One shot – Tra il ferro
e l’argento
Il tepore bagnato, che ora gli cola tra le cosce, dischiuse
come flessuosi petali, fatti di carne, sangue, muscoli vibranti, non riesce a
distrarlo a sufficienza, dalle parole di Hannibal, attaccato alla sua bocca,
ansante e bellissimo.
“Voglio un figlio”
“Co cosa …?”
Il concetto è chiaro, lampante, lo dilania, con la
delicatezza e la passione, con cui Lecter riesce a fargli l’amore da settimane.
“Saremo di nuovo padri, Will” – e si è fermato, a guardarlo, perché
ha smesso di venirgli dentro e vuole una risposta.
Hannibal non lascia mai cadere i discorsi, senza avere un
esito, Graham lo sa bene.
Spontaneamente gli sorride.
“Sono felice, che tu lo sia quanto me, al solo pensiero, Will”
– e gli bacia intenso, la fronte madida.
“In che modo?”
“Ho già parlato con la direttrice dell’orfanotrofio del paese”
– precisa, scivolandogli fino all’addome, come se quel punto, potesse custodire
biologicamente, un simile progetto.
Anche per loro.
“Ne esiste uno?”
“Sì, Will, ci abbiamo vissuto Misha ed io, per un certo
periodo”
Graham gli accarezza i capelli, con tenerezza, nel
sentirgliela nominare: raramente Lecter sembra smarrito, nel cuore di un’emozione
così pura, come quel ricordo.
“Capisco”
“Sì lo so” – Hannibal sorride, alzandosi lento.
I loro corpi raccontano di una vita avventurosa, che, forse,
ora deve cambiare.
Radicalmente.
“Una bambina?” – Graham lo chiede quasi timido.
“Se sarà possibile, sì … In effetti ce ne sarebbe una, ne ho
sentito parlare da Miss. Janina Butkus”
“Un tipo malleabile, più del suo cognome, mi auguro” – e si
siede contro la testata, brandendo nei palmi, la coppa di champagne, che l’altro
ha appena stappato per l’occasione.
“Assolutamente sì: un generoso obolo e tutto si risolverà per
il meglio”
“Non dobbiamo comprarcela, sia chiaro!” – ed il suo puntiglio
un po’ ferisce Lecter, che lascia correre.
Will ha ragione.
“E’ solo per le pratiche, i sentimenti seguiranno il loro
corso, è ovvio” – dice pacato, lo psichiatra.
“Perfetto.”
Eccola lì, incuriosita e spaesata, pensa Will: i capelli
lunghi, ma un po’ sporchi, così le vesti, ma non certo gli occhi.
Di Rebecca.
Il nome non verrà cambiato, ad entrambi piace così.
Ritrovarsela per le stanze del castello, sembra un attimo.
Nel mezzo il nulla, se non una minima presentazione, oltre al
fatto, che sembra il più logico, di vedere Graham ripulirla, come faceva con i
suoi randagi, pieno di gioia nello sguardo.
Lecter è meno diretto, nel contatto fisico, almeno.
Interpella Madame Junot, dell’atelier, dove si fa realizzare
abiti su misura e la baronessa, che lo sia o meno, nessuno si è mai dato pena
di verificarlo, porta le sue sartine, a coccolare e vezzeggiare quella nuova
principessa, che volteggia, adesso, in un vestitino, di trine e merletti
celeste ghiaccio.
Ce n’è parecchio, ancora, per le strade, ma presto sarà
primavera, anche in Lituania.
“L’hai vestita come una bambola” – dice sommesso Will,
masticando compostamente il cibo, che ha nel piatto.
Lui preferisce i jeans e la maglietta, acquistati in un
emporio, assai più semplice, della modaiola Junot Mode.
Lecter sorride, facendo l’occhiolino a Rebecca, che di anni
ne ha solo tre, ma capisce ogni cosa: lei lo venera, questo papà aristocratico,
altissimo e bellissimo.
Così lo vede, mentre Will è già dato per scontato, anche se
gli vuole bene.
E Will la ama, senza incertezze; non che Hannibal ne abbia,
ma sembra sempre un passo indietro, nell’esporsi a livello umano.
“Forse daremo una festa, quindi la creazione di Madame Junot,
servirà” – e il discorso è chiuso, perché tanto, i dettagli stilistici e
coreografici, li decide Lecter.
Evitando di sapere che Becky nasconde il cibo ovunque, memore
degli stenti all’istituto; è Graham a scoprirlo, ogni volta, con un sorriso
triste, con un nodo in gola.
