martedì 6 ottobre 2015

NAKAMA - CAPITOLO N. 23

Capitolo n. 23 – nakama



Geffen scelse l’ennesima aletta di pollo piccante, dall’enorme secchiello in cartone multicolorato, messo al centro del tavolino, condiviso insieme a Tom.

Da almeno venti minuti.

“Le cose non vanno mai come vorresti, nonostante ti impegni al massimo, per farle funzionare” – esordì l’avvocato, dopo una prima fase, quasi silenziosa, tra loro.

Piaceva ad entrambi rimanere in silenzio, ascoltarsi nel respirare piuttosto che nel verbalizzare, come durante le periodiche sedute di shiatsu.


“Con Jared ci hai provato spesso … a farle funzionare, intendo” – Tomlinson sorrise, anche se le sue iridi erano spente.

Stanche.

“Voglio dimenticarlo”

“Vuoi?”

Risero fievoli.

“Pura utopia, Tommy?”

“Abbastanza …”

“Tu ed io maciniamo un sacco di lavoro, quando ci impegnano sentimentalmente, ma pare non importare a chi ci sta accanto”

“Non credo sia vero, Glam … Chris mi apprezza, solo che stiamo attraversando una fase di grande dolore, ecco …”

“Sì, hai ragione, non posso mettere i nostri mondi sullo stesso piano”

“A te non manca nulla, per essere felice, solo che ti sei fissato, con Jay … Con Robert” – sorrise timido, fissandolo.

Il locale era semideserto e loro, comunque, avevano scelto un posto, dietro ad un paravento dalle tinte assurde.

“E’ deprimente pensare o peggio, constatare, di avere combattuto sempre per la persona sbagliata … Mi sarei dovuto concentrare altrove” – ed assottigliò le palpebre, anche per la tazza fumante di caffè, che stava sorseggiando con calma, contemplando Hiddleston.

Il fisiatra non era poi così privo di difese o disincantato.

Anche questo lato della sua indole, piaceva a Geffen.
Da sempre.

“Tu sei un seduttore nato, ma io, mi auguro, di continuare ad essere un compagno fedele ed un padre amorevole, Glam”

L’uomo si ossigenò, riacquistando un minimo di buon umore.

“Tommy, tu non le mandi a dire, per questo ti stimo, infinitamente” – e gli sfiorò il dorso della mano destra, dimenticata sul ripiano in plexiglas, in un gesto innocente.

“Cerco di vivere in modo coerente e di rispettare gli impegni presi, sono metodico e puntuale, anche con i miei sentimenti … Con Chris non sarà mai facile e Dio solo sa quanto avrei bisogno di una boccata di aria fresca, ma non funziona così … Mi sentirei uno schifo … dopo …”

“Non sarò io ad esserne il responsabile, ne ora, né mai, perché non me lo perdonerei Tommy” – replicò asciutto il legale, chiedendo il conto.

“Facciamo a metà?” – Hiddleston rise, stemperando quell’attimo di disagio reciproco.

“Sei il mio ostaggio: bisogna averne cura, potrei riscattare me stesso, questa notte, comportandomi da gentiluomo, non credi?”

Risero più fragorosi e rilassati.
Finalmente.




Harry rovesciò un po’ di latte sul ripiano, imprecando sotto voce.

Lo sportello del frigorifero era rimasto aperto, illuminando così quell’angolo della cucina, di un bagliore quasi lunare.

“Di nuovo un incubo oppure è per Petra?”

Styles sussultò a quella voce, improvvisa, proveniente dalla parte buia dell’ambiente, in cui sia lui, che Lux, si erano ritrovati, senza preavviso alcuno.

“Vincent sei tu …”

“Non hai molte alternative” – rise – “… scusami, se ti ho spaventato” – e gli si avvicinò, in accappatoio bianco.

“No, è che l’insonnia mi tormenta, per un paio di arringhe, che non riesco a mettere a fuoco”

“Io mi sono fatto un lungo bagno caldo, dovresti imitarmi, magari con Louis”

“Lui dorme come un ghiro … Siete stati in spiaggia, vero?”

“Te lo ha … raccontato?”

“Non ci nascondiamo nulla, Vincent” – e lo puntò, senza severità.

“Meglio così” – inspirò il francese, prendendo uno yogurt, per poi richiudere l’anta metallica, riportando la stanza nella quasi totale oscurità, se non fosse stato per il riverbero dei lampioni esterni, che consentiva ad entrambi di continuare a scrutarsi.

“Noi … Noi lo facciamo per il bene di tutti, perché Boo ci ha perdonati e non avremmo potuto vivere altrimenti … Sereni, intendo”

“Tu lo sei, Harry?” – chiese con dolcezza l’affarista, posando una carezza tra i suoi riccioli.

Styles annuì, mormorando appena – “… anche se tu mi manchi, lo ammetto Vincent”

Lux lo baciò, senza irruenza.

Come se stessero scivolando, l’uno verso l’altro.

Le loro mani sembrarono così seguire un percorso istintivo, ritrovandosi in un tocco speculare, intenso, scabroso, mentre non riuscivano a dividere le labbra, da quel contatto umido ed appagante.

