Capitolo n. 64 – nakama
Bastò una sola
occhiata, per farli allontanare dagli studi televisivi, di L.A. News, senza che
nessuno badasse loro.
L’assistente alla
regia, che Louis aveva puntato, aveva poca esperienza ed era lì per uno stage
non pagato.
Molto più interessante
cercarsi un angolo tranquillo, dove fare una conoscenza approfondita e fugace,
di quel giovane avvenente, che, forse, un tempo era stato anche più bello, di
quanto Boo apparisse ora, a chi lo circondava.
Tutti sembravano
fantasmi senza nome.
Anche il giovanotto
palestrato, che lo aveva piegato e violato, con foga, contro ad un lavello, in
una sorta di sgabuzzino.
Un posto squallido,
come quanto stava succedendo.
Tutto tremolava
intorno, dallo specchio logoro sugli angoli metallizzati e opachi, al cestino
stracolmo di salviette usate e stropicciate: buttate via.
Quanto
Louis.
“Dov’ero finito?”
Geffen glielo chiese
distrattamente, sulla via del ritorno verso Palm Springs.
“Ero andato fuori, a
fumare” – rispose Boo, assorto.
Erano soli, sulla
fuoriserie dell’avvocato.
“Forse volevi restare
in città …”
“No, preferisco così,
te l’ho detto Glam” – aggiunse un po’ infastidito.
“Come vanno le cose con
Arthur?”
“Quali cose? Scopiamo e
basta” – e si accese l’ennesima sigaretta, buttando fuori dal finestrino il
fumo, che gli stava irritando gli occhi già lucidi.
“Dovremmo parlarne,
invece, sai Boo?”
“Che hai, eh Glam? Il
caro JJ ti ha rimproverato? Vuole scegliere lui, per me, chi deve sbattermi o
comprarmi regali?” – e rise alienato.
Quella non era di
sicuro una Camel.
Geffen si ossigenò –
“Jared non centra niente, ok?”
“Allora lasciami in
pace e se non vuoi più vedermi, basta dirlo, troverò un’alternativa!” – e si
rannicchiò sul sedile, dandogli le spalle, esile e sfinito.
Stava scomparendo.
In
ogni senso.
Geffen cambiò
direzione, alla prima rotonda.
“Perché torniamo
indietro?” – chiese smarrito Tomlinson, rendendosi conto della manovra del suo
amante.
“Ho una riunione
domani, l’avevo scordato: ti lascio dal nonno, tanto c’è Petra, si stanno
preparando per la cerimonia, dovresti saperlo” – bissò asciutto l’uomo,
concentrato dalla strada trafficata.
“Certo che lo so …
Petra mi ha fatto una testa così, per il vestito, il cesto con i petali di rosa
… Come quando ci siamo sposati io e”
Poi tutto si spezzò,
nella sua voce, nel suo addome: si sentì così sporco.
Così inadeguato.
“Sì i nostri bambini
fanno sempre così … Partecipano e plaudono ai nostri matrimoni: per fortuna li
risparmiamo dai relativi divorzi” – affermò acre il più anziano.
Poi gli diede una
carezza sulla nuca – “Non volevo offenderti Louis, ma sono un po’ stanco …”
“Non di me, spero” – e
gli diede un bacio caldo, nel collo taurino.
“No, assolutamente no.”
Keller concluse la
propria relazione sulle industrie farmaceutiche Halls, con una battuta, alla
quale risero tutti, Geffen per primo.
“Bene, abbiamo segnato
il punto anche in questa causa, grazie Arthur” – Glam inforcò gli occhialini da
lettura, mentre si complimentava, sfogliando ulteriori fascicoli – “… ora se
Hopper volesse aggiornarci sulla fusione tra”
Il suo discorso fu
interrotto bruscamente da qualcuno, che si palesò in maniera grossolana,
nonostante il tentativo di Flora di fermarlo.
Era Tomlinson.
Palesemente e
vergognosamente ubriaco fradicio.
“Quanta bella gente!” –
esordì, con una risata farfugliata e irritante.
