Capitolo n. 27 – nakama
Hugh Laurie conservava
sempre quell’espressione un po’ assente, sognante, nei minuti successivi alla
visita di Jim, prima che entrambi si immergessero nei rispettivi impegni
professionali.
L’analista, seduto sul
bordo della propria scrivania, se ne stava di solito abbracciato al consorte,
mentre Mason restava in piedi, tra le sue gambe, una sana ed una malata,
appoggiato al busto di quell’amico, innanzitutto, a quel suo cuore spesso
accartocciato in un cinismo, che una vita non semplice, gli aveva fatto
germogliare dentro, costringendo Laurie in un angolo, isolato da quel mondo
dove tutti correvano forsennatamente.
Tutti tranne Jim.
Il suo Jim.
Lui l’avrebbe aspettato
sino alla fine del tempo.
E poi si baciavano,
senza riuscire a smettere, perché le chiacchiere si erano già sprecate in auto,
lungo il percorso verso l’ospedale, mentre portavano Nasir a scuola, dove Hugh
rimescolava abitualmente, battute sarcastiche a raccomandazioni amorevoli, per
il loro cucciolo.
Sarebbe morto senza di
loro.
Ne era certo.
Infine, Laurie, lo
stringeva più forte ed affossava il volto nel collo del compagno, commuovendosi
sempre più spesso.
“Stai bene, Hugh?” –
gli domandava dolce, il più giovane, senza guardarlo ancora; era bello averlo
così, dopo una miriade di incomprensioni, appartenenti alla preistoria ormai.
“Mai stato meglio ed
ora fila in reparto, prima che l’amministratore ti sgridi! Dobbiamo rendere,
rendere, rendere!” – sentenziò comico.
Mason rise adorabile,
scrutandolo.
“Ti amo Hugh …”
“Lo so!”
“Ma finiscila!” – ed
ancora un bacio.
Più profondo, prima di
andarsene per davvero e lasciarlo lì, in poltrona, nell’attesa del primo
paziente, a fissare il vuoto, dove c’era molto, dove c’era appena stato il suo
tutto.
“Hugh, ma dove sei?”
Jared sorrise,
rendendosi conto della sua momentanea distrazione.
“Oh mamma, di nuovo
tu!” – lo salutò lo psicologo, strabuzzando le iridi su Leto e sul suo aspetto
estremamente elegante.
“Già, eccomi qui …”
“Giacca nera, camicia
bianca, cravatta addirittura ben annodata … Ma sei impazzito Jay?!” – e si
appoggiò con il viso sui palmi, dopo avere puntato i gomiti sul ripiano in
radica.
“Ho accompagnato Yari
in università, si è appena iscritto, uno di noi doveva esserci … Cole è sul
set, Claudine è stata categorica, con le riprese sono già in ritardo” – spiegò,
non senza arrossire leggermente.
Aveva caldo.
“Un nuovo film? Di cosa
parla?”
“Ti interessa il lavoro
di mio … di Cole intendo?!” – chiese con stupore.
“Tuo marito? Vi siete
risposati a New York?”
“No, ma lui me l’ha
chiesto, in effetti …”
“E’ il suo turno, mi
pare giusto!” – decretò Laurie, battendo il bastone sul pavimento – “Ma non ti
stanchi mai? Qui non siamo più alle minestre riscaldate, io sento puzza di
bruciato, tu no?”
I poliziotti, avvisati
dalla telefonata di un vicino, lo ritrovarono con le mani insanguinate ed una
pistola tra le coperte, con le sue impronte, lo avrebbero scoperto solo in
serata, ma le spiegazioni di Will Graham non avevano persuaso gli agenti, mentre
lo stavano arrestando, non senza che lui protestasse vigorosamente.
Boris Rattler, celebre
neurologo, giaceva senza vita e con un’evidente ferita da arma da fuoco in
pieno petto: il responsabile di tale omicidio, aveva avuto vita facile, date le
condizioni fisiche, dell’eminente professionista, ridotto in uno stato di
deperimento da qualche misteriosa e rara malattia, suppose il coroner, chiamato
sul posto.
Forse la vittima non si
era resa conto di nulla.
“Io … io volevo solo
parlargli e convincerlo a smettere di tormentare Mads, con i suoi assurdi
ricatti”
La voce sommessa di
Will, era ora ascoltata con attenzione da Glam Geffen, al quale Mikkelsen aveva
rivolto letteralmente una supplica, affinché intervenisse a difenderlo.
La stanza era quella
degli interrogatori, dove unicamente il legale ed i detective, potevano
accedere.
Mads se ne stava seduto
compostamente nel corridoio antistante quell’ambiente grigio e gelido, dove il
ragazzo che amava, oltre sé stesso, forse aveva fatto un’enorme sciocchezza.
