Capitolo n. 40 – nakama
Tim, al quinto bicchiere
di vodka, crollò sopra il bancone del bar, come uno straccio, pronto ad essere
gettato via.
Per poco non scivolò
anche dallo sgabello, se non fosse stato per le braccia forti, di qualcuno che
lo aiutò a riprendersi un minimo.
Era Kevin, appena
giunto al locale, dove ritrovò l’ex, in condizioni pietose.
“Dai, andiamo via” –
gli disse piano, l’alito buono alla menta, il profumo di pelle del giubbino e
poi di quello dell’auto, una muscle car da collezione, all’interno della quale,
Tim si sentì di nuovo al sicuro.
Aveva sbagliato tutto;
questa la sensazione dominante, che lo stava turbando, ora più che mai.
“Dove andiamo?” –
chiese il bassista, con aria dolce.
In fondo, a quel
ragazzo dall’esistenza complicata, che lo aveva fatto soffrire almeno quanto
Geffen, Kevin voleva un bene profondo.
“Via da me stesso” –
mormorò triste l’altro, aggrappandosi allo schienale – “… mi gira tutto … forse
sto per vomitare cazzo!” – e, coprendosi la bocca, il giovane provò a
controllare un conato piuttosto forte.
Kevin accostò.
“Dai, scendiamo a
prendere un po’ d’aria e poi ti liberi, credo sia la cosa migliore per te, ok?”
Tim annuì tremando,
così che il musicista recuperò un plaid nel bagagliaio e lo avvolse con cura.
“C’è una panchina,
sediamoci, poi ti prendo un caffè al chiosco, anzi facciamo due” – sorrise,
dandogli un bacio sulla tempia sinistra, mentre lo stringeva a sé, ormai già
accomodati su quel granito gelido, davanti all’oceano.
Le lampadine del
furgoncino di panini e bevande calde, poco distante da loro, ondeggiavano nel
vento.
Sembrava una danza:
ipnotica e colorata.
“Perché fai questo … Io
non lo merito” – disse piano Tim, guardando l’orizzonte scuro e lontanissimo.
Kevin lo guardò,
sollevandogli il mento con l’indice destro – “Perché tu avresti fatto lo stesso
per me, se ne avessi avuto bisogno: non ho dubbi”
Tim si rannicchiò
meglio – “Grazie …”
“Lo vuoi quel caffè?”
“Sì … Magari con una
ciambella, sono a stomaco vuoto”
“A proposito, come va?”
– e rise, scompigliandogli i capelli.
“Insomma … Si è calmato
… Una volta reggevo meglio l’alcol”
“A me non sembra, sai?
Quanti ricordi …” – inspirò, cercando degli spiccioli nei jeans – “Torno
subito, non scappare”
“E dove potrei andare?”
– replicò mogio, seguendo i suoi movimenti con lo sguardo arrossato ed il cuore
in gola.
Come
un tempo.
Tom si era allontanato
per telefonare ai genitori, in vacanza in Europa, per i loro trent’anni di
matrimonio.
Con dispiacere, i suoi
avevano intrapreso quella lunga crociera, programmata da un pezzo, ma ogni
giorno telefonavano per sapere di Chris.
Reedus aveva comprato
della biancheria per il collega, su istruzioni di Hiddleston, non senza
sentirsi impacciato e a disagio con la commessa del drugstore, proprio davanti
all’ospedale.
Con addosso una tuta
sterile, anche a Norman fu consentito di fare visita al paziente, da un
severissimo, ma educato Mads, pronto a festeggiare l’esito del trapianto, con
una cena faraonica, per lui e Will, nel ristorante più costoso di Los Angeles.
Voleva ubriacarsi di
champagne e fare l’amore sino all’alba con Graham, che non chiedeva di meglio.
Hemsworth schiuse di
poco le palpebre e gli sorrise, improvviso.
Era bellissimo, un
colorito sano, gli occhi pieni di stelle.
Al poliziotto della
narcotici, sarebbe venuto spontaneo salutarlo con un “amore!”, però Reedus si
trattenne, mordendosi la lingua.
“Ciao bastardo …” – lo
apostrofò il biondo, tendendogli le mani.
Norman le carpì con
vigore ed affetto, così il suo sorriso, nitido, oltre la visiera in plastica.
“Ciao stronzo,
bentornato tra noi … Accidenti a te” – ed una lacrima, piovve dispettosa dalle
sue iridi luminose.
“Un duro come te, che
frigna … andiamo bene” – Chris rise, ma poi tossì.
“Taci, se no qui mi
mandano via ed io voglio rimanere ancora un po’, ok?” – gli bisbigliò complice.
“Tom?”
“E’ al telefono con i
tuoi suoceri”
“Ok … Hai preso le
mutande pulite per me?”
“Eh? Ma allora ci hai
sentiti quando”
“Non sono mica sordo!”
Risero di nuovo.
“Taglia sesta, sei
dimagrito, forse ti si è pure ridotta l’artiglieria” – e sogghignò.
“Allora oltre al cuore,
mi ci faccio mettere anche un gingillo nuovo, lì in basso”
“Ecco bravo, così Tommy
non si lamenterà!” – sentenziò buffo, la salivazione azzerata.
“Mai successo, pensa a
tua moglie, invece!” – e gli fece una smorfia adorabile.
