lunedì 14 marzo 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 47

Capitolo n. 47 – nakama



I palmi di Tom restarono aperti su quel vetro, per un tempo indefinito o, almeno, sino a quando quelli più grandi e saldi di Geffen, si posarono con accortezza, sopra le sue spalle magre e leggermente ricurve, quasi fosse proteso verso il sembiante immobile di Chris, ancora in coma, sopra quel giaciglio sterile e incolore.

“Eppure io non riesco a smettere di amarlo, sai?”
Il suo tono era flebile, lo sguardo fisso e acceso.

“Da quanto tempo non dormi o almeno non ti siedi, Tommy?” – gli domandò piano il legale, come a non disturbare il sonno di Hemsworth.

Silenzio.

Seduto se ne stava Reedus, a un paio di passi, che Hiddleston faticava a percorrere, per mettersi accanto a lui e chiedere qualche spiegazione.

Norman, affossato nel proprio dolore, senza poterne parlare con nessuno.

Forse.

“Cosa dicono i medici, tesoro?” – e Geffen lo voltò a sé.

“Il più gentile è Will … Mads è arrabbiato, perché si dà la colpa di questo pasticcio, per un suo errore, dice … Cioè crede sia così, ma Will lo rimprovera” – sorrise, gli occhi lucidi – “… lo sgrida, amorevole, come se Mads fosse la cosa più bella al mondo … la … persona … migliore” – ed era come se si stesse spegnendo, nel ripetere i nomi dei due medici, che si stavano prodigando per sistemare le cose.




Graham stampò le ultime analisi e il rapporto di un certo Freeman.

“Eccolo qui, come pensavo Mads: si tratta del software, c’era una falla” – e gli porse il plico, dove l’esperto di informatica applicata a congegni come il loro cuore nucleare, evidenziava quel dettaglio, sfuggito ai precedenti programmatori.

“Li vedi i picchi? Prima del ricovero e poi dopo qualche ora, insomma mettendo in stand by le pulsazioni, a una frequenza minima, il sistema linfatico e ghiandolare è rientrato nella norma, quindi basta resettare il tutto e fare ripartire Chris, nella maniera giusta” – affermò con soddisfazione, mentre Mikkelsen annuì al suo discorso.

“Come è potuto accadere?”

“Non darti pena, amore, del resto Hemsworth è stato il primo, il paziente zero insomma, dovevamo mettere in conto anche questi rischi o meglio conseguenze fuori programma” – sbuffò, versando dell’altro caffè.

“Una cavia da laboratorio, insomma?” – bissò più secco.

“Non essere severo, né con te stesso e neppure con me: eravamo e siamo in buona fede, noi abbiamo ridato un futuro a quel poliziotto e ai suoi cari”

“I suoi cari … Anche il tenente li ha definiti così, mentre discuteva con Geffen …”

“Te l’ha detto lui?”

“Sì”

“E di Lula? Ne vogliamo parlare?”

“Non ora Will, andiamo in sala operatoria al più presto, senti il primario, dobbiamo intervenire con questa modifica essenziale, senza perdere tempo, ok?” – ed alzandosi, lo abbracciò con riconoscenza – “… sei stato in gamba, non avevo dubbi”

“Ho creduto in te, in noi ed è stato semplice” – lo baciò – “… tu non immagini quanto”




Erano rimasti da soli.

Fu come un impulso, risolutivo.
Tom si accomodò e, se ci fossero stati dei chiodi, avrebbe fatto meno male: perché sotto alla stoffa della camicia, Norman faticava a nascondere i segni del passaggio di Chris.

L’aveva indossata di fretta, era tra quelle da cestinare, perché logore, di lavaggi e ostinazione, nell’indossare sempre le stesse cose.

A Reedus i cambiamenti facevano paura.

“Mio Dio …”

“Che c’è, adesso?”

Al sussurro di Hiddleston, il poliziotto reagì con uno scatto, come se Tom l’avesse strappato da un oblio di costernazione e smarrimento totali.

“Cosa ti ha fatto? Dimmelo Norman, ti prego”
E avrebbe voluto piangere.
Così lo sbirro, dallo sguardo tagliente, dalle cicatrici mostrate con orgoglio e i tatuaggi da motociclista esperto di HD.

“Di che parli?” – e si alzò, sigillando il colletto, tirando giù i polsini.

Inutilmente.

Tom non gli diede scampo, alzando quei lembi di tessuto a quadretti sbiaditi, con delicatezza, perché anche Norman, a sua percezione, aveva sofferto già abbastanza.

“Di questi … e questo, sono lividi … Te lo richiedo, cosa ti ha fatto Chris?” – e lo fissò, con la disperazione delle vittime, a sfregiargli le iridi lucenti e pulite.

“Ci siamo azzuffati” – e deglutì a vuoto.
Tremando.

“Norman …”

“Io … io non posso dirtelo” – e si sentì precipitare il cuore, sino ai piedi e poi più giù.

Tom lo strinse, con un vigore rabbioso – “… bastardo …” – singhiozzò.

“Ma lui non sapeva quello che faceva, Tommy” – Reedus lo giustificò, lacerato nell’orgoglio e nei sentimenti.

Quelli dovevano rimanere blindati, in fondo ai suoi pensieri più reconditi e proibiti.

Tornarono a guardarsi.

Hiddleston scosse il capo – “Non ci riesco … a perdonarlo, capisci? Ora che so anche questo, di lui … e di te” – e si distaccò, con un’occhiata dura, rivolta a Hemsworth e una, più dolce, a Norman, che aveva smesso di respirare.




