mercoledì 30 dicembre 2015

NAKAMA - CAPITOLO N. 40

Capitolo n. 40 – nakama



Tim, al quinto bicchiere di vodka, crollò sopra il bancone del bar, come uno straccio, pronto ad essere gettato via.

Per poco non scivolò anche dallo sgabello, se non fosse stato per le braccia forti, di qualcuno che lo aiutò a riprendersi un minimo.

Era Kevin, appena giunto al locale, dove ritrovò l’ex, in condizioni pietose.

“Dai, andiamo via” – gli disse piano, l’alito buono alla menta, il profumo di pelle del giubbino e poi di quello dell’auto, una muscle car da collezione, all’interno della quale, Tim si sentì di nuovo al sicuro.

Aveva sbagliato tutto; questa la sensazione dominante, che lo stava turbando, ora più che mai.

“Dove andiamo?” – chiese il bassista, con aria dolce.
In fondo, a quel ragazzo dall’esistenza complicata, che lo aveva fatto soffrire almeno quanto Geffen, Kevin voleva un bene profondo.

“Via da me stesso” – mormorò triste l’altro, aggrappandosi allo schienale – “… mi gira tutto … forse sto per vomitare cazzo!” – e, coprendosi la bocca, il giovane provò a controllare un conato piuttosto forte.

Kevin accostò.

“Dai, scendiamo a prendere un po’ d’aria e poi ti liberi, credo sia la cosa migliore per te, ok?”

Tim annuì tremando, così che il musicista recuperò un plaid nel bagagliaio e lo avvolse con cura.

“C’è una panchina, sediamoci, poi ti prendo un caffè al chiosco, anzi facciamo due” – sorrise, dandogli un bacio sulla tempia sinistra, mentre lo stringeva a sé, ormai già accomodati su quel granito gelido, davanti all’oceano.

Le lampadine del furgoncino di panini e bevande calde, poco distante da loro, ondeggiavano nel vento.

Sembrava una danza: ipnotica e colorata.

“Perché fai questo … Io non lo merito” – disse piano Tim, guardando l’orizzonte scuro e lontanissimo.

Kevin lo guardò, sollevandogli il mento con l’indice destro – “Perché tu avresti fatto lo stesso per me, se ne avessi avuto bisogno: non ho dubbi”

Tim si rannicchiò meglio – “Grazie …”

“Lo vuoi quel caffè?”

“Sì … Magari con una ciambella, sono a stomaco vuoto”

“A proposito, come va?” – e rise, scompigliandogli i capelli.

“Insomma … Si è calmato … Una volta reggevo meglio l’alcol”

“A me non sembra, sai? Quanti ricordi …” – inspirò, cercando degli spiccioli nei jeans – “Torno subito, non scappare”

“E dove potrei andare?” – replicò mogio, seguendo i suoi movimenti con lo sguardo arrossato ed il cuore in gola.

Come un tempo.




Tom si era allontanato per telefonare ai genitori, in vacanza in Europa, per i loro trent’anni di matrimonio.

Con dispiacere, i suoi avevano intrapreso quella lunga crociera, programmata da un pezzo, ma ogni giorno telefonavano per sapere di Chris.

Reedus aveva comprato della biancheria per il collega, su istruzioni di Hiddleston, non senza sentirsi impacciato e a disagio con la commessa del drugstore, proprio davanti all’ospedale.

Con addosso una tuta sterile, anche a Norman fu consentito di fare visita al paziente, da un severissimo, ma educato Mads, pronto a festeggiare l’esito del trapianto, con una cena faraonica, per lui e Will, nel ristorante più costoso di Los Angeles.

Voleva ubriacarsi di champagne e fare l’amore sino all’alba con Graham, che non chiedeva di meglio.

Hemsworth schiuse di poco le palpebre e gli sorrise, improvviso.

Era bellissimo, un colorito sano, gli occhi pieni di stelle.

Al poliziotto della narcotici, sarebbe venuto spontaneo salutarlo con un “amore!”, però Reedus si trattenne, mordendosi la lingua.

“Ciao bastardo …” – lo apostrofò il biondo, tendendogli le mani.

Norman le carpì con vigore ed affetto, così il suo sorriso, nitido, oltre la visiera in plastica.

“Ciao stronzo, bentornato tra noi … Accidenti a te” – ed una lacrima, piovve dispettosa dalle sue iridi luminose.

“Un duro come te, che frigna … andiamo bene” – Chris rise, ma poi tossì.

“Taci, se no qui mi mandano via ed io voglio rimanere ancora un po’, ok?” – gli bisbigliò complice.

“Tom?”

“E’ al telefono con i tuoi suoceri”

“Ok … Hai preso le mutande pulite per me?”

“Eh? Ma allora ci hai sentiti quando”

“Non sono mica sordo!”

Risero di nuovo.

“Taglia sesta, sei dimagrito, forse ti si è pure ridotta l’artiglieria” – e sogghignò.

“Allora oltre al cuore, mi ci faccio mettere anche un gingillo nuovo, lì in basso”

“Ecco bravo, così Tommy non si lamenterà!” – sentenziò buffo, la salivazione azzerata.

“Mai successo, pensa a tua moglie, invece!” – e gli fece una smorfia adorabile.

