lunedì 9 novembre 2015

NAKAMA - CAPITOLO N. 31

Capitolo n. 31 – nakama



“Il mio cuore era lì, un po’ ovunque per la stanza, sparpagliato dalle loro scelte … Di Jared e di Niall ed io … Io ho deciso di farne una netta, più drastica del solito, andando contro la mia indole, sempre protesa verso la pazienza, la comprensione altrui, il rispetto di chi, si presume, mi abbia voluto almeno un po’ di bene”

Ruffalo strizzò le palpebre, artigliando i braccioli della poltrona.
Era esausto.

Brendan Laurie si concesse un attimo, poi gli disse ciò che pensava.

“Posso parlarti da amico, Mark e non da analista personale?”

“Certo” – e tornò a guardarlo, con un sorriso piacevole, anche se forzato, in quel momento di cocente rammarico interiore.

“Jared è troppo incasinato, lascialo perdere, hai fatto bene a tagliarlo fuori ad escluderlo dalla tua cerchia di conoscenti, ok?”

“Ok”

“Mentre per Niall, concedimi un rimprovero, bonario si intende”

“So dove vuoi andare a parare Brendan”

“Perfetto: per me tu non devi alzare dei muri assoluti, perché potresti pentirtene, anche se il tuo gesto è stato maturo, consapevole, lo riconosco, temo sia stato anche severo ed avresti potuto mettere la tua saggezza in altre decisioni, come nell’imporre a Niall un legame non così intimo: parlo di amicizia sincera”

“Ci ho provato, credimi”

“Io ti credo e lo faceva anche Niall, perché vi ho visti insieme e lui ti adora, non trovi? Anche se è finita, lui non muterà i suoi sentimenti”

“Mi ha lasciato perché non volevo adottare pronti via un bimbo, cosa che lui ha concretizzato insieme a Tim e tieni presente che questa famiglia, seppure in buona fede, accede alle adozioni senza alcuna difficoltà, ma non basta questo a garantire la serenità ad un figlio!”

“Ma si è a metà dell’opera” – Laurie sorrise – “… e tu l’hai appena detto, con le migliori intenzioni, da parte di ognuno di loro, anche se spesso, lo riconosco, possono sembrarci degli scapestrati”

“Sono unioni sul filo del rasoio, divorzi continui, seguiti da riconciliazioni da copertina, ma non stanno girando un film, possibile che i bambini ne escano indenni?”

“No, Mark, non credo, però nel caso di questo clan, i minori sono sempre tutelati, a loro viene spiegato ciò che capita e poi c’è un affetto, come dire, globale”

“Oh sì, Brendan, so di chi parli: Glam Geffen, un daddy per tutti!”

“Ce l’hai con lui?” – chiese diretto lo psicologo.

“No … No, io credo di avere metabolizzato la mia buona dose di astio ed insofferenza verso Glam: non dimenticarti la mia esperienza con Matt, all’epoca Geffen ci aiutò, ma è stato una costante un po’ subdola, nel mio percorso, anche dopo … Senza contare che gli ho fatto un torto non indifferente, finendo a letto con il suo ormai ex marito!”

“Jared?!”

“Già …” – Ruffalo sbuffò, scuotendo il capo, come rassegnato all’insensatezza delle proprie azioni pregresse.

“Avevo inteso che tu e Leto eravate intimi, ma non ho considerato le tempistiche, Mark”

“Ora le hai chiare, penso”

Brendan annuì, prendendo un appunto.

“Cos’hai disegnato, un bel paio di corna? Uno degli schemi didattici del famigerato clan?”

“Tu stai giudicando aspramente questi genitori: pensi di averne il diritto?”

“No, affatto, forse perché non ho dimostrato di essere migliore di loro, in materia, ma è indispensabile cambiare pannolini per convincere il resto del mondo ad essere dei papà prodigio?”

“Niall e Tim sono in erba, è questo che ti fa incazzare?” – gli domandò fuori dai denti.

“Mi fa incazzare di avere perso un’occasione, ma Niall non mi ha dato il tempo di rimediare, di adeguarmi!”

“Per come hai parlato un minuto fa, forse lui ti conosceva meglio di me e di te stesso, non trovi?”




“Sapevo di beccarti qui, a fumare”
Louis sorrise, avvicinandosi a Lux, rifugiatosi in terrazza, per non farsi vedere da lui, in quell’abitudine, in un vizio, che non riusciva a smettere di apprezzare.

Come molte altre cose, nella sua vita particolare.

“Rientra, fa freddo, hai solo una t-shirt, avanti …” – lo accolse con aria un po’ strana l’uomo, preoccupato all’apparenza.

