sabato 31 dicembre 2016

NAKAMA -. CAPITOLO N. 86

Capitolo n. 86 – nakama



I soldi di Rovia servirono a comprare documenti nuovi e affittare un alloggio ai margini di Malibu, in una zona pulita, tranquilla, dove un conoscente di Reedus, gli ricambiò un vecchio favore, dando da lavorare a JD, come promesso dal non più ex poliziotto.

L’incubo degli spacciatori di Los Angeles era tornato in azione: Chris lo aveva esclamato, dandogli ampie pacche sulle spalle, appena saputa la notizia, circondato dai colleghi al distretto, dove Norman aveva ripreso servizio, ma in una sezione ben diversa.

Persone scomparse.

All’apparenza un settore meno pericoloso, ma in stretta collaborazione, purtroppo, con la omicidi di Hemsworth: in pochi venivano ritrovati, in effetti.

Avvenne tutto molto in fretta, a pochi giorni dal Natale.

Di sicuro quella non sarebbe diventata una notizia da prima pagina, ma neppure il rientro a casa di Robert, tenuto nel massimo riserbo.

Più evidente la ricomparsa in aula di Geffen, prodigo in chiacchiere, con chi gli chiedeva cosa fosse realmente accaduto: un colpo di striscio, questa la versione ufficiale, in cui pochi riuscirono a credere pienamente.

Le dimissioni di Paul, invece, vennero notate unicamente da Jesse, impegnato ad assistere Walt, ma caparbio nel procurarsi un appartamento, lui sì in Malibu, con tanto di bagno attrezzato per disabili e palestra per la riabilitazione.

Il giovane aveva persino affrontato Glam, recandosi al suo studio, per chiarire la posizione di White.

“Io non voglio grane, non siamo stati noi a cercarvi, ma quell’ex tossico, che si è messo in testa cose assurde!”

Il suo esordio fu infelice, ma Geffen non si scompose.

“E’ il padre di uno dei miei figli, Robert, quello che tu definisci un ex tossico e hai ragione, lui per primo lo ammetterebbe, ma è anche l’uomo che ti ha raccomandato al sottoscritto, perché non ti venisse torto un capello o creato qualsivoglia problema, ok?” – replicò aspro.

“Ma io non ho bisogno del magnifico Glam Geffen, per essere al sicuro in questa città di pazzi, ok? Io ho Walt e mi basta!”

Glam rise – “Dio solo sa chi vi ha veramente messo sul nostro cammino, ma ogni cosa ha un senso, ogni persona, non potete essere capitati a caso nei miei giorni, voglio continuare a ripetermelo, per resistere e non prenderti a calci nel sedere! E ora sparisci, maledizione!”


Pinkman sbuffò, imboccando la direzione indicatagli da Paul: lo stava accompagnando alla casa sull’oceano.

“Fico qui!” – esordì Jesse, un po’ infantile, mentre scendevano dall’utilitaria presa a noleggio.

Quanto prima si sarebbe comprato un pick up, simile a quello andato distrutto nel box del cottage, fatto esplodere da Walt, per non rivelare il loro laboratorio segreto, ma anche quella carretta andava benissimo.

“Era di mio nonno … Un lascito, ne ho avuti parecchi, sono morti quasi tutti” – disse incolore Rovia, cercando le chiavi nel solito vaso di ortensie, ormai secche.

“Almeno in questo sei fortunato, no?” – disse lo studente di Chimica, guardandosi intorno, le mani in tasca.

Entrarono.

In mezzo al living, un cartone ancora sigillato e degli addobbi, accatastati vicino a quell’enorme scatola.

“Avevo ordinato l’albero online, è rimasto lì” – sembrò giustificarsi Paul, passando oltre quella mercanzia, che a Jesse piacque da subito.

“Potremmo farlo, che ne dici?”

Il suo entusiasmo suonò commovente.
Doveva averne avuti pochi, lui, di Natali felici.

“Perché no … La vuoi una cioccolata? Si fa così, vero?”

Rovia l’avrebbe fatto, così, con Norman, divertendosi, come bambini.

Era tutto talmente assurdo.

Vedere il suv di Reedus, imboccare il viale d’ingresso, gli mandò lo stomaco in fiamme.

Aveva con sé Beatrice e Sandra, Bea e Baby, che ne discesero, correndo verso la villetta, che ben conoscevano.

Norman provò a fermarle, ma fu inutile.
In un attimo, le bimbe, erano già appese al collo di Paul, inginocchiato al centro della sala, con Jesse rimasto in piedi, ma spezzato, per quella sequenza crudelmente toccante.

“Ti abbiamo portato un regalo zio Paul!”

Lo dissero quasi all’unisono, le “sue principesse”, porgendo al figlio del giudice Nelson, dei disegni.

Reedus avanzò circospetto, in pieno imbarazzo.

Era anche passato a prendere la sua roba, questi gli accordi scambiati via sms, ma Rovia non credeva così presto.

“Sono stupendi …” – mormorò appena, rialzandosi – “Va vado a prendervi una cosa anch’io, ok?” – balbettò, per poi fuggire, paonazzo in volto.

