Capitolo n. 59 - nakama
“Colin …”
La voce rauca di Leto,
sfiorò le scapole di Kevin, mentre il leader dei Mars si stava rialzando dal
pavimento, stordito, al rallentatore, senza sapere come ci fosse finito sul
parquet, in quel modo.
Il bassista dei Red
Close, tossì, dandogli ancora le spalle – “No … so sono Kevin” – balbettò,
tenendosi la testa dolente.
Tutto gli girava
intorno – “Mi viene da vomitare” – e si inginocchiò.
Leto, con stupore, ma
altrettanta prontezza, lo condusse verso la toilette, vedendone il simbolo su
di una porta a pochi passi da loro.
L’ex di Geffen tremava
come un pulcino, dopo.
“Cosa è successo Jay …
Cosa abbiamo fatto?!” – e si alterò, in lacrime.
“Non lo so Kevin, non
urlare, ti prego, ho un’emicrania che mi spacca in due cazzo” – sembrò
supplicarlo, esausto.
“Non toccarmi!” – e si
allontanò da lui, ancora seminudo quanto il cantante.
Si erano rimessi giusto
i pantaloni e nulla di più.
Jared corse nella sala,
a recuperare il resto del loro scarno abbigliamento.
“Non trovo le scarpe …
Miseria, le hai viste?” – e si rivolse di nuovo a Kevin, tornato anche lui in
quella stanza stranamente deserta.
“Ma dove sono tutti?” –
chiese in un soffio, imbambolato contro alla tappezzeria.
Avrebbe voluto sparire.
Per
sempre.
Tim scattò seduto, come
una molla, in preda ad uno strano senso di panico.
La luce proveniente da
una finestrella, gli stava dicendo che era giorno ormai: peccato lui non avesse
memoria di come fosse arrivato in quel capanno e, soprattutto, di come mai era
svestito e con chiari segni di un rapporto sessuale, di certo consumato insieme
a Colin, rannicchiato di traverso ed ancora addormentato pesantemente.
“Oh cazzo …” – mormorò,
poi provò a mettersi in piedi, nonostante una diffusa debolezza – “oh cazzo!” –
andò a ripetersi, infilando jeans e t-shirt.
Era quella di Farrell,
ma il ragazzo non aveva tempo e modo di rendersene conto.
Voleva esclusivamente
fuggire.
Come se avesse appena
visto un demonio.
La carezza di Syria lo
fece destare, anche se Geffen stava ancora sognando.
“Amore …”
“Ciao Glam” – lei gli
sorrise, eterea e bellissima.
Erano stesi su di una
spiaggia dorata.
“Dov’è Lula?”
“Al sicuro, sta
giocando con Petra … Lei lo ha salvato, sai?”
“Sì” – e si erse – “…
la sua presenza la devo a te, vero?”
“Ho provato a darvi un
sostegno, certo, a modo mio” – e rise incantevole.
“Presto rinascerai e
potrò stringerti sul petto, come facevo ad Haiti” – disse l’uomo,
commuovendosi.
“Non sarò proprio io” –
ed arricciò il naso – “… comunque avrete una bimba stupenda, tu e Stella”
“Vorrei restare insieme
a te Syria, tu questo lo sai … Ci ho provato un sacco di volte”
“Lo riconosco, sei
perseverante, ma devi raggiungere chi ami, la tua immensa famiglia Glam, con la
certezza, che io rimarrò al tuo fianco sino alla fine …” – e lo baciò,
tramutandosi poi in uno stormo di gabbiani, che sembrò salutare l’avvocato,
librandosi verso un cielo, tempestato d’argento e corallo.
Harry andò verso di lui
con una bottiglia di champagne, ancora sigillata.
“Finalmente ti ho
trovato, Boo, dov’eri finito?” – domandò senza rancore.
“Ero in giro … C’erano
i fuochi d’artificio” – replicò fissando delle conchiglie, appena raccolte,
mentre se ne stava seduto sulla battigia.
