Capitolo n. 47 – nakama
I palmi di Tom
restarono aperti su quel vetro, per un tempo indefinito o, almeno, sino a
quando quelli più grandi e saldi di Geffen, si posarono con accortezza, sopra
le sue spalle magre e leggermente ricurve, quasi fosse proteso verso il
sembiante immobile di Chris, ancora in coma, sopra quel giaciglio sterile e
incolore.
“Eppure io non riesco a
smettere di amarlo, sai?”
Il suo tono era
flebile, lo sguardo fisso e acceso.
“Da quanto tempo non
dormi o almeno non ti siedi, Tommy?” – gli domandò piano il legale, come a non disturbare
il sonno di Hemsworth.
Silenzio.
Seduto se ne stava
Reedus, a un paio di passi, che Hiddleston faticava a percorrere, per mettersi
accanto a lui e chiedere qualche spiegazione.
Norman, affossato nel
proprio dolore, senza poterne parlare con nessuno.
Forse.
“Cosa dicono i medici,
tesoro?” – e Geffen lo voltò a sé.
“Il più gentile è Will
… Mads è arrabbiato, perché si dà la colpa di questo pasticcio, per un suo
errore, dice … Cioè crede sia così, ma Will lo rimprovera” – sorrise, gli occhi
lucidi – “… lo sgrida, amorevole, come se Mads fosse la cosa più bella al mondo
… la … persona … migliore” – ed era come se si stesse spegnendo, nel ripetere i
nomi dei due medici, che si stavano prodigando per sistemare le cose.
Graham stampò le ultime
analisi e il rapporto di un certo Freeman.
“Eccolo qui, come
pensavo Mads: si tratta del software, c’era una falla” – e gli porse il plico,
dove l’esperto di informatica applicata a congegni come il loro cuore nucleare,
evidenziava quel dettaglio, sfuggito ai precedenti programmatori.
“Li vedi i picchi?
Prima del ricovero e poi dopo qualche ora, insomma mettendo in stand by le
pulsazioni, a una frequenza minima, il sistema linfatico e ghiandolare è rientrato
nella norma, quindi basta resettare il tutto e fare ripartire Chris, nella
maniera giusta” – affermò con soddisfazione, mentre Mikkelsen annuì al suo
discorso.
“Come è potuto
accadere?”
“Non darti pena, amore,
del resto Hemsworth è stato il primo, il paziente zero insomma, dovevamo
mettere in conto anche questi rischi o meglio conseguenze fuori programma” –
sbuffò, versando dell’altro caffè.
“Una cavia da
laboratorio, insomma?” – bissò più secco.
“Non essere severo, né
con te stesso e neppure con me: eravamo e siamo in buona fede, noi abbiamo
ridato un futuro a quel poliziotto e ai suoi cari”
“I suoi cari … Anche il
tenente li ha definiti così, mentre discuteva con Geffen …”
“Te l’ha detto lui?”
“Sì”
“E di Lula? Ne vogliamo
parlare?”
“Non ora Will, andiamo
in sala operatoria al più presto, senti il primario, dobbiamo intervenire con
questa modifica essenziale, senza perdere tempo, ok?” – ed alzandosi, lo
abbracciò con riconoscenza – “… sei stato in gamba, non avevo dubbi”
“Ho creduto in te, in noi
ed è stato semplice” – lo baciò – “… tu non immagini quanto”
Erano rimasti da soli.
Fu come un impulso,
risolutivo.
Tom si accomodò e, se
ci fossero stati dei chiodi, avrebbe fatto meno male: perché sotto alla stoffa
della camicia, Norman faticava a nascondere i segni del passaggio di Chris.
L’aveva indossata di
fretta, era tra quelle da cestinare, perché logore, di lavaggi e ostinazione,
nell’indossare sempre le stesse cose.
A Reedus i cambiamenti
facevano paura.
“Mio Dio …”
“Che c’è, adesso?”
Al sussurro di
Hiddleston, il poliziotto reagì con uno scatto, come se Tom l’avesse strappato
da un oblio di costernazione e smarrimento totali.
“Cosa ti ha fatto?
Dimmelo Norman, ti prego”
E avrebbe voluto
piangere.
Così lo sbirro, dallo
sguardo tagliente, dalle cicatrici mostrate con orgoglio e i tatuaggi da
motociclista esperto di HD.
“Di che parli?” – e si
alzò, sigillando il colletto, tirando giù i polsini.
Inutilmente.
Tom non gli diede
scampo, alzando quei lembi di tessuto a quadretti sbiaditi, con delicatezza,
perché anche Norman, a sua percezione, aveva sofferto già abbastanza.
“Di questi … e questo,
sono lividi … Te lo richiedo, cosa ti ha fatto Chris?” – e lo fissò, con la
disperazione delle vittime, a sfregiargli le iridi lucenti e pulite.
“Ci siamo azzuffati” –
e deglutì a vuoto.
Tremando.
“Norman …”
“Io … io non posso
dirtelo” – e si sentì precipitare il cuore, sino ai piedi e poi più giù.
Tom lo strinse, con un
vigore rabbioso – “… bastardo …” – singhiozzò.
“Ma lui non sapeva
quello che faceva, Tommy” – Reedus lo giustificò, lacerato nell’orgoglio e nei
sentimenti.
Quelli dovevano
rimanere blindati, in fondo ai suoi pensieri più reconditi e proibiti.
Tornarono a guardarsi.
Hiddleston scosse il
capo – “Non ci riesco … a perdonarlo, capisci? Ora che so anche questo, di lui
… e di te” – e si distaccò, con un’occhiata dura, rivolta a Hemsworth e una,
più dolce, a Norman, che aveva smesso di respirare.
