Capitolo n. 16 – nakama
Downey accese una
lanterna da campo, rannicchiandosi sotto ad una tenda dalle dimensioni ridotte,
mentre Jude intratteneva i bambini, con una recita, tanto improvvisata quanto
comica, sui classici di Shakespeare.
L’americano attivò la
videocamera, dopo avere ricevuto da Geffen un messaggio piuttosto laconico, ma
preoccupante.
“Tesoro ciao, grazie
per avere chiamato subito” – lo salutò mesto, gli occhi lucidi, screziati da un
pianto recente.
“Glam … Ciao, ma cosa
succede?”
Si stavano guardando,
come se fossero ad un passo l’uno dall’altro.
“Mi sento … mi sento a
disagio, ma non saprei a chi parlarne”
“Di cosa?”
“Di Jay … e di Colin” –
rivelò afflitto e non servivano ulteriori parole.
Downey scosse il capo
brizzolato ed in ordine.
Era bellissimo e
carismatico, come sempre.
“E’ stato lui a
dirtelo, Glam?”
“No, ma i segnali ci
sono tutti … E’ andato a Los Angeles”
“Sì ci siamo visti alla
End House” – lo interruppe brusco, incazzato.
“Certo non posso
impedirgli di vedere il padre dei suoi …” – si morse le labbra – “… Quando è
rientrato, Jay si è sentito male, pensa che ho chiamato Colin, perché lo
raggiungesse qui, pensando gli facesse bene vederlo, ma mi sto ingannando,
volevo solo osservarli vicini, studiare le loro reazioni, ecco!” – ed iniziò a
liberare la sua di rabbia.
“Immagino l’ansia di
Colin …”
“Non mi ha mai nascosto
il suo amore per Jared, non lo maschera, non serve, però pensavo di avere
finalmente campo libero, dopo Parigi”
“E’ con tuo marito che
devi affrontare l’argomento, Colin non centra nulla” – obiettò rigido l’attore.
“Sì, lo farò”
“In che senso Jared si
è sentito male?”
“Un calo di pressione,
poi ha saltato i pasti, insomma su certe cose Jay non cambierà mai, così come
nel cercare Colin … senza sosta, senza mai spezzare quella che io vedo ancora
come una catena”
“Con la quale dovresti
lasciare che ci si strozzino, accidenti! Detesto vederti soffrire così, Glam!”
– sbottò, anche un po’ inaspettato.
“Tesoro …” – Geffen
aggrottò la fronte spaziosa e stempiata – “… ti ringrazio per il sostegno” –
sorrise impacciato – “… ma io amo profondamente Jared, tu lo sai … sai cosa
provo e quanto amore mi ha unito sia a te che a lui”
“Lo so … Perdonami, mi
sono lasciato andare, è che … Che ho incrociato Jay, mi è sembrato acido,
distante dall’amicizia, che condividevamo … Lui mi detesta”
“Lui è geloso di … di
come ci siamo evoluti, nel nostro rapporto, ne abbiamo persino parlato”
“Peccato non riesca a
fare lo stesso con Colin”
“E come potrebbe? Forse
alla base c’è tutta la sofferenza che Colin gli ha procurato in passato ed in
parte Jared gli ha reso la pariglia, accumulando così tanti sensi di colpa, da
innescare un vincolo torbido, quanto inscindibile, mentre tu ed io, Rob, ci
siamo amati davvero, senza ferirci”
Downey sorrise dolce –
“Non del tutto … Non in quel modo, almeno”
“Sì, certo …
Diversamente saremmo ancora insieme …” – ed inspirò greve.
“Stai bene, Glam?”
“Sono stressato, se non
ci fossero i nostri bimbi … Pepe è un amore, si diverte tutto il giorno con
Lula ed Isotta, ma anche con Petra”
“Petra?”
“E’ qui per il fine
settimana, con i suoi papà e … zio Vincent … Ci sono novità, a quanto pare” –
si distrasse un minimo, in quello scambio di confidenze, estranee al suo
presente con Leto.
“Novità? Hanno deciso
di vivere tutti sotto allo stesso tetto?” – Downey stava scherzando, senza
immaginare la risposta del suo adorato interlocutore.
“Ho l’impressione di
sì, Rob …”
“Co cosa?!” – bisbigliò
stranito, come a volere celare un segreto inconfessabile.
