Capitolo n. 3 – life
§
Ciao Glam, tra poche ore affiderò alle tue mani questa mia lettera, consapevole
che, forse, non la leggerai mai.
Avrai
trascorso l’ultimo Natale insieme alla tua famiglia, con noi, accanto a me, che
ti amo ancora così tanto.
Non
so spiegarmi, sai, come ho potuto lasciare andare questa immensa fortuna, di
averti nella mia vita, quando ce ne è stata regalata la concreta opportunità.
Troppe
cose ci hanno frenato, troppe incertezze.
E
le persone, che hanno costruito qualcosa di bello, insieme a noi e, a volte,
l’hanno distrutto o rovinato, per egoismo, per gelosia, per immaturità.
Incluso
il sottoscritto, non voglio dare le colpe unicamente a Jude, il mio primo,
vero, amore.
Tu
sei capitato all’improvviso, nei miei giorni, anche se ci conoscevamo da anni.
Eri
“solo” uno dei tanti avvocati, ai quali chiedevo di risolvere i miei casini, le
mie stronzate.
Ricordo
ancora il respiro caldo, con cui accarezzasti il mio collo, nel salutarmi,
abbracciandomi a quella festa, dove tutto, tra noi, era come segnato, in un
destino spesso avverso.
Ora
non so davvero come sopravvivere, quando tu non sarai più qui, amore …
Ora
non so davvero come sarà possibile andare avanti, Glam.
Vorrei
morire, con te, così da permettere ad entrambi di trovare quella libertà, che
qui, su questa terra, ci siano negati, stupidamente …
Nessuna
pazzia, come l’amarti, fu più bella, per me, tesoro adorato.
Tuo
Robert”
Geffen la lesse,
prima di addormentarsi e poi di nuovo all’alba.
Un’emicrania
spaventosa lo stava tormentando, quindi prese un paio di pastiglie, con un
sorso di vodka.
Faceva cose senza
senso, da mesi.
Con indosso i vestiti
del giorno prima, si diresse scalzo verso la terrazza, di quell’appartamento,
che avrebbe lasciato presto.
Se lo ripromise, guardando
la porta della stanza, in cui Lula viveva in ricordi fatti di plastica, di
carta, disegni vivaci, video commoventi.
Su di una poltroncina
verde mela, Brady, il peluche preferito da soldino, sembrava accartocciato, in
una posizione malconcia, quanto il cuore dell’avvocato, che lo sistemò a
sedere, fissandolo e sfiorandolo, come un oggetto prezioso e raro.
Glam ricominciò a
piangere, ripetendosi che nulla sarebbe cambiato.
Proprio nulla.
Colin si addormentò
sul petto di Jared.
La notte passata tra le
lenzuola zuppe di sudore ed il bagno, a sfebbrare e vomitare anche l’anima.
Scott gli aveva
prelevato una provetta di sangue, dopo averlo visitato con cura.
Il medico si era
congedato, rassicurando la coppia, con una diagnosi un po’ vaga e collegata
alla brutta influenza, che l’irlandese non sembrava riuscire a superare,
nonostante terapie più che mirate.
“Jay …”
“Cole, ma sei
sveglio?” – gli domandò a bassa voce il cantante, cullandolo lieve.
“Volevo dirti che ti
voglio bene …”
“Anch’io … Più che
mai” – sorrise, un nodo in gola.
“Noi … Noi dovremmo
fare un passo indietro Jay”
“Su cosa?”
“Sai di che parlo
tesoro …” – sorrise anche lui, un po’ a fatica, lo stomaco rovesciato e
dolente.
Leto inspirò,
stringendolo a sé.
“Ieri Rob se ne è
andato dalla seduta di gruppo inveendo contro di noi, dopo avere litigato con
Kevin” – rivelò triste.
Farrell alzò lo
sguardo – “E’ innamorato di Glam, io lo so, Jude me l’ha detto”
“E’ unicamente senso
di colpa”
“No Jay, ti sbagli,
sia su di lui, che su te stesso, ammettilo” – e chiuse le palpebre,
stancamente.
“Ho preso le distanze
da Glam, credendo fosse la scelta giusta”
“Per noi o per
Kevin?”
Law gettò i pantaloni
in lino chiaro nell’armadio, optando per un secondo paio, simile nel colore, ma
di una taglia in meno.
Era ulteriormente
dimagrito, lo capiva dagli abiti e dagli zigomi più asciutti.
Downey lo stava
scrutando, dal corridoio antistante la cabina armadio, dove l’inglese si era
come isolato.
“Mi dispiace, per l’incontro
e per avere sbottato in quel modo” – esordì l’americano, avvicinandosi con
cautela al consorte.
“Scusati con Kevin
non con me” – replicò pacato Jude, continuando a specchiarsi, mentre si
aggiustava il colletto della camicia avorio.
Era elegante,
longilineo, perfetto, come al solito.
Downey sbuffò
arrossendo – “Io avevo visto Glam, nel … nel pomeriggio” – quasi balbettò.
Law si girò di scatto
e con stupore – “Dove?”
“In un club … Mi ha
avvisato il proprietario, Jeremy Archer, lo ricordi?”
“Sì … Più o meno, non
sponsorizzò quella serie tv con …” – scosse la testa – “Ma che importa, cos’è
diventato, Jeremy, un pappone?”
