Capitolo n. 29 – nakama
“Mi manca fare l’amore
… Mi mancano tante cose, tutte quelle che facevamo insieme, tu ed io Tommy”
La voce di Chris era
debole, ma serena, mentre il compagno rimaneva a guardarlo, su quella sedia
scomoda.
In compenso, Luna dormiva
tranquilla al fianco del suo gigante buono, perché a tenerla sul petto, ora,
lui proprio non ci riusciva.
Nonostante la bimba
fosse leggera come una piuma, ad Hemsworth sembrava di avere un masso sul
cuore: anche la stoffa del camice lo opprimeva ormai.
In poche settimane,
inoltre, il tenente aveva perso almeno una decina di chili e la massa muscolare
stava perdendo tono, anche se di poco.
“Non pensarci Chris,
dopo l’intervento ci saranno dei cambiamenti, in meglio ovvio” – provò a
rassicurarlo il terapista.
“Quindi hai cambiato
idea in merito al trapianto, inizi a crederci anche tu?” – replicò speranzoso.
Hiddleston annuì, ma
stava mentendo.
Le sue ritrosie, verso
quell’innovativa operazione, non erano mutate affatto.
Eppure avrebbe dato
qualsiasi cosa, pur di riaccendere la speranza in entrambi e adesso stava
sorridendo spensierato, in tale prospettiva, come se quella tragedia non stesse
succedendo a loro.
“Non è mai semplice
quando si tratta di lui … di noi, Robert”
Downey si grattò la nuca,
in un gesto simpatico, dei suoi, mentre ascoltava le parole di Glam, a
proposito di Jared.
Infagottati in trench
di lana grossa, tinta blu notte, se ne stavano appollaiati sugli scogli della
caletta, mentre Pepe e Lula facevano volare degli aquiloni, nella brezza
sostenuta di quel mattino di fine novembre.
Un loro vecchio
acquisto in Rodeo Drive, mai indossato e rimasto negli armadi di Palm Springs.
C’era ancora così tanto
di loro, in quel luogo esclusivo e blindato, che ogni volta, che l’attore ci tornava,
per stare con il figlio, condiviso con Geffen, gli sembrava di non essersene
andato mai per davvero.
In quell’occasione non
era solo: Jude li stava guardando da una delle terrazze, esposte verso la
spiaggia, impegnato nel frattempo, a sorvegliare Diamond e Camilla, circondate
da bambole e peluche, sparsi sul pavimento e sui divanetti, lì intorno.
“Tu ce l’hai nel
sangue, direbbe la zia Dorothy” – il moro rise.
“Tu hai una zia Dotty?”
– bissò comico Geffen, puntandolo, con un sopracciglio inarcato.
“Ehm credo di sì Glam”
Risero.
Erano belli, insieme,
pensò Jude, senza provare alcuna punta di gelosia.
“Tu, Robert, sei stato
e rimani il mio migliore amico … E’ confortante, sai?”
“Già, anche se ti sto
tirando un colpo basso, trasferendomi a Londra, con Jude”
“Avete fissato la data
delle nozze?” – Geffen non si scompose, rimanendo gentile, come d’abitudine,
quando interagiva con Downey.
“Sì, la vigilia di
Natale” – ribatté arrossendo l’artista.
“Ottima scelta Rob … I
miei migliori auguri, anche se non ci sarò, credo”
“Mi dispiace”
Era sincero, limpido,
come ogni suo respiro, che usciva da una bocca così invitante.
“Porterò i bimbi in
montagna, magari in Svizzera, così passo a prendere Pepe, da voi e se vorrete
aggregarvi sulla neve” – poi si morse la lingua – “Corro troppo, vero?”
Faceva tenerezza, con
quelle spalle larghe, la figura massiccia, anche se rattrappita dalle folate
più gelide in quel momento, con una cuffia calata sulle orecchie e quei
turchesi, che si vestivano di un colore speciale, per il non più
suo Robert.
“No, anzi, sarebbe
fantastico Glam”
“Allora prometti che ci
penserai? Se Jude è d’accordo, se non ti creo problemi o casini, ok?”
Downey gli si sarebbe
appeso al collo, consapevole che se mai avesse avuto bisogno di lui, Geffen
sarebbe corso come un pazzo, sfidando anche una tempesta: una devozione, che
ora non si sentiva in grado di ricambiare.
Forse nessuno era mai
stati all’altezza dell’amore, che Glam sapeva donarti, incondizionatamente.
I pensieri gli si
accavallarono nella testa, paralleli al magone, raggrumatosi nella gola di
Downey – “Io rientro, preparo una cioccolata” – propose svelto.
