mercoledì 5 ottobre 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 77

Capitolo n. 77 – nakama



“Mi passi la spremuta, Cole?”

“Certo, ecco … Hai fame stamattina tesoro” – disse quasi con sollievo, l’irlandese.

“Stamattina? Diciamo che è quasi ora di pranzo” – Leto rise – “… comunque sì, ho una fame da lupi … A proposito di gente che stava per sbranarsi, come stanno Jude e Robert?” – chiese, addentando una fetta biscottata, ricoperta di miele.

“So che dovevano incontrarsi … Penso che Jude mi aggiornerà a breve”

“Incrociamo le dita, mi sono sembrati di nuovo in crisi”

“Temo lo siano, in effetti”

“Mi dispiace Colin, tra l’altro, con Rob, ci siamo un po’ allontanati, temo per colpa mia, ecco …” – rivelò esitante.

“Per via di Glam?” – bissò sereno il consorte.

Jared annuì, arrossendo – “Voglio recuperare, eravamo così uniti, abbiamo persino lavorato insieme … Certo, secoli fa!” – e ritrovò l’entusiasmo iniziale, su quel buon proposito di riavvicinarsi a Downey.

“E’ bello vivere in armonia, Jay: hai preso la decisione giusta, credimi.”




Il cielo cominciò a piangere, increspando di goccioline il parabrezza dell’auto di Robert, fermo ad un incrocio, quando il suo cellulare si illuminò.

Era Jesse.

L’attore gli aveva lasciato il numero, per qualsiasi necessità, senza fargli alcuna promessa, però, di nuovi incontri.

Il ragazzino non riuscì a parlare, tra un singhiozzo e l’altro, se non salutandolo con un tono strozzato.

“Ehi, ma che succede? Jesse …”

“Ho … Ho litigato con Walt”

“E chi sarebbe?” – Rob sorrise, accostando.

“Il professore di chimica, quello della foto” – Pinkman iniziò a calmarsi.

“Ah sì, il burbero … Per un brutto voto?” – chiese paterno.

“No … Magari … No, è una storia davvero diversa e … e penosa, me ne vergogno a morte” – confessò più lucido, al riparo sotto una pensilina, alla fermata del bus.

“Dove sei, vengo subito a prenderti, ok?”

“Non volevo disturbarti, Robert, mi sento così … Così inutile” – e ricominciò a piangere, più dignitosamente.

“Questo non è vero e lo sai Jesse, ma adesso dammi l’indirizzo, avanti, sono già per strada” – insistette caparbio.

“Ok … Davvero arrivi?”

“Promesso.”




Il motel era piuttosto isolato.
Reedus si guardò intorno, dopo avere ricevuto l’ultimo sms da quel tale Morgan.

§ Camera 403 … §

La struttura era fatta di villini, ognuno con tre appartamenti, almeno così sembrò a Norman, che si avvicinò al blocco 400.

JDM doveva essere lì, ma non c’erano altre auto o moto, oltre alle loro, una Mustang e una HD, appunto.

L’ex sbirro non voleva di sicuro prenderlo di sorpresa, ma unicamente affrontarlo e chiedergli spiegazioni, sul perché conoscesse Paul, dimenticandosi quel dettaglio dei soldi, particolare passato in secondo piano, annullato dalla sua gelosia, in realtà.

Fu così, che, ingenuamente, Reedus ricevette un bel colpo alla nuca, appena attraversato il patio, antistante le porte di ingresso agli alloggi.

Da non credere, per uno con la sua esperienza.
Chissà Chris quanto avrebbe riso, se mai glielo avesse raccontato.
Un giorno.




Robert aprì la blindata, digitando un codice, sulla tastiera, inserita nello stipite in acciaio tinta verde acqua: era un loft a concezione domotica.

Ogni cosa si attivava a comando vocale.
Era divertente, pensò, stranito, Jesse.

Trovarsi lì, insieme a Robert Downey Jr, a Santa Monica, dove il sisma aveva provocato danni minimi, sembrò allo studente, un ulteriore sogno ad occhi aperti.

Downey sorrise, facendo strada e mostrandogli quella casa, dove nessuno era stato mai.
In un’epoca non troppo lontana, il divo più pagato e amato di Hollywood, ebbe la mania di acquistare numerose proprietà, per investimento, ma anche per noia.

L’appartamento in questione, era una di queste.