“Non stai bene, Vincent?” – chiese dolce Boo, gli occhi liquidi.

“No, me ne stavo qui in disparte a … a riprendere fiato” – sorrise amaro.

“E’ successo qualcosa con Harry oggi? Un litigio, forse? Non avete detto quasi nulla a cena” – osservò più teso, appoggiandosi alla balaustra, dove l’altro stava in piedi, le reni contro al cemento stuccato di bianco.

“No … Cioè sì, abbiamo avuto un confronto, un … un chiarimento: lui vuole disfare la nostra unione a tre e mezza” – rise, facendo anelli di fumo, come se stesse parlando di una facezia qualsiasi.

“Davvero?!” – bissò stupito Tomlinson, a mezza voce.

“E’ geloso di te, amore … Ecco vedi, non riesco a farne a meno”

“So che mi ami, Vincent”

“E tu ami me?”

“Secondo te?” – ora era il turno di Louis di ridere, ma senza allegria.

Il ragazzo fece correre lo sguardo verso il buio e le luci della città sottostante, come a rifuggire i cristalli di Lux, concentrati su di lui ed ulteriormente amorevoli.

“Devi appartenere unicamente a te stesso e non essere il riflesso di chi ti ama o dell’amore, che nutriamo entrambi per te … Devi sentirti libero, mon petit, capisci?”

“E’ ciò che tu hai voluto per me, dall’inizio, vero?”

“Ho provato a crearti il meglio intorno, ad agevolarti, Louis, però non è stato semplice … Ho rinunciato alla nostra storia, per poi rendermi conto che non potevo vivere senza … Senza di te e senza Harry, lo ammetto”

“Ci ami così tanto? Hai annullato te stesso, questo sì Vincent, possibile che non te ne renda conto? Io apprezzo il tuo sacrificio, ma forse Haz ne è come intimorito oppure non lo comprende affatto” – affermò schietto.

“Ho provato ad avere nuove relazioni, ma tu mi pulsi nel cuore, mi vibri nel sangue Lou … Sei come linfa vitale ed il pensiero di perderti”

“Perché dovrebbe avvenire?” – lo interruppe secco – “Io non ne ho alcuna intenzione!” – e lo abbracciò, stretto, mescolandosi al suo calore.

Styles li stava spiando, intercettando appena la loro conversazione, ma a sufficienza, comunque, per capire che non sarebbe mai cambiato nulla.
Almeno non quella notte.




La bocca di Jim si schiudeva e richiudeva, come una finestra aperta sull’infinito, del quale Hugh non aveva più alcun timore.

Di rimanere solo.
Storpio e solo.

Mason non lo aveva mai fatto sentire in quel modo, mentre altre persone, affacciatesi, nell’arco della sua vita, sul suo privato o nella professione, gli avevano spesso inveito contro, usando quelle parole, così vere, così crudeli.

Jim era tenero e compassionevole, anche nei momenti peggiori, durante i quali chiunque l’avrebbe mandato al diavolo; ma non lui.

Lui c’era, nelle serate storte, quando Hugh voleva fare tardi, sedendosi nell’ultima fila di un cinema d’essai, a fargli sorbire qualche pellicola in bianco e nero degli anni trenta.

“Anni ruggenti!”, gli bisbigliava sovente il più anziano, tra una manciata di pop corn o una gomma big buble, che Laurie gonfiava sino a farla scoppiare, nel silenzio, anche catatonico, della sala, come un tredicenne irrequieto, anche nel non sapere dove mettere le mani e le braccia.

Finché una sera, in quell’oscurità, all’aroma di caramelle zuccherose e bibite all’arancia, non decise come sistemarle, intorno alle spalle di Jim, avvolgendolo impacciato, distraendolo da una tediosa sequenza di fotogrammi, finché l’oncologo non lo guardò, un po’ incuriosito, ma con gli occhi a cucciolo, che Hugh amava già, senza saperlo.

Si baciarono o meglio scontrarono, in un connubio di denti e sapori tra sale e mentolo, quello delle mentine, che Jim gli aveva imposto, per non essere molesto, con i suoi spassi da adolescente.

Poi il bacio divenne più vero ed intenso.

Fecero l’amore in auto, nel parcheggio della multisala e, quell’immagine, di Mason, ansante, come ora, chiusi nello sgabuzzino dei moci e dei disinfettanti, a fine turno, avvinghiati sopra ad un materasso ancora incellofanato, non era mutata per niente.

Era così bello.
Il suo Jim.
La luce di ogni vita, avesse il senso di essere vissuta, pensò Laurie, venendo copioso, tra le cosce tremanti del consorte, che non sapeva più su quale pianeta fossero finiti, per amarsi ancora così bene.




