Capitolo n. 77 – nakama
“Mi passi la spremuta,
Cole?”
“Certo, ecco … Hai fame
stamattina tesoro” – disse quasi con sollievo, l’irlandese.
“Stamattina? Diciamo
che è quasi ora di pranzo” – Leto rise – “… comunque sì, ho una fame da lupi …
A proposito di gente che stava per sbranarsi, come stanno Jude e Robert?” –
chiese, addentando una fetta biscottata, ricoperta di miele.
“So che dovevano
incontrarsi … Penso che Jude mi aggiornerà a breve”
“Incrociamo le dita, mi
sono sembrati di nuovo in crisi”
“Temo lo siano, in
effetti”
“Mi dispiace
Colin, tra l’altro, con Rob, ci siamo un po’ allontanati, temo per colpa mia,
ecco …” – rivelò esitante.
“Per via di
Glam?” – bissò sereno il consorte.
Jared annuì,
arrossendo – “Voglio recuperare, eravamo così uniti, abbiamo persino lavorato
insieme … Certo, secoli fa!” – e ritrovò l’entusiasmo iniziale, su quel buon
proposito di riavvicinarsi a Downey.
“E’ bello vivere
in armonia, Jay: hai preso la decisione giusta, credimi.”
Il cielo
cominciò a piangere, increspando di goccioline il parabrezza dell’auto di
Robert, fermo ad un incrocio, quando il suo cellulare si illuminò.
Era Jesse.
L’attore gli
aveva lasciato il numero, per qualsiasi necessità, senza fargli alcuna
promessa, però, di nuovi incontri.
Il ragazzino non
riuscì a parlare, tra un singhiozzo e l’altro, se non salutandolo con un tono
strozzato.
“Ehi, ma che
succede? Jesse …”
“Ho … Ho
litigato con Walt”
“E chi sarebbe?”
– Rob sorrise, accostando.
“Il professore
di chimica, quello della foto” – Pinkman iniziò a calmarsi.
“Ah sì, il
burbero … Per un brutto voto?” – chiese paterno.
“No … Magari …
No, è una storia davvero diversa e … e penosa, me ne vergogno a morte” – confessò
più lucido, al riparo sotto una pensilina, alla fermata del bus.
“Dove sei, vengo
subito a prenderti, ok?”
“Non volevo
disturbarti, Robert, mi sento così … Così inutile” – e ricominciò a piangere,
più dignitosamente.
“Questo non è
vero e lo sai Jesse, ma adesso dammi l’indirizzo, avanti, sono già per strada”
– insistette caparbio.
“Ok … Davvero
arrivi?”
“Promesso.”
Il motel era
piuttosto isolato.
Reedus si guardò
intorno, dopo avere ricevuto l’ultimo sms da quel tale Morgan.
§ Camera 403 … §
La struttura era
fatta di villini, ognuno con tre appartamenti, almeno così sembrò a Norman, che
si avvicinò al blocco 400.
JDM doveva
essere lì, ma non c’erano altre auto o moto, oltre alle loro, una Mustang e una
HD, appunto.
L’ex sbirro non
voleva di sicuro prenderlo di sorpresa, ma unicamente affrontarlo e chiedergli
spiegazioni, sul perché conoscesse Paul, dimenticandosi quel dettaglio dei
soldi, particolare passato in secondo piano, annullato dalla sua gelosia, in
realtà.
Fu così, che,
ingenuamente, Reedus ricevette un bel colpo alla nuca, appena attraversato il
patio, antistante le porte di ingresso agli alloggi.
Da non credere,
per uno con la sua esperienza.
Chissà Chris
quanto avrebbe riso, se mai glielo avesse raccontato.
Un giorno.
Robert aprì la
blindata, digitando un codice, sulla tastiera, inserita nello stipite in
acciaio tinta verde acqua: era un loft a concezione domotica.
Ogni cosa si
attivava a comando vocale.
Era divertente,
pensò, stranito, Jesse.
Trovarsi lì,
insieme a Robert Downey Jr, a Santa Monica, dove il sisma aveva provocato danni
minimi, sembrò allo studente, un ulteriore sogno ad occhi aperti.
Downey sorrise,
facendo strada e mostrandogli quella casa, dove nessuno era stato mai.
In un’epoca non
troppo lontana, il divo più pagato e amato di Hollywood, ebbe la mania di
acquistare numerose proprietà, per investimento, ma anche per noia.
L’appartamento
in questione, era una di queste.
“Ce l’hai la
patente, Jesse?”