“Louis?!” – Geffen
scattò in piedi, mentre Keller avvampava, in pieno imbarazzo, anche se nessuno
degli astanti era a conoscenza della sua tresca con Boo.
Il ragazzo si schiantò
contro la parete, strofinandosi la faccia stravolta – “… l’ha … l’ha messa
incinta … quella stronza è … è incinta del mio Harry” – e scoppiò a piangere,
crollando sul parquet, come un fantoccio.
Arthur non esitò a
soccorrerlo, portandolo via, verso l’appartamento annesso allo studio legale.
Glam lo seguì due
minuti dopo.
Keller stava preparando
del caffè, quando il suo socio varcò la soglia di quel bilocale, arredato in
stile moderno e impersonale.
“Dov’è?” – chiese
brusco Geffen, fermandosi al centro della minuscola cucina.
“Di là, sul letto, dove
se no?” – ribatté acre, senza girarsi.
“Cosa ti prende
Arthur?”
“Mi prende che è uno
schifo, ok?!” – e si voltò, con veemenza.
Glam si tolse la giacca
– “Lo so perfettamente” – disse più calmo.
“L’ha saputo da Petra …
Che presto avrà un fratellino o una sorellina” – rivelò mortificato, mentre
versava una brodaglia maleodorante, in una tazza azzurro cielo.
“Era meglio se usavi la
moka” – mormorò Geffen, con un sorriso amichevole.
“Era meglio se mi
trasferivo a Chicago”
“Oh sì Arthur, bel
progetto, un po’ passato in cavalleria o sbaglio?”
“Quelli della McKenzie
and Bart mi assumerebbero anche adesso, se solo lo volessi, ok?”
“E cosa è che vuoi,
posso saperlo?!” – sibilò Geffen, provvedendo lui a fare un ottimo espresso.
Keller prese fiato –
“Tu ed io non abbiamo mai litigato e non lo faremo per Louis o per la mia
omosessualità repressa: per questo ci sono gli analisti”
“Che stronzata … Per
questo ci sono gli amici, ok?”
“Ok …” – replicò
rassegnato, cercando poi nel mobile qualcosa da mangiare, più per sé, che per
Boo, spuntato all’improvviso.
“Tesoro” – lo accolse
spontaneo Glam, turbato per le sue condizioni.
“Lui mi ha davvero
dimenticato … Adesso mi è chiaro” – affermò più presente a sé stesso.
Aveva vomitato anche
l’anima, senza che loro neppure se ne accorgessero.
Si era liberato
dall’alcol, ma non dal suo tormento più recondito.
“Louis dobbiamo fare
qualcosa di concreto, ok? Un breve periodo alla Foster, vedrai che ti
rimetterai”
“No Glam … Non voglio
ricoverarmi … Io voglio Harry!!” – esplose, perdendo poi i sensi.
Le grida di Keller gli
arrivarono distanti, così le imprecazioni di Geffen, che non esitò a cercare
Scott.
Come se potesse
servire.
Rovia riordinò le poche
cose di Bea e Baby, dentro i loro bagagli, con estrema cura, provando a non
ascoltare l’ennesima discussione, che Norman stava avendo al telefono, con la
ex.
Luna, la sera prima alle giostre, aveva invitato le cucciole di Reedus ad aggregarsi al corteo di
damigelle, per le nozze dei genitori, non senza qualche perplessità, da parte
dell’ex tenente della narcotici, che abbozzò un assenso tiepido, giusto per
accontentarle.
Paul era anche uscito
presto, per una commissione misteriosa, nella speranza non tanto che il compagno
cambiasse idea, ma che Sara non facesse il solito casino.
Come stava avvenendo,
in effetti.
Norman riattaccò
mandandola al diavolo, poi uscì dalla cabina armadio, dove si era rifugiato,
distante dal living, dove Bea e Sandra stavano giocando.
“Dice che così le
rovino! Ti pare possibile!?” – sbottò inferocito.
Rovia perse un battito –
“In che senso scusa?”
“Nel senso che … Ma
lasciamo perdere!”
“No” – replicò fermo,
reggendo il suo sguardo.
“Paul non si ragiona
con questa, ok?”
