venerdì 17 giugno 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 66

Capitolo n. 66 – nakama



Il sorriso di Paul, rispecchiava tutta la dolcezza, che Norman provava nel prendersi cura di lui, ogni istante della giornata.
O della notte.

Erano così stanchi, ogni sera, che si addormentavano quasi subito, abbracciati, in una delle tante stanze, destinate agli ospiti, all’interno della villa di Glam, per poi svegliarsi, verso l’alba, a ridere del nulla, facendosi dispetti e poi l’amore, appassionato, indispensabile, come aria.

Quindi una passeggiata, tenendosi per mano, a lambire le onde, lì davanti, a piedi nudi, con il cuore pulito.
Niente più incubi per Rovia.
Niente più angosce per Reedus.

Infine, prima di ripartire verso le mense e i campi di soccorso a Los Angeles, consumavano una colazione abbondante, nel caos totale di quella stramba compagnia, di quella famiglia bellissima, sotto ad un patio, dove non mancavano mai i palloncini per i bimbi e la musica per gli svitati, come Jared e Xavier, capaci di imbrattarsi di marmellata, mentre suonavano e cantavano, usando strumenti improvvisati, stoviglie e bicchieri, mentre le spazzole di Pam erano perfette come microfoni.

Era come uno spiraglio di luce, di felicità, apertosi in quell’abisso tragico, dopo un sisma devastante.

Come quello, che aveva mandato in pezzi, la vita di alcuni di loro, come Styles.

Harry se ne rimase in disparte, in mezzo agli scogli, quel mattino di lunedì: una nuova settimana, durante la quale ognuno di loro si improvvisava angelo della provvidenza, targata Meliti e Geffen, senza sapere bene, almeno nel suo caso, quale sarebbe stato il proprio futuro, personale e professionale.

Lo studio era stato inghiottito da una voragine, come il resto degli appartamenti, di un palazzo di vecchia generazione.

Boo lo intravide e Arthur gli sorrise, porgendogli una tazza fumante – “Perché non glielo porti?” – disse dolce l’uomo – “Penso ne abbia bisogno”

Louis sorrise timido, quasi arrossendo – “Ok … Ma torno subito”

“Non c’è fretta: ci andiamo in auto, per conto nostro, in città, tanto devo sbrigare delle commissioni, ok?” – propose rilassato, gustandosi lo stesso caffè.

Tomlinson annuì, poi si avviò, con una certa trepidazione nel respiro, che a Keller non sfuggì minimamente, senza, però, sentirsi ferito dalla reazione del più giovane, quasi scontata, anzi, più che comprensibile.


“Ehi …” – disse piano, mentre Harry gli stava fissando i piedi perfetti e scalzi.

Boo era uno splendore, anche se ancora arruffato di sonno e provato dai turni come volontario, che, in compenso, lo avevano fatto rinascere, almeno quanto l’affetto e la presenza di Arthur.

“Ciao Louis” – e lo smeraldo, incontrò il mare stellato, chiedendosi come avevano potuto alzare un muro, tra loro, destinati a camminare insieme, come Styles aveva visto fare, un’ora prima, a Paul e Norman.

“Ciao … Ne vuoi?”

“Sì grazie … Credevo foste già andati via”

“No, è ancora presto”

Styles sorrise amaro – “O è troppo tardi, vero?”

Boo storse le labbra, abbassando lo sguardo, ma per una frazione di secondo soltanto.

“Petra la tengo io, quando arrivo, così stai un po’ in pace, che ne dici Haz?”

“Dico che è l’unica cosa bella mi sia rimasta, quindi non portarmela via” – replicò serio e dignitoso.

“Non l’ho mai neppure pensato!”

“Neppure da quando ti sei messo con Arthur o con i suoi soldi?” – affermò aspro.

“Perché fai così …?” – bissò sconfortato Tomlinson, a mezza voce.

“Perché la mia vita è andata a puttane, ecco perché Louis!”

“Sei tu ad averlo voluto, miseria schifosa!”

Tutti notarono il loro interagire, sempre più acceso di rabbia, ma nessuno intervenne.

Keller trattenne Geffen, che non ammetteva certe discussioni, in presenza dei bimbi, quasi ormai tutti andati a cambiarsi, comunque.

“Lascia stare, è necessario: o dentro o fuori, Glam” – disse con fermezza Arthur.

Aveva perso almeno quindici chili, si era rimesso a fare palestra, abbronzandosi ai campi base di pronto intervento, mangiava più sano, aveva persino smesso di bere e tirare di coca, abitudine, in ogni caso, ormai rara, anche nel passato recente.

“Tu credi?”

“Sono nati per stare insieme, ma non lo hanno mai voluto abbastanza”

“Te l’ha detto Louis?”

Keller sorrise – “Me l’ha detto il suo cuore, incapace di mentire, come possiamo fare noi, da perfetti coglioni, sia chiaro”




Styles provò ad andarsene, ma Boo glielo impedì, veemente e pronto a non dargli scampo.

“Mi hai buttato via, come una scarpa vecchia, hai sposato la prima, che ti è passata davanti e l’hai persino messa incinta, per cosa eh?! Per sentirti un vero uomo, Harry?!? Lo eri già, con me, con la nostra Petra, ma non ti bastava, non ti andava a genio!! Sei solo un represso, un bigotto puerile e anacronistico!” – sbottò feroce, ad un centimetro dal suo volto ansante e pallido.

