Capitolo n. 81 – nakama
La pioggia li sorprese,
a metà strada, sulla via del ritorno.
Senza saperlo, Robert e
Jesse stavano viaggiando, lungo il percorso, verso il cottage di Pinkman, dal
lato opposto della città dove si trovavano Glam e Jude, in attesa di
istruzioni, da parte di Chris.
Una pattuglia,
finalmente, avvistò l’utilitaria di Rosita, presa in prestito dall’attore, per
cercare Pinkman, senza essere seguito da nessuno della sua vasta e affettuosa
famiglia.
Essere così amati, a
volte, poteva risultare scomodo, anche per uno come lui, assetato di
attenzioni, dai primi anni di vita e consapevolezza.
Geffen riavviò quindi
l’Hummer, non senza controllare una cosa, nel vano oggetti.
“E quella cos’è?” –
sbottò Law, fissando un revolver nuovo di zecca.
“Ho il porto d’armi,
non preoccuparti, ok?” – brontolò il legale, richiudendo lo sportellino in
radica e acciaio.
“Ti porti sempre
l’artiglieria appresso?” – chiese con un mezzo sorriso l’inglese.
“Di questi tempi più
che mai, non hai idea di quanti sciacalli girino per i quartieri, dopo il
sisma” – spiegò Geffen, concentrato sul navigatore, dove, stranamente, le
coordinate inviate da Hemsworth risultavano già memorizzate.
L’uomo non disse nulla
all’amico, pervaso da una sensazione indecifrabile, da almeno un paio di giorni
ormai.
Geffen non era nuovo a
esperienze di quel genere, sovrannaturali e inspiegabili.
Pensò a Lula, ma non
c’era tempo di parlargli, per chiedere spiegazioni a soldino, ormai giunto a casa
di Kevin e Tim, per trascorrere insieme a loro e ai cugini, il week end.
“Siamo quasi arrivati
Jesse” – Downey prese un respiro, senza distrarsi dal traffico, che andò
diradandosi, quando imboccò la via dei villini, in quella periferia scarna, per
negozi e servizi.
Era il luogo ideale,
per il laboratorio di White.
Walter White, che
controllava l’ora, ogni due minuti, sempre più in ansia, per il ritardo
dell’acerbo compagno e per il suo cellulare spento.
I dubbi, i sospetti di
un suo tradimento erano remoti, seppure quell’immagine, rimandata dallo
specchio del loro modesto salotto, gli risultò, ancora una volta, impietosa.
La sua quotidianità, lo
costringeva quasi a vivere come un topo, sempre al chiuso, nello scantinato
grigio e spesso maleodorante, per le sostanze usate dai due, per produrre
metanfetamine di alto livello.
Roba forte,
biascicavano spesso gli utilizzatori, strafatti e in volo, verso paradisi
fatui.
White si ostinava a
rasarsi, quasi completamente, perché quei suoi capelli stopposi, proprio li
odiava, anche se erano ricresciuti piuttosto in fretta, dopo le chemio.
Era magro, ma non
atletico, mentre il corpo di Jesse gli risultava, dopo sette anni di “collborazione”,
uno splendore continuo, senza troppi sforzi da parte dello studente.
Pinkman si nutriva
appena, era divorato di passione e trasporto, quando facevano l’amore o
scopavano, ormai la differenza era iniqua.
Ormai tutto, si era
miscelato, come in una formula senza tempo, senza età, senza differenze.
Jesse era diventato,
non senza difficoltà, un eccellente chimico; Walt doveva ammetterlo con sé
stesso, senza più esitazioni.
Jesse poteva andarsene,
fare soldi, anche senza di lui.
Lasciarlo da solo.
Solo.
Come un cane.
Com’era Pinkman, quando
lui, uomo di buona famiglia, dedito al lavoro, ai cari, incolore,
insignificante, lo aveva come raccolto.
E amato da subito,
senza mai volerglielo dire per davvero, finché ci riuscì, pateticamente, a
nascondere i propri sentimenti verso quel ragazzino, devastato dalle droghe e
dall’amore per lui, Walter White, che non era niente, senza Jesse Pinkman.
Jude si masticò le
pellicine, poi verificò la segreteria sul palmare, senza successo.
“Niente, Rob non ha
risposto a nessuno dei miei messaggi”
“Avrà altro da fare” –
sbuffò Geffen, accelerando, in prossimità dell’incrocio, che lo avrebbe portato
a destinazione.
“Vorresti dire di
meglio, che stare con me?” – polemizzò l’interprete più celebre di Watson.
