Capitolo n. 51 – nakama
Le stalle, dove i cavalli da tiro delle slitte, stavano mangiando in una quiete irreale, erano deserte a quell’ora.
Le gite sulla neve, per i turisti, sarebbero iniziate dalle dieci in poi.
Paul si avvicinò con naturalezza ad un pezzato, dagli occhi liquidi, quanto i suoi, inquieti e profondi d’azzurro e rancore.
Il giovane sembrò tranquillizzarsi, appena avvolse il muso imbrigliato, di quell’esemplare magnifico, che non poteva avere ricordi brutti quanto i suoi, anche se era prigioniero, in qualche modo, in un presente, senza scampo.
Reedus prese un respiro e gli si avvicinò alle spalle, cingendolo lento e impaurito, almeno quanto Rovia.
Questi sorrise, cullando i pensieri del destriero, che smise di mangiare, preferendo le sue attenzioni alla biada.
“Non ci riesco Norman …” – disse fragile, le palpebre chiuse.
“A fare cosa, piccolo?”
“A vederla morire così … Era così bella, sai? Lui l’ha rovinata, ha guastato ogni cosa, che gli stava intorno, fin da quando ero … piccolo, come dici tu” – e si voltò, scivolando nel suo abbraccio, trovando un rifugio caldo, per il quale Norman non gli avrebbe mai chiesto nulla in cambio.
Geffen, seduto tra Robert e Jared, si schiarì la voce, senza guardali.
“Paul era un bimbo prodigio, una gioia, alunno esemplare, eccelleva negli sport, equitazione, hockey su ghiaccio … Suonava il pianoforte e, a otto anni, parlava già correntemente quattro lingue”
“E poi cosa è successo?” – chiese il leader dei Mars.
“Nessuno lo sa veramente … Divenne di colpo un ragazzino difficile, scappò di casa … Era un diciassettenne, mi pare … E’ passato così tanto tempo” – disse svilito.
“Come mai ha detto, che tu non gli hai creduto, Glam?” – era la volta di Downey, di avere qualche ulteriore delucidazione.
“Temo si riferisca all’unica occasione, in cui Howard mi interpellò, per tirarlo fuori da certi casini: lo avevano beccato in un locale, strafatto di crac e con parecchie bustine di cocaina nelle tasche … Ero sbigottito, provai a farmi dare delle spiegazioni, da Paul, sul perché si fosse ridotto in quella maniera assurda” – e sbuffò, perplesso nei toni.
“Le sue motivazioni, non ti convinsero?” – “No Jared, perché accusò il padre, farneticando letteralmente: riuscii a evitargli il carcere, facendolo ricoverare alla Foster, per un periodo di riabilitazione, garantendo personalmente per lui”
“Quindi l’hai aiutato?” – insistette Leto.
“Io mi sono fatto sei mesi di galera, grazie al giudice Nelson” – sbottò Robert – “… e in aula mi trattò come il peggiore dei delinquenti” – aggiunse amareggiato.
“Sì lo ricordo Rob, non riuscii a seguire il tuo processo”
“Credo tu fossi al secondo divorzio Glam o era il terzo?” – l’attore sorrise, provando a smorzare un po’ la tensione.
“Perdonami se ti tormento, però cosa non ti quadrò, nella versione di Paul?”
“Onestamente, Jay, essendo in piena crisi di astinenza, Paul non riuscì a fornirmi una versione chiara dei fatti: ripeteva il nome del genitore, inveendo contro di lui, responsabile unico dei suoi guai, della sua disperazione … Nelson si era dimostrato sempre presente alle sue esigenze, era così attaccato al figlio, quasi morboso direi … Per il resto, Howard è quello che si dice, un pilastro della comunità”
“Com’era il tuo vecchio, giusto?” – ironizzò Robert, senza cattiveria.
Geffen si massaggiò le tempie – “Ora voglio la verità, sapete? Paul, dopo la clinica, sparì, forse in Messico: passarono anni, ogni tanto tornava, pretendendo di riscuotere il fondo fiduciario assicuratogli dal nonno materno e, alla fine, recuperò quei maledetti soldi, cacciandosi in ulteriori guai, a New York, forse persino in Europa!”