“Cosa ha detto, voglio
saperlo”
“Ha detto che quella
cricca di arricchiti, è un covo di depravati, mafiosi e finocchi, uno schifo,
per lei, totale!” – confessò senza nascondergli nulla.
Rovia si morse le
labbra – “Però l’avvocato di Sara, quando è stato stabilito l’assegno di
mantenimento, non ha esitato a sottolineare che tu avevi una relazione con il
sottoscritto, schifosamente ricco, così
da permetterti l’emissione di una cifra assai più alta, ogni mese, anche per
sopperire al suo trauma, di moglie tradita e abbandonata per uno come me,
giusto?”
C’era un’estrema
dignità, nei suoi occhi, nelle sue affermazioni schiette e incontrovertibili.
Reedus annuì – “Cazzo
se hai ragione, piccolo, ora mi sente” – ringhiò aspro.
“No, la chiama io papà”
Bea era sbucata dal
nulla, con il telefonino tra le dita minuscole e perfette.
Con le stesse compose
il numero di casa, seguita in quell’iniziativa dallo stupore silenzioso della
coppia, rimasta senza parole.
“Ciao mamma, sì sono io
… Era per gli zii Chris e Tom, Baby e io vogliamo andarci, al loro matrimonio, perché
sono sempre stati buoni con noi, come papi e Paul, ok?”
Un sorriso e poi
riattaccò.
“Cavoli …” – disse stranito
Norman, mentre Rovia se ne stava con la mano sinistra sulla bocca, con il cuore
in gola, quasi tremando per l’emozione.
Beatrice gli si
avvicinò – “Tanto lo so che ci hai comprato i vestiti e volevo ringraziarti
Paul: posso chiamarti così? Perché non sei il fratello di papà, non sei uno
zio, sei il suo fidanzato!” – e rise allegra, abbracciandolo poi con trasporto,
dopo che Rovia era precipitato in ginocchio a cullarla, colmo di gioia.
Per
lui e Bea, da quel giorno, tutto cambiò.
Quando Louis lo vide,
ogni cosa sembrò polverizzarsi, intorno a loro.
“Harry …”
Boo gli corse incontro,
scontrandosi quasi con il suo corpo, più solido e prestante, avvinghiandosi a
lui come un naufrago.
Peccato che le ali di
Styles, sembrarono ricambiare la sua devozione, con una certa riluttanza.
E peccato che
unicamente Keller, andato a supplicare Harry, di seguirlo sino a lì, se ne
rendesse conto, in quell’istante, dal quale veniva escluso completamente.
Andarsene, senza fare
rumore, gli sembrò la scelta più opportuna, ritrovandosi poi nel corridoio con
Geffen, pronto a recarsi a villa Meliti.
“Perché non vieni con
me, Arthur?”
“No, ho … ho da fare”
“Non credi di avere
fatto già abbastanza, per oggi?” – Glam sorrise mesto.
“Affatto … E’ tempo che
faccia qualcosa per me … Ci vediamo domani, in tribunale, solita ora, d’accordo?”
“Come vuoi … Se hai
bisogno, sai come trovarmi.”
Tom si aggiustò i
capelli all’indietro, con un gesto un po’ teso.
“Sei bellissimo”
La voce di Chris, gli
si conficcò tra le scapole, come il bacio bollente del futuro coniuge, al
centro della nuca, mentre Hemsworth lo cinturava statuario, nella forma fisica ritrovata
a pieno e fasciata nell’alta uniforme, che il poliziotto aveva indossato per l’occasione.
“Avrei preferito una festa
più intima”
“Ci sono anche il grande
capo e il sindaco: sai le elezioni sono prossime e Carson vuole manifestare il
suo appoggio alla comunità LGBT”
“Uno spot, insomma” –
sbuffò infastidito il terapista, allontanandosi, per affacciarsi ad una
finestra aperta sul parco, già invaso da numerosi invitati.
“No Tommy, al di là di
queste sovrastrutture e coreografie, questo è il nostro giorno” – e sorrise,
dolce e magnifico, nel suo aspetto incantevole.
Hiddleston arrossì,
pentendosi per essersi lamentato a vanvera.
Quasi con
ingratitudine, pensò.
