Capitolo n. 48 – nakama
“Vestiti puliti e
confezionati … calze, persino le ciabatte”
Reedus stava
bofonchiando da cinque minuti, in piedi davanti a una vetrinetta, divisa in
scomparti, tutta elettronica.
“Ed è gratis?” –
chiese, girandosi verso Tom, zuppo e infreddolito quanto lui.
“Devi passare il dito
qui, per le impronte digitali, se vuoi prendere questa roba, c’è scritto qui”
“Ok”
“Dai fallo Norman, sei
anche un poliziotto tu, si fideranno no?”
“Sì, d’accordo,
scusami, è che non ci sono abituato a tanto lusso” – rise amaro.
“Perché io sì?” – anche
Hiddleston accennò un sorriso debole.
“Tu hai amici
importanti …” – disse piano lo sbirro, estraendo dal cellophane dei pile e un
paio di tute.
“Non è la stessa cosa”
“Geffen ti comprerebbe
la luna” – e lo scrutò, mentre l’altro si svestiva svelto.
“Se ti piace crederlo,
fai pure, io ho bisogno di una doccia adesso” – lo tagliò aspro, fiondandosi in
bagno, facendo sentire Norman un perfetto coglione.
§
Il tuo cuore ti calpesterà, senza neppure uscirti dal petto.
Camminerà
fiero, mentre tu nasconderai la verità, dietro a falsi sorrisi, strette di
mano, ammiccherai ai fotografi, dirai bugie durante le interviste.
Il
nostro amore, ti tormenterà a vita, Cole …
A
vita, te lo prometto.
JL
§
Farrell ripiegò in fretta
quel biglietto, logorato dal tempo.
Era una traccia del
passato, molto lontano, quando tra lui e Jared non riusciva a funzionare
niente.
L’irlandese faceva
parlare di sé, per l’ennesima conquista, già messa incinta, la madre di Henry,
del suo rehab, di una rinascita, dietro la quale c’era unicamente stato Jared,
a credergli, a sostenerlo, quando tutti lo avevano abbandonato, esasperati dal
suo cadere e ricadere in vizi, che lo stavano ammazzando.
A poco a poco.
Colin conservava quella
reliquia, infilatagli nel taschino della giacca da un Jared frettoloso,
incrociato a un party, dove non si erano rivolti la parola.
C’era anche lei,
Alicya, impegnata a pavoneggiarsi davanti ai paparazzi, sfoggiando orgogliosa
il suo pancino perfetto.
E Jared moriva.
Umiliato.
Tradito per l’ennesima
volta.
Certo poi Colin aveva
scelto lui.
Lui, però, aveva scelto
Colin?
Farrell se lo stava
ancora chiedendo, mentre toglieva dalla sacca, l’abito che lo staff di Armani,
gli aveva fatto avere per la cerimonia del giorno dopo.
Era una vigilia di
Natale particolare.
Jude irruppe nella sua
suite, stranamente deserta, osservò l’inglese al proprio arrivo.
“Sono tutti a fare le
ultime compere e poi all’ospedale, per Chris …” – spiegò il moro, versando una
bibita a entrambi.
“Tutto bene Colin?”
“Sì, domani mi sposo,
anzi, ci sposiamo” – rise tirato.
“Certo, ma non tu ed
io, peccato!” – e rise, lui, convinto e gioioso, senza innescare nel suo
interlocutore lo stesso entusiasmo – “Ehi, ma ti ha morsicato la classica
tarantola irish buddy, Dio che faccia!”
“No, è che stavo
pensando … Al ieri, ecco, con Jared, i bimbi …” – e andò a sedersi.
“A Glam no?”
“Uhm sì, ovvio, lui fa
parte dell’arredamento”
Law inspirò,
accomodandosi sulla poltrona speculare a quella di Farrell.
“L’ho visto insieme a
Tom … Temo dei guai, a me sembra cotto”
“Ma chi?” – bissò perplesso
Colin.
“Glam”
“Figurati, sembra un
sultano in mezzo ai suoi ex, ma con Tom no, lo adora, è scontato, però non
andrà mai a cacciarsi in un simile vicolo cieco, Tommy non glielo permetterebbe
e lo sai anche tu, Jude”
“Tom è fragile adesso …
E poi c’è quel Reedus, è inquietante”
“Non più di noi, in
parecchi passaggi delle nostre vite” – scherzò, sincero.
“Parla per te zuccone” –
Law si rialzò – “Rob mi aspetta, dobbiamo andare da un certo barbiere” – rivelò
con un po’ di enfasi, molto comica.
“Con te si sbrigherà
subito UK buddy” – lo canzonò Farrell, tornato apparentemente di buon umore.
In cambio, il biondo
stempiato più noto del pianeta, lo liquidò con il dito medio alzato, mentre si
congedava, con tanto di piroetta, scontrandosi per poco contro Jared, appena
rientrato.
“E’ andato, quindi?”