“Ne riparleremo …
Quando si scarta l’improbabile, ci si affida all’impossibile? Era così quella
teoria …?” – sorrise amaro.
“Ti voglio bene Glam” –
e gli tremò il cuore nel dirlo.
“Anch’io Robert, abbi
cura di te e di Jude, salutami la ciurma, ci vediamo presto e non stare in
pensiero, ok? Troverò una via d’uscita”
“Te lo auguro davvero …
Dormi bene, Glam.”
Louis si strofinò il
volto, avvolgendo poi Petra in un plaid, dimenticato da qualcuno dentro ad una cesta,
proprio lì accanto.
La bimba fece una
smorfia, poi si rannicchiò sotto l’ala di Harry, scivolando dal petto di Lux,
liberandolo e lasciando che il francese si girasse sul fianco sinistro, in
favore di Tomlinson, rimasto seduto ed un po’ rigido.
“Ciao …” – mormorò l’uomo,
senza sapere se ridere oppure piangere.
Boo lo aveva perdonato.
L’aveva fatto sia con
lui che con Styles, senza perdersi in troppi ragionamenti inutili, dopo che
l’affarista aveva detto loro un semplice, quando definitivo – “Io vi amo … amo
ogni cosa di voi, di ciò che mi fate provare, anche se ciò che mi unisce a mon
petit rimarrà unico ed inossidabile: vi invito ad essere sinceri, come lo sono
stato io, in questo istante, forse l’ultimo in cui vi vedrò, perché potreste
odiarmi e ne avreste anche ragione … O almeno in parte … Non ho fatto tutto da
solo, del resto” – ed il suo sorriso sigillò quelle affermazioni lucide e senza
appello.
Louis andò ad
abbracciarlo, con la naturalezza di un innamorato oppure di un figlio ritrovato
o di qualsiasi cosa, avesse una forma amorevole.
Harry li raggiunse un
secondo dopo, precipitando in quel connubio, sentendosi al sicuro, senza
livori, senza più antagonismi.
Forse era tempo di fare
un passo avanti, ma in una direzione, che in pochi avrebbero intrapreso.
Del resto avevano sotto
ai loro occhi, ciò che stava logorando da anni Glam, Colin e Jared: purtroppo
non se ne usciva, da quel vicolo cieco ed il risultato era un’eterna
incertezza, quando, invece, sarebbe stato più semplice provare a convogliare
emozioni, intenzioni e buona volontà, in un’unica dimora, dove condividere,
anziché distruggere.
Certo sarebbe apparsa
piuttosto assurda, questa soluzione, all’intera famiglia, ma, a questa triade,
non importava: al primo posto il benessere di Petra.
Il resto lo avrebbero
affrontato giorno dopo giorno, senza precludersi nulla, al fine di migliorare
il reciproco quotidiano: in quali termini, era una strada, tutta da scoprire.
Mads ebbe un sussulto,
nello schiudere le palpebre, su quanto lo circondava.
La camera di Will, in
un discreto disordine, visto che il numero degli oggetti era talmente esiguo,
da non permettergli altrimenti.
E poi Will, seduto
quasi sul bordo, seminudo, con un collare annodato intorno al collo.
Quel
collare.
“Kirill me lo spedì in
un pacchetto, con poche righe, su di un tovagliolo spiegazzato: ho detto basta e sono a New York, grazie a
qualcuno che finalmente potrebbe amarmi davvero” – Graham gli diede il
buongiorno così, con voce ferma e sguardo un po’ vitreo, perso nel vuoto e nei
propri ricordi.
Mikkelsen si erse,
contratto e scuro in volto – “E’ di cattivo gusto, Will, come neppure immagini”
– e cominciò a rivestirsi, con scatti nervosi, nel raccogliere gli indumenti,
nell’imporsi di non perdere la pazienza e di non inveire, come se l’altro lo
avesse appena tradito, ad una profondità inaudita.
“Era di cattivo gusto,
ciò che facevi a quei ragazzi!” – lo contestò diretto e spietato Graham,
ergendosi a propria volta, con unicamente i boxer addosso e quel cimelio
talmente sgradevole alla vista di Mads, che questi si ostinava a non affrontare
il suo sguardo gelido.
