martedì 8 settembre 2015

NAKAMA - CAPITOLO N. 16

Capitolo n. 16 – nakama



Downey accese una lanterna da campo, rannicchiandosi sotto ad una tenda dalle dimensioni ridotte, mentre Jude intratteneva i bambini, con una recita, tanto improvvisata quanto comica, sui classici di Shakespeare.

L’americano attivò la videocamera, dopo avere ricevuto da Geffen un messaggio piuttosto laconico, ma preoccupante.

“Tesoro ciao, grazie per avere chiamato subito” – lo salutò mesto, gli occhi lucidi, screziati da un pianto recente.

“Glam … Ciao, ma cosa succede?”

Si stavano guardando, come se fossero ad un passo l’uno dall’altro.

“Mi sento … mi sento a disagio, ma non saprei a chi parlarne”

“Di cosa?”

“Di Jay … e di Colin” – rivelò afflitto e non servivano ulteriori parole.

Downey scosse il capo brizzolato ed in ordine.

Era bellissimo e carismatico, come sempre.

“E’ stato lui a dirtelo, Glam?”

“No, ma i segnali ci sono tutti … E’ andato a Los Angeles”

“Sì ci siamo visti alla End House” – lo interruppe brusco, incazzato.

“Certo non posso impedirgli di vedere il padre dei suoi …” – si morse le labbra – “… Quando è rientrato, Jay si è sentito male, pensa che ho chiamato Colin, perché lo raggiungesse qui, pensando gli facesse bene vederlo, ma mi sto ingannando, volevo solo osservarli vicini, studiare le loro reazioni, ecco!” – ed iniziò a liberare la sua di rabbia.

“Immagino l’ansia di Colin …”

“Non mi ha mai nascosto il suo amore per Jared, non lo maschera, non serve, però pensavo di avere finalmente campo libero, dopo Parigi”

“E’ con tuo marito che devi affrontare l’argomento, Colin non centra nulla” – obiettò rigido l’attore.

“Sì, lo farò”

“In che senso Jared si è sentito male?”

“Un calo di pressione, poi ha saltato i pasti, insomma su certe cose Jay non cambierà mai, così come nel cercare Colin … senza sosta, senza mai spezzare quella che io vedo ancora come una catena”

“Con la quale dovresti lasciare che ci si strozzino, accidenti! Detesto vederti soffrire così, Glam!” – sbottò, anche un po’ inaspettato.

“Tesoro …” – Geffen aggrottò la fronte spaziosa e stempiata – “… ti ringrazio per il sostegno” – sorrise impacciato – “… ma io amo profondamente Jared, tu lo sai … sai cosa provo e quanto amore mi ha unito sia a te che a lui”

“Lo so … Perdonami, mi sono lasciato andare, è che … Che ho incrociato Jay, mi è sembrato acido, distante dall’amicizia, che condividevamo … Lui mi detesta”

“Lui è geloso di … di come ci siamo evoluti, nel nostro rapporto, ne abbiamo persino parlato”

“Peccato non riesca a fare lo stesso con Colin”

“E come potrebbe? Forse alla base c’è tutta la sofferenza che Colin gli ha procurato in passato ed in parte Jared gli ha reso la pariglia, accumulando così tanti sensi di colpa, da innescare un vincolo torbido, quanto inscindibile, mentre tu ed io, Rob, ci siamo amati davvero, senza ferirci”

Downey sorrise dolce – “Non del tutto … Non in quel modo, almeno”

“Sì, certo … Diversamente saremmo ancora insieme …” – ed inspirò greve.

“Stai bene, Glam?”

“Sono stressato, se non ci fossero i nostri bimbi … Pepe è un amore, si diverte tutto il giorno con Lula ed Isotta, ma anche con Petra”

“Petra?”

“E’ qui per il fine settimana, con i suoi papà e … zio Vincent … Ci sono novità, a quanto pare” – si distrasse un minimo, in quello scambio di confidenze, estranee al suo presente con Leto.

“Novità? Hanno deciso di vivere tutti sotto allo stesso tetto?” – Downey stava scherzando, senza immaginare la risposta del suo adorato interlocutore.