“Scusami Chris è che
sono agitato”
“Lo so, siamo in due” –
e lo baciò di nuovo, con passione.
E
amore.
Jared divorò la
distanza, tra il salone principale e le scale, che lo portarono al primo piano,
dove aveva intravisto salire Geffen, un minuto prima, senza riuscire a
bloccarlo.
Glam entrò in un
salottino, per fumarsi un sigaro in santa pace, ma, al tonfo della porta, quasi
trasalì.
“Eccoti qui, ora non
riuscirai a scapparmi!”
“Jay, cosa diavolo ti
prende!?”
“Cosa mi prende?! Dove
l’hai lasciato il tuo giocattolino, sentiamo?!”
“Ma sei impazzito?”
“Guarda che non la
passi liscia Glam, ok?! Permettere a quella sgualdrina di portare a spasso
nostra figlia, è l’ultima cazzata che hai fatto a mia insaputa, è chiaro?!”
“Ti riferisci a Louis …
Oh mio Dio, Jay” – e rise, rimettendo nel taschino della giacca l’Havana,
ancora intatto.
“Non è divertente!”
“Ora dacci un taglio,
miseria! Siamo ad una festa, questi isterismi risparmiateli per un altro giro
lontano da qui!”
“No, accidenti, tu non
puoi giocare al seduttore a vita! Portandoti poi appresso quella”
“Basta Jared!” – tuonò –
“Tu permetti o no, a Colin, di fare la stessa cosa, con Syria?!” – protestò veemente.
“Paragoni Louis a
Colin??! Ma sei impazzito?!”
“Colin” – e la sua
risata divenne più acre – “… Quanto è corta la tua memoria Jared o quanto sei
ipocrita, sai?”
“Non offendere mio
marito!”
“Tuo marito ci ha
pensato da solo ad offendere te e un sacco di altri sciagurati, che si sono
messi in mezzo alla vostra unione del cazzo!!”
Un ceffone gli arrivò
dritto sullo zigomo destro, facendo crepitare all’unisono i rispettivi addomi,
come se un ordigno invisibile, fosse appena detonato tra loro.
I turchesi di Geffen
sembrarono iniettarsi di ira e sangue.
“Glam …” – Jared fece
un passo indietro, intimorito.
“Sai cosa ti dico?! Tu,
Louis, persino Tom, vi meritate di avere accanto delle bestie, capaci di
umiliarvi e abusarvi, ma più loro lo fanno e più voi scodinzolate e sbavate!” –
sentenziò impietoso.
Quanto
spietatamente realistico.
Farrell li aveva appena
raggiunti.
Impietrito dalla
reazione di Geffen, in palese affanno.
“Jared andiamocene,
avanti” – si intromise l’irlandese, mantenendo un tono pacato.
“Sì bravo, portati via
questo rottame, goditelo tu, perché io questa volta non ci sarò, avete capito?!
Hai capito eh Jared, quando ti logorerai e farai la vittima, impasticcandoti,
fino a ridurti una larva! Dio mi è testimone, lo giuro su”
“Papà!”
Lula si precipitò da
lui, paonazzo, la mano sinistra improvvisamente sul petto, all’altezza del
cuore.
“Papà sono qui, respira
… Guardami papà”
“Glam!! Ha un infarto,
Colin chiama qualcuno!” – esclamò Leto, in preda al panico.
In pochi secondi, però,
le pulsazioni di Geffen rientrarono nella norma, grazie al tocco e alla
presenza amorevole di soldino.
“Amore mio … tu mi
salvi sempre … Non lo merito, sai?” – e lo strinse a sé.
Lula sorrise – “E’ lui
a non meritarti” – e la sua attenzione si rivolse a Jared, pallido e
frastornato.
Il pavimento e le mura
cominciarono a tremare.
“Soldino aspetta, cosa
stai”
“Ma non sono io papà!”
Il
sisma, che colpì la California, alle 2 e 34 post meridiane, in quel pomeriggio
di un luglio oltre modo afoso, sarebbe rimasto nella memoria degli americani
sopravvissuti ad un’autentica ecatombe, fino alla fine delle loro esistenze.
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