lunedì 27 giugno 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 68

Capitolo n. 68 – nakama



Robert e Jude, indossando delle tute sterili, si avvicinarono ad Aniston, ritto in piedi, davanti a Geffen, che lo stava ascoltando con attenzione, affiancato ancora da Mads.

“Sì, le analisi sono leggermente migliorate … Lo riconosco” – e il professore alzò lo sguardo sull’avvocato, che trattenne qualsiasi tipo di esultanza, sapendo che il cammino era ancora lungo per il loro Pepe.

Già, loro.

“Non vi è nulla da ammettere o riconoscere, dottore” – si intromise educato Downey, porgendo una busta trasparente all’ex, perché si preparasse, quanto la coppia, ad entrare dal bimbo – “… Noi, Glam, Jude e il sottoscritto, siamo i genitori di questo meraviglioso bimbo e dobbiamo stargli vicino, qualunque cosa accada, Dio non voglia sia il peggio” – e gli si spezzò la voce, mentre Law lo avvolgeva premuroso, guardando Geffen, che annuì – “Sì, dobbiamo stare con lui, nonostante i suoi veti, più che giustificati, ma è necessario” – aggiunse l’attore, con evidente emozione.

“Rob sono d’accordo, Peter considera noi tre, come i suoi papà e Jude è amorevole, come nessuno, con tutti i nostri figli, però devo prima fare una cosa … Poi tornerò, ok?” – e gli sorrise affettuoso, dandogli un bacio sulla tempia destra ed una carezza alla spalla dell’inglese, che arrossì.




Farrell alzò lo sguardo sul volto stanco di Jared, appena entrato in sala d’attesa, senza però alzarsi dalla propria sedia.

“Ciao Cole …”

“Ciao … Come sta Pepe?” – domandò, cercando una sigaretta, nella tasca interna della casacca di jeans, sgualcita dal volontariato e da un tempo, fagocitato dal passato, ormai remoto.

Ce l’aveva dal set di Alexander.
All’epoca era perfetta, come tanto tra loro, in mezzo ad una marea di situazioni totalmente avverse e inopportune, per il comportamento, spesso irresponsabile, dell’irlandese.

“Non ne ho idea: il reparto è off-limits e Glam tiene il cellulare spento”

“Sì, giusto … Provo con Jude” – disse frettoloso, allontanandosi da Leto, ormai ad un soffio da lui.

“Inutile che scappi Colin” – il cantante sorrise mesto, gli zaffiri lucidi – “… non ci sei riuscito mai … Come me, del resto” – e fece spallucce, selezionando due bibite dal distributore automatico.

“Io non sono andato da nessuna parte, sono rimasto qui, non vedi?” – bissò polemico, il cuore in gola.

La bellezza e il carisma di Jared, gli rimescolavano sangue e pensieri, anche dopo così tanti anni, dal loro primo incontro.

“Sono stato egoista, Cole e non so quante volte è successo, ok?” – ammise il leader dei Mars, azzerando nuovamente le distanze, senza che l’altro si muovesse nuovamente.

“Meno male che te ne rendi conto Jay” – replicò Farrell, guardando oltre i vetri, la Cola posata sul davanzale – “… grazie, avevo una sete”

“So sempre ciò di cui hai bisogno, non credi?”

“Quando ti fa comodo” – disse, mordendosi poi la lingua, per come gli zigomi del consorte, tremolarono mortificati.

“Sei cattivo … Senza motivo” – sussurrò Leto, andando ad accomodarsi.

Farrell prese un lungo respiro – “Perdonami”

“L’ho fatto anche quando non dovevo”

“L’hai fatto perché mi ami, Jay, così come io ti amo e ho superato un numero fottuto di problemi e ostacoli, con o senza di te!” – obiettò innervosendosi.

“Oh sì magari con Jude” – ribatté ironico, con una risatina irriverente.

“Dio piantala, ti sembra questo il momento e il luogo adatto per certe stronzate!?” – e gli si parò davanti.

“Certe stronzate, come le definisci giustamente TU, non si dimenticano, ok Cole?!”

L’attore strinse i denti, poi le braccia esili del compagno, dopo averle afferrate senza molti riguardi, per sbatterlo contro alla porzione di parete, nascosta dalle macchinette self service.

“Cazzo lasciami!” – gli ringhiò sulla bocca Leto, permettendo all’aroma del dopobarba di Farrell, di intossicargli le narici.

