domenica 24 agosto 2014

LIFE - CAPITOLO N. 3

Capitolo n. 3 – life



§ Ciao Glam, tra poche ore affiderò alle tue mani questa mia lettera, consapevole che, forse, non la leggerai mai.
Avrai trascorso l’ultimo Natale insieme alla tua famiglia, con noi, accanto a me, che ti amo ancora così tanto.
Non so spiegarmi, sai, come ho potuto lasciare andare questa immensa fortuna, di averti nella mia vita, quando ce ne è stata regalata la concreta opportunità.
Troppe cose ci hanno frenato, troppe incertezze.
E le persone, che hanno costruito qualcosa di bello, insieme a noi e, a volte, l’hanno distrutto o rovinato, per egoismo, per gelosia, per immaturità.
Incluso il sottoscritto, non voglio dare le colpe unicamente a Jude, il mio primo, vero, amore.
Tu sei capitato all’improvviso, nei miei giorni, anche se ci conoscevamo da anni.
Eri “solo” uno dei tanti avvocati, ai quali chiedevo di risolvere i miei casini, le mie stronzate.
Ricordo ancora il respiro caldo, con cui accarezzasti il mio collo, nel salutarmi, abbracciandomi a quella festa, dove tutto, tra noi, era come segnato, in un destino spesso avverso.
Ora non so davvero come sopravvivere, quando tu non sarai più qui, amore …
Ora non so davvero come sarà possibile andare avanti, Glam.
Vorrei morire, con te, così da permettere ad entrambi di trovare quella libertà, che qui, su questa terra, ci siano negati, stupidamente …
Nessuna pazzia, come l’amarti, fu più bella, per me, tesoro adorato.
Tuo Robert”


Geffen la lesse, prima di addormentarsi e poi di nuovo all’alba.

Un’emicrania spaventosa lo stava tormentando, quindi prese un paio di pastiglie, con un sorso di vodka.
Faceva cose senza senso, da mesi.

Con indosso i vestiti del giorno prima, si diresse scalzo verso la terrazza, di quell’appartamento, che avrebbe lasciato presto.
Se lo ripromise, guardando la porta della stanza, in cui Lula viveva in ricordi fatti di plastica, di carta, disegni vivaci, video commoventi.

Su di una poltroncina verde mela, Brady, il peluche preferito da soldino, sembrava accartocciato, in una posizione malconcia, quanto il cuore dell’avvocato, che lo sistemò a sedere, fissandolo e sfiorandolo, come un oggetto prezioso e raro.

Glam ricominciò a piangere, ripetendosi che nulla sarebbe cambiato.
Proprio nulla.



Colin si addormentò sul petto di Jared.
La notte passata tra le lenzuola zuppe di sudore ed il bagno, a sfebbrare e vomitare anche l’anima.

Scott gli aveva prelevato una provetta di sangue, dopo averlo visitato con cura.
Il medico si era congedato, rassicurando la coppia, con una diagnosi un po’ vaga e collegata alla brutta influenza, che l’irlandese non sembrava riuscire a superare, nonostante terapie più che mirate.


“Jay …”

“Cole, ma sei sveglio?” – gli domandò a bassa voce il cantante, cullandolo lieve.

“Volevo dirti che ti voglio bene …”

“Anch’io … Più che mai” – sorrise, un nodo in gola.

“Noi … Noi dovremmo fare un passo indietro Jay”

“Su cosa?”

“Sai di che parlo tesoro …” – sorrise anche lui, un po’ a fatica, lo stomaco rovesciato e dolente.

Leto inspirò, stringendolo a sé.

“Ieri Rob se ne è andato dalla seduta di gruppo inveendo contro di noi, dopo avere litigato con Kevin” – rivelò triste.

Farrell alzò lo sguardo – “E’ innamorato di Glam, io lo so, Jude me l’ha detto”

“E’ unicamente senso di colpa”

“No Jay, ti sbagli, sia su di lui, che su te stesso, ammettilo” – e chiuse le palpebre, stancamente.

“Ho preso le distanze da Glam, credendo fosse la scelta giusta”

“Per noi o per Kevin?”



Law gettò i pantaloni in lino chiaro nell’armadio, optando per un secondo paio, simile nel colore, ma di una taglia in meno.

Era ulteriormente dimagrito, lo capiva dagli abiti e dagli zigomi più asciutti.

Downey lo stava scrutando, dal corridoio antistante la cabina armadio, dove l’inglese si era come isolato.

“Mi dispiace, per l’incontro e per avere sbottato in quel modo” – esordì l’americano, avvicinandosi con cautela al consorte.

“Scusati con Kevin non con me” – replicò pacato Jude, continuando a specchiarsi, mentre si aggiustava il colletto della camicia avorio.

Era elegante, longilineo, perfetto, come al solito.


Downey sbuffò arrossendo – “Io avevo visto Glam, nel … nel pomeriggio” – quasi balbettò.

Law si girò di scatto e con stupore – “Dove?”

“In un club … Mi ha avvisato il proprietario, Jeremy Archer, lo ricordi?”

“Sì … Più o meno, non sponsorizzò quella serie tv con …” – scosse la testa – “Ma che importa, cos’è diventato, Jeremy, un pappone?”

