domenica 30 ottobre 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 81

Capitolo n. 81 – nakama



La pioggia li sorprese, a metà strada, sulla via del ritorno.

Senza saperlo, Robert e Jesse stavano viaggiando, lungo il percorso, verso il cottage di Pinkman, dal lato opposto della città dove si trovavano Glam e Jude, in attesa di istruzioni, da parte di Chris.

Una pattuglia, finalmente, avvistò l’utilitaria di Rosita, presa in prestito dall’attore, per cercare Pinkman, senza essere seguito da nessuno della sua vasta e affettuosa famiglia.

Essere così amati, a volte, poteva risultare scomodo, anche per uno come lui, assetato di attenzioni, dai primi anni di vita e consapevolezza.

Geffen riavviò quindi l’Hummer, non senza controllare una cosa, nel vano oggetti.

“E quella cos’è?” – sbottò Law, fissando un revolver nuovo di zecca.

“Ho il porto d’armi, non preoccuparti, ok?” – brontolò il legale, richiudendo lo sportellino in radica e acciaio.

“Ti porti sempre l’artiglieria appresso?” – chiese con un mezzo sorriso l’inglese.

“Di questi tempi più che mai, non hai idea di quanti sciacalli girino per i quartieri, dopo il sisma” – spiegò Geffen, concentrato sul navigatore, dove, stranamente, le coordinate inviate da Hemsworth risultavano già memorizzate.

L’uomo non disse nulla all’amico, pervaso da una sensazione indecifrabile, da almeno un paio di giorni ormai.

Geffen non era nuovo a esperienze di quel genere, sovrannaturali e inspiegabili.

Pensò a Lula, ma non c’era tempo di parlargli, per chiedere spiegazioni a soldino, ormai giunto a casa di Kevin e Tim, per trascorrere insieme a loro e ai cugini, il week end.


“Siamo quasi arrivati Jesse” – Downey prese un respiro, senza distrarsi dal traffico, che andò diradandosi, quando imboccò la via dei villini, in quella periferia scarna, per negozi e servizi.

Era il luogo ideale, per il laboratorio di White.
Walter White, che controllava l’ora, ogni due minuti, sempre più in ansia, per il ritardo dell’acerbo compagno e per il suo cellulare spento.

I dubbi, i sospetti di un suo tradimento erano remoti, seppure quell’immagine, rimandata dallo specchio del loro modesto salotto, gli risultò, ancora una volta, impietosa.

La sua quotidianità, lo costringeva quasi a vivere come un topo, sempre al chiuso, nello scantinato grigio e spesso maleodorante, per le sostanze usate dai due, per produrre metanfetamine di alto livello.

Roba forte, biascicavano spesso gli utilizzatori, strafatti e in volo, verso paradisi fatui.


White si ostinava a rasarsi, quasi completamente, perché quei suoi capelli stopposi, proprio li odiava, anche se erano ricresciuti piuttosto in fretta, dopo le chemio.

Era magro, ma non atletico, mentre il corpo di Jesse gli risultava, dopo sette anni di “collborazione”, uno splendore continuo, senza troppi sforzi da parte dello studente.

Pinkman si nutriva appena, era divorato di passione e trasporto, quando facevano l’amore o scopavano, ormai la differenza era iniqua.

Ormai tutto, si era miscelato, come in una formula senza tempo, senza età, senza differenze.

Jesse era diventato, non senza difficoltà, un eccellente chimico; Walt doveva ammetterlo con sé stesso, senza più esitazioni.

Jesse poteva andarsene, fare soldi, anche senza di lui.
Lasciarlo da solo.
Solo.
Come un cane.
Com’era Pinkman, quando lui, uomo di buona famiglia, dedito al lavoro, ai cari, incolore, insignificante, lo aveva come raccolto.

E amato da subito, senza mai volerglielo dire per davvero, finché ci riuscì, pateticamente, a nascondere i propri sentimenti verso quel ragazzino, devastato dalle droghe e dall’amore per lui, Walter White, che non era niente, senza Jesse Pinkman.



Jude si masticò le pellicine, poi verificò la segreteria sul palmare, senza successo.

“Niente, Rob non ha risposto a nessuno dei miei messaggi”

“Avrà altro da fare” – sbuffò Geffen, accelerando, in prossimità dell’incrocio, che lo avrebbe portato a destinazione.

“Vorresti dire di meglio, che stare con me?” – polemizzò l’interprete più celebre di Watson.

