giovedì 22 ottobre 2015

NAKAMA .- CAPITOLO N. 26

Capitolo n. 26 – nakama



Norman imprecò, oltrepassate le porte scorrevoli dell’ascensore, rendendosi conto di avere di nuovo sbagliato piano.

“Ma come cazzo si esce da questo labirinto!?” – ringhiò, studiando al volo una cartina dell’ospedale, in plexiglas, con troppe scritte e colori, per i suoi gusti semplici e diretti.

“Guardi che il metadone lo distribuiscono al terzo piano”

La voce alle sue spalle, gli sembrò un misto tra l’educato ed il timido.

Si voltò di scatto, mostrando un tesserino – “Tenente Reedus, sezione narcotici di Los Angeles, primo piano al distretto 56, spiritoso dei miei stivali!” – ruggì, puntando Will Graham, che avvampò.

“In incognito … presumo” – bisbigliò il medico, con un mezzo sorriso imbarazzato.

Norman aggrottò la fronte ed aguzzò i suoi specchi, di un celeste tagliente – “Sì, più o meno …” – ed inspirò, riponendo il badge, nelle tasche del giubbino da motociclista.

“Ha una Harley …?”

“Infatti, fa parte del … travestimento” – e rise, più socievole, per poi tornare serio all’improvviso, guardando oltre la spalla destra di Graham.

“Will, tesoro, ci sono problemi?”

Mads, elegantissimo, quasi gli soffiò nella nuca, posando una mano sul fianco del compagno, che lo guardò come in colpa, per come prima stava fissando Reedus.

“Il professor Mikkelsen, che combinazione” – il poliziotto rise un po’ scomposto.

“Tu … Tu conosci questo agente, Mads?”

“Tenente!”

“Sì, più o meno Will …”

“Stavo per” – poi Norman si morse le labbra.

“Lo dica pure, tenente Reedus: lei stava per arrestarmi, durante una retata al Britannia. Io non ho segreti per il mio fidanzato”

Norman annuì, facendo un passo indietro, forse per squadrarli meglio e notare un sacco di particolari: dalle differenze evidenti, alle fedi identiche agli anulari, alla possibilità che anche quel Graham fosse un chirurgo.

“Comunque noi opereremo il suo collega, Hemsworth, ho visto che gli ha fatto visita, poco fa” – puntualizzò Mads, senza scomporsi.

“Fate un buon lavoro, mi raccomando”

“Certo, lo faremo, non se ne preoccupi” – sottolineò Will, parandosi davanti a Mads, come a fargli da scudo.

Norman se ne andò, senza aggiungere una sola sillaba, se non un occhiolino, in direzione di Graham, che abbassò lo sguardo, sentendosi a disagio per la sfrontatezza di quello strano sbirro.




Geffen parcheggiò l’Hummer davanti ai cancelli di Palm Springs, dando un buffetto a Lula, prima di slacciarsi le cinture.

“Papà posso chiederti una cosa?”

“Certo”

“Sei arrabbiato con me?”

Glam reagì pronto – “Assolutamente no” – e rise, per rassicurarlo ulteriormente.

Soldino gli apparve poco convinto.

“Io ho detto delle cose a zio Jared un po’ … cattive, ecco”

“Non è vero e lo sai, amore: me l’ha confermato zio Jay in persona”

“Volevo dirgliele da tanto tempo” – sospirò il figlio adottivo di Kevin e Glam, che lo stava guardando amorevole.

“Lo immagino … Forse avrei dovuto fare altrettanto, sai?”

Lula lo puntò – “E come mai non è successo?”

Geffen si ossigenò – “A volte, i sentimenti, ti impediscono di essere lucido e sincero, con te stesso, specialmente” – spiegò calmo.

“Lo vuoi ancora il bambino da Stella?” – e sorrise.

“Era un … un progetto, che avrei voluto condividere insieme a Jared ed ora che lui ha preso un’altra strada io …”

“E’ sempre la stessa, sai papà? Zio Jay è di nuovo con zio Colin” – rivelò schietto.

“Buon per loro” – bissò secco l’avvocato, scendendo dall’auto.

Lula quasi lo inseguì, a passo svelto – “Stella lo vuole! Il bimbo dico!”

“E tu come …?” – poi Glam riacquistò subito il buon umore, prendendolo in braccio – “Le parlerò domani, ok? Tanto è dal nonno, ormai si è ambientata e decideremo il da farsi, promesso!”




La notte stava inghiottendo la transvolata da una costa all’altra, durante il rientro da New York di Colin e Jared, a bordo del jet, che Meliti si affrettò a mandare loro, affinché il figliol prodigo tornasse all’ovile.

Leto non si sentiva tale, confuso sui recenti accadimenti.