“Sì …”
“Allora dovresti
darmela per qualche minuto”
“Ok …” – e
gliela porse, estraendola da un portafoglio, che un tempo doveva essere stato
un oggetto prezioso, ma ora, risultava assai rovinato.
Robert fece un
paio di foto, poi compose un numero.
Era quello della
sua segretaria.
“Ciao Denise,
tutto a posto? I bimbi? Ok … Senti, ti invierò via e-mail un documento di
identità, dovresti redigere un contratto, ho un nuovo assistente; fammi una
cortesia, aprigli anche un conto corrente, dove accrediterai lo stipendio
mensile … Sì, bene, fai emettere una carta di credito e un bancomat,
ovviamente, mandando il tutto a questo recapito, lo vedi sul localizzatore,
dove sono ora, giusto? Si chiama Jesse, abiterà qui, è un benefit” – e rise,
avvicinandosi al davanzale, mentre Pinkman, immobile al centro del living,
aveva persino smesso di respirare.
“Sì, certo, ma
fai contabilizzare già cinquemila dollari, perché è in prova da quindici giorni
e l’ha superata” – lo guardò – “a pieni voti … Perfetto, ti ringrazio, ci
aggiorniamo domani, per gli appuntamenti settimanali, stammi bene” – e
riattaccò, azzerando poi la distanza, tra sé e Jesse.
“Sia chiaro: io
non ti sto comprando o corrompendo, io ti sto aiutando, ok?” – disse serio.
Pinkman annuì
tremando.
Durante il
tragitto, il ragazzo aveva detto tutto a Downey: di White, della droga, della
sua disperazione, perché Walt non riusciva ad amarlo.
Come lui, del
resto, lo amava.
“Io non merito
nulla di tutto questo, Robert”
Il moro, gli
diede una carezza, calda, partecipe – “Tu ci sei stato, Jesse, quando il mio
mondo crollava”
“E’ … è stato un
caso” – e sorrise, i topazi lucidi.
“No, è stato bellissimo”
– e lo prese a sé.
Si baciarono.
Il mondo, là fuori, poteva anche finire.
L’ambiente
sapeva di disinfettante.
Di sicuro, le
pulizie erano state fatte da poco, pensò Norman, risvegliandosi, nella penombra
di un ambiente sconosciuto.
Era legato ad
una sedia e mezzo nudo.
Quel JDM, gli
aveva lasciato addosso unicamente i jeans.
Reedus si sentì
un imbecille, ma ebbe un sussulto, appena si accorse di lui.
“Jeffrey Dean
Morgan … Tu?!” – ringhiò.
JD rise, sulla
soglia della camera da letto.
Era in
accappatoio, forse si era fatto una doccia, aveva i capelli bagnati, notò lo
sbirro.
“Quante volte mi
hai arrestato, tenente?”
“Una sola, ma mi
è bastata”
“Solo perché ti
ho preso a calci nelle palle? Per questo ti ricordi il mio nome? Puoi chiamarmi
JD, comunque, del resto Rovia lo fa da quando ci siamo incontrati” – e rise
ancora più forte.
“Cosa cazzo vuoi
da me, da noi?!!” – esplose.
Morgan si
inginocchiò tra le sue gambe, dopo una camminata lenta.
“Da … Voi? Ah
intendi, da te e Rovia? Quella puttanella, già … Me lo sono fatto appena messo
piede fuori dalla galera e pensa, lui non ha opposto resistenza, anzi”
“Dici solo delle
stronzate!! L’avrai come minimo aggredito e poi ricattato! Con cosa, delle
foto, una video?!”
“Accidenti, non
ci ho neppure pensato, avrei dovuto farlo ahahah … Ma no, il denaro me l’ha
dato a gentile richiesta e non solo quello” – e si umettò le labbra – “… non so
se mi spiego, piedipiatti” – e gli fece persino un occhiolino, per provocarlo
ulteriormente.
“Non ti crederò
mai, quindi fottiti!”
“Veramente ho
altri progetti, Norman …” – e gli accarezzò linguine.
“Smettila!” – e
si dimenò, facendosi solo male ai polsi e alle caviglie.
Quei nodi erano
stretti.
