Capitolo n. 88 – nakama
Le dita affusolate di
Lukas, scesero dai capezzoli di Philip, sino al suo inguine, ancora
intrappolato nei jeans semi aperti.
Quel divano era davvero
troppo ridotto, per i loro fisici alti e atletici, ma non avevano abbastanza soldi
per cambiarlo.
Del resto erano stati
fortunati a ottenere un alloggio nel nuovo quartiere, costruito a tempo di
record, dopo il terremoto.
Il tutto grazie alla
malattia invalidante del giovane Morgan, ovviamente.
Quei palazzi, dalle
tinte vivaci, a pochi passi dall’oceano, erano brulicanti di famiglie di ogni
razza, colore e orientamento sessuale: nessuna discriminazione, li accomunava unicamente
il basso reddito e quelli della commissione Loyd-Geffen erano stati molto
oculati nel selezionare i destinatari dei bilocali già arredati e completi di
ogni confort.
Glam conosceva Philip,
archivista all’università frequentata dalle sue gemelle: lo aveva incontrato
nella biblioteca, insieme a loro, dove il ragazzo si muoveva sicuro ed educato,
pressoché timido, ma sorridente con tutti.
Anche all’inaugurazione
di quegli alveari multicolore, si erano incontrati per caso, ma Geffen mai lo
avrebbe collegato a JD Morgan.
Soprattutto perché il
ragazzo aveva usato per le pratiche, il cognome materno.
Philip, infine, somigliava
a Dana, ma, dopo il suo abbandono e l’arresto del padre, i servizi sociali lo
avevano seguito, aiutandolo negli studi e nel trovargli quell’impiego più che
dignitoso e tranquillo.
Di questo, lui, aveva
bisogno, in maniera quasi ossessiva: di tranquillità.
Di assoluta monotonia,
a dire il vero.
Quel bacio sembrava non
finire mai: erano entrambi in apnea, bellissimi, avvinghiati come un’unica
persona.
“Ehi …” – Lukas gli
sorrise, vedendolo avvampare.
Poi si soffiò via il
ciuffo biondo, con una smorfia buffa, lui che era sempre così schivo, anche
dopo ogni vittoria, con la sua moto.
Aveva vinto parecchio,
ma guadagnato poco, con la sua passione per il motocross.
Il sisma aveva mandato
all’aria il campionato, ma in primavera tutto sarebbe ricominciato, con un
nuovo sponsor e Lukas poteva farcela, finalmente, a portarsi a casa quel
benedetto trofeo.
Aveva tanti sogni.
Anche quello di sposare
Philip, ma non ne avevano mai parlato.
Tutto ruotava intorno
al suo cuore, letteralmente.
“Non … Non voglio
Lukas” – e si scostò brusco, alzandosi – “lo sai” – riallacciandosi infine i
pantaloni e recuperando la t-shirt, abbandonata su una sedia, in cucina.
“Cavoli … Ma cosa c’è
che non va, ancora?! Hai cambiato terapia o sbaglio? Hai fatto progressi …” – e
riabbassò la voce, sapendo quanto l’altro si sarebbe agitato maggiormente,
spalancando quegli occhi da cerbiatto, che lo facevano impazzire d’amore, da
anni, dai banchi di scuola.
Era Lukas a difenderlo
sempre, dai bulli, essendo ripetente e un po’ più grande di Philip, che lo
aiutava nei compiti e nelle ricerche.
“Sì, ma potrei avere
una crisi comunque e dopo mi sento uno schifo … E sai anche questo” – concluse
triste, aprendosi una coca cola.
“Ok … Mi lavo ed esco,
tanto qui non si combina nulla” – e si chiuse in bagno, per una doccia e per
dare sfogo ai propri impulsi, deprimendosi come ogni volta, che finiva in quel
modo.
Philip si incollò alla
porta, bussando lieve – “Scusami … Non litighiamo la vigilia di Natale … Posso?”
– ed entrò, spogliandosi veloce, per raggiungere Lukas sotto ai getti bollenti.
Come
le loro carezze e i loro baci, un attimo dopo.
“Ciao Jay”
La voce di Kevin, gli
arrivò alle spalle, all’improvviso.
“Ciao”
“Ti disturbo? Mi
sembravi indaffarato” – il bassista sorrise, varcando la soglia, della camera
di Rebecca e Violet.
“No, anzi, le ragazze sono
sparite” – disse con un mezzo sorriso il cantante, avvicinandosi a lui – “… a
volte si corre molto per qualcuno, ma questi se ne è già andato via”
“Vero, però spesso ci
accaniamo nell’inseguirlo” – Kevin rise leggero, senza alcun rancore, verso
nessuno.
Leto si morse il labbro
inferiore, annuendo, in quel gesto un po’ infantile, sgranando i propri
zaffiri, in un’espressione di sé, che niente era riuscito a sbiadire nel tempo.
