Capitolo n. 66 – nakama
Il sorriso di Paul,
rispecchiava tutta la dolcezza, che Norman provava nel prendersi cura di lui,
ogni istante della giornata.
O della notte.
Erano così stanchi,
ogni sera, che si addormentavano quasi subito, abbracciati, in una delle tante
stanze, destinate agli ospiti, all’interno della villa di Glam, per poi
svegliarsi, verso l’alba, a ridere del nulla, facendosi dispetti e poi l’amore,
appassionato, indispensabile, come aria.
Quindi una passeggiata,
tenendosi per mano, a lambire le onde, lì davanti, a piedi nudi, con il cuore
pulito.
Niente
più incubi per Rovia.
Niente
più angosce per Reedus.
Infine, prima di
ripartire verso le mense e i campi di soccorso a Los Angeles, consumavano una
colazione abbondante, nel caos totale di quella stramba compagnia, di quella
famiglia bellissima, sotto ad un patio, dove non mancavano mai i palloncini per
i bimbi e la musica per gli svitati, come Jared e Xavier, capaci di imbrattarsi
di marmellata, mentre suonavano e cantavano, usando strumenti improvvisati, stoviglie
e bicchieri, mentre le spazzole di Pam erano perfette come microfoni.
Era come uno spiraglio
di luce, di felicità, apertosi in quell’abisso tragico, dopo un sisma
devastante.
Come quello, che aveva
mandato in pezzi, la vita di alcuni di loro, come Styles.
Harry se ne rimase in
disparte, in mezzo agli scogli, quel mattino di lunedì: una nuova settimana,
durante la quale ognuno di loro si improvvisava angelo della provvidenza,
targata Meliti e Geffen, senza sapere bene, almeno nel suo caso, quale sarebbe
stato il proprio futuro, personale e professionale.
Lo studio era stato
inghiottito da una voragine, come il resto degli appartamenti, di un palazzo di
vecchia generazione.
Boo lo intravide e
Arthur gli sorrise, porgendogli una tazza fumante – “Perché non glielo porti?”
– disse dolce l’uomo – “Penso ne abbia bisogno”
Louis sorrise timido,
quasi arrossendo – “Ok … Ma torno subito”
“Non c’è fretta: ci
andiamo in auto, per conto nostro, in città, tanto devo sbrigare delle
commissioni, ok?” – propose rilassato, gustandosi lo stesso caffè.
Tomlinson annuì, poi si
avviò, con una certa trepidazione nel respiro, che a Keller non sfuggì
minimamente, senza, però, sentirsi ferito dalla reazione del più giovane, quasi
scontata, anzi, più che comprensibile.
“Ehi …” – disse piano,
mentre Harry gli stava fissando i piedi perfetti e scalzi.
Boo era uno splendore,
anche se ancora arruffato di sonno e provato dai turni come volontario, che, in
compenso, lo avevano fatto rinascere, almeno quanto l’affetto e la presenza di
Arthur.
“Ciao Louis” – e lo
smeraldo, incontrò il mare stellato, chiedendosi come avevano potuto alzare un
muro, tra loro, destinati a camminare insieme, come Styles aveva visto fare,
un’ora prima, a Paul e Norman.
“Ciao … Ne vuoi?”
“Sì grazie … Credevo
foste già andati via”
“No, è ancora presto”
Styles sorrise amaro –
“O è troppo tardi, vero?”
Boo storse le labbra,
abbassando lo sguardo, ma per una frazione di secondo soltanto.
“Petra la tengo io,
quando arrivo, così stai un po’ in pace, che ne dici Haz?”
“Dico che è l’unica
cosa bella mi sia rimasta, quindi non portarmela via” – replicò serio e
dignitoso.
“Non l’ho mai neppure
pensato!”
“Neppure da quando ti
sei messo con Arthur o con i suoi soldi?” – affermò aspro.
“Perché fai così …?” –
bissò sconfortato Tomlinson, a mezza voce.
“Perché la mia vita è
andata a puttane, ecco perché Louis!”
“Sei tu ad averlo
voluto, miseria schifosa!”
Tutti notarono il loro
interagire, sempre più acceso di rabbia, ma nessuno intervenne.
Keller trattenne
Geffen, che non ammetteva certe discussioni, in presenza dei bimbi, quasi ormai
tutti andati a cambiarsi, comunque.
“Lascia stare, è
necessario: o dentro o fuori, Glam” – disse con fermezza Arthur.
Aveva perso almeno
quindici chili, si era rimesso a fare palestra, abbronzandosi ai campi base di
pronto intervento, mangiava più sano, aveva persino smesso di bere e tirare di
coca, abitudine, in ogni caso, ormai rara, anche nel passato recente.
“Tu credi?”
“Sono nati per stare
insieme, ma non lo hanno mai voluto abbastanza”
“Te l’ha detto Louis?”
Keller sorrise – “Me
l’ha detto il suo cuore, incapace di mentire, come possiamo fare noi, da
perfetti coglioni, sia chiaro”
Styles provò ad
andarsene, ma Boo glielo impedì, veemente e pronto a non dargli scampo.
“Mi hai buttato via,
come una scarpa vecchia, hai sposato la prima, che ti è passata davanti e l’hai
persino messa incinta, per cosa eh?! Per sentirti un vero uomo, Harry?!? Lo eri
già, con me, con la nostra Petra, ma non ti bastava, non ti andava a genio!!
Sei solo un represso, un bigotto puerile e anacronistico!” – sbottò feroce, ad
un centimetro dal suo volto ansante e pallido.