Harry stava parlando
alla schiena di Louis, intento a ripiegare i vestiti di Petra, seminascosto tra
le ante dell’armadio a muro.
“Aveva promesso di
essere con loro per le feste, con la sua nuova … famiglia” – disse mogio
Tomlinson, richiudendole, per poi andare a rannicchiarsi sopra al davanzale.
“E’ la sua vita Boo,
forse Vincent è felice così”
“L’hai detto: forse”
Styles azzerò la
distanza, per abbracciarlo – “Ciò che conta è che non sia finito in galera, non
credi? Sarebbe stato un inferno per lui”
Louis lo baciò,
infilando le mani sotto al maglione di Harry, che perse un battito, nella sua
bocca, così umida e calda, da togliergli ogni paura, sul loro futuro.
“Voglio stare con te
Haz … Non voglio più parlare di lui, ok?” – gli respirò dentro, provando a
essere più convincente possibile.
Era necessario.
Era tutto quanto gli
rimaneva da fare, per dimenticare Vincent Lux.
“Tutto bene Kevin?”
La voce di Tim era
roca; stava dormendo, con il libro delle favole aperto tra sé e Layla, mentre
Thomas stava accucciolato in fondo al letto, perso in chissà quali sogni.
Il bassista li portò
nella stanza accanto, annuendo alla domanda del più giovane, che si stiracchiò,
come un gatto, pronto a fargli le fusa.
Kevin tornò da lui,
togliendosi camicia e jeans, restando nudo, perché non indossava altro.
Si infilò sotto al
piumone e strinse il compagno a sé, ancora vestito.
“E se ci sentono?” –
Tim rise felice.
“Penseranno che i loro
papà si stanno facendo le coccole, ok?” – e ricambiò il sorriso, amorevole.
“E Lula?”
“E’ già con Glam,
nessuna ferita, sai che lui è fatto così, si cura da solo” – replicò più teso.
Tim sapeva quando era
il momento di chiudere la bocca e aprire le gambe.
Kevin era sensuale ed
esigente, in questo, almeno, non era cambiato affatto.
Gli piaceva brandirgli
i polsi e farlo soffrire un po’, ritardando l’amplesso, mentre preparava Tim, comunque
generoso e altruista.
Erano così belli,
rimescolati tra sudore e movenze flessuose, incastrati alla perfezione, glabri
e tonici, incollati, pelle a pelle, labbra contro labbra, amore dentro amore.
Fino all’estasi, fatta
di gemiti soffocati nell’incavo del collo di Kevin: un posto così unico, dove
perdersi, ogni volta.
Ogni
volta.
Le ventole giravano
vorticose, dietro la griglia dell’impianto, alimentato dai pannelli solari, che
Reedus aveva intravisto sopra al tetto di quel rifugio a cinque stelle.
Le fissava,
riscaldandosi, accovacciato sopra a un tappeto, dallo stile moderno.
Tom preparò del tè, le
provviste non mancavano.
“Hai fame?” – domandò
distratto.
“Cosa offre la casa?” –
Norman si erse, massaggiandosi la nuca e curiosando su cosa stesse facendo il
fisiatra.
“Ci sono dei salumi
sotto vuoto, del pane di segale, del burro e sottaceti: faccio dei sandwich,
che ne pensi?” – e divenne più cordiale, come sua abitudine.
“Mangerei anche una
scarpa” – e cercò le sigarette, nel giubbotto, steso ad asciugare, come il
resto dei loro indumenti.
“Bella vigilia, vero?” –
Tom sospirò triste.
“Pensi a lui? Ti
capisco …” – si aprì timido, affiancandolo al bancone di quell’angolo cottura,
in acciaio e plexiglass colorato di rosso.
Hiddleston lo puntò, ma
senza astio – “Anche tu lo ami, vero?”
Inutile rimandare quel
confronto.
Reedus avvampò.
“Ok, mi hai già
risposto, le tue guance stanno andando a fuoco”
“Tom ascolta”
“Non è un mio problema!”
“Perché fai così,
cazzo!”
“Hai moglie, figlie, ma
io so cosa ti porta a fare Chris, a cosa devi subire, pur di averlo vicino!”
Era esausto, a
brandelli e incavolato, come mai prima.
“Io non sarò mai una
minaccia per voi … Sono stato esclusivamente una scopata, per lui, che manco se
ne ricorda, voglio che tu lo sappia” – ribatté serio.
Dignitoso.
Tom scoppiò a piangere.
Era alla deriva.
Norman lo avvolse, con
tenerezza paterna.
“Sfogati …”
Si guardarono – “Fallo
anche tu … ti prego … Non puoi tenerti tutto dentro”
Piansero insieme e,
speculari, si asciugarono le lacrime, fatte dello stesso sapore.
Anche il bacio, che ne
seguì, fu tale.
Bollente
come l’inferno.
Buio
quanto la notte, caduta da poco, lì fuori.
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