“Ogni riferimento ai
presenti e agli assenti è puramente casuale, giusto?” – scherzò, mentre
spostava con un piede, sotto ad un mobile, alcune scarpe, lasciate in giro
dalle figlie, come al solito indecise nella vasta scelta.
“Giusto Jared … Io
comunque non mi sono mai stancato, neppure delle bugie di Glam, questo era il
problema, però ci ho messo una pietra sopra e ora fila tutto liscio, con lui,
finalmente”
“Ne sono felice,
davvero”
“E tu hai risolto?”
“Cosa Kevin?” – domandò
imbarazzato.
“I tuoi casini, perché
a me sembri un po’ sconvolto oggi e mi dispiace, credimi” – affermò serio.
Leto riprese un minimo
di distanza, andando verso le finestre, affacciate sul parco della End House.
“Non sarei io, senza il
mio caos emotivo, le mie stronzate” – replicò amaro, guardando fuori.
Nei giardini c’era un
via vai di invitati, clown e giocolieri, chiamati apposta per i bimbi del
sempre più vasto clan.
“Io vorrei solo
aiutarti, Jay”
Il suo ex antagonista
sentimentale sorrise, tornando a fissarlo – “Nessuno ci è mai riuscito e poi la
mia vita è come quella là fuori, vedi? Un circo, con sempre meno spettatori.”
JD gli spostò
quell’onda di capelli ribelli dalla fronte, utili a nascondere una vecchia
cicatrice, che Norman si procurò con un incidente in moto, poco più che
ventenne.
Era uno sciagurato,
secondo i genitori, che mai avrebbero creduto al suo ingresso in polizia,
quando Reedus uscì dall’ospedale, risoluto a cambiare, a dare loro qualche
minima soddisfazione.
E ci riuscì.
Prima che morissero in
un incidente ferroviario, l’anno successivo alla sua ammissione al distretto.
Morgan posò un bacio,
su quel segno, un marchio del destino, forse.
Norman stava ancora
dormendo, ma non abbastanza per non percepire il suo profumo caldo e quello
delle ciambelle, che l’uomo gli aveva scaldato e messo sul comodino.
“Devo andare” – mormorò
il più anziano.
“Ci vediamo dopo la
mezzanotte, allora?” – sussurrò lo sbirro, dandogli una carezza sulla barba ben
definita.
Jacob aveva preteso uno
staff in ordine, per quel giorno speciale, ma Melody lo avrebbe deluso di
certo, con le rinnovate chiome, tinte rosso rubino, per l’occasione natalizia,
un segreto rivelato solo a JD, favoreggiatore simpatico di ogni sua iniziativa
stravagante.
Jacob era un
rompicoglioni, come tanti padri, in fondo, ma pagava bene e, almeno a Morgan,
non obiettava mai nulla.
“Sì, dai un bacio alle
tue principesse da parte mia, ok?”
“Ok”
“Lo farai davvero,
Norman?” – chiese un po’ dubbioso.
Reedus lo baciò
intenso.
“Prometto che lo farò. A
più tardi, JD.”
“Un penny per i tuoi
pensieri”
Scott esordì in quel
modo, old style, palesandosi in una saletta, dove Paul se ne stava rannicchiato
in poltrona, davanti ad un caminetto quasi spento.
Il medico lo ravvivò,
inginocchiandosi, per aggiungere un po’ di legna sul fuoco scoppiettante d’arancio
e oro.
Era informale, nella
sua innata eleganza e bellezza, matura, ma inossidabile.
Rovia inclinò la testa,
seguendo i ricami, che le rughe avevano disegnato sul volto dell’ennesimo “zio”
acquisito, ai tempi in cui, Scott e Glam frequentavano assiduamente villa
Nelson.
“Sono una pessima
compagnia e i miei pensieri non valgono neppure quel penny, temo” – e sorrise
mesto, innocente e seduttivo, anche senza volerlo.
“Non lo credo affatto,
sai Paul?” – e si rialzò, avvicinando una sedia, per accomodarsi lì, accanto a
lui e alla sua malinconia.
“In fondo sai poco di
me e forse anche di te stesso”
“Sì, può darsi … Ho
ancora la moto, avrebbe bisogno di una marmitta più moderna”
“Il negozio lo riapro
dopo le feste, voglio lavorare sodo, non pensare al resto” – rivelò composto.
“Non hai speranze con
Norman, quindi?” – chiese senza variazioni nel tono, mentre il cuore gli
pulsava al centro del petto muscoloso e malcelato, sotto la camicia aperta
quanto bastava per sbirciarci dentro.
“Lui è il mio passato”
“Ok … E del tuo futuro,
cosa mi racconti?” – quasi lo incalzò, cercando nella testa le parole giuste,
per proporgli di uscire insieme, magari a cena o per un gelato, anche subito,
se fosse dipeso da lui.
