giovedì 27 ottobre 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 80

 Capitolo n. 80 – nakama



Il ritmo, brutale ed incalzante di JD, mutò in qualcosa di diverso, all’improvviso.

Così il peso del suo corpo massiccio, che schiacciava contro al muro quello di Reedus, sembrò dissolversi, a poco a poco, mentre Morgan usciva da lui, con accortezza, per girarlo a sé e cominciare a baciarlo.

“Non … Non farò del male, né a te, né ai tuoi … Tanto meno a quella puttanella di Rovia” – e lo scrutò, intenso, prendendo fiato, mentre Norman lo fissava, sconvolto, dall’aggressione subita, ma, soprattutto ora, dalle sue parole – “… ma tu resta con me … Ancora un po’, vuoi?”

E non sorrise.

L’ex poliziotto annuì, tremandogli contro.

Con la voglia di baciarlo ancora.




Il dehors di Barny era in ristrutturazione, quindi Robert e Jesse si spostarono su di un muretto, a finire i loro frullati.

Pinkman tormentava la cannuccia, puntando il vuoto, dopo avere ascoltato il racconto dell’attore.
Su quanto Downey ricordasse, su di loro, su quegli avvenimenti, che adesso, percepiva come un sogno troppo reale.

Forse aveva ricominciato a farsi, pensò Jesse, del resto i problemi di droga di Robert erano ancora noti al grande pubblico, nonostante fossero passati molti anni dai suoi periodi bui.

Il giovane si ossigenò, scrollando le spalle – “Temo ti sia immaginato tutto, anche se non so come tu possa sapere dei miei tatuaggi, magari ci siamo incrociati in spiaggia” – e provò a metterla sul ridere.

Era impossibile, che quell’incontro fosse avvenuto su qualche lungomare: lui e White non si erano mai avvicinati all’oceano, preferendo trascorrere il tempo libero, da impegni lavorativi e scolastici, in quello scantinato, a produrre veleno per tossici, uscendo a malapena sotto Natale, per un film o una pizza.

Il terremoto, poi, li aveva fatti isolare ancora di più; non che ai due dispiacesse.
Era bello scolarsi birra, vedere dvd e scopare, nei pomeriggi di pioggia o di sole.
Loro non notavano la differenza, in quella vita fatta di lati oscuri e bugie.
Con tutti.


Downey rise tirato – “Guarda che non sto scherzando, ti ho solo esposto una serie di eventi e ne sono convinto, che, forse in una dimensione parallela, sono realmente accaduti!” – affermò deciso.

Pinkman si alzò lento, aggiustandosi lo zainetto sulla spalla destra – “Ok, ma perché li sei venuti a dire a me? Sei vivo e vegeto, a cosa ti serve coinvolgermi?”

Jesse voleva solo andarsene.
Quella storia avrebbe portato guai, ne era certo.

Delle ombre si allungarono sull’angolo, dove si erano appartati.

“Ciao zio Robert!”

“Lula …?!” – mormorò sorpreso l’artista, sollevandosi a propria volta.

Soldino era insieme a Vas e Peter, che stavano osservando Pinkman, così esile, in loro confronto.

“Ciao tesoro, ma non dovresti essere a scuola?”

“E tu non dovresti essere con zio Jude?” – ribatté vivace l’amore assoluto di Glam Geffen, con quell’aria, di chi la sapeva lunga.

“Sì, in effetti …” – esitò Downey.

“Facciamo una passeggiata, vuoi? Tanto Jesse rimane qui con loro, magari si fanno portare una pizza” – propose Lula, prendendo per un polso il moro, senza che lui acconsentisse o meno.

Tanto opporsi, sarebbe stato completamente inutile.

Pinkman, in compenso, seguì il loro passaggio sulla battigia lì vicino, con ulteriore disagio – “Ma come diavolo fa a sapere come mi chiamo, quel moccioso?” – quasi sussurrò, rivolgendosi, però, a Vas.

Il sovietico avvicinò tre sedie, mentre il partner recuperava un tavolino.

“Vuoi mangiare?” – chiese rigido il bodyguard.

“Ma voi chi siete?”

“I suoi angeli custodi: il padre di quel moccioso, come l’hai appena chiamato, è Geffen, hai presente?”

Jesse scosse il capo – “Quello che non muore mai?” – e ridacchiò, nervoso.

“Qualcosa del genere” – intervenne Peter, accomodandosi, senza perdere di vista né Robert, né tanto meno soldino.

“Se me ne vado, che succede?” – domandò lo studente, stringendo i braccioli in ferro battuto, di quella seduta scomoda.

“Non sei in pericolo” – replicò Vas, senza mai abbassare lo sguardo severo – “… Noi, siamo quelli buoni. Sempre.”




