conto, in quell’istante, dal quale veniva escluso completamente.

Andarsene, senza fare rumore, gli sembrò la scelta più opportuna, ritrovandosi poi nel corridoio con Geffen, pronto a recarsi a villa Meliti.

“Perché non vieni con me, Arthur?”

“No, ho … ho da fare”

“Non credi di avere fatto già abbastanza, per oggi?” – Glam sorrise mesto.

“Affatto … E’ tempo che faccia qualcosa per me … Ci vediamo domani, in tribunale, solita ora, d’accordo?”

“Come vuoi … Se hai bisogno, sai come trovarmi.”




Tom si aggiustò i capelli all’indietro, con un gesto un po’ teso.

“Sei bellissimo”

La voce di Chris, gli si conficcò tra le scapole, come il bacio bollente del futuro coniuge, al centro della nuca, mentre Hemsworth lo cinturava statuario, nella forma fisica ritrovata a pieno e fasciata nell’alta uniforme, che il poliziotto aveva indossato per l’occasione.

“Avrei preferito una festa più intima”

“Ci sono anche il grande capo e il sindaco: sai le elezioni sono prossime e Carson vuole manifestare il suo appoggio alla comunità LGBT”

“Uno spot, insomma” – sbuffò infastidito il terapista, allontanandosi, per affacciarsi ad una finestra aperta sul parco, già invaso da numerosi invitati.

“No Tommy, al di là di queste sovrastrutture e coreografie, questo è il nostro giorno” – e sorrise, dolce e magnifico, nel suo aspetto incantevole.

Hiddleston arrossì, pentendosi per essersi lamentato a vanvera.
Quasi con ingratitudine, pensò.

“Scusami Chris è che sono agitato”

“Lo so, siamo in due” – e lo baciò di nuovo, con passione.

E amore.




Jared divorò la distanza, tra il salone principale e le scale, che lo portarono al primo piano, dove aveva intravisto salire Geffen, un minuto prima, senza riuscire a bloccarlo.

Glam entrò in un salottino, per fumarsi un sigaro in santa pace, ma, al tonfo della porta, quasi trasalì.

“Eccoti qui, ora non riuscirai a scapparmi!”

“Jay, cosa diavolo ti prende!?”

“Cosa mi prende?! Dove l’hai lasciato il tuo giocattolino, sentiamo?!”

“Ma sei impazzito?”

“Guarda che non la passi liscia Glam, ok?! Permettere a quella sgualdrina di portare a spasso nostra figlia, è l’ultima cazzata che hai fatto a mia insaputa, è chiaro?!”

“Ti riferisci a Louis … Oh mio Dio, Jay” – e rise, rimettendo nel taschino della giacca l’Havana, ancora intatto.

“Non è divertente!”

“Ora dacci un taglio, miseria! Siamo ad una festa, questi isterismi risparmiateli per un altro giro lontano da qui!”

“No, accidenti, tu non puoi giocare al seduttore a vita! Portandoti poi appresso quella”

“Basta Jared!” – tuonò – “Tu permetti o no, a Colin, di fare la stessa cosa, con Syria?!” – protestò veemente.

“Paragoni Louis a Colin??! Ma sei impazzito?!”

“Colin” – e la sua risata divenne più acre – “… Quanto è corta la tua memoria Jared o quanto sei ipocrita, sai?”

“Non offendere mio marito!”

“Tuo marito ci ha pensato da solo ad offendere te e un sacco di altri sciagurati, che si sono messi in mezzo alla vostra unione del cazzo!!”

Un ceffone gli arrivò dritto sullo zigomo destro, facendo crepitare all’unisono i rispettivi addomi, come se un ordigno invisibile, fosse appena detonato tra loro.

I turchesi di Geffen sembrarono iniettarsi di ira e sangue.

“Glam …” – Jared fece un passo indietro, intimorito.

“Sai cosa ti dico?! Tu, Louis, persino Tom, vi meritate di avere accanto delle bestie, capaci di umiliarvi e abusarvi, ma più loro lo fanno e più voi scodinzolate e sbavate!” – sentenziò impietoso.

Quanto spietatamente realistico.

Farrell li aveva appena raggiunti.
Impietrito dalla reazione di Geffen, in palese affanno.

“Jared andiamocene, avanti” – si intromise l’irlandese, mantenendo un tono pacato.

“Sì bravo, portati via questo rottame, goditelo tu, perché io questa volta non ci sarò, avete capito?! Hai capito eh Jared, quando ti logorerai e farai la vittima, impasticcandoti, fino a ridurti una larva! Dio mi è testimone, lo giuro su”

“Papà!”

Lula si precipitò da lui, paonazzo, la mano sinistra improvvisamente sul petto, all’altezza del cuore.

“Papà sono qui, respira … Guardami papà”

“Glam!! Ha un infarto, Colin chiama qualcuno!” – esclamò Leto, in preda al panico.

In pochi secondi, però, le pulsazioni di Geffen rientrarono nella norma, grazie al tocco e alla presenza amorevole di soldino.

“Amore mio … tu mi salvi sempre … Non lo merito, sai?” – e lo strinse a sé.

Lula sorrise – “E’ lui a non meritarti” – e la sua attenzione si rivolse a Jared, pallido e frastornato.

Il pavimento e le mura cominciarono a tremare.

“Soldino aspetta, cosa stai”

“Ma non sono io papà!”

Il sisma, che colpì la California, alle 2 e 34 post meridiane, in quel pomeriggio di un luglio oltre modo afoso, sarebbe rimasto nella memoria degli americani sopravvissuti ad un’autentica ecatombe, fino alla fine delle loro esistenze.














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