“Non mi crederai
nemmeno, quando ti dirò che ti ho pensato un casino, dopo che mi hai fatto
ingabbiare, per quella partita di cocaina, a San Diego, però te lo voglio
raccontare lo stesso, che mi costa? Ho sempre detestato la mia diversità, ci ho
quasi ammazzato la mia prima moglie, quando se ne rese conto e mi prese in
giro, a te posso confessarlo” – e sorrise inquietante – “… tra noi ci capiamo …
E poi Rovia mi ha fatto capire che non facevo poi così schifo, come diceva lei”
“Paul era … Era
in cella, insieme a te, quindi …”
“Io l’ho
protetto, l’ho salvato, altrimenti sai cosa ne sarebbe rimasto di quel pulcino
bagnato?” – e sorrise caustico, mentre armeggiava con la sua lampo.
Reedus chiuse le
palpebre, come se fosse sufficiente ad uscire da quell’incubo.
Anche se il dopo
barba di JD lo stava confondendo.
Inabissando.
“Ora ti
riserverò un trattamento speciale … A Rovia non l’ho mai fatto … Non si può
dire il contrario, certo, di lui, a me” – e, dopo avere giocato con l’erezione
del suo prigioniero, la inghiottì, capace, come neppure credeva di essere.
L’addome di
Reedus si infiammò, di contrazioni e piacere.
“No … ti … ti
prego JD”
“Fai il bravo e
ti lascio andare, giuro … ti lascio tornare dai tuoi, dalle tue principesse,
non torcerò un capello a nessuno … A nessuno, se farai ciò che voglio, ok?” –
gli ansimò nel collo, dopo averlo liberato solo in parte, per farlo alzare, i
polsi ancora bloccati dietro i fianchi ormai nudi, come il resto di Norman.
C’era qualcosa,
in quell’avanzo di galera, in grado di annebbiare i suoi sensi, vanificando
anche un minimo accenno di ribellione, da parte dell’ex tenente, ormai
addossato alla parete, contro la quale JD cominciò a scoparlo.
I ricordi
dell’abuso, subito da Hemsworth, riaffiorarono, vividi e scomodi, nella mente
di Reedus.
I morsi tra le
scapole e le spalle, sarebbero scomparsi, mentre tutto il resto, era destinato
ad imprimersi in lui, come accaduto con Chris.
Indelebilmente.
Lo sguardo di
Jesse, era il cielo, di quella stanza, adesso.
Il temporale, là
fuori, era divenuto tempesta.
Gli avventori
dei locali, sulla costa, erano corsi all’interno.
Anche Geffen,
con Pepe e Lula, lo fece, mentre aspettava che Jude, si aggregasse a loro.
Robert non
poteva immaginarlo, che gli uomini della sua vita, stavano per incontrarsi, per
stare con i bambini, dopo il primo giorno di scuola.
Lui, non ci sarebbe stato.
Lui, stava facendo l’amore con un ragazzino, che
poteva essere suo nipote.
Ma che importa?
A
nessuno, era mai davvero importato qualcosa di lui?
Di sicuro stava
sbagliando, a nascondersi dietro ad un cinismo, che non gli apparteneva o,
meglio, dentro ad un corpo, che, generosamente, lo accoglieva, senza chiedergli
niente.
Law portò i cuccioli a
scegliersi il menu su di un tabellone elettronico, mentre Glam provava a
chiamare l’ex, per favorire una riconciliazione, dal sapore amaro.
Nessuna risposta.
Arrivò anche Jared, con
Syria, abbarbicata a lui, dentro ad un marsupio.
Erano meravigliosi.
Pensò Geffen.
Dimenticandosi di
Robert.
Robert che respirò più
forte, dopo essersi svuotato in Jesse, ritirandosi, poi, come un’alta marea.
“Dio che caldo …”
“Ti prendo da bere Rob …”
Downey sorrise.
Magnifico.
Nei suoi anni, nel
fisico ancora tonico, compatto, dandogli poi una carezza, in un gesto colmo di
tenerezza.
“Tu … Tu stai bene?”
“Sì Robert … Vado, ma
torno subito”
“Ok …”
Jesse Pinkman gli
sembrò come un folletto, nello sgusciargli via, tenero, felice.
Felice.
Jesse Pinkman tornò
subito.
Jesse Pinkman, che
quasi certamente, sarebbe stato ricordato per avere ritrovato Robert Downey Jr,
riverso, senza vita, in un letto, di una casa non sua, con rivoli di sangue,
precipitati dal suo naso e dalla sua bocca, sino a inzuppare il cuscino, sopra
al quale, uno dei volti più noti del mondo dello spettacolo, sembrava essersi
addormentato.
Per
sempre.
Il
cielo, là fuori, non aveva mai smesso di piangere.
Nessun commento:
Posta un commento