“Gestisce questo
posto di lusso, dove persone come Geffen vanno a spassarsela, non c’è da
scandalizzarsi”
“E chi si
scandalizza, Rob? Questo stronzo ti chiama e ti avvisa sulla presenza di
Glam?!” – domandò, più acceso nei toni, annullando quel minimo spazio tra loro.
“Non glielo avevo
chiesto io, se è questo che vuoi sapere Jude!” – ribatté asciutto.
Law si strofinò la
faccia segnata dall’insonnia.
“Tu non ragioni, quando
si tratta di Glam … E di certo non ti saresti rassegnato neppure se fosse
finito all’inferno, dove lo manderebbe volentieri Kevin” – asserì esausto,
andando a sedersi sul parquet tinta ciliegio.
Downey avvampò.
“Perché lo odiate
così tanto?! Glam ha perso l’unica persona, che lo aveva reso migliore, che
amava oltre sé stesso, Lula!”
“Lui ha manovrato chi
lo amava e lo assisteva, anche in un momento drammatico, ha ingannato Kevin,
che aveva i suoi stessi diritti, soprattutto d’amore verso il loro unico figlio, lo capisci oppure no?!” –
reagì vivido, rialzandosi.
Robert lo lasciò lì,
con la sua rabbia ed una solitudine, che Jude ormai conosceva bene, da quando
Geffen era sopravvissuto al cancro ed ad una sorte incredibile.
“Due dollari per sei
conchiglie!”
Quella vocina gli
arrivò dritta nelle orecchie, mentre Glam passeggiava sul lungomare, in uno
stato pietoso nell’aspetto, per i suoi standard, tornati ai massimi livelli di
prestanza ed avvenenza.
La barba incolta, il
viso segnato ed esausto.
Guardò nella
direzione di un sorriso, che gli trafisse l’anima, per innocenza e simpatia
immediate.
“Co cosa scusa …?” –
domandò inerme, lui, che aveva
ripreso tra le mani, le redini di un’esistenza quasi assurda.
“Due dollari … ehm …
per le mie conchiglie, le ho raccolte sulla spiaggia … sono mie” – il bimbo
rise, porgendogli un cestino, affinché Glam scegliesse le migliori.
Se ne stava rannicchiato
in un angolo, quasi nascosto.
Geffen andò ad
accomodarsi vicino a lui, come a condividere quel rifugio, distante da sguardi
indiscreti, tra un muretto ed una siepe fiorita.
“Dove sono i tuoi
genitori?” – chiese con una dolcezza un po’ smarrita.
“Non li ho … Come ti
chiami?”
“Glam”
“Che nome buffo!” –
sorrise adorabile – “Io sono Peter”
“Il tuo è un bel nome
invece … Lo riconosco” – sorrise fiacco.
“Sei sposato?”
“No … Sì, cioè ho
divorziato da poco … Avevo una moglie … anche un marito, un tempo, mi sono
diviso pure da lui” – e guardò dritto avanti a sé, come confuso dai ricordi.
“Sei strano, sai? …
Simpatico, ma strano” – anche Peter rivolse lo sguardo perplesso, nella stessa
direzione di Geffen, che inspirò assorto.
Quindi tornarono a
guardarsi, un po’ incuriositi.
“Peter eccoti qui,
accidenti!!”
I due sobbalzarono,
accorgendosi dell’arrivo di una signora nota ad entrambi.
“Miss Gramble?!?”
“Mr. Geffen?!”
L’orfano si infilò
svelto dietro le spalle del suo nuovo amico.
“Peter esci da lì,
subito! Dobbiamo tornare in istituto, non ne posso più delle tue fughe!”
“Ehi stia calma, così
lo spaventa!” – protestò il legale.
“Calma? E come
potrei, sentiamo?! Non trovo una famiglia che riesca a tenerlo con sé per più
di una settimana, scappa di continuo! E’ una faccenda spinosa, non si
intrometta Geffen!”
“Saranno degli
incapaci, non crede?” – puntualizzò lui, ergendosi, con Peter attaccato ai
calzoni, come un naufrago ad una tavola malridotta.
“Glam, non parli a
vanvera: lei ha fatto molto per la nostra organizzazione, io la stimo, ma
questo bimbo è un caso difficile, non vuole neppure studiare o consumare pasti
insieme agli altri, detesta le regole, ha sei anni e ne dimostra quattro” –
spiegò lei, in imbarazzo, per la presenza del minore, attento al suo discorso,
più calmo ora.
“Ok, la mia le
sembrerà invadenza, ma sono sotto pressione, è un periodo complesso anche per
me: come vede sono simile a Peter più di chiunque” – sorrise educato, dando un
buffetto a quel cucciolo, dagli occhi grandi.
Peter si aggrappò più
deciso a lui, come in una supplica tacita, ma per poco.
“Vuoi essere tu il
mio papà?!” – esclamò con un fremito, per poi aggiungere sommesso “… Per favore
…”
Glam spalancò le
palpebre ed aggrottò la fronte, persino comico, nella sua aria di inguaribile
mascalzone.
§ Non sono in
grado di badare neppure a me stesso § - fu la risposta, ma
solo nella sua mente provata.
“Sì, d’accordo Peter,
possiamo provarci” – replicò Geffen, stupendosi per primo della propria
disponibilità, dopo che quel termine, papà,
gli aveva riaperto una ferita, che mai avrebbe
smesso di sanguinare.
Forse.
RDJUDE
Nessun commento:
Posta un commento