Capitolo n. 1 – life
Jim entrò in punta di
piedi in cucina, dove Hugh stava preparando la loro cena.
Nasir aveva già
mangiato, come sempre.
“Si è addormentato …”
– disse piano Mason – “… alla pagina dodici” – e sorrise, prendendo un lungo
respiro ed i piatti.
Laurie lo spiò,
amorevole, quanto il suo tono.
“Hai l’aria stanca
piccolo”
La sua dolcezza, dopo
molti anni di aridità e sano cinismo, riusciva ancora a spaccare in due il
cuore del compagno, che gli si avvicinò, stringendolo da dietro e posando un
bacio sulla nuca dell’analista, che ricambiò il suo sorriso.
“Oggi la riunione è
stata pesante … Non so più come dirglielo che”
“Non parliamone ora
Jim” – bissò come infastidito, spegnendo i fornelli e lo sfogo dell’altro, che
andò ad apparecchiare.
“Se non ne parlo con
te, con chi lo dovrei fare?” – domandò brusco.
“Prova con Brendan,
sarebbe più sano e”
“Ma che diavolo dici
Hugh!?” – e lo fissò, rovesciando bicchieri e posate al centro del tavolo
rotondo, in legno massiccio.
Era dei suoi nonni,
un ricordo prezioso, che male si intonava in quell’ambiente di mobili comprati
alla rinfusa, senza seguire uno stile preciso.
Come era stata, in
fondo, la loro intera relazione.
“Tesoro ascoltami …” –
Laurie provò ad azzerare la distanza, un po’ incerto senza bastone, dimenticato
nel corridoio, dopo essersi fatto una doccia veloce e solitaria, mentre Jim
dava la pasta al ragù di Antonio, al loro bimbo.
“Non ammansirmi! Io
non ne posso più di questa situazione del cazzo!” – esplose.
“Jim … Dio, ma cosa
ti prende …?” – replicò con stupore.
“Glam Geffen si è
salvato da un cancro all’ultimo stadio e quelli credono che io abbia usato chissà quale pozione e che me la voglia
vendere a chissà quale colosso
farmaceutico!” – sbottò esasperato.
Hugh gli era ormai a
tiro, ma la gamba lo tradì, per l’ennesima volta; ma non il suo Jim.
Mason lo afferrò per
il busto, evitandogli una caduta ormai certa.
Lo squilibrio dei
loro corpi, li trascinò comunque sul parquet, con un tonfo ed un rumore di
cocci, per essersi portati appresso la tovaglia.
“Amore stai bene?” –
domandò in ansia l’oncologo, guardando se il marito aveva subito dei danni.
Laurie ridacchiò – “Ma
saremo scemi? Litigare per quel … Quel brav’uomo di Geffen! Che diamine, ha
salvato Nasir, non posso dimenticarlo e tu neppure, accidenti!”
In lui non c’era
livore, bensì una determinazione, che mai era venuta meno in quei mesi.
Hugh non riusciva a
prendersela con Glam e tanto meno dare retta alle lamentele dell’intera
famiglia, che aveva di fatto abbandonato il legale al proprio destino.
Un destino, apprendibile solo dalle
cronache cittadine e non sempre per motivi professionali.
Pamela guardò l’ora,
alzandosi dal divano, per gettare in pattumiera il pollo alla diavola, riscaldato
già tre volte e rimasto intatto.
Un tempo Geffen ne
andava matto.
Un
tempo, che non esisteva più.
Il cigolio della
blindata non la distrasse; lei sapeva chi era, a quell’ora ormai tarda.
Geffen posò le chiavi
nell’ingresso, accendendo la tv, senza neppure preoccuparsi di dove fosse la
moglie.
La donna, appoggiata
allo stipite dell’arco, che divideva il living dalla sala da pranzo, stava a
braccia conserte, ora, a fissare le spalle di quel “Maldido bentornato!” –
ringhiò.
“Hai visto canale
sette?”