Norman trattenne il
fiato, per non scoppiare a piangere, per tanto era commosso da quel frangente,
intimo e particolare: Chris era tornato, stava reagendo bene, forse tutto si
era risolto.
Forse.
A Jared prudevano le
dita e lo stomaco: avrebbe voluto avvisare Ruffalo, con un sms, informandolo
della presenza di Niall da Meliti, così da riconquistare un minimo spazio nella
sua vita, dalla quale il prof lo aveva ormai escluso definitivamente, dal loro
ultimo incontro, precludendone la fiducia verso il cantante.
Colin lo interruppe,
mentre ancora stava decidendo, se procedere o meno con quella soffiata, dagli
esiti incerti.
“Tesoro non rientri?
Tra poco si va a tavola ed il nonno è molto severo sulla puntualità” – scherzò
l’irlandese, andando ad abbracciarlo.
Ormai Farrell aveva
abbandonato le stampelle, dopo il ritorno da Santa Barbara, iscrivendosi ad una
serie di terapie, supervisionate da Tom, nel part time, che il fisiatra aveva
scelto, per assistere Chris il più possibile.
“Hai visto chi è
arrivato, Cole?”
“Certo, ho appena
salutato Niall, con Layla e Thomas: temo ci siano stati problemi con Tim, dalla
loro espressione mogia” – replicò, baciandolo tra i capelli.
Era da troppo che non
facevano l’amore.
Leto provò a scostarsi,
senza urgenza, ma l’altro lo trattenne con decisione.
“Hai qualche problema,
Jay?” – domandò senza alterarsi l’attore, fissandolo.
“No … No, affatto, è
che mi sento stanco, forse sto covando un’influenza”
“Non adesso che si va
in montagna, spero” – Farrell sorrise affettuoso.
“Per Natale?!” – bissò
stupito il leader dei Mars.
“Doveva essere una
sorpresa, però …” – e si morse le labbra invitanti.
“Il matrimonio … Ad
Aspen, quindi?”
“Mi sembri perplesso
Jared”
“No, ma io credevo che
saremmo fuggiti in Irlanda, dribblando gli invitati” – provò a smorzare
l’attimo di imbarazzo, riuscendoci a pieno.
“Veramente è una cosa a
quattro …”
“Con Jude e Robert? Sì,
lo immaginavo”
“Ma se non ti va, io
posso”
“Figurati Cole, per me
nessun problema, ok?” – e lo baciò.
Finalmente.
Geffen si appoggiò allo
stipite della blindata, all’ingresso del loft di Tim, dove Kevin gli andò ad
aprire.
“Che succede?” – chiese
pacato il legale.
“Ciao daddy … Una
crisi, per via di Mark, ecco” – spiegò un po’ teso il suo ex, a tono basso,
senza sapere che Tim era appena scivolato, lungo la parete del living, dietro l’angolo
dell’entrata, sino a sedersi sul parquet, nella semi oscurità della sua
residenza, ormai senza più nessuno dei suoi cari.
“Non mi fai entrare?” –
Glam sorrise.
“Meglio di no: Tim si è
appena calmato, dopo una mezza sbronza”
“Ok … Tu e lui facevate
una bella coppia, sai come la penso”
Kevin si ossigenò,
senza mai smettere di guardarlo – “Io non so bene ciò che voglio e tanto meno
lo saprà lui, non lascerò precipitare gli eventi, non questo giro” – affermò lucido.
“Nemmeno con me?” – e gli
accarezzò lo zigomo destro.
“Daddy tu sei una parte
del mio destino, sia che mi guardi indietro, che verso il domani e non solo per
Lula, dovresti averlo capito” – sorrise a metà, con una lieve esitazione nella
voce.
Geffen lo avvolse,
improvviso, ma con tenerezza, infilandogli le mani grandi, sotto al pullover,
dove Kevin era nudo e bollente.
Si baciarono.
Con naturalezza.
Poi Glam lo liberò, da
quel tentacolare approccio, dove perdersi sarebbe stato così semplice; come
chiudere quella porta ed andarsene con lui o senza di lui.
Geffen rimase oltre la
barricata, che Kevin innalzò sul proprio ieri, senza ipotecare alcun futuro.
Quindi tornò nella
sala, le luci spente.
“Perché rimani?” –
domandò fragile Tim.
Il ragazzo conosceva
ormai alla perfezione certi meccanismi, dal capo branco ai cuccioli, di quel
particolare clan.
“Ehi, cosa fai lì, al
buio, stropicciato come la carta di un cioccolatino?”
Kevin gli stava
sorridendo, infine si inginocchiò, permettendo alle rispettive fronti di
aderire, come due calamite, di segno opposto.
“Noi siamo come
pianeti, Kevin, mentre Geffen è il Re Sole …” – quasi si sfogò, tra timidezza e
dignità.
“Sbagli … Tu sei una
stella ed eri il mio tesoro più bello, con il nostro Lula e poi Layla … Ora c’è
anche Thomas ed io sono pronto a volergli bene, a provarci, senza fretta, con
serenità … Se tu sei d’accordo, Tim”
Ne seguì un silenzio,
bagnato dalle lacrime di entrambi, caduti in un abbraccio, fatto di tepore e di
mille possibilità.
A loro ne bastava una.
Una
soltanto.
AUGURISSIMI A TUTTI VOI PER UN FELICE 2016
e grazie a chi mi segue e legge anche qui :-D
Maria Rosa
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