Reedus era a pochi
passi da lui, con in mano i moduli del rapporto, compilato in casa di Rattler,
una villa faraonica di Los Feliz, per il ritrovamento di ingenti quantità di
oppiacei, eroina ed il farmaco illegale, denominato Kolestor H, procurato a
Boris da qualche misterioso conoscente.
“Questa non è roba da
spacciatori o semplici pusher” – bisbigliò Norman ad un collega, non senza
sbirciare le espressioni di Mikkelsen, sempre più sofferente ed agitato.
Il tenente Reedus lo
dedusse dalla reazione del medico, appena Geffen si palesò.
Mads lo tempestò di
domande, ma Glam lo accompagnò, senza irruenza, in una saletta riservata ai
visitatori.
“Ora si calmi, Will ha
bisogno del nostro aiuto e della nostra fiducia, ok?” – affermò lucido il
legale, mettendosi a sedere su di una panca, sotto ad un davanzale luminoso.
“Su cosa? Sulla sua
innocenza? Quando mi ha telefonato, sembrava che dalle sue parole, tutto fosse
contro di lui!” – replicò rabbioso, ma a tono basso.
“Le accuse sono
gravissime: quel Rattler era gravemente malato, lei lo sapeva?”
“Certo, ero io a
passargli le dosi di Kolestor H!” – confermò disperato.
“Will mi ha spiegato,
quanto fosse vitale quel composto per Rattler, ma anche altrettanto fuori legge:
lei Mads, rischiava parecchio, giusto?”
Mikkelsen annuì,
tremando – “Will era stufo marcio, almeno quanto me, dei ricatti di Boris … Quando
ieri mi ha cercato per l’ennesima volta, la sua reazione è stata di profonda
rabbia”
“E’ nelle sue
dichiarazioni, un dettaglio sul quale doveva tacere, perché scatterebbe anche
la premeditazione, accidenti!” – sbottò Geffen, quindi si alzò – “Ora
andiamocene, a breve c’è l’udienza ed il giudice dovrà disporre la cauzione, ma
sarà dura”
“Cosa intende Glam?!
Che Will rimarrà in prigione??!”
“Probabile: questo
omicidio è stato come un’esecuzione, Rattler non poteva difendersi, era
talmente debole da non riuscire neppure ad alzarsi più dal letto, almeno
secondo l’infermiere, interrogato subito dopo il ritrovamento del cadavere”
“Boris era solo in
casa?”
“Infatti, pare che il
suo assistente, un certo Adam Cobain, avesse avuto un impegno improvviso, forse
è una triste coincidenza, ma l’assassino ha avuto via libera, la porta era
persino aperta”
“Will è entrato in quel
modo?”
“Lo so, è strano,
sempre ammesso che sia vero, che non sia stato Will stesso ad attirare fuori
Cobain, con una scusa”
Mads scosse il capo
spettinato, mentre salivano in ascensore – “Se il procuratore dovesse provare
una cosa del genere, allora sarebbe la fine, vero Glam?” – domandò affranto,
schiantandosi contro al vetro della cabina.
“Pensiamo a tirarlo
fuori, ad evitargli una cella, serviranno molti soldi”
“Questo non è un
problema …”
“Lo so Mads … Lo so.”
Meliti aveva gli occhi,
un po’ arcigni, puntati sul fuoco del caminetto.
Sorseggiava un brandy,
mentre Geffen se ne stava appoggiato ad uno stipite, a bersi una tonica.
“Gran brutta faccenda” –
bofonchiò amaro Antonio.
“Il pubblico ministero
è stato spietato, ha dipinto Will alla stregua di un mostro; sono riuscito a
garantirgli unicamente una detenzione in isolamento, pasti compresi, due
colloqui settimanali con i parenti ed il processo tra sei giorni” – disse incolore,
accendendosi una sigaretta.
“C’è di mezzo quel
pasticcio al Britannia?”
“Infatti” – e fece una
nuvola di fumo, intorno al proprio volto tirato – “… Quel Rattler aveva messo
alle strette Mads, con qualcosa, che ancora non è stato trovato, nemmeno dagli
sbirri”
“Video? Foto?”
“Entrambi temo … Mads
mi ha accennato ad un dvd: qualcuno ha filmato uno di quei festini, a base di
allucinogeni, champagne e bei ragazzi … Uno di loro ci ha lasciato le penne”
“Per colpa di Mads?”
“Lui dice di non
ricordarsi nulla, di essere stato drogato ed incastrato, fatto sta che
eventuali sue responsabilità, verrebbero avvalorate solo da questo filmino
osceno, perché il dipartimento non ha nulla per accusarlo!””