“Deve trattarsi di un
disturbo bipolare, sai Will, quello di cui soffri” – sibilò aspro il chirurgo.
“E guardami quando mi
parli!” – gli urlò tra le scapole il più giovane, strappandosi la striscia di
cuoio e borchie, facendosi male, ma mai quanto ne stava facendo lui all’uomo,
con cui aveva fatto l’amore quasi sino all’alba.
Mads lo accontentò,
andandogli a pochi centimetri da viso arrossato e tremante: “Eccomi, ti sto
guardando Will”
Il suo tono era
costernato, ma la reazione tipica del suo carattere abituato a prendere
decisioni difficili e quindi a non perdersi in cali emotivi, in rese
inaccettabili.
La vita di un paziente
vacillava tra le sue mani, quando Mikkelsen doveva agire in fretta ed esitare
non era ammesso, così come subire una sconfitta, anche se neppure lui era
infallibile.
“Tu … tu davvero
credevi che sarebbe stato semplice, con me, Mads …?”
Le sue iridi erano
colme di lacrime, almeno quanto di astio.
Il suo respiro
spezzato.
“Ciò in cui credevo,
Will, probabilmente non è mai esistito, se non nella mia testa e nel mio cuore”
– e se ne andò, senza lasciargli il tempo di replicare.
Lo aveva persino tolto
da quell’imbarazzo.
Un’estrema gentilezza,
nei riguardi di Graham.
Forse l’ultima.
Farrell non era da
nessuna parte.
Geffen lo stava
cercando, dopo avere dormito sul divano del living.
Aveva evitato di
tornare da Jared, pensando che il suo ex si fosse fermato nella loro stanza,
facendo arrivare il mattino.
In qualche modo.
Appena l’avvocato salì
al primo piano, notò un trolley ed una sacca da viaggio, lasciati nel
corridoio.
“Cosa sono questi
bagagli, Jay? Dove stai andando?”
Leto era seduto sul
davanzale, in jeans e maglietta: sembrava una ragazzino, invecchiato in fretta,
in un’unica notte.
La sua pelle era
tirata, ispida, i capelli scompigliati e spenti, come i suoi zaffiri.
“Ti libero di me, semplicemente questo”
“Smettila di dire
sciocchezze, accidenti!” – sbottò alterato Glam, che si sentì affogare, senza
alcun appiglio, con il quale salvarsi, questa volta.
Era stanco e, forse,
non aveva più voglia di combattere quella guerra, persa da ogni fazione
contrapposta o alleata.
Leto raggiunse i
bagagli, passando oltre il coniuge, che non provò nemmeno a fermarlo.
I suoi muscoli erano
come intorpiditi, dalla delusione, dall’ennesima fuga dell’altro.
“Tu non hai idea, di
cosa ho combinato questa volta, Glam” – e rise, isterico, iniziando a piangere,
mentre raccoglieva quel minimo, per andare da nessuna parte, concretamente.
“Non … non mi importa,
Jay … Resta e parliamone, vuoi?”
Anche lui aveva
cominciato a piangere ed un amore fatto di lacrime, non poteva andare oltre una
giornata di sole, come quella che Geffen aveva offerto a Jared, sin dal
principio di loro.
Sarebbe evaporato,
inevitabilmente e svanito, oltre le nuvole.
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Ruffalo spalancò la
blindata, senza controllare dallo spioncino chi avesse bussato a quell’ora.
“Niall …” – la sorpresa
lo illuminò di un sorriso accogliente.
“Caffè e brioche calde”
– Horan sollevò un paio di sacchetti, che gli occupavano entrambe le mani.
Mark lo abbracciò,
approfittando di quel varco, tra le ali del ragazzino ed il suo corpo esile e
scattante.
“Tesoro non credevo che”
“Che ci saremmo
rivisti, dopo il bacio in università?”
Si guardarono, ancora
intrecciati, quindi entrarono.
Niall riprese una certa
distanza, all’interno di quell’ampio ingresso, dandogli le spalle, ma per poco.
Tornarono a fissarsi,
in uno strano e temporaneo silenzio.
“Il rettore mi ha
inviato un richiamo formale, sai?” – esordì, in imbarazzo, il professore.