“Ma figurati … Ci siamo
quasi, ma a te non sembra di esserci già stato, Jude?” – chiese come stranito,
analizzando ciò che stava vedendo.
Anzi,
rivedendo, senza saperlo.
Downey accostò, su
ordine di Jesse.
Il temporale era
aumentato, all’improvviso.
“Meglio fermarci qui,
non vorrei che Walt ci vedesse, ecco” – spiegò Pinkman, in palese tensione.
“Nessuno ti ha mai dato
un passaggio?” – domandò Robert, sorridendo, cercando di togliere
l’appannamento del parabrezza, con uno straccio in microfibra, di quelli usati
da Rosita, durante le proprie mansioni di colf, oltre che di baby sitter.
“No”
“Strano, sei un tipo
simpatico, socievole”
“Anche troppo, secondo
le tue farneticazioni Robert” – obiettò Pinkman, acido.
Downey inspirò,
sentendosi ridicolo.
“Ok, forse è stato uno
sbaglio cercarti”
“E non so neppure
perché! Ti sei preso una cotta, forse?”
§
Per me, che non sono mai stato nulla di che, che nessuno ha voluto, che
qualcuno si è preso, derubandomi di ogni dignità? §
Jesse se lo chiese
mentalmente.
Mortificato, si scusò –
“Perdonami Robert …” – e si riempì le labbra di quel nome, di quei carboni liquidi,
che lo stavano fissando da qualche attimo.
Che gli si avvicinarono
abbastanza, ai suoi cieli azzurri, fino a darsi un bacio.
Rapido.
Casto.
Glam e Jude fecero
appena in tempo a notarlo, avendo parcheggiato dall’altro lato del marciapiede,
ma White no, lui no, lo aveva visto benissimo.
Sulla soglia di
quell’abitazione semplice, uguale ad altre cento, in quel quartiere così
distante dalle colline e dal lussuoso centro di Los Angeles.
Norman si rivestì.
JD, alle sue spalle,
gli diede un bacio sulla nuca, aiutandolo ad allacciarsi la camicia a scacchi,
blu e azzurri.
“Perché non resti?” –
chiese, con quel tono consumato dalle numerose sigarette.
Il suo dopobarba era
intossicante.
Così i suoi baci, che
dal collo, arrivarono alla bocca di Reedus, come una tempesta.
Dolce ed erotica.
“Perché me?” – domandò
improvviso l’ex agente della narcotici, staccandosi malvolentieri da quel
contatto intimo, complice.
Come
se si frequentassero da sempre.
“Perché no?” – Morgan
rise tagliente.
Come i suoi occhi,
piantati in quelli di Reedus, come la bandiera dei vincitori.
“Hai visto Paul, prima
di me?”
“Certo: sono venuto a
cercarlo, per chiedergli dei soldi, in nome della nostra, come dire? Convivenza
solidare” – e rise più forte, ormai appoggiato allo stipite dell’uscita.
“Dividevate la cella?”
“Sì … Lui era la mia
puttana, gli davo droga e poi … Ok, stammi a sentire, non sono qui per parlare
di Rovia, non mi è mai interessato, se davvero vuoi saperlo, ma mai avrei
creduto che mi avrebbe portato a te!” – rivelò perentorio, sorprendendolo.
“A me?!” – a quel punto
Norman riprese un minimo di controllo, schiarendosi la voce e avanzando, in
carenza, comunque, di ossigeno, per quanto si sentiva sconvolto dalle proprie
emozioni contrastanti.
“Sì, a te! A te che ti
sei ficcato qui!” – e si puntò l’indice in mezzo alla fronte.
“Non è possibile …” –
Reedus lo sussurrò appena, bloccandosi di nuovo.
Era come una corsa a
ostacoli e lui stava inciampando su tutti.
“Sono fatto così” –
anche Morgan tentò di recuperare un po’ dell’aria intorno a sé, gli opali
taglienti e lucidi di Norman lo stavano come uccidendo e rinvigorendo – “… io
sono così e mi hai colpito dal primo istante … Dal primo pugno allo stomaco
direi, visto che non andasti per il sottile, quella notte”
“Quando ti ho
arrestato?” – lo interruppe brusco.
JD fece un cenno di
assenso, recuperando un’altra sigaretta – “Pensala come vuoi, io non ti ho
nascosto un cazzo, mentre il tuo bel ragazzino è corso da me, appena l’ho
agganciato e si è lasciato sbattere, senza fare resistenza, come dite voi
sbirri”
Un pugno gli arrivò in
pieno volto, stendendolo, mentre Reedus finiva in ginocchio, stremato.
