martedì 19 gennaio 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 41

Capitolo n. 41 – nakama



Kevin si soffermò a lungo, nell’incavo alla base del collo di Tim, con la testa spettinata e riversa all’indietro, mentre l’altro lo baciava e leccava piano, muovendosi in lui, con la stessa lentezza e contemplazione amorevole.

Vennero a poco a poco, riscoprendosi, come se fossero stati in viaggio da troppo tempo, con la voglia di condividere nuovamente qualcosa di importante.

“Ne vuoi una anche tu?” – Tim lo chiese, dopo essersi girato sul fianco sinistro, per arrivare al comodino e frugare nel primo cassetto, dove teneva le sigarette.

“Fumi ancora?” – Kevin sorrise, imitandolo, speculari, adesso, a fissarsi.

“Di rado, quando” – e si morse le labbra, abbassando lo sguardo celeste e liquido.

“Quando vuoi vincere l’imbarazzo?” – e lo accarezzò, sugli zigomi, trattenendo il fiato.

Tim annuì, poi gettò tutto tra le lenzuola disfatte, Camel, accendino, difese, appendendosi a lui, che non chiedeva di meglio, perché cullarlo, era la maniera per sentirlo davvero vicino, come nessuno.

L’emozione era troppa, per essere trattenuta stupidamente.
E lo sarebbe stato anche lasciarsi, confondersi, esitare: volevano andare sino in fondo, senza più rimandare.

Dal cassettone una foto sembrava guardarli: nello scatto c’erano Niall, Tim ed i bimbi.

Quello era il passato, pensò Kevin, senza turbarsi oltre il necessario: era certo che Tim non lo avrebbe più deluso.

Il bassista, del resto, non gliene avrebbe dato alcun motivo: questo l’impegno, che Kevin si stava prendendo mentalmente, stringendo l’ex a sé, ancora più forte, per poi baciarlo, appassionato e presente, più che mai.




Horan se ne stava rannicchiato sopra un ampio davanzale, il palmare tra le dita gelide, a scorrere immagini, dalla galleria, dove mai aveva cancellato un solo scatto.

Era la sua vita, cristallizzata da un obiettivo e da un momento, divenuto un ricordo, più o meno importante, per lui.

“Ehi, perché non scendi a mangiare qualcosa?”

Il tono di Jared era simpatico, così il suo sorriso maturo.

Niall scosse il capo biondo, gli occhi come fanali, puntati ora sul leader dei Mars, fermo sulla soglia della camera verde.

“Ho lo stomaco chiuso” – e deglutì a vuoto.

“Perché non lo chiami?” – chiese dolce Leto, avvicinandosi.

“Non credo che Tim abbia voglia di sentirmi”

“Io mi riferivo a Mark” – una risata lieve, a quel punto, le mani in tasca, la schiena appoggiata alla parete tappezzata di smeraldo ed oro e quello che fu un mitico Joker nel lontano 2016, sembrò indurlo in tentazione.

“Mark … Temo sia anche peggio” –  Horan si sforzò di sorridere, tirato e stanco.

“Non sono d’accordo … Lui ti ama così tanto” – replicò serio.

“Voglio calmarmi, avere le idee più chiare possibili, Jared, non posso farlo soffrire una seconda volta: non me lo perdonerei, te lo assicuro” – disse fermo.

“Non mi somigli … Per tua fortuna” – l’ennesimo sorriso, più sconsolato.

“Essere impulsivi, istintivi, dona grande fascino, lo ammetto, però …”

“Però non ti fa crescere mai, Niall, hai perfettamente ragione”

“Ok … Magari un’insalata” – e si alzò, mettendo via il cellulare nel giubbotto, appeso ad una sedia – “… lo lascio qui, tanto nessuno mi cercherà, stanotte.”




Geffen sorseggiò un paio di aperitivi, scrutando il giardino, affacciato ad un’ampia vetrata della biblioteca Meliti, senza accorgersi dei passi alle sue spalle.

“Ciao Glam, posso disturbarti un attimo?”

“Louis … Ciao, come stai? Ma certo, vuoi da bere?”

“Cos’è?”

“Prosecco italiano, fresco e piacevole” – e lo guardò più incisivo, tracciando una palese similitudine.