“Ho l’impressione di sì, Rob …”

“Co cosa?!” – bisbigliò stranito, come a volere celare un segreto inconfessabile.

“Ne riparleremo … Quando si scarta l’improbabile, ci si affida all’impossibile? Era così quella teoria …?” – sorrise amaro.

“Ti voglio bene Glam” – e gli tremò il cuore nel dirlo.

“Anch’io Robert, abbi cura di te e di Jude, salutami la ciurma, ci vediamo presto e non stare in pensiero, ok? Troverò una via d’uscita”

“Te lo auguro davvero … Dormi bene, Glam.”




Louis si strofinò il volto, avvolgendo poi Petra in un plaid, dimenticato da qualcuno dentro ad una cesta, proprio lì accanto.

La bimba fece una smorfia, poi si rannicchiò sotto l’ala di Harry, scivolando dal petto di Lux, liberandolo e lasciando che il francese si girasse sul fianco sinistro, in favore di Tomlinson, rimasto seduto ed un po’ rigido.

“Ciao …” – mormorò l’uomo, senza sapere se ridere oppure piangere.

Boo lo aveva perdonato.
L’aveva fatto sia con lui che con Styles, senza perdersi in troppi ragionamenti inutili, dopo che l’affarista aveva detto loro un semplice, quando definitivo – “Io vi amo … amo ogni cosa di voi, di ciò che mi fate provare, anche se ciò che mi unisce a mon petit rimarrà unico ed inossidabile: vi invito ad essere sinceri, come lo sono stato io, in questo istante, forse l’ultimo in cui vi vedrò, perché potreste odiarmi e ne avreste anche ragione … O almeno in parte … Non ho fatto tutto da solo, del resto” – ed il suo sorriso sigillò quelle affermazioni lucide e senza appello.

Louis andò ad abbracciarlo, con la naturalezza di un innamorato oppure di un figlio ritrovato o di qualsiasi cosa, avesse una forma amorevole.

Harry li raggiunse un secondo dopo, precipitando in quel connubio, sentendosi al sicuro, senza livori, senza più antagonismi.

Forse era tempo di fare un passo avanti, ma in una direzione, che in pochi avrebbero intrapreso.

Del resto avevano sotto ai loro occhi, ciò che stava logorando da anni Glam, Colin e Jared: purtroppo non se ne usciva, da quel vicolo cieco ed il risultato era un’eterna incertezza, quando, invece, sarebbe stato più semplice provare a convogliare emozioni, intenzioni e buona volontà, in un’unica dimora, dove condividere, anziché distruggere.

Certo sarebbe apparsa piuttosto assurda, questa soluzione, all’intera famiglia, ma, a questa triade, non importava: al primo posto il benessere di Petra.

Il resto lo avrebbero affrontato giorno dopo giorno, senza precludersi nulla, al fine di migliorare il reciproco quotidiano: in quali termini, era una strada, tutta da scoprire.




Mads ebbe un sussulto, nello schiudere le palpebre, su quanto lo circondava.

La camera di Will, in un discreto disordine, visto che il numero degli oggetti era talmente esiguo, da non permettergli altrimenti.

E poi Will, seduto quasi sul bordo, seminudo, con un collare annodato intorno al collo.

Quel collare.

“Kirill me lo spedì in un pacchetto, con poche righe, su di un tovagliolo spiegazzato: ho detto basta e sono a New York, grazie a qualcuno che finalmente potrebbe amarmi davvero” – Graham gli diede il buongiorno così, con voce ferma e sguardo un po’ vitreo, perso nel vuoto e nei propri ricordi.

Mikkelsen si erse, contratto e scuro in volto – “E’ di cattivo gusto, Will, come neppure immagini” – e cominciò a rivestirsi, con scatti nervosi, nel raccogliere gli indumenti, nell’imporsi di non perdere la pazienza e di non inveire, come se l’altro lo avesse appena tradito, ad una profondità inaudita.

“Era di cattivo gusto, ciò che facevi a quei ragazzi!” – lo contestò diretto e spietato Graham, ergendosi a propria volta, con unicamente i boxer addosso e quel cimelio talmente sgradevole alla vista di Mads, che questi si ostinava a non affrontare il suo sguardo gelido.