“Nemmeno se mi paghi” – sibilò il moro, incollandosi a lui, con il resto del corpo, per immobilizzarlo, così come stava facendo ora, con i polsi di Jared, alzandoli oltre alla sua testa, mentre lo baciava invadente e gli apriva le gambe, simulando quasi un amplesso, nonostante fossero completamente vestiti, ma terribilmente eccitati.

“Se sei un cane in calore Cole” – gli gemette sotto al giugolo, dove la fronte madida di Leto finì per capitolare e appoggiarsi.

“E tu sei la mia puttana Jay” – gli ansimò tra i capelli, mentre veniva, sotto a quei pantaloni cargo, dove non indossava niente.

Tremarono, travolti dai rispettivi orgasmi.

Era da un pezzo, che non si ritrovavano in quella maniera così viscerale ed un po’ grezza.
Come piaceva a entrambi.
Inutile rinnegarlo.




I ceri accesi saranno stati un centinaio, di colore rosso, con quella fiammella nel mezzo, che ballava nell’aria, se qualcuno si avvicinava alla statua in legno, di Cristo in croce.

Come aveva appena fatto Glam, senza mai smettere di fissare quel simbolo, di una religione, che non aveva mai sentito come propria in senso assoluto.

L’uomo si inginocchiò, congiungendo le mani grandi, per poi ossigenarsi.

“So che sarebbe facile dirti, prendi me, non lui, che è un cucciolo e merita di vivere ancora tanto, ma non funziona così, vero?” – esordì pacato e in un tono fatto di dolcezza, come sempre accadeva, quando Geffen parlava dei suoi figli – “… In compenso non so, tu cosa pensi di me, sai? Di ciò che ho fatto e non ho fatto, nel bene e nel male … Di come sono quasi morto e di come non ho tolto il disturbo … Di Lula … Di questa famiglia, che è la mia vita” – e si commosse, ma si riprese immediato.

“Non che tu mi debba dei favori, per il dolore, che ho subito, per la malattia, per la perdita di Syria, per le disavventure di soldino … Temo di non averti mai ringraziato abbastanza, per avermelo ridato, non credi? Tu mi hai insegnato a non perdere la speranza, quindi riconosco i tuoi meriti, anche se in ritardo, vero?” – ed inspirò greve – “… Forse volevo farlo di presenza, andandomene da qui, raggiungendoti da qualche parte, magari senza rimanere, perché sono così imprevedibile, ma non per te” – ed alzò i turchesi, concentrandosi sulle gocce di sangue, scolpite tra le spine, della corona di rovi.

“Ho sempre pagato a caro prezzo, le mie scelte, come è capitato a te, giusto? … Ora ti chiedo di non presentarmi il conto, per avere accolto Peter nei miei giorni, anche se ero disperato, quanto lui e ci siamo salvati a vicenda … Tutti mi avevano abbandonato, ma Pepe era pronto ad amarmi, a ridarmi la forza di riavere dignità ed umiltà, nei miei gesti, nella mia sofferenza, per avere perduto Lula … Forse è il suo destino, soffrire così adesso, forse non dipende da me … forse non è colpa mia … Forse sì” – e si passò i palmi gelidi, sul capo rasato.

Un tocco lieve, tra le scapole, lo fece sobbalzare.

“Papà …”

“Lula?!” – lo accolse stranito, parlando, però, sotto voce.

“Pepe è sveglio” – e gli sorrise, tirandolo per la stoffa del gilet mimetico.

“Ma va tutto bene?” – domandò ansioso.

Soldino fece cenno di sì.

“Dio ti ringrazio!” – esclamò Geffen, segnandosi svelto, farfugliando delle scuse per la fretta, con cui voleva andarsene.

Troppa, per accorgersi dell’occhiolino, che Lula schiacciò, in direzione dell’altare, per poi seguirlo felice.




L’officina non aveva subito molti danni e, districandosi tra i turni alle mense e il reparto infantile del Saint Jonas, Paul e Norman trovavano il tempo anche per alternarsi, negli uffici della loro attività, perché non morisse sul nascere.

I pezzi di ricambio erano gestiti da Rovia online, senza ritardi nelle consegne, al di fuori della California, dove la passione per le HD, non era più in cima alle priorità dei numerosi appassionati, mentre Reedus completava riparazioni e messe a punto, lasciate in sospeso da prima del terremoto.

Paul, con ancora negli occhi e nel cuore le risa dei pazienti in erba, della sezione oncologica, under 16, riunì le schede degli ordini evasi, in un cassetto, stranamente vuoto.