Norman trattenne il fiato, per non scoppiare a piangere, per tanto era commosso da quel frangente, intimo e particolare: Chris era tornato, stava reagendo bene, forse tutto si era risolto.

Forse.




A Jared prudevano le dita e lo stomaco: avrebbe voluto avvisare Ruffalo, con un sms, informandolo della presenza di Niall da Meliti, così da riconquistare un minimo spazio nella sua vita, dalla quale il prof lo aveva ormai escluso definitivamente, dal loro ultimo incontro, precludendone la fiducia verso il cantante.

Colin lo interruppe, mentre ancora stava decidendo, se procedere o meno con quella soffiata, dagli esiti incerti.

“Tesoro non rientri? Tra poco si va a tavola ed il nonno è molto severo sulla puntualità” – scherzò l’irlandese, andando ad abbracciarlo.

Ormai Farrell aveva abbandonato le stampelle, dopo il ritorno da Santa Barbara, iscrivendosi ad una serie di terapie, supervisionate da Tom, nel part time, che il fisiatra aveva scelto, per assistere Chris il più possibile.

“Hai visto chi è arrivato, Cole?”

“Certo, ho appena salutato Niall, con Layla e Thomas: temo ci siano stati problemi con Tim, dalla loro espressione mogia” – replicò, baciandolo tra i capelli.

Era da troppo che non facevano l’amore.

Leto provò a scostarsi, senza urgenza, ma l’altro lo trattenne con decisione.

“Hai qualche problema, Jay?” – domandò senza alterarsi l’attore, fissandolo.

“No … No, affatto, è che mi sento stanco, forse sto covando un’influenza”

“Non adesso che si va in montagna, spero” – Farrell sorrise affettuoso.

“Per Natale?!” – bissò stupito il leader dei Mars.

“Doveva essere una sorpresa, però …” – e si morse le labbra invitanti.

“Il matrimonio … Ad Aspen, quindi?”

“Mi sembri perplesso Jared”

“No, ma io credevo che saremmo fuggiti in Irlanda, dribblando gli invitati” – provò a smorzare l’attimo di imbarazzo, riuscendoci a pieno.

“Veramente è una cosa a quattro …”

“Con Jude e Robert? Sì, lo immaginavo”

“Ma se non ti va, io posso”

“Figurati Cole, per me nessun problema, ok?” – e lo baciò.

Finalmente.




Geffen si appoggiò allo stipite della blindata, all’ingresso del loft di Tim, dove Kevin gli andò ad aprire.

“Che succede?” – chiese pacato il legale.

“Ciao daddy … Una crisi, per via di Mark, ecco” – spiegò un po’ teso il suo ex, a tono basso, senza sapere che Tim era appena scivolato, lungo la parete del living, dietro l’angolo dell’entrata, sino a sedersi sul parquet, nella semi oscurità della sua residenza, ormai senza più nessuno dei suoi cari.

“Non mi fai entrare?” – Glam sorrise.

“Meglio di no: Tim si è appena calmato, dopo una mezza sbronza”

“Ok … Tu e lui facevate una bella coppia, sai come la penso”

Kevin si ossigenò, senza mai smettere di guardarlo – “Io non so bene ciò che voglio e tanto meno lo saprà lui, non lascerò precipitare gli eventi, non questo giro” – affermò lucido.

“Nemmeno con me?” – e gli accarezzò lo zigomo destro.

“Daddy tu sei una parte del mio destino, sia che mi guardi indietro, che verso il domani e non solo per Lula, dovresti averlo capito” – sorrise a metà, con una lieve esitazione nella voce.

Geffen lo avvolse, improvviso, ma con tenerezza, infilandogli le mani grandi, sotto al pullover, dove Kevin era nudo e bollente.

Si baciarono.
Con naturalezza.

Poi Glam lo liberò, da quel tentacolare approccio, dove perdersi sarebbe stato così semplice; come chiudere quella porta ed andarsene con lui o senza di lui.

Geffen rimase oltre la barricata, che Kevin innalzò sul proprio ieri, senza ipotecare alcun futuro.

Quindi tornò nella sala, le luci spente.

“Perché rimani?” – domandò fragile Tim.

Il ragazzo conosceva ormai alla perfezione certi meccanismi, dal capo branco ai cuccioli, di quel particolare clan.

“Ehi, cosa fai lì, al buio, stropicciato come la carta di un cioccolatino?”

Kevin gli stava sorridendo, infine si inginocchiò, permettendo alle rispettive fronti di aderire, come due calamite, di segno opposto.

“Noi siamo come pianeti, Kevin, mentre Geffen è il Re Sole …” – quasi si sfogò, tra timidezza e dignità.

“Sbagli … Tu sei una stella ed eri il mio tesoro più bello, con il nostro Lula e poi Layla … Ora c’è anche Thomas ed io sono pronto a volergli bene, a provarci, senza fretta, con serenità … Se tu sei d’accordo, Tim”

Ne seguì un silenzio, bagnato dalle lacrime di entrambi, caduti in un abbraccio, fatto di tepore e di mille possibilità.

A loro ne bastava una.
Una soltanto.



 AUGURISSIMI A TUTTI VOI PER UN FELICE 2016
e grazie a chi mi segue e legge anche qui :-D
Maria Rosa








Nessun commento:

Posta un commento