Capitolo n. 87 – nakama
JD si spogliò
lentamente, una volta varcata la soglia del bagno, contemplando il corpo nudo
di Norman, all’interno del box, accarezzato da zampilli dorati di acqua e luce,
in un riverbero seducente di sé, che stava mandando in tilt i sensi del
compagno.
Alla tavola calda e sui
documenti, Morgan era diventato Jeffrey Duncan, sempre e comunque JD, per
comodità, per non confondersi e fare gaffe, per non tradirsi.
Era perfetto.
Come il profilo di
Reedus, ora, mentre il galeotto lo premeva contro le maioliche gocciolanti di
vapore, restando alle sue spalle, aderendo a lui, mentre gli baciava la nuca,
le scapole, la bocca, in un incastro bollente, fatto unicamente di loro.
A Norman piaceva
appartenergli, essere suo, di un uomo controverso e pericoloso, ma che lo
amava, senza incertezze.
Da tutta una vita,
Reedus cercava di sottrarsi ad una serie di sbagli, come l’avere messa incinta
Sara, quando erano ancora troppo giovani per avere responsabilità.
Queste ultime gli erano
cadute addosso come macigni.
Così nel lavoro, ma lì
era stato più semplice, una sorta di via di fuga dal menage coniugale,
arricchitosi con l’arrivo della secondogenita Sandra, dopo Beatrice, entrambe
amate da subito, senza riserve, da parte sua, padre comunque assente e spesso
indecifrabile.
Tutto era dovuto e lui
doveva risponderne, senza scuse.
Mentre invece avrebbe
voluto rannicchiarsi nell’abbraccio di qualcuno, capace di difenderlo, di
togliergli i pensieri, sui conti, l’arrancare sino a fine mese, da una paga
all’altra, con una moglie impiegata part time in un market, sempre in
difficoltà a fare quadrare bilanci e orari.
Le liti si erano
intensificate, al pari dell’amore di Norman nei confronti di Chris, divenuto
suo partner e BFF, a viso aperto, senza segreti, su Tom e su ogni casino
possibile, potessero combinare, per poi confidarsi complici.
L’unico dettaglio,
taciuto da Norman, riguardava i propri sentimenti, ovviamente.
Una dimensione
parallela, dove Reedus non avrebbe mai avuto spazio o chance con Hemsworth.
Con JD, però, era
finito il tempo del rimuginarci sopra, cosa che Paul era riuscito ad arginare,
solo in parte.
Paul Rovia, riportato
sull’orlo dell’abisso, per le scelte di Norman, per la sua volontà di non
rinunciare a Morgan, epicentro di quel disastro, anche se ormai ritenuto
lontano da Los Angeles e dalle esistenze, distrutte dalla sua improvvisa
comparsa.
“Che tu sia maledetto JD
…” – mormorò il giovane, inginocchiato davanti ad un tavolino, al centro della
camera, dove lui e Norman avevano sempre dormito e fatto l’amore.
Ogni notte.
La scatola di latta
rossa, era aperta sotto ai suoi occhi stanchi e segnati.
Tre siringhe allineate
e piene di un liquido giallastro, sigillato in quei tubi sottili e graduati:
una droga di sintesi piuttosto costosa.
Una bustina di coca.
Una pipetta per il
crack e due dosi di questo veleno, già pronte all’uso.
Un kit di lusso, mai
gettato da Rovia, ma custodito in un vano segreto dello scrittoio, sul quale il
ragazzo aveva provato a scrivere una lettera all’ex, senza successo.
Il suono del campanello
lo fece sobbalzare.
Paul nascose subito
quel contenitore di morte e poi scese di corsa, sperando di trovarsi davanti
Reedus, pronto ad un’insperata riconciliazione.
Sbagliava.
“Glam … Ciao” – il suo
sorriso tiepido, lo accolse senza entusiasmi.
“Ciao, ti disturbo?”
“No, anzi, accomodati
…”
“Veramente volevo
rapirti” – Geffen rise – “domani c’è la festa alla End House, non voglio tu
rimanga solo per la vigilia e tanto meno questa sera: ci vieni con me?”
Quella frase aveva un
sapore lontano, di quando il legale lo andava a prendere, per portare Rovia a
vedere le partite di baseball, per le quali il giudice Nelson non era mai
disponibile.
“Sì Glam … Ok, tanto
non ho impegni, sono sincero”
“Perfetto”
Paul scosse il capo:
nulla lo sarebbe stato mai più per davvero.