“Se lui è stato ripreso
vicino alla vittima, forse non è così innocente …” – sospirò Meliti, ravvivando
le fiamme.
“E’ un essere umano
controverso, ha commesso degli errori”
“E Will l’ha perdonato …
La giustizia non sarà così generosa Glam”
Violet stava ballando con
Lula, nel salone delle feste, sotto l’occhio divertito di Stella, che appena si
avvide di Jared, gli andò incontro, con un bel sorriso.
“Ciao, sei venuto a
prendere tua figlia?” – chiese solare, senza spegnere lo stereo.
“Sì, Colin non poteva,
ma mi ha mandato un messaggio” – spiegò lui, in imbarazzo.
“Ok … Soldino non so se
la lascerà andare tanto facilmente” – e tornò a guardare la coppia in erba,
impegnata in una serie di piroette e risate allegre.
“Si sono piaciuti da
subito …” – disse flebile il cantante.
“Anche Glam è qui,
abbiamo parlato di noi” – disse con gioia – “… intendo dire della fecondazione
assistita, Jared”
“Quindi non ha
rinunciato al … progetto” – replicò timido.
“No, anzi, forse
desidera avere ancora un erede, l’idea lo aiuta a distrarsi, anche dal lavoro,
ha così tanto da fare”
“E da me … Dal nostro
divorzio, credo” – precisò serio, senza rendersi conto di avere Geffen alle
spalle, da pochi secondi.
“No Jay, quello è stato
accantonato, anzi, archiviato, tra le cose spiacevoli, che mi sono capitate
nell’ultimo anno”
La sua voce gli perforò
quel punto, tra le scapole, dove un tempo Glam posava baci focosi e devoti.
Leto si girò di scatto,
stringendo i pugni.
“Da dove arrivi? Sembri
un cameriere in libera uscita” – Glam rise un po’ aspro – “… la cravatta l’hai
arrotolata e messa in tasca?”
Stella tossì – “Glam c’è
Violet, potrebbe sentirti e”
“Hai ragione piccola, a
volte esagero, ma ci sono individui che, sulla distanza, riescono a tirare
fuori il peggio da me”
“Papà!” – Lula gli fece
un cenno e, nel medesimo istante, arrivarono le gemelle.
Glam azzerò la distanza
tra loro, prendendoli tra le braccia grandi, con sincero affetto.
Pamela si palesò come d’incanto,
tenendo per mano i gemelli, scalpitanti di stringersi al loro genitore,
generoso nel dispensare equamente coccole e domande sull’andamento scolastico e
gli impegni per la serata.
“Andiamo da Barny?
Violet ti unisci a noi, vero?” – chiese dolce l’uomo alla bambina, che rivolse
i propri fanali a Jared, abbandonato anche da Stella, che stava chiacchierando
serena con Pam e soldino.
“Certo amore, vai pure …
Torno domani, ok?”
“Ok, grazie papi!” –
esultò lei, riavvicinandosi a Lula, che non aveva regalato neppure un sorriso a
Leto.
Tutti si affrettarono
verso le stanze del piano superiore, per cambiarsi ed uscire, tutti tranne
Geffen, che riservò un’occhiata severa a Jared, ormai ammutolitisi.
“Era bella New York?
Hai fatto piacevoli incontri?” – domandò brusco, tornandogli vicino.
“Ti devo forse qualche
spiegazione in merito, Glam?” – l’artista si riprese, con irritazione istintiva,
da quella sequenza di fotogrammi, dai quali l’ex lo aveva escluso, senza troppi
riguardi.
“No, anzi, penso tu
abbia ricollocato Farrell, sul trono zoppo, del tuo privato, vero?”
Geffen sembrava solido,
nella sua roccaforte emotiva.
Jared si lisciò i
capelli, già tirati all’indietro ed in ordine, per far fare bella figura a Yari
in ateneo, con un gesto febbrile.
“Non credevo che ci
saremmo ridotti così, Glam” – affermò fissandolo.
“Abbiamo ciò che ci
siamo meritati, a vicenda, temo”
“Io volevo proteggerti,
dalle mie bugie, dai miei tradimenti!” – protestò avvampando.
“Quindi dovrei
ringraziarti, vero?!” – urlò rabbioso, imponente nella sua fisicità.
La stessa, con cui
aveva avvolto i suoi amori, un attimo prima.
Ne mancava uno, all’appello,
il più importante.
Il più devastante.
“Glam …”
“Io non ti permetterò
più di distruggermi! Hai capito Jared?!”
Leto fece un passo
indietro, poi un secondo, infine fuggì via in lacrime.
Glam Geffen le vide
benissimo.
E si impose di
dimenticarle.
Immediatamente.
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