Quindi la culla – “Amore, noi non ti faremo mai mancare
niente, ok?”
Rebecca spalanca i fanali verde smeraldo e lo compra, con un “Grazie
papi” – da sciogliere una pietra.
“Perché una festa?”
Graham lo chiede secco, entrando nella loro stanza.
Hannibal si annoda la cintura della vestaglia e si accomoda,
in poltrona, davanti al fuoco.
“Vieni qui”
Will annuisce, accovacciandosi, sopra al tappeto, per
allacciarsi alle sue ginocchia, come quando Lecter era ancora infermo.
Frammenti di un tempo, già passato da un pezzo.
Quasi un anno, ormai.
“Non possiamo isolarla, dobbiamo sforzarci, amore”
Nessuna tattica, è un dialogo tra coniugi, del tutto
tranquillo.
“Fino a questo punto?”
“Noi siamo quelli strani, Will” - e ride divertito – “… i ricchi del bosco,
chissà in quali altri modi ci definiscono, sai?”
“Ma chi se ne importa?” – replica aspro, perché il mondo l’ha
sempre discriminato.
“Infatti, non dobbiamo curarcene, sempre se la nostra libertà
non ne venga minata: nel qual caso provvederemo di conseguenza”
“Fuggiremo, Hannibal?”
“Ci sposteremo, perché ho sempre un piano di riserva, dovresti
saperlo” – e lo invita ad alzarsi – “spogliati” – aggiunge a mezza voce,
fissandogli il bacino stretto, che non ritarda, nell’artigliare sicuro, appena
se lo ritrova nudo, come desiderava.
Will è suo.
Will lo fa e basta, Lecter gli bacia la cicatrice di
Baltimora, così l’hanno ribattezzata.
Scherzandoci.
Era buffo, rimescolare gli eventi, renderli accettabili.
Nel Maryland e a Firenze, Hannibal l’aveva quasi ammazzato.
Attimi essenziali, utili a costruire, ciò che ora era
tangibile, come la loro storia.
D’amore puro, come inchiostro, il colore era lo stesso.
Così il buio, a palpebre chiuse, di Will, che lo cavalca, un
istante più tardi.
La porta è rimasta socchiusa, Rebecca li vede.
Nulla di strano, anche i due catechisti lo facevano spesso,
quel gioco, così glielo avevano spiegato, dopo che la bimba li aveva spiati,
facendo troppo rumore.
Si è fatta più furba, ride, senza farsi sentire, ma Lecter ha
un olfatto incredibile, poi quello shampoo all’avena, che Will usa con lei, ha
un aroma nitido, per lui almeno.
Quando Hannibal sposta la testa di lato, la figlia non c’è
già più.
Astuta, riflette, notevole, com’era lui, alla sua età, quando
si isolava.
O erano gli altri, a farlo?
I peggiori, Hannibal, se li era divorati.
Letteralmente.
Addirittura un’orchestra da camera, cibo raffinato, ma le
ricette sarebbero rimaste un segreto, inutile che quelle oche insistano con il
suo uomo.
Perché Hannibal è suo.
Will si sente bruciare lo stomaco, non certo per le Chateau
de Kemp, che sembra scorrere a fiumi.
Sebbene insediatisi ad un passo, da una comunità esigua, i
nuclei blasonati o borghesi, non mancano.
Rebecca è al centro dell’attenzione.
Una nipote di Lecter, è lui ad averle dato il cognome, è lui
ad avere deciso quale scusa usare, inventandosi di un cugino, scomparso con la
moglie in un incidente aereo, tanto Miss. Butkus non li tradirà mai, prossima a
finire nel congelatore in cantina.
Ha chiesto altro denaro: un errore imperdonabile.
Peccato non averlo saputo, per Janina; gli incartamenti della
pratica Lecter/Graham, sarebbero spariti, con lei, la sera seguente.
Un’incursione notturna, ad entrambi mancava quell’adrenalina.
E lei che credeva la volessero abusare, non certo eliminare, gli
sconosciuti a viso coperto, apparsi nell’oscurità del suo alloggio da zitella,
in pieno centro.
Che sciocca.
“Mi sento fragile, ora che lei, è tra noi”
Will lo confessa, dandogli le spalle.
Accade di rado, è persino strano.
Lecter non aveva fatto domande, la coda di paglia, per quella
bugia su Rebecca.
“Con noi, tesoro” – ma non è così semplice, rimediare ad uno
sbaglio così palese.