Kevin lo aveva
avvisato, con uno strano messaggio.
Geffen, appena lo
raggiunse, scorse quella donna, di cui l’ex gli aveva scritto, seduta al
capezzale di Lula.
Parlavano, sorridendo e
il bimbo gli mostrava le mani, già guarite.
Lei sembrava
soddisfatta, ma anche intimorita.
“E’ lei?”
“Sì daddy: mi ero
assentato pochi minuti, Tim era tornato dai bimbi in hotel e, al mio ritorno,
questa signora era in stanza con soldino” – spiegò il bassista, un po’ agitato.
“Vas l’ha fatta
passare?”
“Sì, perché Lula gli ha
chiesto di farlo, senza problemi, ma, come vedi, lui è sempre rimasto nella camera,
a controllare la situazione” – spiegò a mezza voce.
“Ok, andiamo a
conoscerla, sembra una brava persona”
Miriam Lebeau la era,
in effetti, una brava persona: dal primo saluto, al suo modo di interagire con
il prossimo.
Appartatisi in una saletta,
diede a Glam e Kevin una spiegazione alla sua presenza.
“Ho visto vostro figlio
… In quel parcheggio, capite?”
Il suo Inglese era un
po’ incerto, ma non incomprensibile.
“Sì, ma lei è di Haiti,
come Lula?” – domandò educato il musicista.
“Infatti e conoscevo la
sua famiglia, mia nonna era amica di sua nonna” – sorrise.
“Alaysa? L’abbiamo …
ehm, sì’, sappiamo chi è” – Geffen tossì.
“Ciò che vorrei
spiegarvi è che anch’io faccio parte della loro … congregazione, si dice così?”
– rise un po’ tesa.
“Non saprei Miriam …
Sta parlando di magia bianca?”
“Sì … anche … Non
vorrei spaventarvi” – divenne più tetra – “… ma siete in pericolo, dopo quanto
è accaduto, sapete?”
“In che senso?” – Kevin
si agitò immediato.
“Nel senso che Lula ha
in sé un demone: ve ne sarete resi conto, no?”
Glam aggrottò la fronte
spaziosa, lisciandosi il pizzetto ed i capelli, entrambi brizzolati e ben
curati.
“Lei parla delle
fiamme? Sì, sembrava un inferno, però”
“Mr. Geffen, chiunque
le dovesse fare del male o essere una minaccia o semplicemente procurarle una
sofferenza, verrebbe punito da Lula, cioè da ciò che è germogliato in lui!” –
sibilò, quasi con il timore di essere ascoltata da soldino.
Kevin andò al davanzale,
inspirando – “Lula ha dei poteri, ovvio che difenda il padre, lei ci sta
raccontando delle balle! Glam non ascoltarla, mandala via!” – sbottò incazzato.
Miriam si sollevò,
dando un biglietto al legale – “A fine anno, come
tradizione, qui si svolgerà un rito di purezza e liberazione … Accompagni Lula,
la prego e non lo faccia avvicinare più da nessuno, che lui possa considerare
negativo per lei, Mr. Geffen, ok?”
Glam non disse nulla.
Lei se ne andò.
“Brasile …” – mormorò Geffen
assorto, poi guardò Kevin, oltre modo interdetto e rigido, ancora fermo a
quella finestra.
“Come scusa?”
“In Brasile, questa
cosa la faranno là, il rito intendo”
“Divertente, molto
divertente daddy! Quella è una speculatrice, forse vuole spillarci del denaro,
avere pubblicità, che ne sappiamo?!”
“Non ci ha chiesto
nulla … Ci ha offerto il suo aiuto, in compenso” – e prese fiato, avvicinandosi
a lui.
Kevin lo abbracciò,
fremendo di angoscia – “Gliene sono capitate troppe … a soldino”
“Kevin … Guardami”
Nei suoi occhi, il
giovane ritrovava sempre un punto di conforto e fermezza lucidi, quando
serviva.
Glam sapeva esserci, al
momento giusto.
“Io gli ero accanto, io
ho visto tesoro … Nostro figlio ha spaventato anche me, per la prima volta” –
rivelò l’uomo, affranto.
“Mio Dio daddy … Ma
allora”
“Allora dovremo
affrontare questa cosa, uniti, dando fiducia a questa Miriam: non abbiamo
alternative, ok?”
Tommy camminava svelto,
le mani in tasca, il bavero alzato, senza una meta, in quel principio di bufera
di neve, tallonato da Reedus.
Entrambi non avevano l’abbigliamento
adatto alla temperatura, scesa di colpo, così alle intemperie, che li stavano
assiderando.
“Tom! Miseria
aspettami!” – e lo raggiunse, afferrandolo per un braccio.
“Non ora, cazzo! Ho
bisogno di restare solo Norman!” – divampò livido.
“Ma io non ti ho fatto
niente!!”
Si bloccarono,
scrutandosi.
Norman, sempre così
sfrontato, guascone, ribelle, adesso gli appariva talmente frangibile in ogni
gesto.
Tom avrebbe voluto che
la tempesta lo inghiottisse, vorticosa, definitiva: non vedeva futuro, anzi,
constatava il presente, nelle iridi di Reedus, così diverso, ma così simile,
ormai, così devastato, quanto lui, dalle azioni sconsiderate di Chris.
“Non so cosa fare
Norman … E non so, dove andare”
“Dobbiamo toglierci da
qui e poi parleremo, se vuoi” – e gli tese le mani nude.
Hiddleston le intrecciò
alle proprie, poi lo seguì.
Poco distante, per
fortuna, c’era un ricovero per gli sciatori: un posto da sfruttare nelle
emergenze.
E quella la era
dannatamente.
Per tutti e due.
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