“Ma figurati … Ci siamo quasi, ma a te non sembra di esserci già stato, Jude?” – chiese come stranito, analizzando ciò che stava vedendo.

Anzi, rivedendo, senza saperlo.


Downey accostò, su ordine di Jesse.
Il temporale era aumentato, all’improvviso.

“Meglio fermarci qui, non vorrei che Walt ci vedesse, ecco” – spiegò Pinkman, in palese tensione.

“Nessuno ti ha mai dato un passaggio?” – domandò Robert, sorridendo, cercando di togliere l’appannamento del parabrezza, con uno straccio in microfibra, di quelli usati da Rosita, durante le proprie mansioni di colf, oltre che di baby sitter.

“No”

“Strano, sei un tipo simpatico, socievole”

“Anche troppo, secondo le tue farneticazioni Robert” – obiettò Pinkman, acido.

Downey inspirò, sentendosi ridicolo.

“Ok, forse è stato uno sbaglio cercarti”

“E non so neppure perché! Ti sei preso una cotta, forse?”

§ Per me, che non sono mai stato nulla di che, che nessuno ha voluto, che qualcuno si è preso, derubandomi di ogni dignità? §

Jesse se lo chiese mentalmente.
Mortificato, si scusò – “Perdonami Robert …” – e si riempì le labbra di quel nome, di quei carboni liquidi, che lo stavano fissando da qualche attimo.

Che gli si avvicinarono abbastanza, ai suoi cieli azzurri, fino a darsi un bacio.

Rapido.
Casto.

Glam e Jude fecero appena in tempo a notarlo, avendo parcheggiato dall’altro lato del marciapiede, ma White no, lui no, lo aveva visto benissimo.

Sulla soglia di quell’abitazione semplice, uguale ad altre cento, in quel quartiere così distante dalle colline e dal lussuoso centro di Los Angeles.




Norman si rivestì.
JD, alle sue spalle, gli diede un bacio sulla nuca, aiutandolo ad allacciarsi la camicia a scacchi, blu e azzurri.

“Perché non resti?” – chiese, con quel tono consumato dalle numerose sigarette.
Il suo dopobarba era intossicante.

Così i suoi baci, che dal collo, arrivarono alla bocca di Reedus, come una tempesta.

Dolce ed erotica.

“Perché me?” – domandò improvviso l’ex agente della narcotici, staccandosi malvolentieri da quel contatto intimo, complice.

Come se si frequentassero da sempre.

“Perché no?” – Morgan rise tagliente.
Come i suoi occhi, piantati in quelli di Reedus, come la bandiera dei vincitori.

“Hai visto Paul, prima di me?”

“Certo: sono venuto a cercarlo, per chiedergli dei soldi, in nome della nostra, come dire? Convivenza solidare” – e rise più forte, ormai appoggiato allo stipite dell’uscita.

“Dividevate la cella?”

“Sì … Lui era la mia puttana, gli davo droga e poi … Ok, stammi a sentire, non sono qui per parlare di Rovia, non mi è mai interessato, se davvero vuoi saperlo, ma mai avrei creduto che mi avrebbe portato a te!” – rivelò perentorio, sorprendendolo.

“A me?!” – a quel punto Norman riprese un minimo di controllo, schiarendosi la voce e avanzando, in carenza, comunque, di ossigeno, per quanto si sentiva sconvolto dalle proprie emozioni contrastanti.

“Sì, a te! A te che ti sei ficcato qui!” – e si puntò l’indice in mezzo alla fronte.

“Non è possibile …” – Reedus lo sussurrò appena, bloccandosi di nuovo.

Era come una corsa a ostacoli e lui stava inciampando su tutti.

“Sono fatto così” – anche Morgan tentò di recuperare un po’ dell’aria intorno a sé, gli opali taglienti e lucidi di Norman lo stavano come uccidendo e rinvigorendo – “… io sono così e mi hai colpito dal primo istante … Dal primo pugno allo stomaco direi, visto che non andasti per il sottile, quella notte”

“Quando ti ho arrestato?” – lo interruppe brusco.

JD fece un cenno di assenso, recuperando un’altra sigaretta – “Pensala come vuoi, io non ti ho nascosto un cazzo, mentre il tuo bel ragazzino è corso da me, appena l’ho agganciato e si è lasciato sbattere, senza fare resistenza, come dite voi sbirri”

Un pugno gli arrivò in pieno volto, stendendolo, mentre Reedus finiva in ginocchio, stremato.