Graham non si meritava certo quell’umiliazione.
Lo zio Will.
Che insulto, alla sua devozione, alla sua abnegazione, ora
protese anche verso la piccola.
“Ti chiedo perdono, Will: mi sono lasciato inquinare dai
pregiudizi, sono stato un idiota, ma volevo proteggervi”
Graham si volta, in suo favore, abbracciato al cuscino e non
a lui, questo è preoccupante.
“Volevi proteggere lei: vi ho osservato, vi ho capito, ti ho
capito!” – ora è arrabbiato, abbandona il letto, con uno scatto dei suoi, di
ribellione, di sconforto.
È sempre stato terribilmente interessante analizzarlo.
Graham è intrigante, anche nei momenti peggiori.
“Che cosa hai capito, esattamente, Will?” – ribatte asciutto.
Mai perdersi d’animo, mai abbassare la guardia, pensa Lecter,
come se dovesse ancora difendere una certa reputazione, come se ancora dovesse
nascondere la sua verità più scomoda.
E orribile.
“La stai già plasmando, ne hai colto le potenzialità!”
“Tu sei solo geloso”
“E tu sei ridicolo, a produrre questa teoria, Hannibal! La
realtà è totalmente diversa!”
“E’ come la vuoi vedere tu, giusto?” – e sorride, ma muore, perché
non doveva finire in quel modo, la loro esperienza genitoriale.
Un fallimento, dopo neppure un mese.
“Io rivedo Abigail, che asseconda Jacob Hobbs” – definirlo padre,
gli sembra un abominio – “è questo che vuoi?! Davvero?!” – ed è feroce.
Ed è nel giusto, in fondo all’abisso, dove sono appena
finiti.
Di nuovo.
“Ho capito Will.”
Chiyo la accoglie premurosa, Rebecca le corre incontro,
entrambe capaci e degne, di stare tra il ferro e l’argento.
L’importante è non tornare in quel lager, con i disegni
appesi, tutti in bianco e nero, dove il sole filtra da vetri minuscoli, tanto
anche la nuova Direttrice non li cambierà mai.
Lei sa adattarsi e imparerà molto da Chiyo, soprattutto a
difendere Hannibal Lecter, anche se in età avanzata, se mai lo rivedrà.
Così Will Graham.
Smettono di parlare, Hannibal e Will, non solo durante il
tragitto di ritorno da Parigi, dove hanno appena affidato la figlia ad un’estranea,
almeno per lei.
Abbandonata.
Dormono separati, in quel labirinto spettrale, dopo l’arcobaleno,
ormai svanito, portato da Rebecca, fatto di risa, giochi a nascondino, bambole
di pezza e peluche ovunque, in pieno disordine, perché era bello vederla così,
per Hannibal, che piange ogni notte.
È solo.
Senza Becki.
Senza Will, isolatosi, in fondo al corridoio, dell’ala sud,
recuperata integralmente ed esposta al sole.
Che sembrava essere stato inghiottito da un temporale senza
fine.
Erano secoli, che a maggio, non pioveva così di continuo.
Senza soluzione di continuità, come la loro relazione.
I pasti li consumano ancora insieme, evitando di verbalizzare
ciò che provano.
È estenuante.
Peggio di una qualsiasi fuga.
Fino ad una sera, dove il temporale, è divenuto tempesta.
La corrente elettrica salta e le candele, vengono accese ovunque,
con calma, da Lecter, prima di tornare alla sala da pranzo, dove Will lo sta
aspettando, per cenare: le buone ed inutili maniere non si sono smarrite.
“Ho sentito che in Francia questa perturbazione ha fatto
molti danni” – esordisce il più giovane, rimestando la zuppa di verdure.
Hannibal prende un respiro, sedendosi di traverso, rispetto
alla tavola imbandita, del resto non ha fame.
“Forse la spaventano i tuoni, chissà se” – e si morde le
nocche della mano sinistra, che un secondo dopo collide con le labbra
tremolanti di Will, inginocchiatosi ai suoi piedi, come a scusarsi.
È un volo diverso, breve, ciò che ne segue, sui marmi gelidi
e superbi, ancora abbracciati e non importa se è scomodo, amarsi lì, tra
brividi, sussulti, grida sommesse, mentre vibrano, l’uno nell’altro.
Anche quando tutto si capovolge ed è Will a invaderlo, a possederlo,
con disperazione e amore.
Così tanto amore … finalmente.
The End
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