“Ce l’hai la patente, Jesse?”

“Sì …”

“Allora dovresti darmela per qualche minuto”

“Ok …” – e gliela porse, estraendola da un portafoglio, che un tempo doveva essere stato un oggetto prezioso, ma ora, risultava assai rovinato.

Robert fece un paio di foto, poi compose un numero.
Era quello della sua segretaria.

“Ciao Denise, tutto a posto? I bimbi? Ok … Senti, ti invierò via e-mail un documento di identità, dovresti redigere un contratto, ho un nuovo assistente; fammi una cortesia, aprigli anche un conto corrente, dove accrediterai lo stipendio mensile … Sì, bene, fai emettere una carta di credito e un bancomat, ovviamente, mandando il tutto a questo recapito, lo vedi sul localizzatore, dove sono ora, giusto? Si chiama Jesse, abiterà qui, è un benefit” – e rise, avvicinandosi al davanzale, mentre Pinkman, immobile al centro del living, aveva persino smesso di respirare.

“Sì, certo, ma fai contabilizzare già cinquemila dollari, perché è in prova da quindici giorni e l’ha superata” – lo guardò – “a pieni voti … Perfetto, ti ringrazio, ci aggiorniamo domani, per gli appuntamenti settimanali, stammi bene” – e riattaccò, azzerando poi la distanza, tra sé e Jesse.

“Sia chiaro: io non ti sto comprando o corrompendo, io ti sto aiutando, ok?” – disse serio.

Pinkman annuì tremando.

Durante il tragitto, il ragazzo aveva detto tutto a Downey: di White, della droga, della sua disperazione, perché Walt non riusciva ad amarlo.
Come lui, del resto, lo amava.


“Io non merito nulla di tutto questo, Robert”

Il moro, gli diede una carezza, calda, partecipe – “Tu ci sei stato, Jesse, quando il mio mondo crollava”

“E’ … è stato un caso” – e sorrise, i topazi lucidi.

“No, è stato bellissimo” – e lo prese a sé.

Si baciarono.

Il mondo, là fuori, poteva anche finire.




L’ambiente sapeva di disinfettante.
Di sicuro, le pulizie erano state fatte da poco, pensò Norman, risvegliandosi, nella penombra di un ambiente sconosciuto.

Era legato ad una sedia e mezzo nudo.

Quel JDM, gli aveva lasciato addosso unicamente i jeans.

Reedus si sentì un imbecille, ma ebbe un sussulto, appena si accorse di lui.

“Jeffrey Dean Morgan … Tu?!” – ringhiò.

JD rise, sulla soglia della camera da letto.

Era in accappatoio, forse si era fatto una doccia, aveva i capelli bagnati, notò lo sbirro.

“Quante volte mi hai arrestato, tenente?”

“Una sola, ma mi è bastata”

“Solo perché ti ho preso a calci nelle palle? Per questo ti ricordi il mio nome? Puoi chiamarmi JD, comunque, del resto Rovia lo fa da quando ci siamo incontrati” – e rise ancora più forte.

“Cosa cazzo vuoi da me, da noi?!!” – esplose.

Morgan si inginocchiò tra le sue gambe, dopo una camminata lenta.

“Da … Voi? Ah intendi, da te e Rovia? Quella puttanella, già … Me lo sono fatto appena messo piede fuori dalla galera e pensa, lui non ha opposto resistenza, anzi”

“Dici solo delle stronzate!! L’avrai come minimo aggredito e poi ricattato! Con cosa, delle foto, una video?!”

“Accidenti, non ci ho neppure pensato, avrei dovuto farlo ahahah … Ma no, il denaro me l’ha dato a gentile richiesta e non solo quello” – e si umettò le labbra – “… non so se mi spiego, piedipiatti” – e gli fece persino un occhiolino, per provocarlo ulteriormente.

“Non ti crederò mai, quindi fottiti!”

“Veramente ho altri progetti, Norman …” – e gli accarezzò linguine.

“Smettila!” – e si dimenò, facendosi solo male ai polsi e alle caviglie.

Quei nodi erano stretti.