“Mi dispiace Mark”
“Nessun problema, sono
abituato alle lavate di testa” – e rise nervoso, facendogli strada – “Vieni,
sediamoci e parliamo un po’, se hai tempo, ovvio”
“Sì, ne ho,
diversamente non sarei riuscito a passare” – anche Horan abbozzò un sorriso di
circostanza, accomodandosi lontano dall’altro.
Forse si stava
cacciando in un vicolo cieco, ma Ruffalo lo faceva sentire talmente al sicuro,
da sedare ogni timore possibile.
“Ok … Tim sta bene, i
bimbi?”
“Ti importa davvero,
Mark?” – chiese secco, inquisendolo con quelle due pozze di cielo.
“No … Non proprio” – e prese
un lungo respiro.
“Cosa ti è successo? Te
l’ho chiesto in quell’androne e tu non mi hai risposto, come mai?”
Ruffalo chiuse gli
occhi, incrociando le braccia, poi le sciolse.
Difendersi da Niall era
così assurdo.
“Ho … ho avuto un
incontro con Jared … E … ed abbiamo trasceso”
“Ma lui è sposato con
Geffen!”
“E dovrei farmela sotto
per questo?!” – bissò risentito.
Horan si morse le
labbra carnose, scuotendo il capo biondo e vivace, come ogni dettaglio in lui.
Così meraviglioso, al
cuore di Mark.
“Scusami piccolo … Io
non volevo essere sgarbato con te, no davvero”
“E’ tipico di Jared, comunque,
trascendere ecco”
“Ma non dovevo
permetterlo, quindi ora capisci come mai fossi così sconvolto”
“D’accordo Mark, però
quel bacio?” – lo incalzò.
Il texano arrossì ed
Horan sorrise, con tenerezza verso quella reazione così genuina.
“Mi … mi sentivo così
solo, tra quelle pareti e quei busti in marmo dell’ateneo”
“Che nessuno riconosce
mai”
Risero lievi, annuendo.
“Forse gli scultori,
Niall rappresentano ciò che è nella loro mente, è un punto di vista, una
visione, ecco … Devo averne avuta una anch’io ed ho ceduto alla tentazione, di
avvicinarmi oltre il consentito, dal buon senso, dalla ragione … Scusami” – ed
artigliò i braccioli della poltrona, statico nel proprio disagio.
“Tu non hai fatto nulla
di male … Nulla Mark.”
Cominciò a piovere.
Jared accostò,
controllando il cellulare: nessuno lo aveva cercato.
Guardò in direzione del
palazzo di Ruffalo, esitando nello scendere o meno.
Si controllò nello
specchietto retrovisore e sbuffò.
“Bello schifo che
faccio … In tutti i sensi” – ed aprì di scatto la portiera, correndo sotto al
lungo colonnato, sul quale si affacciava più di un’entrata.
Quella di Mark restava
nel mezzo.
Qualcuno ne stava
uscendo e Leto si intrufolò con scaltrezza, il cappuccio della felpa alzato, le
mani in tasca, l’andatura frettolosa.
La pulsantiera dell’ascensore
si accendeva a zig zag, mentre la cabina saliva all’attico.
Il front man continuava
a tenere le mani nelle tasche, perché fredde e fastidiose al tocco.
Sperava di scaldarle o
sperava lo facesse Mark.
Senza mandarlo via.
Mark che se stava sulla
soglia dell’appartamento, con Niall sul petto, a cullarlo, mentre si baciavano.
Intensi.
Le ante si aprirono su
quel fotogramma, poi si richiusero.
Jared fu abbastanza
svelto da azionare il pulsante del piano terra, sbagliando comunque con quello
dei garage, due livelli sotto.
Meritava di scendere
ben oltre, pensò.
Poi non pensò più a niente,
ritrovandosi, senza ricordare come ci fosse arrivato, nell’abitacolo del
proprio suv.
La pioggia battente,
rimbalzava sul parabrezza, mentre lui puntava gli zaffiri verso un orizzonte
senza volti, senza risa, senza l’abbraccio di Glam, dove ognuno trovava posto:
i bimbi, lui, i gatti reclamati da Isotta.
Senza il calore di
Colin, il profumo del suo dopobarba, la pece delle sue iridi, debordanti di
insicurezza, ma anche di forza, quando necessario.
Solo pioggia.
Solo
pioggia …
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