“Sì, Glam, come no” –
e tornò ad accomodarsi, spegnendo il plasma, dirimpetto a lui, che sbuffò
annoiato.
“Piaciuta la mia
intervista?” – rise.
“No, affatto, in
compenso la giornalista era davvero interessante: dove te la sei portata, dopo?”
– chiese acida.
Geffen estrasse un
foglietto, dalla tasca interna della giacca, con noncuranza.
“Al resort Heaven,
come al solito e mi stampano persino le ricevute fiscali … Che idioti” – e sbadigliò,
gettandole sotto il naso quel pezzo di carta.
A propria volta,
Pamela ne prese di più consistenti, riuniti in un plico azzurro, che Glam ben
conosceva.
“Questi me li ha
consegnati Marc stamattina: li firmi adesso, vero?”
“Hopper, che zelante …
Il nostro divorzio, cara?”
“E non chiamarmi
così, quella è Sveva!”
“Ah sì, tu sei la mia
cica …” – ridacchiò, prendendo una penna, da dove aveva estratto la prova della
sua ennesima scappatella.
“Dunque vediamo … I
signori bla bla, avanti a me convenuti … bla bla … e gli alimenti, cica?”
“Figurati se mi
faccio mantenere da te, stronzo! E per i nostri figli non credo farai mancare
loro qualcosa” – ribatté secca.
Geffen la scrutò,
severo – “Questo mai”
“Anche se loro
preferirebbero vederti, sia chiaro! E’ più di un mese che non ti fai vivo!”
“Sono in vacanza,
siamo a luglio e”
“Hai spedito le
ragazze ad Ibiza ed i gemelli sono al campeggio, controvoglia!”
“Manderò Vas a
riprenderli se”
“TU non li vuoi
vedere! Non vuoi sentirti chiamare papà, me
ne sono accorta sai o pensi che sia una deficiente??!”
Geffen scattò in
piedi, poi si ossigenò, completando gli spazi destinati al suo autografo,
nitido e preciso.
“Ecco … Ora puoi
andartene Pamela” – disse calmo.
“Certo che me ne
vado! Sarò a villa Meliti, con i miei bambini!”
“So dove trovarvi …”
“E ci saranno anche
Sveva e JJ, il viaggio alle Barbados, che hai finanziato in fretta e furia,
rinunciando al periodo destinato a te per l’affido condiviso, li ha solo fatti
innervosire quanto me, sappilo!” – gli urlò in faccia.
“Io esco” – la tagliò
l’uomo, dirigendosi all’uscita.
“E cerca di non fare
casini con quelle puttane, che ti porti all’Heaven, bastardo!!”
Geffen si voltò di
colpo, puntandola, con una strana espressione sul viso.
“Tranquilla: sono
sterile, non lo sapevi? Merito delle chemio e delle droghe, che mi sono sparato
l’anno scorso”
“Ecco, sarebbe un’ottima
idea Glam: sparati, ma nel vero senso del termine!”
Kevin piegò le
magliette, poi le salopette.
Ce n’era una, con una
macchia di cioccolato, che non aveva mai voluto saperne di venire via.
Lui la voleva
conservare in quel modo, stringendola sul petto: l’ultimo gelato mangiato da
Lula, insieme a Tim, al locale di Barnie.
“Scusami, sono salito
senza avvisare …”
La voce di Jared gli
trafisse la schiena.
“Ciao … Hai fatto
bene …” – e chiuse il cassetto.
“Che fai di bello
Kevin?” – domandò il cantante, con aria mite, facendo un passo avanti.
“Sto qui … Non ho
nulla di meglio da” – e ruotò verso Leto, osservandolo.
“Che c’è?” – sorrise.
“Hai … Hai ancora
questa barba orrenda” – rise anche lui, gli occhi lucidi.
“Tutti mi chiedono se
è un fioretto ed in verità sì, sì lo è in parte: l’avrei tagliata quando Shan
si fosse rimesso completamente …” – spiegò.