I polsi iniziarono a
dolergli, ma Norman non se ne sarebbe mai lamentato, così aperto, accogliente, vinto
dall’invasione dell’altro.
JD lo baciava,
spingendosi in lui, alternando foga e passione, a occhi aperti sui suoi cieli
senza nubi, lucidi ed estasiati, da ciò che leggeva nei quarzi liquidi di
Morgan.
La
stessa appartenenza totale.
Le sue dita, poi,
segnavano gli zigomi di Reedus, scendendo a tratti, febbrili e invadenti, a
dilatarlo maggiormente, facendogli schiudere la bocca dal disegno incantevole,
in cerca di ossigeno, perché era troppo, era così bello, dal non dovere finire
mai, se solo fosse stato possibile.
L’acqua fece scivolare
via umori e sudore, rimescolatisi in un’esplosione orgasmica da togliere il
fiato a entrambi.
Sfiniti, si tamponarono
a vicenda, arrivando al letto, ancora disfatto dalla sera prima.
Si stesero, senza
verbalizzare nulla, per una sorta di timidezza e pudore, perché il terreno
aspro, dei rispettivi caratteri, sembrava non permetterlo; non ancora, almeno.
Restarono abbracciati,
respirandosi, senza mai smettere di scrutarsi, in ogni espressione, in ogni
ansito, in ogni lacrima trattenuta a stento.
Di
pura gioia.
Il sacchetto di popcorn
era ormai vuoto, ma Jesse pescava sul fondo, le iridi spalancate sul programma
in tv, rannicchiato contro al sembiante incerto di White, sopra al divano del
loro nuovo living.
“Sei scomodo Walt?”
“Sì, un po’, ho la
schiena indolenzita” – si lamentò, senza accentuare i toni, anche se era
incazzato nero.
Quel pomeriggio senza
Pinkman intorno, era stato pesante, ma lui per primo aveva preteso che il
ragazzo uscisse, per sbrigare commissioni, sulle quali Jesse era stato poi
piuttosto vago.
La sua amicizia con
Paul, avrebbe di sicuro infastidito l’ex professore, meglio tralasciare certi
particolari, pensò lo studente.
“Il fisiatra viene
domani, ho qui i moduli, li ho compilati prima che ti dimettessero” – spiegò con
un sorriso incantevole, su quel faccino da eterno adolescente – “… mmm dunque
si chiama … Tom, Tom Hiddleston, pare sia il migliore, sai?” – provò a
confortarlo.
Nonostante i continui
brontolii di Walt, Pinkman non avrebbe mai mollato, anzi, ci aveva fatto il
callo ai suoi malumori.
“Avrei preferito una
bella indonesiana” – scherzò il più anziano, urtandolo.
La reciproca gelosia
era sempre vivida e radicata in ognuno di loro.
“Questo passa il
convento e pare sia il marito di Chris Hemsworth, il tenente che mi ha
torchiato”
White lo fissò,
spegnendo il plasma – “E tu come le sai queste cose?”
“Voci di redazione” – e
rise nervoso, ora era lui che provava a fare dell’ironia poco credibile.
“Vorrei non ripetermi
Jesse, ma sai bene che non gradisco affatto certe novità, ok?”
“Tipo?” – e deglutì a
vuoto.
“Tipo la confidenza che
hai dato a certi personaggi, come quel Geffen: ma ti sembrava il caso di andare
a parlarci, come hai fatto?” – gli rimbrottò severo.
“Ho solo pensato a noi,
a tutelarci, non voglio grane, l’ho detto anche a lui! E’ pericoloso, è
invadente, tiene le fila di tanti burattini, almeno così mi è sembrato, ecco!” –
si difese, con un’aria da cucciolo, che stava facendo impazzire White, in una
maniera, che a nessuno era concessa.
Il chimico prese un
lungo respiro – “Finiamola di litigare per colpa di questi stronzi … Vieni qui”
Jesse non se lo fece
ripetere, lasciandosi avvolgere dalle sue ali solide – “Ti danno noia le gambe,
Walt?” – chiese con apprensione, guardandolo dal basso verso l’alto.
White lo baciò, con
passione e tenerezza.
Lo
amava così tanto.
“Domani devo stare con
le bimbe”
Si erano messi a
cucchiaio e la voce roca di Reedus tagliò l’aria, senza preavviso.
“Certo” – si limitò a
replicare Morgan, assorto in mille pensieri, mentre lo teneva a sé,
cinturandolo intorno alla vita sottile, le labbra perse tra le scapole del
poliziotto, che lo aveva arrestato diversi anni prima.