Vinto.
Morgan scoppiò a ridere,
poi ridivenne serio, in quell’altalenante modo di porsi, che inquietava e
seduceva.
“Non ti merita, non
potrai mai fidarti di uno come Rovia, di un drogato del genere, anche se ti
sembra pulito, rimarrà sporco dentro a vita” – sibilò, andando a pochi
centimetri dalla faccia del suo interlocutore, dallo sguardo perso, ormai, tra
afflizione e lacrime amare.
“Tu non sai un cazzo di
noi, di Paul …” – farfugliò appena.
Sembrò un’estrema
difesa, così vuota, quanto inutile.
Morgan gli diede una
carezza, poi un bacio nel collo – “Andiamocene adesso, i soldi non ci mancano” –
gli parlò dentro, come se lo stesse possedendo, anche in quella maniera, così
intima e profonda.
“I soldi che tu hai
rubato a Paul …” – e si rialzò – “… Ma ti senti? Sei uno stronzo senza speranza”
– e se ne andò, pensando che, forse, non sarebbe neppure arrivato vivo alla
moto.
Sbagliava.
JD lo lasciò andare,
senza alzare un dito per fermarlo.
Tanto
sapeva benissimo, che Norman Reedus sarebbe tornato da lui.
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Pinkman chinò il capo,
percependo le labbra di Robert baciargli i capelli, in un ultimo gesto di
affetto o compassione.
“Grazie per avermi
sopportato” – Downey sorrise, mentre l’altro faceva come un balzo indietro,
contro la portiera, ritraendosi, impaurito.
“Grazie per avermi
riportato a casa” – e afferrò la maniglia, per scendere da quell’abitacolo,
dove non riusciva più a respirare e connettere.
Gli scrosci gelidi
della tempesta lo investirono, così l’occhiata torva di White, impalato sotto
la veranda, dove una lampada penzolante, oscillava avanti e indietro.
“Walt …”
Jesse deglutì a vuoto,
sbrigandosi a raggiungerlo.
Anche Downey scese, notando
la rabbia del professore, pensando già a come dargli una spiegazione,
addossandosi ogni responsabilità, affinché Pinkman non ci andasse di mezzo.
Geffen assottigliò le
palpebre, dopo avere abbassato il finestrino.
Poi le spalancò.
“E’ armato … Quel tizio
è armato! Robert vattene!!” – e, urlando, si precipitò verso l’ex marito, sotto
lo sguardo scioccato di Law.
Jesse era quasi
arrivato da Walt; ma non abbastanza, per fermarlo.
White sparò un colpo in
direzione di Downey.
Un proiettile altamente
perforante, di quelli che non danno scampo, per come sono stati concepiti.
In grado di trapassare anche
due corpi.
Quello di Glam, che
aveva fatto da scudo e quello di Robert, ugualmente trafitto, da quella saetta, arancio e
viola.
Gli stessi lampi colorati,
echeggiarono dal revolver impugnato da Jude, che non esitò a rivolgere l’arma
contro Walter, mentre gli andava incontro, senza che Jesse potesse provare a difenderlo,
come Geffen aveva appena fatto con Downey.
“Glam …”
“Tesoro … Mio Dio” – ma
il suo sembiante massiccio, non lo abbandonò, tenendolo saldo a sé, mentre
precipitavano verso l’asfalto, già macchiato del loro sangue, di quello che
usciva dall’addome di Glam e dalla bocca di Robert, imbrattando la camicia del
primo, come quel cuscino, che Downey ricordò, nell’ennesimo dejà vu.
Le urla di Pinkman
coprirono persino il rumore dei tuoni.
Law si era come
paralizzato, oltre il cancelletto della recinzione del loro villino.
White gemette, tenuto
in grembo da Jesse, che lo stava abbracciando, disperato – “Walt … Non morire …
non farlo … no” – singhiozzò inerme.
“Il … il timer … Il
timer l’ho azionato … Vattene subito, salvati almeno tu … Salvati piccolo mio”
E trovò il tempo di
essere tenero, quando, in realtà, Walter White aveva sempre faticato ad esserlo
con chiunque.
Pinkman, in uno sforzo
estremo, lo trascinò via, oltrepassando Jude, che lo seguì, percependo un
pericolo imminente.
Un’esplosione illuminò
la scena, rendendo le loro figure nere come pece, stagliate contro ad uno
sfondo abbacinante e rovente.
Come un nuovo inferno.
Pronto
ad inghiottirli, senza alcuna pietà.