“Gestisce questo posto di lusso, dove persone come Geffen vanno a spassarsela, non c’è da scandalizzarsi”

“E chi si scandalizza, Rob? Questo stronzo ti chiama e ti avvisa sulla presenza di Glam?!” – domandò, più acceso nei toni, annullando quel minimo spazio tra loro.

“Non glielo avevo chiesto io, se è questo che vuoi sapere Jude!” – ribatté asciutto.

Law si strofinò la faccia segnata dall’insonnia.

“Tu non ragioni, quando si tratta di Glam … E di certo non ti saresti rassegnato neppure se fosse finito all’inferno, dove lo manderebbe volentieri Kevin” – asserì esausto, andando a sedersi sul parquet tinta ciliegio.

Downey avvampò.

“Perché lo odiate così tanto?! Glam ha perso l’unica persona, che lo aveva reso migliore, che amava oltre sé stesso, Lula!”

“Lui ha manovrato chi lo amava e lo assisteva, anche in un momento drammatico, ha ingannato Kevin, che aveva i suoi stessi diritti, soprattutto d’amore verso il loro unico figlio, lo capisci oppure no?!” – reagì vivido, rialzandosi.

Robert lo lasciò lì, con la sua rabbia ed una solitudine, che Jude ormai conosceva bene, da quando Geffen era sopravvissuto al cancro ed ad una sorte incredibile.



“Due dollari per sei conchiglie!”

Quella vocina gli arrivò dritta nelle orecchie, mentre Glam passeggiava sul lungomare, in uno stato pietoso nell’aspetto, per i suoi standard, tornati ai massimi livelli di prestanza ed avvenenza.

La barba incolta, il viso segnato ed esausto.

Guardò nella direzione di un sorriso, che gli trafisse l’anima, per innocenza e simpatia immediate.

“Co cosa scusa …?” – domandò inerme, lui, che aveva ripreso tra le mani, le redini di un’esistenza quasi assurda.

“Due dollari … ehm … per le mie conchiglie, le ho raccolte sulla spiaggia … sono mie” – il bimbo rise, porgendogli un cestino, affinché Glam scegliesse le migliori.

Se ne stava rannicchiato in un angolo, quasi nascosto.

Geffen andò ad accomodarsi vicino a lui, come a condividere quel rifugio, distante da sguardi indiscreti, tra un muretto ed una siepe fiorita.

“Dove sono i tuoi genitori?” – chiese con una dolcezza un po’ smarrita.

“Non li ho … Come ti chiami?”

“Glam”

“Che nome buffo!” – sorrise adorabile – “Io sono Peter”

“Il tuo è un bel nome invece … Lo riconosco” – sorrise fiacco.

“Sei sposato?”

“No … Sì, cioè ho divorziato da poco … Avevo una moglie … anche un marito, un tempo, mi sono diviso pure da lui” – e guardò dritto avanti a sé, come confuso dai ricordi.

“Sei strano, sai? … Simpatico, ma strano” – anche Peter rivolse lo sguardo perplesso, nella stessa direzione di Geffen, che inspirò assorto.

Quindi tornarono a guardarsi, un po’ incuriositi.

“Peter eccoti qui, accidenti!!”

I due sobbalzarono, accorgendosi dell’arrivo di una signora nota ad entrambi.

“Miss Gramble?!?”

“Mr. Geffen?!”

L’orfano si infilò svelto dietro le spalle del suo nuovo amico.

“Peter esci da lì, subito! Dobbiamo tornare in istituto, non ne posso più delle tue fughe!”

“Ehi stia calma, così lo spaventa!” – protestò il legale.

“Calma? E come potrei, sentiamo?! Non trovo una famiglia che riesca a tenerlo con sé per più di una settimana, scappa di continuo! E’ una faccenda spinosa, non si intrometta Geffen!”

“Saranno degli incapaci, non crede?” – puntualizzò lui, ergendosi, con Peter attaccato ai calzoni, come un naufrago ad una tavola malridotta.

“Glam, non parli a vanvera: lei ha fatto molto per la nostra organizzazione, io la stimo, ma questo bimbo è un caso difficile, non vuole neppure studiare o consumare pasti insieme agli altri, detesta le regole, ha sei anni e ne dimostra quattro” – spiegò lei, in imbarazzo, per la presenza del minore, attento al suo discorso, più calmo ora.

“Ok, la mia le sembrerà invadenza, ma sono sotto pressione, è un periodo complesso anche per me: come vede sono simile a Peter più di chiunque” – sorrise educato, dando un buffetto a quel cucciolo, dagli occhi grandi.

Peter si aggrappò più deciso a lui, come in una supplica tacita, ma per poco.

“Vuoi essere tu il mio papà?!” – esclamò con un fremito, per poi aggiungere sommesso “… Per favore …”

Glam spalancò le palpebre ed aggrottò la fronte, persino comico, nella sua aria di inguaribile mascalzone.

§ Non sono in grado di badare neppure a me stesso § - fu la risposta, ma solo nella sua mente provata.

“Sì, d’accordo Peter, possiamo provarci” – replicò Geffen, stupendosi per primo della propria disponibilità, dopo che quel termine, papà, gli aveva riaperto una ferita, che mai avrebbe smesso di sanguinare.

Forse.



 NELLA FAMIGLIA DI LIFE E NELLA VITA DI GLAM GEFFEN ARRIVA PETER :)



 RDJUDE










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