Uno stratagemma poco
dignitoso, ma Geffen sorrise amorevole – “Le pesti saranno entusiaste … Ed
anch’io, grazie Rob, ti raggiungiamo tra una decina di minuti”
“Perfetto!” – e fuggì
via.
Colin morse con
bramosia il mento di Jared, mentre le cellule di entrambi, stavano come
esplodendo nei rispettivi addomi.
I suoi fianchi,
sensuali e capaci, si muovevano in un ritmo sinergico a quello del compagno,
che lo accoglieva generoso e bagnato, artigliandosi con le falangi sottili e le
unghie ben curate, alla schiena dell’irlandese, segnata un po’ ovunque, dal
passaggio appassionato dell’altro.
“Co Cole”
Leto balbettava spesso,
durante i ripetuti orgasmi, che Farrell era in grado di procurargli, dal loro
primo incontro.
Era da tanto che non
facevano l’amore in quel modo.
E neppure scopavano in
quel modo, si rese conto il cantante, guardando il soffitto, in una visione
annebbiata e tremula.
Fremiti incontrollati
lo facevano vibrare sotto al corpo pesante di Colin, esausto, ma ancora
disponibile a spargere un’infinità di coccole, sugli zigomi di Jared, sulle sue
palpebre, sulle tempie imperlate di sudore profumato di shampoo al cocco.
“Me
l’hai fregato di nuovo! Ma non è possibile Colin!”
La
sabbia gli era entrata ovunque, Jared lo stava sbraitando dal corridoio
dell’hotel di Medina, da almeno cinque minuti, durante i quali non aveva mai
smesso di bussare vigoroso alla porta della suite del suo collega, in ritardo
per l’immancabile festino di fine giornata.
Le
riprese erano state estenuanti e Leto voleva unicamente farsi una doccia ed
andare a dormire, dimenticando quanto Farrell avesse flirtato con tutto ciò
avesse due tette ed un bel sedere, dalla costumista all’ultima delle comparse,
quel pomeriggio afoso.
Lo
detestava.
E
già lo amava, come mai prima.
“Ma
cosa cazzo ti urli!? Cosa vuoi, posso saperlo!?”
Il
biondissimo Alessandro Magno era apparso finalmente sulla soglia, avvolto dalla
vita in giù, in un asciugamano bianco, gocciolando d’oro e sale, come impressi
e vibranti, su quel fisico attraente.
“Il
mio gel, quello con cui mi lavo, cosa che tu fai di rado Mr. Dublino!”
Colin
ridacchiò, ma si sentì offeso: da una mensola, prese rapido un sacchetto
regalo, di quelli confezionati in profumeria e glielo diede un po’ brusco, sbattendoglielo
sul petto rivelato da una t-shirt dalla scollatura così profonda, da
considerarsi scandalosa ed inopportuna per un giovane uomo, qual era Jared: poi
si ricordò che faceva anche il cantante, il saltimbanco e Farrell lo sfotteva
sovente, quindi tutto regolare.
“Tieni,
così non mi romperai più, ok?!”
L’uscio
fece un rumore secco, sul volto interdetto di Leto, che tornò mesto nella sua
camera.
Era
troppo curioso.
Aprì
impaziente quella sorpresa, trovando due flaconi in formato gigante, di quel
prezioso doccia schiuma: sorrise, pentendosi di avere insultato Colin.
Elemento
più importante, la presenza di un biglietto.
Scritto
da Farrell, in una bella grafia, forse in qualche raro attimo di sobrietà.
§
Alla persona più paziente e disponibile, io abbia mai incontrato.
Ma
come fai, Jay, con una testa di cazzo come me?
Cosa
ti spinge ad essere tanto speciale, con un coglione così?
Tu
mi dici spesso che tendo a sminuirmi, ma, credimi, è solo onestà, la mia, anzi,
obiettività …
Ti
voglio bene …
Io
ti … §
Quei
puntini di sospensione erano così sgradevoli.
E
deludenti.
Un
lieve bussare gli fece schizzare il cuore un po’ dappertutto.
“Sì,
chi è?” – domandò tossendo, per scacciare la commozione, che lo stava
condizionando impietosa.
“Apri
Jared, volevo”
Occhi
negli occhi, in una frazione di secondo, dopo che quella barriera sembrò
polverizzarsi, per l’azione immediata di Leto.
“Grazie
per il pensiero, Cole, ma io non sono poi così speciale, sono gli altri a
rendermi tale, se si comportano bene e se …”
“Se?”