Apprendere da Geffen, che Pepe era notevolmente migliorato, gli aveva dato un’immensa gioia.

Il rombo di un centauro, quasi disturbò la sua quiete interiore: strano fosse un cliente, ma il giovane andò subito a controllare.

“Scott …?”

“Ehi ciao!” – lo salutò il diagnosta, togliendosi il casco semi integrale.

“Ciao, non sapevo ne avessi una” – Paul rise, indicando il suo bolide su due ruote.

“Era di mio fratello …”

“Era?”

“Ci è morto, per colpa di questa principessa, lui la chiamava così: era distrutta, ma, ricostruendola, a poco a poco, era come ritrovare Josh, visto che lui viveva per la sua moto” – spiegò, con una naturalezza, che confermava la metabolizzazione di un lutto molto grave per lui.

“Mi dispiace Scott … Forse ne avevo sentito parlare, ma era un periodo difficile anche per me, ecco”

“Sì, rammento” – e scese, togliendosi il chiodo, per appoggiarlo sulla sella, un po’ logora, come altre parti di quel gioiello.

“Tu frequentavi casa nostra, ogni tanto, con Glam”

“Vero, sembra passato un secolo” – e lo scrutò, nella sua acerba e indiscutibile avvenenza.

“E’ passato un secolo!” – Rovia rise spontaneo e pulito.

“Se questo è il tuo modo, per darmi del matusa, ci sei riuscito, ragazzino!” – scherzò anche Scott, senza prendersela.

“Hai saputo di Pepe?”

“Sì, ero in ospedale, siamo tutti sollevati, anche se ora dovremo sottoporlo all’operazione, perché non perda gli arti inferiori”

“Certo … Una cosa alla volta …”

“Ovvio Paul, ma non dobbiamo tergiversare: innesteremo un impianto di viti e bulloni, un po’ come servirebbe alla mia Betsy”

“Betsy? Carino come nome … Ok, facciamo una lista, se sai già cosa ti serve: per l’assetto può pensarci Norman, se tu non hai un meccanico di fiducia, ecco” – propose timido e adorabile.

Nominare Reedus, gli dava sensazioni magnifiche.

A Scott non sfuggì, come molti dettagli, nel suo interlocutore.

“Forse dovrei lasciarla qui e lasciare fare a Norman, per non dimenticare qualcosa, che ne pensi?”

“D’accordo …”

“Fare cosa?” – Reedus era appena giunto sulla soglia, dove colse unicamente l’ultima parte della loro conversazione.

“Ciao amore” – Rovia si precipitò da lui – “Questa è Betsy, necessita delle tue cure e abili mani”

“Soltanto lei?” – gli soffiò nel collo l’ex sbirro, dandogli poi un bacio, mentre sbirciava di sottecchi Scott, lanciandogli segni inequivocabili.




“Oh ma dovevi vederlo, per poco non pisciava intorno a Paul e segnava il territorio, un perfetto maschio Alpha”

Brendan Laurie rise di gusto, ascoltando la cronaca di Scott, sul suo incontro con Norman.

Stavano completando una serie di vaccinazioni, in un quartiere malfamato e distante dal centro di Los Angeles, non senza la vigile sorveglianza di Vas e soci, anche loro impegnati a fare delle riparazioni, all’interno dell’ambulatorio, piuttosto disastrato, dal sisma e dai vandali.


“Tu in compenso, volevi fare lo splendido, a bordo di quella meraviglia smarmittata?” – chiese, provocatorio, l’analista, congedando gli ultimi visitatori.

“No, anzi … Ok, ok, lo sanno tutti che sono in crisi con Jimmy … Anche questo cataclisma non ci ha aiutati …”

“E ti stai guardando in giro, Scotty?”

“No … Forse sì … Oh insomma, Paul è magnetico, mi manda su di giri e non vedevo l’ora di rimanere qualche minuto insieme a lui, dopo averlo monitorato alla villa di Palm Springs” – rivelò complice.

“Su di giri? I riferimenti da moto GP sono sempre casuali, vero? Stai attento a non fondere il motore …”

“Credi non abbia almeno una chance? Se c’è riuscito quel buzzurro”

“Scott, ma cosa ti prende?” – replicò con stupore Brendan, mentre risalivano sull’Hummer di Vas.

“Giocherò le mie carte, ok?” – e rise, un po’ nervoso.

“Non ho dubbi … Sempre che Norman non te le faccia ingoiare, con tutto il pacchetto!”





 SCOTT


 BRENDAN


 NORMAN





 PAUL



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