In
un’altra vita.
“Ho … Ho un figlio anch’io,
sai?” – rivelò con un velo di inquietudine nel tono della voce, bassa e calda.
Norman si girò,
guardandolo – “E come si chiama? Dov’è adesso?” – domandò stranito.
“Si chiama Philip … Non
ne ho idea di dove sia, cioè non proprio”
“E sua madre?”
“La mia ex è fuggita a
Las Vegas, non voleva più saperne di me e anche di lui, in fondo”
“Philip vive qui?”
JD annuì, mettendosi
seduto, cercando una sigaretta.
“Quindi sai dove si
trova, ma non vi parlate?”
“Abbiamo avuto
problemi, non puoi immaginare quali, Norman” – rise amaro.
Era bello come
pronunciava il suo nome.
“Problemi di che
genere?”
“Phil è malato, ha una
malformazione cardiaca piuttosto rara e debilitante, i medici ci hanno
sconvolto, dopo il primo ricovero, quando lui aveva quattordici anni: giocava a
baseball, con quelli della sua classe, era in gamba …”
Reedus si sollevò, attento
al suo racconto.
“E poi cosa è successo?”
“Io non ero come tu
pensi … Ero una persona normale, con un impiego dignitoso, lavoravo in banca e
Dana faceva la commessa in una ferramenta: non andavamo granché d’accordo,
questo è vero”
“Perché aveva scoperto
che eri omosessuale?”
Sentirselo dire, fu
così strano per Morgan.
“Quello accadde dopo …
Dopo che mi ero messo in un giro sbagliato, per racimolare denaro in fretta:
Phil aveva bisogno di un’operazione, che non fece mai”
“Tu spacciavi, ti
beccai con quelli della banda di West, ma come ci eri finito con loro?” –
domandò interdetto.
“Era cliente della mia
agenzia” – rise più forte – “o meglio la sorella aveva aperto un conto,
incensurata e pulita, lei riciclava i soldi sporchi di West”
“E poi, cosa ti è
capitato?”
“Mi rilasciarono, West
pagò un bravo avvocato, ma serviva qualcosa di più sostanzioso, perché ormai
ero bruciato, quindi pensai ad una rapina, del resto persi l’impiego, così mi
ripresentai in sede con un bel passamontagna e un mitra”
“Sembra una barzelletta
JD …”
“Sì, lo immagino …
Avrei fatto qualsiasi cosa per salvare Philip, anche se ormai mi odiava, per
quello che ero diventato”
“Non c’era un sistema
per risolvere, senza ridursi in quel modo?”
“No, non c’era Norman,
ok?” – sbottò acre, spegnendo la Camel, per poi alzarsi e andare al davanzale.
“Una guardia venne
uccisa, i miei soci fuggirono: ero stato ferito, mi mollarono lì, ma io non
rivelai mai i loro nomi; entrare in galera da spia, non era il massimo … La
condanna incluse anche il concorso in omicidio, peggio di così … Dovevo
marcirci in quella cella, così mi adattai … Mi trasformai, in ciò che di peggio
si potesse pensare, per pararmi il culo, in tutti i sensi” – sorrise quasi
buffo.
“Nessuno ti propose un
accordo?”
“Certo, ma avevo paura
di rimanere fregato, capisci?”
Reedus si alzò, per
raggiungerlo – “Che fine ha fatto Philip?”
“Lui aveva un tipo, perché
Phil è … E’ come me” – quasi si schernì nell’affermarlo.
“Come noi” – Norman sorrise,
abbracciandolo.
Si baciarono,
stringendosi forte.
“Domani fai quello che
devi fare, ok Norman?” – disse piano, separandosi malvolentieri da lui, anche
se di pochi centimetri.
“Ma poi arrivo, dopo la
mezzanotte … Metto a nanna Bea e Baby e torno qui, d’accordo?”
“Chissà se mai me le
farai conoscere” – bissò serio l’ex galeotto.
“Perché no? Se tu mi
farai incontrare Philip, magari”
“Magari … Si vergogna
di me, almeno quanto Dana si vergognava di noi: ci insultò e poi ci mollò,
certo esasperata dai miei casini con West”
“Ma non le importava di
vostro figlio, del suo handicap?” – chiese con stupore Reedus.
“Andò in paranoia … Poi
le alzai le mani, lo ammetto, ci fu una lite furibonda, Dana si spaventò a
morte … Ero diventato un mostro”
“Io di te non ho paura …
Non sei come sembri”
“Forse … Forse, Norman.”
New entry . Philip
JD
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