“Deve trattarsi di un disturbo bipolare, sai Will, quello di cui soffri” – sibilò aspro il chirurgo.

“E guardami quando mi parli!” – gli urlò tra le scapole il più giovane, strappandosi la striscia di cuoio e borchie, facendosi male, ma mai quanto ne stava facendo lui all’uomo, con cui aveva fatto l’amore quasi sino all’alba.

Mads lo accontentò, andandogli a pochi centimetri da viso arrossato e tremante: “Eccomi, ti sto guardando Will”

Il suo tono era costernato, ma la reazione tipica del suo carattere abituato a prendere decisioni difficili e quindi a non perdersi in cali emotivi, in rese inaccettabili.

La vita di un paziente vacillava tra le sue mani, quando Mikkelsen doveva agire in fretta ed esitare non era ammesso, così come subire una sconfitta, anche se neppure lui era infallibile.

“Tu … tu davvero credevi che sarebbe stato semplice, con me, Mads …?”
Le sue iridi erano colme di lacrime, almeno quanto di astio.
Il suo respiro spezzato.

“Ciò in cui credevo, Will, probabilmente non è mai esistito, se non nella mia testa e nel mio cuore” – e se ne andò, senza lasciargli il tempo di replicare.

Lo aveva persino tolto da quell’imbarazzo.
Un’estrema gentilezza, nei riguardi di Graham.
Forse l’ultima.




Farrell non era da nessuna parte.

Geffen lo stava cercando, dopo avere dormito sul divano del living.
Aveva evitato di tornare da Jared, pensando che il suo ex si fosse fermato nella loro stanza, facendo arrivare il mattino.

In qualche modo.

Appena l’avvocato salì al primo piano, notò un trolley ed una sacca da viaggio, lasciati nel corridoio.

“Cosa sono questi bagagli, Jay? Dove stai andando?”

Leto era seduto sul davanzale, in jeans e maglietta: sembrava una ragazzino, invecchiato in fretta, in un’unica notte.

La sua pelle era tirata, ispida, i capelli scompigliati e spenti, come i suoi zaffiri.

“Ti libero di me, semplicemente questo”

“Smettila di dire sciocchezze, accidenti!” – sbottò alterato Glam, che si sentì affogare, senza alcun appiglio, con il quale salvarsi, questa volta.

Era stanco e, forse, non aveva più voglia di combattere quella guerra, persa da ogni fazione contrapposta o alleata.

Leto raggiunse i bagagli, passando oltre il coniuge, che non provò nemmeno a fermarlo.

I suoi muscoli erano come intorpiditi, dalla delusione, dall’ennesima fuga dell’altro.

“Tu non hai idea, di cosa ho combinato questa volta, Glam” – e rise, isterico, iniziando a piangere, mentre raccoglieva quel minimo, per andare da nessuna parte, concretamente.

“Non … non mi importa, Jay … Resta e parliamone, vuoi?”

Anche lui aveva cominciato a piangere ed un amore fatto di lacrime, non poteva andare oltre una giornata di sole, come quella che Geffen aveva offerto a Jared, sin dal principio di loro.

Sarebbe evaporato, inevitabilmente e svanito, oltre le nuvole.

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Ruffalo spalancò la blindata, senza controllare dallo spioncino chi avesse bussato a quell’ora.

“Niall …” – la sorpresa lo illuminò di un sorriso accogliente.

“Caffè e brioche calde” – Horan sollevò un paio di sacchetti, che gli occupavano entrambe le mani.

Mark lo abbracciò, approfittando di quel varco, tra le ali del ragazzino ed il suo corpo esile e scattante.

“Tesoro non credevo che”

“Che ci saremmo rivisti, dopo il bacio in università?”

Si guardarono, ancora intrecciati, quindi entrarono.

Niall riprese una certa distanza, all’interno di quell’ampio ingresso, dandogli le spalle, ma per poco.

Tornarono a fissarsi, in uno strano e temporaneo silenzio.

“Il rettore mi ha inviato un richiamo formale, sai?” – esordì, in imbarazzo, il professore.