Harry si era
dimenticato di respirare, accusando ogni parola, ogni pugnalata, al centro del
petto, dove avrebbe voluto nuovamente stringere Louis e la loro bambina, se
fosse mai stato possibile.
La pioggia del suo
dolore, bagnò il verde, di quei prati, disseminati nei suoi occhi grandi, ora,
su Louis, tremante e smarrito, le pulsazioni a mille, la gola inaridita, da
quelle che non erano affatto cattiverie gratuite.
“Hai ragione Boo … Non
cambierà niente ammetterlo, però è tutto vero: non so in quale forma io volessi
essere accettato, sin dall’infanzia, quando la mia intelligenza non aveva
portato affetto nei miei riguardi, ma un rifiuto, un disprezzo, da parte di chi
ti fidi per primo, come i miei genitori, questo lo sai, vero?”
Louis annuì, dandogli
una carezza calda e generosa, sullo zigomo destro – “Ma io l’avevo fatto, forse
nel modo sbagliato”
“Tu eri in vantaggio,
ci credevi visceralmente, alla tua identità sessuale, alle tue scelte, anche se
poco ortodosse, per tirarci fuori dai guai e dalla disperazione, in questa
città, che adesso, con le sue macerie, somiglia anche troppo, al nostro
rapporto” – e abbozzò un sorriso mesto.
“Ma ci stiamo
impegnando per ricostruirla e sarà meglio di prima” – bissò adorabile, nella
sua spiccata innocenza.
“Los Angeles di sicuro,
ma noi, Boo?”
La sua risposta, fu un
bacio.
Mentre lo avvolgeva,
appendendosi a Styles, ai suoi timori, alla sua solitudine, che, forse, avrebbe
conosciuto finalmente un epilogo insperato.
Geffen lo raggiunse al
terzo piano, mentre Arthur stava recuperando senza fretta, un trolley
dall’armadio e il passaporto dal cassetto del comodino.
L’impronta di Louis,
tra le lenzuola ancora disfatte, era appena percettibile: stava scomparendo,
come appena avvenuto nei giorni dell’uomo, all’apparenza sereno.
“Potresti darla tu, a
Boo, questa?” – e gli passò una busta, mentre Glam lo scrutava costernato.
“L’avevi già scritta?”
“Certo, ne sei
sorpreso?” – ribatté calmo.
“Io francamente non ti
capisco, Arthur …”
“Proprio tu, che hai
lasciato sempre andare chi amavi?” – disse con un bel sorriso.
“E tu, in compenso,
dove andrai, ora?”
“Ho un cugino in
Namibia, ha aperto un asilo e due scuole: ora mancano i fondi e le braccia, per
l’ospedale … Ho scoperto che mi piace agire, costruendo qualcosa di concreto,
di tangibile, Glam, come del resto hai fatto tu, ad Haiti” – rivelò fiducioso e
realizzato.
“So che farai buon uso
del tuo denaro e della tua volontà” – e lo abbracciò caloroso e commosso.
“E’ una rinascita, la
mia … Sarò un padre migliore, quando tornerò, i miei figli lo apprezzeranno, ma
adesso devo andare Glam”
Si guardarono – “Lo so
Arthur … Io questo l’ho sempre saputo.”
Tom provò a nascondere
la cicatrice sulla fronte, con un ciuffo di capelli, più lungo degli altri.
L’aspetto di tutti, era
divenuto trasandato, anche se nulla poteva scalfire la sua avvenenza e tanto
meno quella di Chris, alle sue spalle, perso nell’ammirarlo.
“Ti sposerei ad ogni
alba” – disse rapito da un’emozione, quasi ingombrante, che divampava nel suo
busto spazioso.
“Ehi” – Hiddleston si
girò, con un sorriso luminoso.
“A proposito, fissiamo
una data, vuoi?” – propose altrettanto sorridente il biondo, andando a
stringerlo con trasporto.
“Io sono pronto amore”
– disse convinto e trepidante; non si era mai sentito così vicino al proprio
compagno, come in quel momento.
Jared trangugiò la dose
quotidiana di integratori e vitamine, dopo avere allacciato i sandali a Isotta
e il costumino a Florelay, che corsero, verso la battigia, dove Rossi avrebbe
intrattenuto quell’allegra brigata, con un corso di cucina improvvisato.
Geffen l’aveva notato,
scendendo alla terrazza intermedia, dove Leto si trattenne ancora un attimo, a
guardare l’oceano in lontananza.
“Ciao …”
“Glam, ciao” – lo
accolse radioso, come esclusivamente lui riusciva a fare.
“Non sarebbe più
sostanzioso un panino?” – chiese, provando a nascondere il suo disagio, per il
congedo da Keller, che sapeva di addio.
Inutilmente.
“Hai l’aria stanca Glam
… Nuovi pensieri?”
“No, cioè sì” – e si
schernì appena – “… Arthur sta partendo per l’Africa”
“Con Louis?”
“Affatto … Lui e Harry
si sono riconciliati … forse” – e scrollò le spalle larghe.
“A te dispiace?”
“Sono contento per
Petra” – e deglutì a vuoto.
“Hai perso anche tu,
Boo, vero?” – domandò con tenerezza inattesa.
“Sai, non gli piaceva
lo si chiamasse così, a parte Haz … Era una cosa loro, nella quale non avremmo
mai dovuto entrarci, né io e tanto meno Arthur, però al mio socio ha fatto bene”
“Al tuo amico” – lo interruppe
Jared, con un sorriso comprensivo.
Geffen inspirò – “Resterò
in piedi, anche questa volta”
“Lo so Glam” – e lo
abbracciò.
Ed
era così bello perdersi, senza più volere tornare indietro.
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