giovedì 23 giugno 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 67

Capitolo n. 67 - nakama



Il cumulo di macerie, scricchiolò sotto ai loro piedi.
Jared, inginocchiandosi, si asciugò una lacrima; Geffen, alle sue spalle, fece altrettanto, raccogliendo il dolore del cantante, tra le sue braccia grandi.

“Avanti Jay, andiamocene da qui” – e lo risollevò, girandolo a sé.

“No, è che questo posto era speciale, ecco” – disse triste, appoggiando la guancia sinistra sul cuore dell’ex.

Un luogo ricco di ricordi.
Il loro cottage in collina.

Passi diversi, li raggiunsero: era Farrell.

Un colpo di tosse e lo sguardo indecifrabile dell’irlandese, investirono le iridi lucide di entrambi.

“Cole …”

“Vi ho praticamente inseguito, c’è un’emergenza Glam, non dovresti tenere il cellulare spento” – disse tormentandosi l’addome con le mani gelide, sotto la camicia sgualcita– “… Pepe ha la febbre, lo hanno portato in ospedale, Robert e Jude sono con lui, oltre a Scott e Mads”

“Mio Dio, vado subito” – replicò il legale, allarmandosi.

“Noi ti seguiamo” – aggiunse sommesso Leto, senza mai smettere di fissare il consorte, che si riavviò veloce verso il proprio suv, tallonato dal leader dei Mars, in palese imbarazzo.


“Dimmi qualcosa, per favore Colin”

“Non ora, dobbiamo sbrigarci”

“Ti chiedo scusa se”

“Scusa per cosa?” – sbottò, inchiodando ad un semaforo, diventato improvvisamente rosso.

Jared ebbe un sussulto, poi deglutì a vuoto, guardandolo.

“E’ evidente che ti abbiamo fatto incazzare” – fu più esplicito.

“TU mi hai fatto incazzare, Jay!” – e continuava a puntare l’incrocio, ormai sgombro.

“Pensavo di avere chiarito ogni cosa, insieme a te, Cole” – ribatté oltre modo calmo.

Farrell prese un lungo respiro.

“Glam è … Così ingombrante” – sbuffò l’attore, ripartendo – “… e stavate commemorando la vostra preziosa alcova, dove Dio solo sa, quante volte mi hai tradito” – e non si alterò affatto, su quella pura constatazione.

Del passato.

“Siamo stati sposati e abbiamo una figlia, con Glam, non posso di certo cancellarlo dai miei giorni, neppure se lo volessi” – provò a difendersi, il leader dei Mars.

Erano arrivati.

Colin parcheggiò, scendendo poi veloce, come la sua amara replica – “A volte mi chiedo se Syria non sia stata, per te, solo l’escamotage più efficace, per non svincolarti più da lui, sai?”




Downey gli corse incontro, l’aria tesa, gli occhi colmi di angoscia.

“Ieri sera stava bene, cosa può essere successo, Glam!?” – e scoppiò in lacrime, finendo tra le sue ali.

“Non ne ho idea tesoro, adesso ci diranno qualcosa, vero Jude?”

Law annuì, provando come un vuoto allo stomaco, per non avere più accanto il suo Rob, su quella panca scomoda, come pochi istanti prima.

Nel frattempo vennero convocati nello studio del primario, amico di Steven Boydon, presente al colloquio, richiesto dal collega.

“Il quadro clinico è molto delicato, non ve lo nascondo: Peter ha avuto un’infanzia di stenti e il suo metabolismo, il sistema immunitario, la struttura ossea e muscolare, hanno subito una formazione e crescita rallentate”

“Sì, ma da quando è con noi, Pepe mangia regolarmente ed è un bimbo sveglio, intelligente” – lo interruppe Downey, confortato sia da Geffen che dal marito.

“Non ne dubito” – il dottor Aniston sorrise, senza pregiudizi – “… Purtroppo, però, le fratture riportate durante il sisma, lo hanno indebolito e un’infezione piuttosto subdola ha preso piede e ora sta mettendo a dura prova il suo organismo: noi faremo tutto il possibile per salvarlo”

“Salvarlo … La situazione è così grave?” – intervenne, sommesso, Glam.

“Lo stiamo mantenendo in un coma farmacologico molto blando, per non affaticare il cuore e i reni: non posso nascondervi i miei timori” – bissò con franchezza.

Glam si alzò, lasciando Robert sul cuore di Jude – “Posso andare da lui?”

“E’ in camera sterile signor Geffen”

“Lo comprendo, ma suo fratello Lula, deve assolutamente stargli vicino”

“Lula … Ho letto di lui” – Aniston tossì perplesso – “… In certi ambienti è considerato un bambino … speciale”

“Quali ambienti, scusi?”

“Temo siano unicamente sciocchezze” – il diagnosta provò a rimediare, ma l’occhiata di Glam era divenuta torva.

“Soldino, noi lo chiamiamo così, ha poteri sovrannaturali, è giusto che lei lo sappia, professor Aniston, qualunque cosa accada” – lo gelò l’avvocato, credibile e risoluto.

“Qui si lavora in maniera differente, se permette”

“Per favore, è di Peter che stiamo parlando, è di nostro figlio Glam, non devi arrabbiarti e noi abbiamo fiducia in lei, dottor Aniston” – affermò solerte Downey, alzandosi di scatto.

Boydon invitò i presenti a riprendere il controllo delle proprie emozioni, quindi li congedò, per stabilire il piano terapeutico di Pepe, con l’ausilio del collega.