“Averlo trovato qui, forse significa una seconda occasione per te, Glam” – Leto sorrise, poi se ne andò, senza aggiungere altro.
I tracciati dei monitor scorrevano regolari.
Hemsworth, sveglio dall’alba, stava attento a ogni rumore.
Dal corridoio, finalmente, si palesò Tom, con Luna sul petto.
“Buon Natale papà!” – esultò la bimba, precipitandosi da lui.
“Amore! Dio quanto sei bella!”
Hiddleston rimase appiccicato allo stipite.
Pallido.
“Ciao tesoro, tu non entri?” – chiese dolce il poliziotto.
Silenzio.
“Dobbiamo andare al matrimonio, sai papi? Degli zii Colin, Jared, Robert e Jude!”
“Ah ecco come mai tanta eleganza … Ok principessa …” – e tornò a fissare il compagno.
Oppure l’ex: Chris non sapeva decifrarne l’atteggiamento, comunque gelido e distaccato.
“Infatti, siamo già in ritardo, ma volevo che tu vedessi nostra figlia … Poi ritorno, dopo il pranzo, al prossimo orario di visita, così parliamo, d’accordo?”
“Come vuoi tu Tommy … Se ti avvicini, vorrei stringerti, farti gli auguri e”
“No, non è il caso: andiamo Luna, vieni …” – e si inginocchiò, reclamandola a sé.
La bambina guardò entrambi, confusa e improvvisamente triste; poi obbedì a Tom, che stava morendo dentro, era evidente.
Il discorso, che avevano fatto durante il tragitto, dall’hotel all’ospedale, era stato esaustivo: Chris sarebbe uscito dal loro quotidiano, perché si era comportato male, pure restando un ottimo papà per lei, Tom glielo aveva persino giurato.
Con il pianto in gola.
Identico a quello, che lo stava soffocando, dal loro arrivo in reparto.
Jared varcò la soglia di quelle scuderie, incastonate nel bianco accecante di Aspen, co un sorriso sincero e pulito.
Paul lo guardò, ancora stretto al calore di Norman, che non disse nulla, lasciando che l’artista parlasse, con estrema tenerezza nei riguardi di Rovia.
“Vi disturberò solo per un attimo ragazzi, ma volevo dire una cosa a Paul”
“Ok … ti ascolto” – replicò lui, con educazione.
“Vedi, io conosco Glam da così tanto tempo e sono sicuro, che se lui ne avesse avuto la possibilità, ti avrebbe aiutato e avrebbe fatto molto, per te, Paul: siete ancora in tempo, perché ciò accada … Tutto qui” – e fece correre i suoi zaffiri intorno, con il sentore che qualcuno fosse giunto dietro di sé.
Con le migliori intenzioni.
Rovia guardò oltre il viso rassicurante di Leto, il fiato mozzato – “Glam …”
Geffen affiancò Jared, lo sguardo fisso su quello, che in un passato piuttosto remoto, lo chiamava zio.
E si fidava di lui.
“Se mi dirai quello che Howard Nelson ti ha fatto, io gliene farò pentire: ogni giorno della sua vita. Ok, Paul?”
“Va bene …” – disse in un soffio, sciogliendosi dall’intreccio stabilito con Reedus, che aveva, in compenso, un’aria oltre modo diffidente.
Rovia prese da una tasca un portafoglio di marca, un accessorio di lusso, rimescolato al resto, di ciò che indossava, non del tutto al medesimo livello.
“L’ho portata sempre con me, dal mio sedicesimo compleanno …” – e ne estrasse una micro sd, porgendola poi a Geffen.
“E’ una prova?” – domandò inquieto, immaginandone il contenuto.
“C’è … c’è un video … Ti do il permesso di visionarlo, Glam” – bissò fiducioso il giovane.
“Perfetto: dopo domani rientriamo a Los Angeles, ma questa la guarderò subito” – e se la mise nella tasca del giaccone, togliendosi poi il guanto destro.
“Paul, ti ricordi quando ti accompagnavo ai tornei? E come ci salutavamo?”