E continuava a non guardare Norman.

Sparì quindi al piano di sopra, mentre le piccole si interrogavano mentalmente sulla presenza di Jesse, ma per poco.

“Tu sei il nuovo fidanzato di zio Paul?” – esordì Baby, la più rammaricata per la separazione del loro papà, da Rovia.

A loro era stato spiegato che non andavano più d’accordo, ma le motivazioni di Reedus erano suonate così deboli, la sera prima, quando aveva portato i regali a casa della ex moglie.

“No … No, sono un amico!” – Pinkman rise nervoso, grattandosi la nuca.

“Hai una fidanzata, allora?” – lo incalzò Bea.

“No anzi … Ho un compagno, si chiama Walt …”

“Ed è più bello di zio Paul?!” – lo tormentò Sandra, curiosa e vivace.

“Ok, ora finitela” – sbottò Norman, avvicinandosi.

“Perché non vai a vedere come sta?” – lo trafisse Jesse, severo nello sguardo.

“Ma tu chi sei, da dove sbuchi?” – chiese rigido lo sbirro.

Eppure lo aveva già visto, pensò, poi gli sovvenne: davanti all’ufficio di Chris e, anche allora, Pinkman stava parlando con Rovia.

Reedus alla fine salì al piano di sopra.




Farrell si fece strada tra confezioni di cattering e palloncini.
La vigilia sarebbe stata festeggiata alla End House, da tutto il loro clan, pronto a riunirsi, per l’ennesima volta, superando tensioni e ostacoli, come da “tradizione”.

Jared lo stava seguendo a breve distanza, dando le ultime, svogliate, disposizioni a Miss. Wong e al resto dei collaboratori domestici.

C’era fermento, ma non autentica gioia nell’aria.

I segni del sisma erano ancora visibili, nonostante una ricostruzione a tempo di record, della loro residenza faraonica.

Ugualmente, l’irlandese, aveva tentato un restauro improvvisato al loro legame, con quell’idea bislacca di un figlio, concepito da Jared, tramite utero in affitto di Stella.


Lui era in buona fede, ma le tempistiche risultarono sbagliate, anche se puntuali, in piena collisione con uno dei consueti periodi di crisi esistenziale di Leto.


“Cole aspetta”

“Che c’è?” – borbottò nervoso, entrando in camera.

“Senti” – il cantante gli afferrò le braccia muscolose, con un sorriso di circostanza – “… non volevo deluderti con il mio mancato entusiasmo, cioè potremmo riparlarne con l’anno nuovo, che ne pensi?”

Jared voleva riguadagnare terreno, senza saperne neppure il vero motivo.

“Temo di no” – replicò Farrell, senza astio – “… queste cose o le si vive in un certo modo da subito o se no, meglio lasciare perdere, nessun problema, ok?”

“Se lo dici tu …” – si arrese, incolore, facendo un passo indietro, mentre l’altro iniziava a cambiarsi.

“Dovresti dare un’occhiata ai cuccioli e vedere se sono arrivati i vestiti per Isy, Rebecca e Violet … C’è stato un problema nelle consegne dal negozio in centro, hanno sbagliato le taglie e dovevano sostituirli”

“Ok, sì certo” – Leto inspirò, uscendo nel corridoio, per poi appoggiarsi alla balaustra, che dava sull’ingresso, dove il via vai di gente, era aumentato.

C’erano anche Pam e Carmela, sbucate chissà da dove, intente a infiocchettare degli alberelli a palla, già colmi di luci e festoni dorati.

In un vocio festoso, apparve anche Geffen, spingendo un carrello, colmo di doni.

Lui era Babbo Natale, chi poteva negarlo?

Le iridi del leader dei Mars si riempirono di lacrime.

Jared corse via, come se si potesse sfuggire, a qualcosa che nessuno era mai riuscito a spiegargli.

E a risolvere, una volta per tutte.




Paul mise velocemente due biglietti da cento dollari, in due buste distinte, una per Bea e una per Baby.

Non era riuscito a fare di meglio.
Aveva visto molti giocattoli in un negozio del centro, prima di incontrare JD Morgan, ma non c’era stato il tempo di acquistarli.

Tutto era andato a rotoli.
Per colpa di quel bastardo.

Chissà che fine aveva fatto, si chiese mortificato il ragazzo, sigillando quelle missive tinta azzurro cielo.
Come quello stampato negli occhi di Reedus, puntati, ora, su di lui.
Tra le sue scapole magre.

Rovia si girò di scatto.

“Cosa vuoi?” – disse con il fiato frammentato di angoscia e solitudine.

“Ciao Paul … No, niente, ero preoccupato” – e inghiottì amaro, lo sguardo di nuovo basso.

Colpevole.

“Per chi, per me?” – Rovia rise mesto, tirando su dal naso, appoggiato al cassettone, giusto per non cadere.

Per non morire.

“Come stai?” – domandò l’ex, le gote vermiglie.

“Uno schifo, non lo vedi?” – sbottò senza muoversi.