Vinto.

Morgan scoppiò a ridere, poi ridivenne serio, in quell’altalenante modo di porsi, che inquietava e seduceva.

“Non ti merita, non potrai mai fidarti di uno come Rovia, di un drogato del genere, anche se ti sembra pulito, rimarrà sporco dentro a vita” – sibilò, andando a pochi centimetri dalla faccia del suo interlocutore, dallo sguardo perso, ormai, tra afflizione e lacrime amare.

“Tu non sai un cazzo di noi, di Paul …” – farfugliò appena.

Sembrò un’estrema difesa, così vuota, quanto inutile.

Morgan gli diede una carezza, poi un bacio nel collo – “Andiamocene adesso, i soldi non ci mancano” – gli parlò dentro, come se lo stesse possedendo, anche in quella maniera, così intima e profonda.

“I soldi che tu hai rubato a Paul …” – e si rialzò – “… Ma ti senti? Sei uno stronzo senza speranza” – e se ne andò, pensando che, forse, non sarebbe neppure arrivato vivo alla moto.

Sbagliava.
JD lo lasciò andare, senza alzare un dito per fermarlo.

Tanto sapeva benissimo, che Norman Reedus sarebbe tornato da lui.



https://www.youtube.com/watch?v=5anLPw0Efmo


Pinkman chinò il capo, percependo le labbra di Robert baciargli i capelli, in un ultimo gesto di affetto o compassione.

“Grazie per avermi sopportato” – Downey sorrise, mentre l’altro faceva come un balzo indietro, contro la portiera, ritraendosi, impaurito.

“Grazie per avermi riportato a casa” – e afferrò la maniglia, per scendere da quell’abitacolo, dove non riusciva più a respirare e connettere.

Gli scrosci gelidi della tempesta lo investirono, così l’occhiata torva di White, impalato sotto la veranda, dove una lampada penzolante, oscillava avanti e indietro.

“Walt …”

Jesse deglutì a vuoto, sbrigandosi a raggiungerlo.

Anche Downey scese, notando la rabbia del professore, pensando già a come dargli una spiegazione, addossandosi ogni responsabilità, affinché Pinkman non ci andasse di mezzo.

Geffen assottigliò le palpebre, dopo avere abbassato il finestrino.

Poi le spalancò.

“E’ armato … Quel tizio è armato! Robert vattene!!” – e, urlando, si precipitò verso l’ex marito, sotto lo sguardo scioccato di Law.

Jesse era quasi arrivato da Walt; ma non abbastanza, per fermarlo.

White sparò un colpo in direzione di Downey.
Un proiettile altamente perforante, di quelli che non danno scampo, per come sono stati concepiti.

In grado di trapassare anche due corpi.
Quello di Glam, che aveva fatto da scudo e quello di Robert, ugualmente trafitto, da quella saetta, arancio e viola.


Gli stessi lampi colorati, echeggiarono dal revolver impugnato da Jude, che non esitò a rivolgere l’arma contro Walter, mentre gli andava incontro, senza che Jesse potesse provare a difenderlo, come Geffen aveva appena fatto con Downey.


“Glam …”

“Tesoro … Mio Dio” – ma il suo sembiante massiccio, non lo abbandonò, tenendolo saldo a sé, mentre precipitavano verso l’asfalto, già macchiato del loro sangue, di quello che usciva dall’addome di Glam e dalla bocca di Robert, imbrattando la camicia del primo, come quel cuscino, che Downey ricordò, nell’ennesimo dejà vu.

Le urla di Pinkman coprirono persino il rumore dei tuoni.

Law si era come paralizzato, oltre il cancelletto della recinzione del loro villino.

White gemette, tenuto in grembo da Jesse, che lo stava abbracciando, disperato – “Walt … Non morire … non farlo … no” – singhiozzò inerme.

“Il … il timer … Il timer l’ho azionato … Vattene subito, salvati almeno tu … Salvati piccolo mio”

E trovò il tempo di essere tenero, quando, in realtà, Walter White aveva sempre faticato ad esserlo con chiunque.

Pinkman, in uno sforzo estremo, lo trascinò via, oltrepassando Jude, che lo seguì, percependo un pericolo imminente.


Un’esplosione illuminò la scena, rendendo le loro figure nere come pece, stagliate contro ad uno sfondo abbacinante e rovente.

Come un nuovo inferno.

Pronto ad inghiottirli, senza alcuna pietà.













Nessun commento:

Posta un commento