Rovia sorrise, le sue iridi tremolarono.
A propria volta, si scoprì la mano sinistra, chiudendola a pugno, come quella di Glam, in quell’istante, pronta a collidere con la sua, in un gesto simbiotico.
Paterno.
Sereno.
“Sì, ecco … così, giusto?” – e tirò su dal naso, per poi deglutire a vuoto, fissando l’uomo, che annuì, arridendogli complice.
Come se fosse di nuovo il suo eroe.
Come lo stava scrutando Jared.
Da quando Geffen era arrivato.
Da quando Geffen, non se n’era mai andato, via da lui.
Camminarono lenti, le mani in tasca, sino al resort, un po’ infreddoliti dalla temperatura di nuovo molto bassa.
“Devi sbrigarti Jay” – e Geffen gli accarezzò la schiena, ben custodita da un cappotto corto, modaiolo e aderente, alla sua figura snella.
“Sì, dovrei sposarmi …”
“Infatti”
Si ritrovarono faccia a faccia.
Un unico respiro, che si mescolava, risaliva, si disperdeva, biancastro ed evanescente.
Il sole era debole; eppure c’era.
“Tu prima …” – Jared esitò, rimpicciolendosi nelle spalle magre – “… quel gesto, con Paul” – e sorrise innocente.
“Ce ne siamo regalati tanti, anche tu ed io o sbaglio?” – bissò delicato e premuroso.
“Assolutamente sì, Glam”
Un passo indietro, uno di lato, come un soldatino: così Jared sembrò essere pronto a riprendere la via, verso la hall dell’albergo, affollata per quel giorno di festa.
Per lui, sarebbe dovuto essere più speciale.
Forse.
Dapprima fotogrammi confusi, ripresi dal basso, come di nascosto.
Era una festa.
Il b-day di Paul, il sedicesimo, appunto: quel numero primeggiava sulla torta, sui palloncini, un po’ ovunque, all’interno della villa dei Nelson.
Tilda porgeva al suo gioiello un pacchetto, dal fiocco dorato.
Ce n’erano parecchi, sul tavolo, intorno al quale il festeggiato e gli amici, si erano accalcati, per vedere cosa nascondessero tutte quelle confezioni regalo.
Rovia era felice.
Poi la prospettiva e la scena mutarono.
Un ambiente diverso, ma che Geffen conosceva bene.
Lo studio privato di Howard, ricavato in una sorta di torre, a lato della sua residenza principesca.
C’erano il giudice e il ragazzino.
Il primo seduto alla scrivania, il secondo riverso sul divano, dove il padre, spesso, si addormentava, studiando, diceva, le cause del giorno successivo.
Balle.
Il pilastro della comunità, lì, tra arazzi e boiserie, si faceva di coca.
Ed eroina.
Come in quel momento.
Nelson sniffava.
Paul, invece, con il laccio emostatico ancora annodato al braccio destro, delirava frasi incomprensibili.
Ciò che ne seguì, sconvolse Glam.
Seppure a volume minimo, dal portatile le suppliche di Paul, gli giunsero nitide, come fendenti, dritti allo stomaco e al cervello.
La droga, lo aveva reso inerme e in balia di quel maiale, altro termine non esisteva, che stava abusando di lui, con violenza e brutalità insopportabili.
Geffen estrasse la micro sd, imbustandola, per poi riporla in cassaforte.
Quindi si precipitò in bagno.
A vomitarsi anche l’anima.
“Ci vuoi andare?”
Il quesito di Reedus, arrivò inaspettato.
“Dove?”
Erano di nuovo alla pista di pattinaggio.
“Alla cerimonia … Jared ci ha invitato, prima di andarsene, l’hai dimenticato?” – e sorrise, azzerando la distanza.
Non c’era nessuno.
“No, preferisco stare qui insieme a te Norman, se non ti dispiace”
“Affatto, anzi …”
“A dire il vero”
“Cosa Paul?”
“Ecco … C’è un posto, dove vorrei mi accompagnassi”
“Ok”
“Senza di te, non riesco ad andarci e”
“Ok” – e lo strinse – “… io ci vengo, dovunque sia”
Dovunque sia.
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