Boo non ci fece caso, accomodandosi in poltrona, mentre il più adulto gli porgeva un calice dorato ed invitante.

“Ho una sete … Grazie”

“Prego … E Harry? Petra?”

“Sono giù con gli altri … buono … E’ … è per Vincent, ecco” – ed arrossì.

“Ti ascolto” – e si mise seduto, sul divano oltre al tavolino da fumo, che li separava.

“Tu sai dove si trova?”

“Ho preferito evitarlo, per non creare dei problemi, con la polizia, capisci? Se mi interrogassero, la mia coscienza potrebbe vacillare”

“Sul serio Glam?”

“Dopo quanto accaduto, Louis, la cosa migliore è prendere le distanze da Lux, per il bene di tutti”

“Ma tutti chi?! Lui non è un assassino!”

Geffen si massaggiò la nuca – “Purtroppo la sua confessione ed i fatti, oggettivamente non lasciano alternative e questo lo sai anche tu, piccolo”

Un colpo di tosse e la figura slanciata di Styles si palesò – “Il nonno sta sbroccando, vi aggregate o no?” – domandò brusco.

Tomlinson scattò in piedi – “Chiedevo notizie di Vincent a Glam, non incazzarti” – e gli cinturò la vita.

Harry lo avvolse – “Dobbiamo andare avanti senza di lui, ne abbiamo parlato o sbaglio?”

“Sì … Non è semplice, non dopo avere deciso di convivere, in armonia”

Glam aggrottò la fronte spaziosa – “Una circostanza un po’ strana …” – osservò senza pregiudizio, anche se poteva sembrare il contrario.

Styles lo guardò con un guizzo – “Vincent è la nostra famiglia, molto meno stramba di questo clan, ok?”

“Mi associo alla richiesta di Louis: non incazzarti, ok? E non con me, sai che vi ho sempre appoggiato, in un modo o nell’altro e Vincent è uno dei miei più cari amici”

“Noi lo sappiamo Glam” – Boo gli si avvicinò, staccandosi dal proprio compagno, per poi uscire dalla stanza, in silenzio.

“Mi dispiace, per la mia reazione, per Vincent, per come si sente Lou, anche Petra ne soffre, è un casino in cui Lux non doveva metterci, anche se posso comprendere le sue ragioni!” – scattò sfogandosi il riccioluto legale, che a Geffen mancava come collaboratore.

“Torna in studio da me, trasferitevi in uno dei miei alloggi sul boulevard, cambiate aria, rimettiti in sella Harry e dai una svolta al vostro matrimonio: cosa ne pensi?” – propose il più anziano.

“Ci … ci penserò” – replicò esitante il ragazzo, quindi seguì Louis, tornando al piano inferiore.

Geffen sbuffò; poi ricevette una telefonata.




Colin appoggiò i palmi aperti, sulla stoffa a quadri della camicia di Jared, che sorrise, addossato al muro, contro al quale l’irlandese lo aveva bloccato.

“Credevo stessi morendo di fame, Cole” – gli respirò tra le labbra, che l’altro gli aveva appena fatto assaporare, con un bacio suadente e bagnato.

“Infatti … Siamo qui” – e rise leggero, mentre gli slacciava la casacca, in un gesto fluido, aprendosi una visuale completa, sul busto del cantante, asciutto, tonico e tatuato.

Farrell ne baciò e succhiò ogni centimetro, intorno ai capezzoli turgidi, mentre Jared gli artigliava dolcemente i capelli e la nuca.

“Non … non possiamo farlo qui Cole” – balbettò in crisi di ossigeno – “… nei garage del nonno”

“Io volevo portarti via, infatti” – l’attore lo scrutò, senza smettere di accarezzarlo tra l’ombelico e poco più sotto, dove i jeans di Leto, si erano schiusi, come d’incanto, grazie alle manovre del moro.

“Andarsene così”

“L’abbiamo sempre fatto Jay … sempre” – ed affondò le dita, sotto ai suoi boxer, cercando un punto, ben preciso, dove risalirgli dentro e farlo gemere forte.