“Mi sarebbe piaciuto
vederli con te e non facendo da terzo incomodo alla coppia del secolo” – rise
leggero, accomodandosi, incollato a Louis, che sorrise amaro.
“Scusami”
“Già fatto, tanto non
serve arrabbiarsi, per Lux”
“In che senso?” – bissò
calmo, fissandolo, adesso.
“Ci abbiamo lavorato parecchio
su questa storia, su ciò che ci lega a Vincent … Ci siamo persino traditi a
vicenda, andandoci a letto” – la sua analisi non faceva una piega.
“Questo non lo capirò
mai Hazza”
“Di me e di lui?” – e
lo scrutò, impassibile.
“O forse era la ricetta
giusta, per fare funzionare le cose tra noi tre: fonderci, in un sentimento
incredibile e fuori dai canoni”
“Sinceramente Boo, sarò
borghese o provinciale, ma la nostra atipica relazione, non faceva che
peggiorare tutto … Lo sporcava”
“Perché sia tu che
Vincent avete una mentalità ristretta!” – obiettò più vivace.
“Io non ti sto
giudicando!” – ribatté deciso Styles.
“Davvero?!”
“Tu … Tu hai un casino,
dentro di te, un qualcosa, che né io e né Lux siamo riusciti a risolvere!” – e
si alzò, più nervoso ora.
Tomlinson lo imitò.
“Senti chi parla! Io
almeno mi sono accettato, mentre tu, con Sylvie, ti sei persino spacciato per
suo marito e padre di Alain, per non parlare del resto! O hai la memoria corta,
Mr. Genio!?” – e avvampò, al ricordo di quegli eventi.
Il riccio allargò le
braccia – “Tu non mi hai mai perdonato … E probabilmente non l’ho fatto neppure
io, per Vincent e non solo … Hai intrappolato persino Zayn, nella tua morbosa e
singolare accettazione, Louis, te ne rendi conto?” replicò serio.
“Harry io”
“Voglio il divorzio”
Il
sole si spense.
“Haz ma cosa ti inventi
…?” – ed una risatina angosciata, sottolineò le sue parole ed il suo
turbamento.
“Abbiamo chiuso, da un
pezzo e non l’abbiamo capito, anzi, non lo abbiamo accettato”
“Abbiamo Petra … Noi
siamo”
“Noi non siamo niente!
E per lei diventeremo un esempio oltre modo deleterio, se resteremo sposati!”
“Ma io non voglio
perderti! Io non voglio questo!!” – esclamò esasperato.
Purtroppo non servì a
trattenere Styles, che lo liquidò con un incolore – “Avrai i documenti al più
presto, li farò redigere da Marc Hopper: Petra viene con me, ci vediamo a Los Angeles”
– e se ne andò.
Boo rimase come
impietrito, mentre l’andatura del consorte diventata sempre più svelta, finché
la sua figura, alta e snella, sparì all’orizzonte.
Come
se non fosse mai stato lì.
Robert controllò il
sonno tranquillo di Pepe, dandogli un buffetto, senza disturbarlo affatto.
La sua cameretta era
adiacente a quella più grande, occupata da lui e Jude, ancora accartocciato tra
le lenzuola, dopo una mega sbornia, per dare il benvenuto al nuovo anno.
“Rob …”
“Ehi …” – e,
ricollocatosi sul bordo del letto, Downey gli passò le dita, tra quei capelli
sempre più radi, che ormai l’inglese teneva quasi rasati, senza più farli crescere.
“Dove sono finiti i
bisonti, che mi sono passati sopra?” – e schiuse una palpebra, in maniera
buffa.
“Nelle praterie del
nord, suppongo” – l’americano trattenne una risata.
“Ok … Hai preso qualche
targa?”
“Temo di no, Jude” – e questa
volta rise, senza più trattenersi.
“Ho … ho avuto incubi
pazzeschi” – e provò a sedersi, aiutato dal riconquistato partner.