Terry gli aveva raccomandato prudenza e, soprattutto, di guardarsi un po’ in giro, uscendo da quel circolo vizioso, l’anello d’oro lo definì il celebre fotografo, creato intorno a lui da Geffen e Farrell, da un’eternità.

“A cosa pensi, amore?” – chiese improvviso l’irlandese, tenendogli le mani tra le proprie.

“A noi” – poi scosse il capo, tornato castano, un taglio liscio, di lunghezza media, come ai tempi della lontanissima premiere di Alexander, proprio in quel della grande mela, appena lasciata - “A me, Colin” – precisò, senza incrociare i suoi quarzi vividi.

In effetti era sembrato un po’ troppo semplice, anche all’attore, l’esito di quella missione di recupero.

“Ti sei pentito?” – insistette il moro, a corto di ossigeno, adesso.

Jared lo scrutò, indifeso nella propria limpidezza – “A volte non riesco a distinguere l’ostinazione da” – e si morse le labbra.

“La tua o la mia?” – Colin rise nervoso.

“Dove può finire il vero amore e cominciare l’accanimento?”

Farrell ricominciò a respirare, riflessivo.

“Da fuori, chiunque potrebbe confonderli, vedendoci … Nelle nostre azioni, reciproche o nelle tue, verso Glam e viceversa, lo ammetto”

Leto riprese a guardare in avanti, nel vuoto – “Tornerò in terapia”

“Come vuoi … Sai è … è come se camminassi su di un tappeto di cocci, a piedi nudi e tutto mi sta urlando di fermarmi, di non andare oltre il primo passo, perché fa così male eppure io sono così incazzato e piango, per il dolore e per la rabbia, ma non cedo e continuo a proseguire” – stava per piangere sul serio ed era così incazzato, di punto in bianco.

“Colin”

“No, non sto alzando la voce con te, amore, bensì con me stesso, per farmi sentire, da quel coglione che ti ama ancora ed ancora, incapace di risolvere le cose tra noi, senza un ausilio esterno, senza che nessuno ficchi più il naso nel nostro legame!”

“Ma io vorrei guarire … Per evitarti ulteriori sofferenze, per raccogliere i vetri rotti, uno ad uno ed alleviare il tormento, che ti spinge a non lasciarmi e per questo io ringrazio Dio, Cole … Ogni volta” – e lo abbracciò con vigore.

Piangendo insieme a lui.




Mads sembrava conoscere ogni suo ansito, ogni piega della sua pelle, dove riservare baci ed attenzioni scabrose, durante quel prolungato amplesso, tra le gambe di Will, che per una frazione di secondo pensò ad altro.

“Sei qui con me, amore?” – gli sussurrò Mikkelsen nel collo, parlandogli caldo ed attento, nell’orecchio, non senza morderne delicatamente il lobo, minuscolo e perfetto, come il resto di Graham.

“Sì … è che … mi sento come … come se stessi per svenire” – ed aderì maggiormente a lui, spargendo la propria essenza tra i loro addomi contratti e madidi.

Mads si unì a lui, simbiotico, in quel divenire meraviglioso.

Quindi lo baciò con dolce insistenza, pienamente accolto in quell’intento adorabile, come l’espressione di Graham, quando tornarono a guardarsi, separandosi, non senza proseguire nell’accarezzarsi l’un l’altro.

Si accucciolarono a cucchiaio, saldi per le mani e stremati.

“Quel tizio, quel Reedus, ti ha ricordato qualcuno, piccolo?” – domandò senza fretta il più anziano.

Will strizzò le palpebre, come a volere frantumare un ricordo sin troppo visibile.

“Mio padre era così … rozzo, avaro di un gesto gentile, di un abbraccio”

“Non mi hai mai parlato molto dei tuoi”

“Non c’è molto da dire … Mamma entrava ed usciva dalle cliniche, per la sua leucemia, fino a morirne: le giurai di volere diventare medico ed accadde, ma papà non era d’accordo, così mio zio … Avevano una società di trasporti, una ditta modesta, ma ci vivevano su quei camion, trascurando mogli e figli”

“Tu eri da solo a dovere gestire questa tensione, vero?”

Graham si voltò, speculare a lui, che trepidava ad ogni sua parola – “Infatti … I miei cugini finirono per assecondare il fratello del mio vecchio” – sorrise amaro – “… ed io mi ribellai: presi i soldi, che mia madre aveva messo da parte per farmi studiare e me ne venni a Los Angeles, senza pensarci due volte”

“Per mia immensa fortuna” – sorrise, baciandolo.

“Quando fui ammesso alla tua sezione, stentavo a crederci: ero indeciso se fare l’oncologo, ma poi ti vidi in azione, se così si può dire”

“Comunque non sappiamo se Norman è come tuo padre, forse potrebbe stupirci” – rise affabile.