“Ti voglio Jay … è … è troppo tempo che”

“Lo so … mioddio Cole … mi fai venire così” – e lo attirò a sé ancora più saldamente, non senza ricambiare le sue premure, giocando esperto con la sua erezione, ormai libratasi oltre i pantaloni eleganti, che Farrell aveva indossato, sotto a una polo celeste, che gli stava una meraviglia.

Dei rumori improvvisi, li bloccarono, ma erano distanti a sufficienza, perché chi stava transitando, non si accorgesse di loro.

Era Geffen, concentrato al telefono, in una conversazione incomprensibile, per il suo tono basso e circospetto.

L’avvocato azionò il comando degli enormi portelli ad oblò quadrati e salì sull’hummer, avviandosi poi deciso verso il viale d’uscita della villa.

Jared e Colin ripresero a baciarsi, come adolescenti, complici e sintonizzati, su quella lunghezza d’onda, capace di amplificare il loro legame, ad un livello irraggiungibile, da chiunque.

Il mondo, adesso, poteva andare avanti, anche senza di loro.




Tom percepì un brivido lungo la spina dorsale e, come se avesse appena fatto un brutto sogno, spalancò le palpebre, incontrando la semi oscurità della camera, dove Chris stava riposando, ad un paio di metri dalla sua poltrona scomoda, sulla quale, ormai, il terapista trascorreva gran parte delle proprie notti, in attesa che il compagno venisse finalmente dimesso.

Il corpo di Hemsworth ebbe come un tremolio, poi il poliziotto scattò a sedere, alla stregua di un burattino, a cui avevano appena tirato i fili, senza preavviso alcuno.

Tommy ne fu sorpreso, specialmente dalla richiesta verbale, che ne seguì: “Ho fame”

“Chris …?!” – sussurrò, azzerando la distanza.

“Ho una fame tremenda, cazzo” – insistette lo sbirro, togliendosi i sensori dagli avambracci, con movenze insofferenti.

“Chris calmati” – Hiddleston accennò un sorriso, anche se scosso – “… ora chiamo qualcuno, ok?”

“Sì, ma che mi porti da mangiare!” – lo investì, prepotente, fissandolo, dopo avere acceso le luci.

“Ho paura che tu non possa ingerire cibi solidi, non come vorresti” – obiettò, sporgendosi poi oltre la soglia, controllando se l’infermiera di turno stesse arrivando.

“Ma se sto benissimo!” – e si alzò, armeggiando con un paio di ciabatte sterili, ancora confezionate in una busta di plastica, dimenticate su di una mensola, lì accanto.

“Chris accidenti! Torna a stenderti, potresti avere un capogiro!” – e lo sostenne, come se ce ne fosse bisogno, ma Hemsworth era saldo, sulle gambe e solido, anche nel guardarlo, oltre modo irritato.

Miss. Jensen si affacciò, brontolando un paio di rimproveri – “Torni dov’era, non vorrà mica andarsene in giro e farsi venire una crisi?”

Lei aveva inquadrato il carattere di Chris dal principio e non si sarebbe fatta intimidire dagli improperi, che ne seguirono, senza farsi attendere.

Ciò nonostante, il tenente si coricò, insistendo sulla necessità di alimentarsi, con qualcosa di sostanzioso.

“Ora sento il primario e poi il professor Mikkelsen, va bene? Nel frattempo si accontenti di un budino di soia, al cioccolato, ovviamente!” – e sparì.

“Ecco vedi” – proseguì Tom, con dolcezza – “… un po’ di zuccheri ti faranno bene”

“Soia? Ma scherziamo?!”

“Chris abbi un minimo di pazienza, ti prego”

“E finiscila con questa lagna, Tom! Ora chiamo Norman e gli chiedo di portarmi una pizza ed una birra, che ci vuole?” – e ridacchiò, componendo il numero di Reedus.

“Ma sveglierai tutti”

“Lui per me ci sarà in eterno, ok? E non farti paranoie, d’accordo pivello?”

Hiddleston si riaccomodò, composto, sopra ad uno sgabello, lo sguardo basso – “D’accordo …” – replicò in un soffio.

Quel miglioramento aveva un che di inquietante.

Ciò, che avrebbe dovuto confortarlo e fargli fare salti di gioia, lo aveva appena sconvolto.

Irrimediabilmente.




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