Vennero quasi subito, anche per la tensione di essere scoperti.

Il cielo, in quel momento, non aveva colori.
E neppure stelle.




Terry esitò, prima di andarsene, proprio sulla soglia di quel loft semi arredato, di cui nessuno sapeva l’esistenza.

A parte lui e Jared, che lo stava osservando, nei suoi movimenti ormai incerti, sull’andarsene o meno.

“Vuoi compagnia?”

Leto ridacchiò.

“Forse non sono stato chiaro …”

“Ho ancora parecchi contatti, anche se il mio lavoro è diventato più … serio ed altolocato”

“Il lupo non perde mai il vizio … E tu di pelo, ne hai perso in abbondanza, è evidente, senza offesa Terry” – ed indicò la sua ampia stempiatura.

“Magari usciamo, andiamo a berci qualcosa”

“No grazie, i club di New York, al contrario dell’opinione comune, non mi sono mai piaciuti”

“A te piacciono le sale da tè, questo lo so Jay” – affermò con un sorriso compiaciuto.

“Sì, a Parigi … E’ una città dove ho subito o seguito notevoli cambiamenti, sai? Anche nella mia carriera, quando ti seguivo alle sfilate, quando … apparivo, più che esistere in qualche modo decente”

“E ti facevi o bevevi, ma non per colpa mia, Jared!” – obiettò il fotografo, più duro.

“Per colpa di Colin, vero, delle delusioni provocate da Colin, dalle cattive abitudini, assorbite o riprese, per compiacerlo … Perché mi accettasse nel suo mondo malato … incrinato … come uno specchio e la mia figura si scomponeva, in centinaia di frammenti, così che io non riuscivo più a riconoscermi in essa …” – pensò ad alta voce, contratto in una posizione seduta e fetale, appoggiato alla finestra, le gambe raccolte, le braccia spoglie e tatuate.

In effetti non aveva perso il suo fascino.

La cuffia ancora in testa, gli occhi grandi.

“Sei bellissimo Jay, te lo ripeto, sono un disco rotto e tra noi non ha mai funzionato … In quel senso” – e rise mesto, facendo roteare la maniglia in ottone dorato.

“Almeno sarei stato al sicuro, con te, Terry”

“Lo eri anche con Glam Geffen … Peccato tu l’abbia sempre confuso con il padre, che ti è mancato”

“Glam era ed è tutto, per me … Sono io, che sono diventato un cancro, per lui: per fortuna, che sono anche la cura, radicale, definitiva”

“E l’hai lasciato, per guarirlo, quindi?”

“Glielo devo … Io gli devo tutto, anche se ora non ha più importanza, se non per me, che l’ho perduto, quando potevo averlo … per sempre.”






Geffen, mentre guidava verso Palm Springs, sbirciava la copertina di un vecchio cd, messo di traverso sopra al cruscotto, in preziosa radica.

Il volto di Barbra Streisand gli stava sorridendo, seducente: l’aveva persino incontrata, dopo un concerto, anni prima.

Una donna davvero incredibile.

I ricordi lo stavano distraendo, così la sua voce, che l’impianto stereo, diffondeva nell’abitacolo, ad un volume da galera, come avrebbe detto lui, ridendo, a Jared.

Come gli diceva sempre, quando l’ex si scatenava, quasi urlando i testi, dei brani che amava e che condivideva con lui, anche se da dinosauri.

“Che dinosauri, però …” – disse in un soffio Glam, accostando.

La terrazza naturale sulla scogliera, era uno dei luoghi che più amava.
Quello in cui fermarsi, anche a piangere, senza più trattenere oltre le lacrime.

Con le portiere spalancate, perché quel pezzo non si spegnesse, anzi, dirompesse, nel suo stomaco, facendogli persino scoppiare il cuore, in un grido assordante, ma unicamente per lui.

Per lui.




Farrell chiuse la telefonata con Antonio, ringraziandolo.

Quindi chiuse gli occhi e poi il trolley.

“Se vuoi veramente qualcosa, vai a prenderla, non esitare, non perdere il tuo tempo a compiangerti, perché il destino non aspetta: ride di te, della tua insicurezza, se rimarrai fermo, in quel punto, dove sprofonderai, di vergogna e solitudine!”

Le parole di Jared, racchiuse in un giorno lontano da quella serata particolare, un giorno in cui Colin si stava arrendendo, alle proprie debolezze, superate come d’incanto, grazie all’aiuto di quell’amico così speciale, quando ancora non stavano insieme, ora sembrarono divampare nella sua testa.

L’irlandese osservò la propria immagine, nelle vetrate del corridoio principale della End House.


Quello era il rifugio, che lui e Jared avevano acquistato per realizzare ogni loro sogno.

Nessuno e niente poteva spazzare via quel disegno.

Lui lo avrebbe ricomposto, gli avrebbe ridato un senso.
Un domani.

Oggi, invece, era tempo di andarsi a riprendere, ciò che gli apparteneva.

Per amore.
Solo per amore.





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