“A essere sinceri anch’io,
sai? Eppure ho bevuto giusto un paio di coppe di” – poi si interruppe,
perplesso – “… quei dolci al liquore, forse ci hanno fatto male”
“Di sicuro … C’era un
fracasso, gente che suonava, fiamme … A proposito: Lula e Glam?”
Le parole di Sara,
erano state dure ed un po’ crudeli.
Lei non sapeva nulla di
Paul, in fondo, ma per pura rabbia, aveva scaricato su di lui, ore di tensione
ed abbandono, da parte dell’ormai ex coniuge.
Norman lo vide
rannicchiato su di un pontile, in disparte dal mondo: Rovia gli sembrò ancora
più minuto di quanto fosse in realtà.
Una realtà, che Sara
gli aveva sbattuto in faccia, mentre Reedus stava parlando con Chris.
“So
che sei ricco da fare schifo, ma non penserai di portarmi via così, l’uomo a
cui ho dato due figlie, vero?!” – gli aveva ringhiato nelle orecchie, mentre il
giovane stava preparando con cura, una merenda per le piccole.
Sara
lo aveva tallonato, dal living alla cucina, con aria minacciosa, ma solo nelle
frasi, che da lì a poco, gli avrebbe vomitato addosso.
Paul
non sapeva se controbattere o tacere: spalancò i suoi fanali su di lei, quasi
intimorendola, per quanto fosse avvenente e senza difese.
“Perché
te ne stai zitto, eh? Ti faccio pena?! In compenso tu mi fai schifo, sappilo!
Cosa credi, di comprartelo?” – poi prese fiato, come quei draghi, prima di
investirti con il colpo di grazia – “Te lo ripeto: le bambine ci legheranno a
vita, tu non potrai fare altrettanto, un simile dono non ti è toccato e non l’avrai
mai!”
Rovia, appena Norman
rientrò, non gli disse nulla.
Sara, in compenso,
senza molti riguardi riprese Bea e Sandra, con la veemenza di chi si aggrappava
all’unica cosa, che avrebbe vincolato Reedus a lei.
Un comportamento
squallido, certo, ma efficace.
Dormirono abbracciati e
Paul pianse, composto e attento a non destare l’altro da un sonno profondo e
agitato.
Sino all’alba.
“Ciao …”
“Ehi ciao Norman” – Rovia
tirò su dal naso, inforcando meglio gli occhiali scuri.
Reedus glieli tolse con
delicatezza.
“Parliamo?” – chiese dolce,
sedendosi speculare a lui.
Paul fece spallucce,
intenerendolo ulteriormente – “Buon principio” – e sorrise a metà.
“Un po’ incasinato,
vero?”
“Abbastanza” – e si
schiarì la voce, arrossendo – “… senti Norman, avevo pensato che … che forse è
meglio chiuderla qui, prima che le cose, tra noi, diventino serie” – e si sentì
mancare, per il disagio, che gli stava frantumando qualcosa al centro del petto,
in quel preciso istante.
L’ex poliziotto gli
spostò le ciocche ai lati del volto, poi lo baciò, cinturandolo a X, con le
braccia tatuate e così rassicuranti.
Così
indispensabili.
Staccatosi di un
millimetro, dalla bocca di Paul, vibrante di mille sensazioni, Reedus sorrise,
assottigliando lo sguardo tagliente, in un’espressione tipica della sua indole
ribelle – “Io non sono mai stato così serio, credevo lo sapessi cucciolo” – e tornò
a fondersi in lui, accarezzandolo sotto al maglione.
Il busto magro di Rovia
sembrò uno strumento musicale, che respirava simultaneamente a quello del
compagno.
Pensarlo in quella
forma affettiva, lo inebriò di aspettative, ora credibili.
Legittime.
“Vuoi fare l’amore con
me Norman?”
“Tu non sai quanto” –
gli ansimò nel collo, ma l’eccitazione, si stava rimescolando a mille paure.
Paul Rovia le avrebbe
domate ad una ad una.
Per
sempre.
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