Kevin lo aveva avvisato, con uno strano messaggio.

Geffen, appena lo raggiunse, scorse quella donna, di cui l’ex gli aveva scritto, seduta al capezzale di Lula.

Parlavano, sorridendo e il bimbo gli mostrava le mani, già guarite.
Lei sembrava soddisfatta, ma anche intimorita.

“E’ lei?”

“Sì daddy: mi ero assentato pochi minuti, Tim era tornato dai bimbi in hotel e, al mio ritorno, questa signora era in stanza con soldino” – spiegò il bassista, un po’ agitato.

“Vas l’ha fatta passare?”

“Sì, perché Lula gli ha chiesto di farlo, senza problemi, ma, come vedi, lui è sempre rimasto nella camera, a controllare la situazione” – spiegò a mezza voce.

“Ok, andiamo a conoscerla, sembra una brava persona”


Miriam Lebeau la era, in effetti, una brava persona: dal primo saluto, al suo modo di interagire con il prossimo.
Appartatisi in una saletta, diede a Glam e Kevin una spiegazione alla sua presenza.

“Ho visto vostro figlio … In quel parcheggio, capite?”

Il suo Inglese era un po’ incerto, ma non incomprensibile.

“Sì, ma lei è di Haiti, come Lula?” – domandò educato il musicista.

“Infatti e conoscevo la sua famiglia, mia nonna era amica di sua nonna” – sorrise.

“Alaysa? L’abbiamo … ehm, sì’, sappiamo chi è” – Geffen tossì.

“Ciò che vorrei spiegarvi è che anch’io faccio parte della loro … congregazione, si dice così?” – rise un po’ tesa.

“Non saprei Miriam … Sta parlando di magia bianca?”

“Sì … anche … Non vorrei spaventarvi” – divenne più tetra – “… ma siete in pericolo, dopo quanto è accaduto, sapete?”

“In che senso?” – Kevin si agitò immediato.

“Nel senso che Lula ha in sé un demone: ve ne sarete resi conto, no?”

Glam aggrottò la fronte spaziosa, lisciandosi il pizzetto ed i capelli, entrambi brizzolati e ben curati.

“Lei parla delle fiamme? Sì, sembrava un inferno, però”

“Mr. Geffen, chiunque le dovesse fare del male o essere una minaccia o semplicemente procurarle una sofferenza, verrebbe punito da Lula, cioè da ciò che è germogliato in lui!” – sibilò, quasi con il timore di essere ascoltata da soldino.

Kevin andò al davanzale, inspirando – “Lula ha dei poteri, ovvio che difenda il padre, lei ci sta raccontando delle balle! Glam non ascoltarla, mandala via!” – sbottò incazzato.

Miriam si sollevò, dando un biglietto al legale – “A fine anno, come tradizione, qui si svolgerà un rito di purezza e liberazione … Accompagni Lula, la prego e non lo faccia avvicinare più da nessuno, che lui possa considerare negativo per lei, Mr. Geffen, ok?”

Glam non disse nulla.
Lei se ne andò.

“Brasile …” – mormorò Geffen assorto, poi guardò Kevin, oltre modo interdetto e rigido, ancora fermo a quella finestra.

“Come scusa?”

“In Brasile, questa cosa la faranno là, il rito intendo”

“Divertente, molto divertente daddy! Quella è una speculatrice, forse vuole spillarci del denaro, avere pubblicità, che ne sappiamo?!”

“Non ci ha chiesto nulla … Ci ha offerto il suo aiuto, in compenso” – e prese fiato, avvicinandosi a lui.

Kevin lo abbracciò, fremendo di angoscia – “Gliene sono capitate troppe … a soldino”

“Kevin … Guardami”

Nei suoi occhi, il giovane ritrovava sempre un punto di conforto e fermezza lucidi, quando serviva.

Glam sapeva esserci, al momento giusto.

“Io gli ero accanto, io ho visto tesoro … Nostro figlio ha spaventato anche me, per la prima volta” – rivelò l’uomo, affranto.

“Mio Dio daddy … Ma allora”

“Allora dovremo affrontare questa cosa, uniti, dando fiducia a questa Miriam: non abbiamo alternative, ok?”




Tommy camminava svelto, le mani in tasca, il bavero alzato, senza una meta, in quel principio di bufera di neve, tallonato da Reedus.

Entrambi non avevano l’abbigliamento adatto alla temperatura, scesa di colpo, così alle intemperie, che li stavano assiderando.

“Tom! Miseria aspettami!” – e lo raggiunse, afferrandolo per un braccio.

“Non ora, cazzo! Ho bisogno di restare solo Norman!” – divampò livido.

“Ma io non ti ho fatto niente!!”

Si bloccarono, scrutandosi.

Norman, sempre così sfrontato, guascone, ribelle, adesso gli appariva talmente frangibile in ogni gesto.

Tom avrebbe voluto che la tempesta lo inghiottisse, vorticosa, definitiva: non vedeva futuro, anzi, constatava il presente, nelle iridi di Reedus, così diverso, ma così simile, ormai, così devastato, quanto lui, dalle azioni sconsiderate di Chris.

“Non so cosa fare Norman … E non so, dove andare”

“Dobbiamo toglierci da qui e poi parleremo, se vuoi” – e gli tese le mani nude.

Hiddleston le intrecciò alle proprie, poi lo seguì.

Poco distante, per fortuna, c’era un ricovero per gli sciatori: un posto da sfruttare nelle emergenze.

E quella la era dannatamente.
Per tutti e due.















Nessun commento:

Posta un commento