“Mi dispiace Mark”

“Nessun problema, sono abituato alle lavate di testa” – e rise nervoso, facendogli strada – “Vieni, sediamoci e parliamo un po’, se hai tempo, ovvio”

“Sì, ne ho, diversamente non sarei riuscito a passare” – anche Horan abbozzò un sorriso di circostanza, accomodandosi lontano dall’altro.

Forse si stava cacciando in un vicolo cieco, ma Ruffalo lo faceva sentire talmente al sicuro, da sedare ogni timore possibile.

“Ok … Tim sta bene, i bimbi?”

“Ti importa davvero, Mark?” – chiese secco, inquisendolo con quelle due pozze di cielo.

“No … Non proprio” – e prese un lungo respiro.

“Cosa ti è successo? Te l’ho chiesto in quell’androne e tu non mi hai risposto, come mai?”

Ruffalo chiuse gli occhi, incrociando le braccia, poi le sciolse.

Difendersi da Niall era così assurdo.

“Ho … ho avuto un incontro con Jared … E … ed abbiamo trasceso”

“Ma lui è sposato con Geffen!”

“E dovrei farmela sotto per questo?!” – bissò risentito.

Horan si morse le labbra carnose, scuotendo il capo biondo e vivace, come ogni dettaglio in lui.

Così meraviglioso, al cuore di Mark.

“Scusami piccolo … Io non volevo essere sgarbato con te, no davvero”

“E’ tipico di Jared, comunque, trascendere ecco”

“Ma non dovevo permetterlo, quindi ora capisci come mai fossi così sconvolto”

“D’accordo Mark, però quel bacio?” – lo incalzò.

Il texano arrossì ed Horan sorrise, con tenerezza verso quella reazione così genuina.

“Mi … mi sentivo così solo, tra quelle pareti e quei busti in marmo dell’ateneo”

“Che nessuno riconosce mai”

Risero lievi, annuendo.

“Forse gli scultori, Niall rappresentano ciò che è nella loro mente, è un punto di vista, una visione, ecco … Devo averne avuta una anch’io ed ho ceduto alla tentazione, di avvicinarmi oltre il consentito, dal buon senso, dalla ragione … Scusami” – ed artigliò i braccioli della poltrona, statico nel proprio disagio.

“Tu non hai fatto nulla di male … Nulla Mark.”




Cominciò a piovere.

Jared accostò, controllando il cellulare: nessuno lo aveva cercato.

Guardò in direzione del palazzo di Ruffalo, esitando nello scendere o meno.

Si controllò nello specchietto retrovisore e sbuffò.

“Bello schifo che faccio … In tutti i sensi” – ed aprì di scatto la portiera, correndo sotto al lungo colonnato, sul quale si affacciava più di un’entrata.

Quella di Mark restava nel mezzo.

Qualcuno ne stava uscendo e Leto si intrufolò con scaltrezza, il cappuccio della felpa alzato, le mani in tasca, l’andatura frettolosa.

La pulsantiera dell’ascensore si accendeva a zig zag, mentre la cabina saliva all’attico.

Il front man continuava a tenere le mani nelle tasche, perché fredde e fastidiose al tocco.

Sperava di scaldarle o sperava lo facesse Mark.
Senza mandarlo via.

Mark che se stava sulla soglia dell’appartamento, con Niall sul petto, a cullarlo, mentre si baciavano.

Intensi.

Le ante si aprirono su quel fotogramma, poi si richiusero.

Jared fu abbastanza svelto da azionare il pulsante del piano terra, sbagliando comunque con quello dei garage, due livelli sotto.

Meritava di scendere ben oltre, pensò.

Poi non pensò più a niente, ritrovandosi, senza ricordare come ci fosse arrivato, nell’abitacolo del proprio suv.

La pioggia battente, rimbalzava sul parabrezza, mentre lui puntava gli zaffiri verso un orizzonte senza volti, senza risa, senza l’abbraccio di Glam, dove ognuno trovava posto: i bimbi, lui, i gatti reclamati da Isotta.

Senza il calore di Colin, il profumo del suo dopobarba, la pece delle sue iridi, debordanti di insicurezza, ma anche di forza, quando necessario.

Solo pioggia.

Solo pioggia …








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