Le lenzuola erano pulite, sapevano di citronella o lavanda, Norman non riusciva mai a distinguerle.
Una volta, con le bimbe, aveva fatto un gioco, per la scuola, un compito un po’ particolare, basato su aromi e colori da abbinare.
Ne avesse azzeccato uno, lo canzonò l’ex moglie.

Quei ricordi, rimescolati ad altri, gli invasero la mente, così il sesso di JD, per la seconda volta, tra le sue gambe più arrese, ormai, alle sue spinte, a tratti più rudi, ma comunque partecipi, come ogni suo respiro, nel frangersi con quello di Reedus, nella bocca caldissima di quest’ultimo.

Gli piaceva.
Gli piaceva Morgan, la sua virilità prepotente e tenera, nel baciarlo di continuo, per farlo stare bene, in una situazione assurda.

Per entrambi.
In fondo.

Poi tutto finì.
Altri sentori, di fumo, di brezza marina.

JD si era rollato una canna, dopo avere spalancato una finestra.
I tendoni, arancio vivido, impedirono alla luce di inondare la stanza di sole, ma andava bene anche così, pensò Norman, vergognandosi, mentre si copriva con quelle coltri disfatte ed umide, girandosi sul lato destro, quasi in posizione fetale.

“Stai bene?” – chiese Morgan, roco, sedendosi sul davanzale, dopo avere indossato i jeans, sulla propria nudità attraente e muscolosa.

Reedus annuì, come un burattino senza fili.

Era libero, anche di aggredirlo, magari provando persino ad arrestarlo, come un secolo prima, in un tempo, che non esisteva più da un bel pezzo.
Un tempo, in cui era Chris, il suo supplizio perenne, l’unico a destabilizzare le sue sicurezze, a mettere in discussione le sue scelte: sposarsi, diventare padre, senza amare davvero Sara.

Tutto dissolto.
Tutto finito.
Tutto riscritto, negli occhi di Paul Rovia.
Nei suoi cieli.
Nel suo mare.


Forse Paul lo stava cercando.
Forse no.

“Puoi andartene, non voglio trattenerti, se non vuoi farlo tu” – JD sorrise, ma senza sarcasmo.

Silenzio.

“Lo vuoi un caffè? Di là c’è una macchinetta e delle cialde, magari riesco a farla funzionare …”

“Posso … Posso lavarmi?” – chiese senza energia.

“Certo. Gli asciugamani sono in bagno, non li ho ancora toccati” – rispose il galeotto, che nessuno sembrava cercare più.

Norman si diresse al box doccia, sperando di non crollare, di non vomitare, di non fare niente, se non annegare, sotto a quei getti bollenti, come avvenne due minuti dopo.

Finalmente.




“Tu sai cosa mi è capitato, vero?”

Downey ruppe il loro incedere taciturno.

“Una cosa fantastica, zio o no?” – bissò Lula, senza fermarsi, mentre raccoglieva conchiglie, sbirciando l’orizzonte.

“Ero … morto?”

“Lo eri … Anzi, lo saresti stato, fra poche ore, ad essere sinceri”

“E’ questo che vorrei, che tu fossi sincero, soldino, come tua abitudine, ok?”

“Ok … Ma non devi ringraziare me, se è questo che pensi: devi tutto a Pepe: l’amore di un figlio, può questo e anche di più” – rivelò serio.

“Pepe … Ma allora anche lui ha … Ha dei poteri, come li hai tu?”

Lula si fermò, lanciando i gusci, che divennero farfalle, in un turbinio di colori, permettendo, così, a Robert, di vederlo nelle sue sembianze adulte.

Come era successo a Glam e poi a Jared.

Downey rimase esterrefatto.

“Ti sei mai chiesto, come mai, Pepe venisse puntualmente riportato in orfanotrofio, dalle famiglie affidatarie?” – domandò il giovane, con pacatezza.

“No, mai …”

“Era considerato un bambino strano, per delle curiose coincidenze o per degli eventi inspiegabili, ma solo perché nessuno lo voleva con sé per amore, ma solo per avere il sussidio, capisci?”

“Sì, Lula, so come funziona … E Pepe si arrabbiava, si vendicava?”

“Banali incidenti domestici” – rise – “… Nulla di grave, non pensare che Pepe sia pericoloso, anzi … In seguito, comunque, in papà, lui vide la propria salvezza, come ognuno di noi, vero?”

“Glam è così … Hai ragione”

Lula tornò soldino, i capelli riccioluti, le iridi liquide e luminose.

“Allora, non abusare di questo dono, zio Robert: lascia andare al suo destino quel Jesse, vuoi?”

“Ma sicuro, io ero unicamente devastato da dubbi e”

“E torna da zio Jude, senza perdere tempo: prometti”

“Te lo prometto Lula … Porto a casa Jesse e poi corro da mio marito, non temere”

“Perfetto …” – e tornarono sui loro passi.

Senza fretta.




Jeffrey Dean Morgan e Norman Reedus, colleghi di set in TWD e amici legatissimi, nella vita reale.

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