Lo sguardo di Geffen era fisso su quella brochure da alcuni minuti, così come su di un kit, per la raccolta del seme, lasciato dall’infermiera su di un tavolino ai suoi piedi, davanti al divanetto, dove l’avvocato si era accomodato, dopo una giornata stressante, con il suo staff ad imbastire una discreta difesa per Will Graham.

Ora Glam era perso tra il desiderio di portare a termine quel progetto, con l’ausilio di Stella, al sicuro e ben voluta a villa Meliti e l’andarsene via, anche da Los Angeles, appena il processo Rattler fosse giunto al termine, con un successo o meno: in aula, però, lui avrebbe voluto vincere.

Un aroma a lui tanto noto, quanto caro, gli inondò le narici, improvviso.

“Jay …?!” – sussurrò, guardandolo, come se fosse un’autentica apparizione, insperata, quanto luminosa.

In realtà, Geffen, non aveva comunicato a nessuno, l’appuntamento fuori orario al reparto di fecondazione assistita.

“Me l’ha detto Stella, che eri qui, se te lo stai domandando, Glam” – Leto gli sorrise, dandogli una spiegazione, per poi avvicinarsi a lui.

L’assistente, in camice bianco, era altresì arrivata alle spalle del cantante – “Bene, se ci siamo tutti, possiamo procedere, Sig. Geffen: lei sarebbe …?” – e si rivolse a Jared, che la guardò con piglio sicuro.

“Sono l’altro genitore della bambina, cioè” – e, con un’espressione affabile e stupenda, delle sue, Jared si districò al meglio – “… cioè noi abbiamo questo sogno, che sia una bimba, ecco”

“Sì, capisco” – anche Miss. Wenders arrise alle loro presunte aspettative, espresse comunque con semplicità e purezza, caratteristiche che Geffen rivedeva ogni volta, in quei particolari momenti, nell’ex, ma perenne amore della sua esistenza.

“Ok andiamo …” – si intromise alzandosi, con il fiato corto ed un rossore in volto, che lo faceva sentire vivo.

Come non mai.


Entrarono, tenendosi per mano, fu Jared a deciderlo, in una camera da letto: un luogo a sorpresa.

“Ma tu guarda, è cambiato davvero tutto” – esordì il leader dei Mars, guardandosi intorno, mentre Glam chiudeva a chiave la porta.

“Un po’ di privacy non guasta, anche se non so cosa sta per succedere” – disse frastornato il legale, senza incrociare lo sguardo dell’altro.

“Ok … Vuoi da bere? Io sto morendo di sete”

“Jared”

Leto si ossigenò, versando una tonica in un paio di bicchieri di plastica: “Certo non è il mini bar del Bellagio” – rise nervoso.

Le dita gli tremarono leggermente.

“Jared” – Geffen gli arrivò ad un passo, dalla schiena, posandovi una carezza, con entrambi i palmi caldi ed un po’ sudati.

“Non mi farai cambiare idea, se è questo che pensi …” – sussurrò affettuoso, poi si girò, porgendogli la bibita – “… posso rimanere un’ora, non voglio metterti fretta Glam, però”

“Sì, io comprendo”

“L’hai sempre fatto, con questa testa matta, vero?” – e si commosse.

Geffen lo strinse forte – “Ti amo Jay”

“Lo so e sono così fortunato … e così stupido” - gli pianse dolce, nell’incavo della spalla sinistra.

Da quella parte c’era il cuore di Geffen, quel cuore grande, il cui battito, aveva scandito gli attimi migliori, che Jared aveva avuto nei suoi anni passati, nessuno poteva negarlo.

“Andiamo Glam … quel materasso sembra comodo” – sorrise simpatico ed un po’ in affanno, mentre l’altro gli asciugava gli zigomi lisci e rasati.

“Va bene Jared” – e fece un cenno di assenso, per sottolineare il suo coinvolgimento emotivo totale.


Carezze e baci, non servì nulla di più, per lasciare scaturire l’essenza di Geffen, “un daddy per tutti”, anche lui sarebbe stato d’accordo con la definizione di Ruffalo, senza neppure conoscerla, in quel frangente.

Leto si posò poi, sul suo petto ampio, a riposarsi, al sicuro, come quella farfalla, di nuovo libera di invadere spazi sconosciuti o abituali, senza pensieri.

“Glam …”

“Sì, sono qui” – e lo avvolse, ad un soffio dall’addormentarsi.

Al suo risveglio, Jared era già volato via.
Come sempre.












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