“Beatrice e Sandra hanno insistito per venirti a trovare, avrei voluto avvisarti e”

“Nessun problema, questa è anche casa loro … La era, almeno”

“Sì … Dovremmo andare adesso, scusa”

“Hai fatto pace con Sara?” – chiese diretto, tanto valeva farsi male del tutto e finirla lì.

“No!”

La veemenza di quella risposta, poteva lasciare qualche speranza in Paul, ma non riuscì a crederci.

“Sarebbe stato giusto, dopo tutto questo casino … Non hai paura per loro?”

“Paura …?”

“JD è pericoloso, forse non se ne è andato, forse è ancora qui, da qualche parte, nascosto come un topo di fogna, quale è”

“Lui non sarà più un problema, ha preso il largo” – e si sentì come il peggiore dei traditori, soggiogato dai sentimenti per Morgan, che andavano oltre ogni buon senso e decenza, come lo avrebbe giudicato chiunque.


“Buon per lui …” – e gli passò oltre, per tornare da Bea e Baby, trepidanti, nell’attenderlo.

“Ecco questi sono per voi, comprate ciò che più vi piace, ok?”

“Ok …” – disse flebile Sandra, gli occhi immensi, celesti come quelli del padre, che, al pari di un fantasma, prese le loro giacche, pronto a rivestirle, per tagliare la corda.

“Grazie zio Paul” – aggiunse triste anche Bea, tornando ad appendersi a lui.

“Fate le brave ok? E venite qui quando volete, il mio numero lo avete sempre, vero?”

Entrambe annuirono, mostrando i cellulari coloratissimi, anch’essi dono di Rovia.

Ormai non c’era più aria in quell’ambiente, saturo di addii non detti.

Jesse avrebbe voluto sbattere fuori Reedus, che non avrebbe posto alcuna resistenza.

Finalmente uscirono da quella stanza e, forse, dalla vita di Paul, rimasto sul tappeto, aggrovigliato su sé stesso, senza più parole.

Pinkman sigillò la blindata e, se avesse potuto, avrebbe chiuso fuori, anche tutto il dolore, che stava leggendo negli opali di Rovia, increspati e afflitti.

Stava singhiozzando – “Mi ha portato via tutto, sai? Anche questo, anche le bimbe”

Jesse corse ad abbracciarlo.

“Non devi pensarci più e vai avanti Paul … Sapessi quante volte ho pensato che non valeva più la pena vivere e mi sono fatto del male da solo, ma tu non devi finire così, ok? OK?” – e, guardandosi, lo scrollò un minimo, anche se lo stava come cullando, un secondo prima.

Paul fece un cenno, tremante.
Poi gli diede un bacio.
Casto, di gratitudine.





JD posò la scatola di ciambelle avanzate, sopra alla mensola del microonde, guardandosi in giro, sentendosi ancora estraneo a quel nuovo rifugio, dove Norman aveva lasciato uno zaino militare mezzo sfatto sul letto e un trolley nell’ingresso senza mobili.

L’arredo era scarno, ma sufficiente: avrebbero comprato dell’altro, se necessario.
Se ne avessero avuto il tempo; non potevano ancora saperlo.

Al fast food di Jacob, era andato tutto bene: JD aveva lavorato sodo, taciturno, sorridendo appena alla simpatia della figlia del titolare, con la quale aveva subito legato.

Lei era incasinata, ma talentuosa ai fornelli.
I tatuaggi e i capelli sparati verso il soffitto, con punte viola, su una tinta arancio sole, la rendevano piuttosto stravagante, ma neppure poi tanto.

Di tipi così, nella città degli angeli, se ne incontravano ad ogni angolo, come a New York.
Morgan sognava di andarci e di portare Norman a fare una bella vacanza.
Certo non glielo avrebbe rivelato tanto facilmente, scorbutico com’era.
O come appariva.

“Ehi” – Reedus rientrò, buttando le chiavi in un posacenere vuoto, la voce roca.

“Giornata storta?”

“Più o meno …” – e si ossigenò, prendendo una birra dal frigo – “Ne vuoi?”

“No, grazie … Guai a casa?”

Norman si accomodò sul divano, indeciso se accendere la tv e dare subito un taglio a quella conversazione scomoda.

“Quale casa? Questa è casa mia” – replicò secco, fissando il 40 pollici, ancora spento.

“So che passavi dalla tua ex, di solito in queste occasioni le donne rompono” – e gli si affiancò.

“Hai l’aria stanca” – mormorò dolce – “… Jacob ti ha fatto sgobbare?”

“No, mi sono trovato bene, nessuno che rompe” – e abbozzò un sorriso.

“Meglio così” – Reedus si rialzò, lasciando la Ceres mezza vuota sul tavolino del soggiorno – “Vado a farmi una doccia”

JD si lisciò i capelli all’indietro, ripassandosi poi i palmi caldi sul viso ispido e tirato – “Mangi qualcosa con me?”

“Sì, quello che c’è … Tanto non mi va niente” – e chiuse la porta del bagno, schiantandosi contro il legno, appena sparito alla vista del suo interlocutore.

Le palpebre gli pesavano, come quel macigno sul cuore, che stentava a sciogliersi.


Era tutto così complicato.
Così impossibile.






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