“Ora sta bene o
sbaglio?”
“Sì … Ok, ho capito” –
rise solare – “La accorcio, però solo se vieni a mangiarti una pizza con me!” –
propose, fingendo allegria.
“E Colin?”
“Gira sino a tardi: è
rimasto fermo con la febbre sino all’altro ieri …”
“Fuori stagione è uno
schifo avere l’influenza …”
“Allora la nostra
pizza, Kevin?” – Jared insistette.
“D’accordo, ma tu
prima ti radi … Mentre io mi do una lavata, puzzo come un caprone”
In effetti il
bassista aveva l’aria trasandata.
“Bene, facciamoci
belli” – e si diresse al bagno padronale, uscendo dalla camera, che era stata
di soldino.
Kevin lo seguì a
fatica, spogliandosi ad ogni passo, sino a rimanere nudo, privo di alcun
disagio davanti a Jared, che cercò il rasoio nell’armadietto a vetri, con
naturalezza.
“Datti una bella
insaponata, mentre io penso ai miei peli … Cazzo sono una marea”
“Fai attenzione a non
tagliarti” – gli echeggiò dal box l’ex di Geffen.
“Ma figurati …” –
mormorò il leader dei Mars, ridando una fisionomia meno trascurata, al suo
splendido volto.
I cinquant’anni di
Leto sembravano tuttalpiù quaranta scarsi.
“Ok … Sono profumato
come un bebè” – Kevin infilò un accappatoio bianco, poi si pettinò veloce con
il gel.
“Ah eccoti, sotto lo
sporco c’era un tipo niente male!” – scherzò Jared.
“Posso dire
altrettanto di te …”
Jared si morse le
labbra – “Come stai Kevin? E Tim dov’è, scusa?” – domandò incerto.
“In università, per
una sessione estiva … Scoperà con qualche studente del primo anno oppure con il
rettore” – replicò un po’ alienato.
Il suo alito sapeva
di alcol.
“Non dire stronzate”
“Non le sono, Jay:
non faccio l’amore con Tim da … dunque vediamo … Marzo? Oppure era aprile? Non
lo ricordo neppure più” – affermò svilito.
“Devi reagire”
“Ho trascorso la
primavera alla Foster, non è servito, come vedi!” – e gli mostrò una bottiglia
di vodka, nascosta dietro ad una colonna porta oggetti.
Leto scosse il capo,
chinandolo – “In clinica eri migliorato …”
“No, ti sbagli e lo
sai!”
“Kevin …”
“Io non sono come te
o Robert!! IO avevo un meraviglio angelo, insieme a quel demonio di Glam
Geffen, che sia maledetto!!”
“La devi smettere di
incolparlo, è assurdo Kevin!! E’ stato Mendoza ad uccidere il VOSTRO LULA! Non
è stato Glam, lui lo amava più di sé stesso!!”
“Ed allora doveva
crepare lui a dicembre, non Lula!!” – e scoppiò a piangere.
Jared lo prese per le
braccia muscolose – “Kevin non era possibile, Lula era morto e non poteva
rimanere oltre, qui con noi … Glam ce lo ha detto ed io gli credo”
“Tu gli crederesti
per ogni fottuta cosa lui si inventasse!!”
“Io sono rimasto dalla
tua parte, come vedi … Ti ho sostenuto, ti ho assistito durante il ricovero,
non puoi trattarmi così Kevin”
“Sì … Ogni mattina ti
ritrovavo al mio risveglio e speravo fosse stato solo un brutto sogno Jay” – si
tranquillizzò, rammentando il periodo del ricovero, nel reparto di psichiatria.
Si abbracciarono.
“Perdonami Jay” –
singhiozzò.
“Potrai contare su di
me, sempre … Ok?” – e lo guardò, con tenerezza.
Kevin annuì,
staccandosi poi da lui, per andarsene da quella casa, dove ogni angolo gli parlava
di Lula e dell’amore con Tim, che sembrava essere svanito nel nulla.
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