I tre tornarono in corridoio, che Geffen divorò a grandi passi, mentre componeva un numero sul palmare – “Sono io: portami Lula, al quinto piano del Saint Jonas Hospital: non perdere un solo minuto, ok? Ti ringrazio Vas” – e riattaccò, scuro in volto.




Questa volta era diverso.
Era come un tempo.

I baci di Harry.
Gli ansiti di Louis, nel sentirselo vivere dentro, mentre le sue dita si intrecciavano a quei riccioli scompigliati, sul viso bellissimo e innamorato di Styles.
Si era arreso, non poteva rinunciare a quei sentimenti, capaci di farlo sentire al mondo, come null’altro.

Si baciavano, ad occhi aperti, in un sogno, così reale, da frantumarli e ricomporli, ad ogni gemito.

E poi l’oblio, devastati di lussuria e affamati di tenerezza, su di una terrazza a villa Geffen, abbandonati nel vento di quel primo pomeriggio, che sollevava e lasciava ricadere la pagina, di una lettera, alla quale Louis non avrebbe risposto mai, mentre, fermati da un pesante posacenere, due assegni, uno per lui ed uno per gli studi di Petra, erano l’ultimo aiuto, ricevuto da Arthur Keller, già in volo verso l’Africa.

Senza più guardarsi indietro.






“E’ come se …” – Jude si ossigenò, selezionando una bibita dal distributore automatico, al quale Colin si era appoggiato stanco, ad ascoltarlo – “… come se Robert si aggrappasse a questa cosa, cioè, a questo figlio, così da non avere un buon motivo per staccarsi da Glam” – e gli faceva male dirlo, soprattutto per le condizioni di Pepe, per nulla rassicuranti.

“Per Jared è lo stesso, grazie a Syria, ma non ne avevano bisogno, entrambi, né lui, né Robert, di avere un’ottima ragione, per impedire a Glam di andarsene”

Law lo scrutò, triste – “Andare dove?” – e sorrise, trattenendo a stento un pianto, che lo stava opprimendo al centro dell’addome.

“E chi può saperlo … Lo abbiamo snervato così tante volte, che poi gli unici, a dovercene conto, dovevano essere i nostri compagni, non di sicuro Geffen” – e rise sconsolato, ripercorrendo a mente, le tante avventure vissute in giro per il mondo, ad inseguire l’uomo, che, in fondo, ognuno di loro amava.

“Preghiamo per Peter” – concluse secco l’inglese, accartocciando la lattina, per poi gettarla in un cestino quasi colmo.

Come il vaso della sua pazienza, pensò, ma non avrebbe ceduto alla rabbia o alla gelosia: era come essere Watson, la gamba ferita, che lo faceva zoppicare.

Se lo sarebbe tenuta a vita, quella disgrazia.
Anche se lo turbava, definirla così.




Mikkelsen posò la mano sinistra, sulla spalla destra di Geffen, assorto davanti al vetro, della camera di Peter, profondamente addormentato, in un sonno senza incubi.

“Sta soffrendo?” – chiese Glam, a bassa voce, mentre due lacrime rigavano i suoi zigomi tesi.

“No, lo abbiamo sedato a sufficienza” – rispose il medico, mentre fissava Lula, al capezzale di Pepe, senza sapere quanto fossero connessi tra loro, anche in quel momento.

“Soldino cosa sta facendo?” – domandò educato il chirurgo, interrompendo il contatto fisico con Geffen e mettendosi le mani nelle tasche del camice.

“Lo conforta … Sono davanti all’oceano, ma non qui, ad Haiti, con Syria … La mamma di Isotta, intendo” – spiegò lucido, anche se il suo discorso poteva sembrare l’esatto contrario – “… Non è neppure una magia o un sortilegio, come crede quell’Aniston … E’ l’amore che ci lega, capisci Mads?” – e lo guardò, a quel punto.

“Una simbiosi … Giusto?” – e si morse le labbra, che mai, scettiche, avrebbero deriso il suo interlocutore: Mikkelsen sapeva che Glam stava dicendo la semplice verità.

“Sì … E’ come un volo, sai? Lula mi ha ripreso così tante volte, quando era quasi finita, per me … Mi auguro accada anche con il nostro Pepe, perché non può finire così … Non deve.”




Robert si era rannicchiato su di una poltroncina, appena fuori il reparto, dove Pepe stava lottando per non andarsene.

Potevano accedervi singolarmente e lui fremeva di dare il cambio a Glam, che sembrava tardare.

“Forse le cose si sono aggravate” – disse di impulso a Law, appena accomodatosi al suo fianco, ma direttamente sul pavimento.

Downey si inginocchiò, brandendogli i polsi.

“Rob …”

“Ne morirei, se lo perdessimo, so quanto lo ami anche tu, Jude” – singhiozzò, senza più difese, mentre il consorte lo stringeva energico a sé, senza esitare.

Ed era allora, che la coppia riusciva a ricompattarsi, più solida di prima, come nessuno.

“Andrà tutto bene, ok? Guardami Robert, guardami!”

Downey lo fece, rinfrancato nell’animo, dalla sua forza, dal suo esserci generoso e disinteressato.

“Ti amo Jude … Ti amo così tanto” – e lo baciò.

Risalendo il baratro.
Grazie a Law.

Per l’ennesima volta.












Nessun commento:

Posta un commento