Rovia scattò in piedi,
armeggiando con il cellulare – “Quando ne avrò, di argomenti, ne riparleremo,
forse” – risolse sbrigativo, mandando un sms, a chi era fermo ai cancelli.
Jesse Pinkman, su suo
invito, dopo avere chiesto il permesso a Jared e Colin, era arrivato, per un
punch e lo scambio di auguri.
All’insaputa
di White. Ovviamente.
Philip stava lottando
con la cannuccia, cercando di aspirare le ultime gocce di frullato alla
vaniglia, in fondo ad un bicchiere ormai vuoto.
“Te ne ordino un altro,
smetti di fare tanto rumore” – disse ridendo Lukas.
“No, non posso superare
il limite di zuccheri giornaliero, meglio non esagerare”
“Che palle” – sibilò il
compagno, guardandosi in giro.
Il locale di Jacob era
stato rinnovato parecchio, dall’ultima volta.
Certo il Dark Blue era
una bomba, al confronto, con tutti quei tipi carini, che spesso lo abbordavano
sfacciati, sotto allo sguardo mortificato di Philip, con la scusa di chiedere
un autografo al “campione”.
Grazie ai social, Lukas
era molto conosciuto nell’ambiente sportivo e non solo.
Da Jacob, però, la
coppia aveva iniziato a frequentarsi, a dichiararsi e quel posto aveva un’atmosfera
speciale per entrambi.
JD si affacciò, prima
di uscire sotto al patio, per la pausa sigaretta.
Appena li vide, trasalì
di gioia e stupore.
“Phil … Philip!” –
Morgan avrebbe voluto trattenersi, per un sacco di ragioni, ma non ci riuscì.
Con un paio di falcate,
guadagnò il centro della sala affollata, facendosi notare dal figlio, che
azzerò la distanza, per abbracciarlo.
Forte.
Era
un miracolo di Natale, pensò JD.
Le frasi di disprezzo e
scoramento, che Phil gli urlò in faccia, dopo il processo per rapina a mano
armata e concorso in omicidio, sembrarono rimbombargli nel cervello, quasi come
un monito.
Seppure Morgan avesse
agito per pagargli quell’operazione, mai eseguita purtroppo, il senso di colpa
nei riguardi di Philip gli risultò scomodo e ingombrante, anche durante
quell’insperato incontro.
“Papà! Ma cosa è
successo? Sei fuori?!” – domandò esterrefatto.
“Sì, libertà vigilata,
per buona condotta” – continuò a mentirgli, perché non sapeva fare di meglio,
pensò JD.
“Fantastico …”
“Ti trovo una
meraviglia, sai?”
“Anche tu, cavoli … Ti
ricordi di Lukas?” – e lo portò al loro tavolo.
Il biondino non si
dimostrò altrettanto entusiasta nel vederselo lì.
“Certo … Più o meno …
Ciao, come stai?” – e gli allungò la mano destra, che l’altro sfiorò debole.
“Tutto ok … Beve
qualcosa con noi, signor Morgan?” – propose incolore.
“No, no grazie … Io qui
ci lavoro”
Solo allora, Philip
notò il grembiule logato ed una spilla ridicola, che Melody aveva appuntato sul
cuore di JD, in perfetto stile natalizio.
“Quindi ti hanno
trovato anche un’occupazione?”
“Sì, devo rigare
dritto, sai com’è”
“E dove abiti?”
“Sto con … Con un
amico, lui è divorziato, non ha i miei stessi … problemi, capisci?”
“Certo … Sì, bene, ma
lavori anche stasera?”
“Sì, devo salutarvi” –
disse a malincuore.
Chissà quando si
sarebbero rivisti, pensò Morgan.
“Ma domani è Natale,
che programmi hai?”
Cosa gli fosse
capitato, a quel cucciolo adorabile, per il quale JD sarebbe morto, questi non
riuscì a spiegarselo.
“Niente di che, penso
che andremo a berci una birra, con il mio coinquilino, ecco” – abbozzò, senza
osare oltre.
A questo pensò Philip.
“Allora potete venire a
pranzo da noi, il frigo è mezzo vuoto, ma ci arrangeremo”
“Ti faccio spesa io, è
il minimo!” – obiettò subito, felice come non mai.
Si scambiarono
indirizzi e numeri di telefono.
Facevano sul serio.
Lukas se ne stava
seduto, le braccia incrociate, mordendosi la lingua, per non rovinare quel
riavvicinamento, che non gli piaceva assolutamente, anzi, quasi lo stava
scioccando.
“Ok papà …” – e gli si
riappese al collo – “… così parliamo, ci raccontiamo delle cose … Io lavoro,
all’UCLA” – gli bisbigliò complice.
“Sono contento per te
Phil … Vado, se no Jacob mi lincia” – e rise solare, per poi sparire.
Solo
fino al giorno dopo.
Omaggio alla serie "Eyewitness" con l'arrivo di Lukas e Philip
Scott
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