“Ah quello … antipatico e … strafottente”

“Ok, ti piace, è assodato” – bissò scherzoso.

“Ma … ma no Mads!”

“Oh sì!” – e gli fece il solletico, tornando poi serio, di botto – “Se ti becco a flirtare ancora con lui, comunque, vi seziono come cavie da laboratorio, ok?!” – ringhiò minaccioso.

“E poi sarei io quello ad avere un disturbo bipolare, non mi hai detto così una volta?!” – ed ora era Will a ridere di gusto, stringendosi all’amante, che non esitò a cullarlo.

“Ti voglio così bene amore …” – mormorò intenso e partecipe.

“Allora sposami” – replicò Graham, portandoselo appresso, ad inginocchiarsi nel mezzo del letto disfatto, brandendo i suoi polsi, mentre lo guardava innamorato e deciso.

“Lo farò Will … prima di quanto credi”




Louis aveva fatto il turno del mattino, al ristorante, finendo alle tre, dopo un’alzataccia all’alba.

Harry aveva portato Petra a danza, impegnandosi a partecipare alla riunione pomeridiana con gli insegnanti, un noioso appuntamento, al quale non poteva sottrarsi, dopo che Tomlinson se lo era sciroppato almeno una decina di volte, da quando la bimba frequentava quella scuola di lusso.

Per lei il meglio, Lux e non solo, lo aveva decretato da un pezzo e loro avevano accettato di buon grado: non era semplice sottrarsi ai privilegi di quel clan, dove Meliti e Geffen provvedevano al benessere di ogni cucciolo, del resto amavano farlo, con cospicui assegni e fondi fiduciari solidi.

Vincent lo stava osservando da dieci minuti, dormire tra le coltri tiepide e una miriade di cuscini.

“Ehi …”

“Ciao mon petit” – il francese gli sorrise, l’aria un po’ stanca.

“Come mai in tuta? Vai a fare jogging?”

“No tesoro, mi sono cambiato … Ho visto quell’amico, a pranzo, te lo avevo detto”

“Potevate mangiare al Dark blue o forse i suoi gusti sono particolari?” – Boo rise leggero, stropicciandosi quei fanali incantevoli, che l’uomo non aveva mai smesso di fissare.

“In effetti … Comunque è già ripartito, non tornerà più, i miei affari con lui sono conclusi, definitivamente”

“Sembra una cosa sgradevole, da come ne parli”

“Mi ha fregato dei soldi, tutto qui, ma niente di grave” – Lux sorrise più rilassato, tendendogli le mani – “… stai un po’ con me? … Di là”

Mai avrebbe fatto l’amore lì, dove Boo si coricava con Harry.

Tomlinson lo imitò, raggiungendolo con le dita affusolate, per poi lasciarsi avvolgere dal suo corpo atletico e virile.

Vincent ebbe come un flash, in quei gesti, anni prima, quando accoglieva allo stesso modo Jacques, il figlio, prendendolo poi in braccio, nel suo pigiama a quadrettoni, blu e celesti, portandoselo in bagno, affinché si lavasse i denti e si cambiasse, per andare alla scuola materna.

Quello fu il loro periodo migliore, senza litigate adolescenziali, senza cose non dette, quando ancora la madre di Jacques abitava con loro, in un appartamento parigino decoroso, ma ben lontano dagli agi, che Lux avrebbe acquisito molto più tardi ed in completa solitudine esistenziale.

“Sì, certo … anche se sono a pezzi …” – il tono assonnato e simpatico di Boo, lo riportò al presente.

Lux lo baciò – “Mi manchi da morire, scricciolo”

Probabilmente non parlava a son petit, probabilmente Vincent stava confondendo passato e presente, in un rimescolio di emozioni struggenti.

Si spogliarono senza frenesie, una volta giunti nella camera dell’affarista, rigorosamente chiusa a chiave.

Quella particolare convivenza lo imponeva, per celare i momenti proibiti, come questi e per salvaguardare la sensibilità di Petra, non esponendola all’intimità condivisa dagli adulti.

Di nessun genere, anche se lei gioiva, quando i genitori si scambiavano coccole affettuose, sul divano davanti alla tv oppure in cucina, mentre preparavano i pasti.


Vincent lo amò, con gli occhi tristi, mentre i loro corpi si incastravano in un’essenza di gioia e sublimazione: sembravano essere stati incastonati in un cartiglio di inestimabile valore, in presenza di entrambi, così fulgidi ed immortali, in apparenza.

Loro non avrebbero attraversato il tempo, come un qualsiasi diadema: lo sapevano bene, ma, come se non ci fosse un domani, nulla restava se non appartenersi in quel modo.

Così esclusivo.
Così indivisibile.







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