Capitolo n. 67 - nakama
Il cumulo di macerie,
scricchiolò sotto ai loro piedi.
Jared,
inginocchiandosi, si asciugò una lacrima; Geffen, alle sue spalle, fece
altrettanto, raccogliendo il dolore del cantante, tra le sue braccia grandi.
“Avanti Jay, andiamocene
da qui” – e lo risollevò, girandolo a sé.
“No, è che questo posto
era speciale, ecco” – disse triste, appoggiando la guancia sinistra sul cuore
dell’ex.
Un
luogo ricco di ricordi.
Il
loro cottage in collina.
Passi diversi, li
raggiunsero: era Farrell.
Un colpo di tosse e lo
sguardo indecifrabile dell’irlandese, investirono le iridi lucide di entrambi.
“Cole …”
“Vi ho praticamente
inseguito, c’è un’emergenza Glam, non dovresti tenere il cellulare spento” –
disse tormentandosi l’addome con le mani gelide, sotto la camicia sgualcita– “…
Pepe ha la febbre, lo hanno portato in ospedale, Robert e Jude sono con lui,
oltre a Scott e Mads”
“Mio Dio, vado subito”
– replicò il legale, allarmandosi.
“Noi ti seguiamo” –
aggiunse sommesso Leto, senza mai smettere di fissare il consorte, che si
riavviò veloce verso il proprio suv, tallonato dal leader dei Mars, in palese
imbarazzo.
“Dimmi qualcosa, per
favore Colin”
“Non ora, dobbiamo
sbrigarci”
“Ti chiedo scusa se”
“Scusa per cosa?” –
sbottò, inchiodando ad un semaforo, diventato improvvisamente rosso.
Jared ebbe un sussulto,
poi deglutì a vuoto, guardandolo.
“E’ evidente che ti
abbiamo fatto incazzare” – fu più esplicito.
“TU mi hai fatto
incazzare, Jay!” – e continuava a puntare l’incrocio, ormai sgombro.
“Pensavo di avere
chiarito ogni cosa, insieme a te, Cole” – ribatté oltre modo calmo.
Farrell prese un lungo
respiro.
“Glam è … Così
ingombrante” – sbuffò l’attore, ripartendo – “… e stavate commemorando la
vostra preziosa alcova, dove Dio solo sa, quante volte mi hai tradito” – e non
si alterò affatto, su quella pura constatazione.
Del
passato.
“Siamo stati sposati e
abbiamo una figlia, con Glam, non posso di certo cancellarlo dai miei giorni,
neppure se lo volessi” – provò a difendersi, il leader dei Mars.
Erano arrivati.
Colin parcheggiò,
scendendo poi veloce, come la sua amara replica – “A volte mi chiedo se Syria
non sia stata, per te, solo l’escamotage più efficace, per non svincolarti più
da lui, sai?”
Downey gli corse incontro,
l’aria tesa, gli occhi colmi di angoscia.
“Ieri sera stava bene,
cosa può essere successo, Glam!?” – e scoppiò in lacrime, finendo tra le sue
ali.
“Non ne ho idea tesoro,
adesso ci diranno qualcosa, vero Jude?”
Law annuì, provando
come un vuoto allo stomaco, per non avere più accanto il suo Rob, su quella
panca scomoda, come pochi istanti prima.
Nel frattempo vennero
convocati nello studio del primario, amico di Steven Boydon, presente al
colloquio, richiesto dal collega.
“Il quadro clinico è molto
delicato, non ve lo nascondo: Peter ha avuto un’infanzia di stenti e il suo
metabolismo, il sistema immunitario, la struttura ossea e muscolare, hanno
subito una formazione e crescita rallentate”
“Sì, ma da quando è con
noi, Pepe mangia regolarmente ed è un bimbo sveglio, intelligente” – lo
interruppe Downey, confortato sia da Geffen che dal marito.
“Non ne dubito” – il
dottor Aniston sorrise, senza pregiudizi – “… Purtroppo, però, le fratture
riportate durante il sisma, lo hanno indebolito e un’infezione piuttosto
subdola ha preso piede e ora sta mettendo a dura prova il suo organismo: noi
faremo tutto il possibile per salvarlo”
“Salvarlo … La
situazione è così grave?” – intervenne, sommesso, Glam.
“Lo stiamo mantenendo
in un coma farmacologico molto blando, per non affaticare il cuore e i reni:
non posso nascondervi i miei timori” – bissò con franchezza.
Glam si alzò, lasciando
Robert sul cuore di Jude – “Posso andare da lui?”
“E’ in camera sterile
signor Geffen”
“Lo comprendo, ma suo
fratello Lula, deve assolutamente stargli vicino”
“Lula … Ho letto di
lui” – Aniston tossì perplesso – “… In certi ambienti è considerato un bambino
… speciale”
“Quali ambienti,
scusi?”
“Temo siano unicamente
sciocchezze” – il diagnosta provò a rimediare, ma l’occhiata di Glam era
divenuta torva.
“Soldino, noi lo
chiamiamo così, ha poteri sovrannaturali, è giusto che lei lo sappia, professor
Aniston, qualunque cosa accada” – lo gelò l’avvocato, credibile e risoluto.
“Qui si lavora in
maniera differente, se permette”
“Per favore, è di Peter
che stiamo parlando, è di nostro figlio Glam, non devi arrabbiarti e noi
abbiamo fiducia in lei, dottor Aniston” – affermò solerte Downey, alzandosi di
scatto.
Boydon invitò i
presenti a riprendere il controllo delle proprie emozioni, quindi li congedò,
per stabilire il piano terapeutico di Pepe, con l’ausilio del collega.