“Non mi crederai nemmeno, quando ti dirò che ti ho pensato un casino, dopo che mi hai fatto ingabbiare, per quella partita di cocaina, a San Diego, però te lo voglio raccontare lo stesso, che mi costa? Ho sempre detestato la mia diversità, ci ho quasi ammazzato la mia prima moglie, quando se ne rese conto e mi prese in giro, a te posso confessarlo” – e sorrise inquietante – “… tra noi ci capiamo … E poi Rovia mi ha fatto capire che non facevo poi così schifo, come diceva lei”

“Paul era … Era in cella, insieme a te, quindi …”

“Io l’ho protetto, l’ho salvato, altrimenti sai cosa ne sarebbe rimasto di quel pulcino bagnato?” – e sorrise caustico, mentre armeggiava con la sua lampo.

Reedus chiuse le palpebre, come se fosse sufficiente ad uscire da quell’incubo.

Anche se il dopo barba di JD lo stava confondendo.
Inabissando.

“Ora ti riserverò un trattamento speciale … A Rovia non l’ho mai fatto … Non si può dire il contrario, certo, di lui, a me” – e, dopo avere giocato con l’erezione del suo prigioniero, la inghiottì, capace, come neppure credeva di essere.

L’addome di Reedus si infiammò, di contrazioni e piacere.

“No … ti … ti prego JD”

“Fai il bravo e ti lascio andare, giuro … ti lascio tornare dai tuoi, dalle tue principesse, non torcerò un capello a nessuno … A nessuno, se farai ciò che voglio, ok?” – gli ansimò nel collo, dopo averlo liberato solo in parte, per farlo alzare, i polsi ancora bloccati dietro i fianchi ormai nudi, come il resto di Norman.

C’era qualcosa, in quell’avanzo di galera, in grado di annebbiare i suoi sensi, vanificando anche un minimo accenno di ribellione, da parte dell’ex tenente, ormai addossato alla parete, contro la quale JD cominciò a scoparlo.

I ricordi dell’abuso, subito da Hemsworth, riaffiorarono, vividi e scomodi, nella mente di Reedus.
I morsi tra le scapole e le spalle, sarebbero scomparsi, mentre tutto il resto, era destinato ad imprimersi in lui, come accaduto con Chris.

Indelebilmente.






Lo sguardo di Jesse, era il cielo, di quella stanza, adesso.
Il temporale, là fuori, era divenuto tempesta.

Gli avventori dei locali, sulla costa, erano corsi all’interno.
Anche Geffen, con Pepe e Lula, lo fece, mentre aspettava che Jude, si aggregasse a loro.

Robert non poteva immaginarlo, che gli uomini della sua vita, stavano per incontrarsi, per stare con i bambini, dopo il primo giorno di scuola.

Lui, non ci sarebbe stato.
Lui, stava facendo l’amore con un ragazzino, che poteva essere suo nipote.
Ma che importa?
A nessuno, era mai davvero importato qualcosa di lui?

Di sicuro stava sbagliando, a nascondersi dietro ad un cinismo, che non gli apparteneva o, meglio, dentro ad un corpo, che, generosamente, lo accoglieva, senza chiedergli niente.


Law portò i cuccioli a scegliersi il menu su di un tabellone elettronico, mentre Glam provava a chiamare l’ex, per favorire una riconciliazione, dal sapore amaro.

Nessuna risposta.

Arrivò anche Jared, con Syria, abbarbicata a lui, dentro ad un marsupio.

Erano meravigliosi.
Pensò Geffen.
Dimenticandosi di Robert.


Robert che respirò più forte, dopo essersi svuotato in Jesse, ritirandosi, poi, come un’alta marea.

“Dio che caldo …”

“Ti prendo da bere Rob …”

Downey sorrise.
Magnifico.
Nei suoi anni, nel fisico ancora tonico, compatto, dandogli poi una carezza, in un gesto colmo di tenerezza.

“Tu … Tu stai bene?”

“Sì Robert … Vado, ma torno subito”

“Ok …”

Jesse Pinkman gli sembrò come un folletto, nello sgusciargli via, tenero, felice.

Felice.

Jesse Pinkman tornò subito.

Jesse Pinkman, che quasi certamente, sarebbe stato ricordato per avere ritrovato Robert Downey Jr, riverso, senza vita, in un letto, di una casa non sua, con rivoli di sangue, precipitati dal suo naso e dalla sua bocca, sino a inzuppare il cuscino, sopra al quale, uno dei volti più noti del mondo dello spettacolo, sembrava essersi addormentato.

Per sempre.

Il cielo, là fuori, non aveva mai smesso di piangere.











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