– Farrell sorrise, ma non con quell’aria da schiaffi, che a Leto risultava
davvero insopportabile.
“Su
vai, se no arrivi tardi”
Colin
avanzò, richiudendo – “Non mi interessa quel party”
“Non
l’avrei mai detto dopo oggi”
“In
che senso?”
“Hai
fatto il cascamorto con tutte” – provò a scherzare, ma era terribilmente serio.
Ed
adorabile, al cuore del suo interlocutore.
“Sei
geloso?”
“Ma
piantala Colin!”
“No,
non ti sto prendendo in giro, vorrei saperlo: sei geloso, Jay?” – provò ad
insistere, era un’abitudine, cocciuto quanto un somaro, lo apostrofava il
leader dei Mars, quando lo canzonava affettuoso.
Leto
lo guardò fisso, irrigidendosi – “Se è una pura curiosità, questo tuo
atteggiamento nei miei confronti intendo, come se fossi una bestia rara, ti
prego di smettere subito, ok?”
“Ho
un fratello gay e non l’ho mai considerato una bestia rara” – rise, ma senza
enfasi, anzi, con dolcezza.
“Io
non sono” – ribatté secco Jared, smorzando immediato quella bugia.
“Tu,
secondo me, non sai esattamente cosa sei, ma io sì”
Farrell
assunse un tono di sfida, a quel punto.
“Ok,
sentiamo, cosa sono, genio dei miei stivali?” – una risatina nevrotica, colorò
quella frase di disagio puro.
Colin
gli diede una carezza, sulla guancia sinistra, una premessa esaustiva alla sua
risposta – “Sei il ragazzo più buono io conosca e credo sia per questo che mi
sono innamorato di te, JJ Leto”
“Jared? Ma dove sei?”
La risata di Colin non
era mai cambiata, nell’inflessione, nel colore sgargiante della sua indole,
ricca di fascino, ma ispiratrice di profonda tenerezza, da parte di Jared, che
ebbe un sussulto.
“Sono qui” – e lo
guardò, come esclusivamente lui riusciva a fare.
Farrell inspirò,
accucciolandosi meglio, scivolando sul fianco, per non pesargli oltre.
“Grazie Jay …”
“Per cosa?” – sorrise,
arriffandogli i capelli brizzolati, dove posò un bacio intenso.
Colin non disse nulla,
addormentandosi con un sorriso.
Downey rimescolò
veloce, quindi versò il composto cremoso in sette tazze multicolore, ben
disposte sopra ad un vassoio, che Jude gli aveva messo sotto al naso, senza
dire molto, da quando Robert era rientrato in casa.
“Bene, non so chi vuole
la panna, non me lo ricordo mai, sto invecchiando” – e sorrise, distratto in
altre considerazioni mentali.
“Io non posso … non
posso permetterlo” – accennò flebile Law, lo sguardo basso, su quell’arcobaleno
fumante.
“Cosa amore?”
Jude affrontò i carboni
liquidi del futuro marito, al sicuro sotto al cielo azzurro dei suoi, da quando
erano tornati ad essere una coppia affiatata.
Se non fosse stato per
quella scelta, quasi un neo.
“Vi osservavo, prima, a
te ed a Glam, ma, soprattutto, mi sono concentrato su Pepe e voi due … Vivere
in Inghilterra ti porterebbe lontano da vostro figlio, in una maniera
irrecuperabile e vi perdereste dei passaggi importanti, che sono un vostro
diritto, come genitori di Peter e siete incantevoli, in questo … ecco l’ho
detto”
Downey si affrettò ad
abbracciarlo – “Amore”
“Non sarebbe giusto Rob
… Io mi fido di te, anche se mi rendo conto di quanto tu sia … Cioè io non
intendo dire che”
“Ok, ok frena … Voglio
bene a Glam, anzi, mi scombussola un po’ stargli accanto, ma non intendo
ricadere in certe situazioni, credimi”
“Te lo ripeto Robert,
ho piena fiducia in te, ok?” – e tornò a rifugiarsi nel suo collo, avvolgendolo
con vigore a sé.
“Ma hai già organizzato
il matrimonio e poi l’appartamento in centro”
“Basta una telefonata
per disdire il primo e programmarlo qui, mentre per il secondo lo affittiamo in
cinque minuti, non preoccuparti di questi dettagli” – lo rassicurò l’inglese,
dandogli poi un bacio.
“Quindi restiamo qui? A
Los Angeles?”
La gioia palpitava nel
suo sguardo, Law non avrebbe fatto finta di non rendersene conto: sapeva di
avere preso la decisione giusta.
A proprio rischio.
Come
sempre.
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