I tre tornarono in
corridoio, che Geffen divorò a grandi passi, mentre componeva un numero sul
palmare – “Sono io: portami Lula, al quinto piano del Saint Jonas Hospital: non
perdere un solo minuto, ok? Ti ringrazio Vas” – e riattaccò, scuro in volto.
Questa volta era
diverso.
Era come un tempo.
I baci di Harry.
Gli ansiti di Louis,
nel sentirselo vivere dentro, mentre le sue dita si intrecciavano a quei
riccioli scompigliati, sul viso bellissimo e innamorato di Styles.
Si era arreso, non
poteva rinunciare a quei sentimenti, capaci di farlo sentire al mondo, come
null’altro.
Si baciavano, ad occhi
aperti, in un sogno, così reale, da frantumarli e ricomporli, ad ogni gemito.
E poi l’oblio,
devastati di lussuria e affamati di tenerezza, su di una terrazza a villa
Geffen, abbandonati nel vento di quel primo pomeriggio, che sollevava e
lasciava ricadere la pagina, di una lettera, alla quale Louis non avrebbe
risposto mai, mentre, fermati da un pesante posacenere, due assegni, uno per
lui ed uno per gli studi di Petra, erano l’ultimo aiuto, ricevuto da Arthur
Keller, già in volo verso l’Africa.
Senza
più guardarsi indietro.
“E’ come se …” – Jude si
ossigenò, selezionando una bibita dal distributore automatico, al quale Colin
si era appoggiato stanco, ad ascoltarlo – “… come se Robert si aggrappasse a
questa cosa, cioè, a questo figlio, così da non avere un buon motivo per
staccarsi da Glam” – e gli faceva male dirlo, soprattutto per le condizioni di
Pepe, per nulla rassicuranti.
“Per Jared è lo stesso,
grazie a Syria, ma non ne avevano bisogno, entrambi, né lui, né Robert, di
avere un’ottima ragione, per impedire a Glam di andarsene”
Law lo scrutò, triste –
“Andare dove?” – e sorrise, trattenendo a stento un pianto, che lo stava
opprimendo al centro dell’addome.
“E chi può saperlo … Lo
abbiamo snervato così tante volte, che poi gli unici, a dovercene conto,
dovevano essere i nostri compagni, non di sicuro Geffen” – e rise sconsolato,
ripercorrendo a mente, le tante avventure vissute in giro per il mondo, ad
inseguire l’uomo, che, in fondo, ognuno di loro amava.
“Preghiamo per Peter” –
concluse secco l’inglese, accartocciando la lattina, per poi gettarla in un cestino
quasi colmo.
Come il vaso della sua
pazienza, pensò, ma non avrebbe ceduto alla rabbia o alla gelosia: era come
essere Watson, la gamba ferita, che lo faceva zoppicare.
Se lo sarebbe tenuta a
vita, quella disgrazia.
Anche se lo turbava,
definirla così.
Mikkelsen posò la mano
sinistra, sulla spalla destra di Geffen, assorto davanti al vetro, della camera
di Peter, profondamente addormentato, in un sonno senza incubi.
“Sta soffrendo?” –
chiese Glam, a bassa voce, mentre due lacrime rigavano i suoi zigomi tesi.
“No, lo abbiamo sedato
a sufficienza” – rispose il medico, mentre fissava Lula, al capezzale di Pepe,
senza sapere quanto fossero connessi tra loro, anche in quel momento.
“Soldino cosa sta
facendo?” – domandò educato il chirurgo, interrompendo il contatto fisico con
Geffen e mettendosi le mani nelle tasche del camice.
“Lo conforta … Sono
davanti all’oceano, ma non qui, ad Haiti, con Syria … La mamma di Isotta,
intendo” – spiegò lucido, anche se il suo discorso poteva sembrare l’esatto
contrario – “… Non è neppure una magia o un sortilegio, come crede quell’Aniston
… E’ l’amore che ci lega, capisci Mads?” – e lo guardò, a quel punto.
“Una simbiosi … Giusto?”
– e si morse le labbra, che mai, scettiche, avrebbero deriso il suo
interlocutore: Mikkelsen sapeva che Glam stava dicendo la semplice verità.
“Sì … E’ come un volo,
sai? Lula mi ha ripreso così tante volte, quando era quasi finita, per me … Mi
auguro accada anche con il nostro Pepe, perché non può finire così … Non deve.”
Robert si era
rannicchiato su di una poltroncina, appena fuori il reparto, dove Pepe stava
lottando per non andarsene.
Potevano accedervi
singolarmente e lui fremeva di dare il cambio a Glam, che sembrava tardare.
“Forse le cose si sono
aggravate” – disse di impulso a Law, appena accomodatosi al suo fianco, ma
direttamente sul pavimento.
Downey si inginocchiò,
brandendogli i polsi.
“Rob …”
“Ne morirei, se lo
perdessimo, so quanto lo ami anche tu, Jude” – singhiozzò, senza più difese,
mentre il consorte lo stringeva energico a sé, senza esitare.
Ed era allora, che la
coppia riusciva a ricompattarsi, più solida di prima, come nessuno.
“Andrà tutto bene, ok?
Guardami Robert, guardami!”
Downey lo fece,
rinfrancato nell’animo, dalla sua forza, dal suo esserci generoso e
disinteressato.
“Ti amo Jude … Ti amo
così tanto” – e lo baciò.
Risalendo il baratro.
Grazie a Law.
Per
l’ennesima volta.
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