Harry si era dimenticato di respirare, accusando ogni parola, ogni pugnalata, al centro del petto, dove avrebbe voluto nuovamente stringere Louis e la loro bambina, se fosse mai stato possibile.
La pioggia del suo dolore, bagnò il verde, di quei prati, disseminati nei suoi occhi grandi, ora, su Louis, tremante e smarrito, le pulsazioni a mille, la gola inaridita, da quelle che non erano affatto cattiverie gratuite.

“Hai ragione Boo … Non cambierà niente ammetterlo, però è tutto vero: non so in quale forma io volessi essere accettato, sin dall’infanzia, quando la mia intelligenza non aveva portato affetto nei miei riguardi, ma un rifiuto, un disprezzo, da parte di chi ti fidi per primo, come i miei genitori, questo lo sai, vero?”

Louis annuì, dandogli una carezza calda e generosa, sullo zigomo destro – “Ma io l’avevo fatto, forse nel modo sbagliato”

“Tu eri in vantaggio, ci credevi visceralmente, alla tua identità sessuale, alle tue scelte, anche se poco ortodosse, per tirarci fuori dai guai e dalla disperazione, in questa città, che adesso, con le sue macerie, somiglia anche troppo, al nostro rapporto” – e abbozzò un sorriso mesto.

“Ma ci stiamo impegnando per ricostruirla e sarà meglio di prima” – bissò adorabile, nella sua spiccata innocenza.

“Los Angeles di sicuro, ma noi, Boo?”

La sua risposta, fu un bacio.
Mentre lo avvolgeva, appendendosi a Styles, ai suoi timori, alla sua solitudine, che, forse, avrebbe conosciuto finalmente un epilogo insperato.




Geffen lo raggiunse al terzo piano, mentre Arthur stava recuperando senza fretta, un trolley dall’armadio e il passaporto dal cassetto del comodino.

L’impronta di Louis, tra le lenzuola ancora disfatte, era appena percettibile: stava scomparendo, come appena avvenuto nei giorni dell’uomo, all’apparenza sereno.

“Potresti darla tu, a Boo, questa?” – e gli passò una busta, mentre Glam lo scrutava costernato.

“L’avevi già scritta?”

“Certo, ne sei sorpreso?” – ribatté calmo.

“Io francamente non ti capisco, Arthur …”

“Proprio tu, che hai lasciato sempre andare chi amavi?” – disse con un bel sorriso.

“E tu, in compenso, dove andrai, ora?”

“Ho un cugino in Namibia, ha aperto un asilo e due scuole: ora mancano i fondi e le braccia, per l’ospedale … Ho scoperto che mi piace agire, costruendo qualcosa di concreto, di tangibile, Glam, come del resto hai fatto tu, ad Haiti” – rivelò fiducioso e realizzato.

“So che farai buon uso del tuo denaro e della tua volontà” – e lo abbracciò caloroso e commosso.

“E’ una rinascita, la mia … Sarò un padre migliore, quando tornerò, i miei figli lo apprezzeranno, ma adesso devo andare Glam”

Si guardarono – “Lo so Arthur … Io questo l’ho sempre saputo.”




Tom provò a nascondere la cicatrice sulla fronte, con un ciuffo di capelli, più lungo degli altri.
L’aspetto di tutti, era divenuto trasandato, anche se nulla poteva scalfire la sua avvenenza e tanto meno quella di Chris, alle sue spalle, perso nell’ammirarlo.

“Ti sposerei ad ogni alba” – disse rapito da un’emozione, quasi ingombrante, che divampava nel suo busto spazioso.

“Ehi” – Hiddleston si girò, con un sorriso luminoso.

“A proposito, fissiamo una data, vuoi?” – propose altrettanto sorridente il biondo, andando a stringerlo con trasporto.

“Io sono pronto amore” – disse convinto e trepidante; non si era mai sentito così vicino al proprio compagno, come in quel momento.



Jared trangugiò la dose quotidiana di integratori e vitamine, dopo avere allacciato i sandali a Isotta e il costumino a Florelay, che corsero, verso la battigia, dove Rossi avrebbe intrattenuto quell’allegra brigata, con un corso di cucina improvvisato.

Geffen l’aveva notato, scendendo alla terrazza intermedia, dove Leto si trattenne ancora un attimo, a guardare l’oceano in lontananza.

“Ciao …”

“Glam, ciao” – lo accolse radioso, come esclusivamente lui riusciva a fare.

“Non sarebbe più sostanzioso un panino?” – chiese, provando a nascondere il suo disagio, per il congedo da Keller, che sapeva di addio.

Inutilmente.

“Hai l’aria stanca Glam … Nuovi pensieri?”

“No, cioè sì” – e si schernì appena – “… Arthur sta partendo per l’Africa”

“Con Louis?”

“Affatto … Lui e Harry si sono riconciliati … forse” – e scrollò le spalle larghe.

“A te dispiace?”

“Sono contento per Petra” – e deglutì a vuoto.

“Hai perso anche tu, Boo, vero?” – domandò con tenerezza inattesa.

“Sai, non gli piaceva lo si chiamasse così, a parte Haz … Era una cosa loro, nella quale non avremmo mai dovuto entrarci, né io e tanto meno Arthur, però al mio socio ha fatto bene”

“Al tuo amico” – lo interruppe Jared, con un sorriso comprensivo.

Geffen inspirò – “Resterò in piedi, anche questa volta”

“Lo so Glam” – e lo abbracciò.

Ed era così bello perdersi, senza più volere tornare indietro.












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