Capitolo n. 68 – nakama
Robert e Jude,
indossando delle tute sterili, si avvicinarono ad Aniston, ritto in piedi,
davanti a Geffen, che lo stava ascoltando con attenzione, affiancato ancora da
Mads.
“Sì, le analisi sono
leggermente migliorate … Lo riconosco” – e il professore alzò lo sguardo sull’avvocato,
che trattenne qualsiasi tipo di esultanza, sapendo che il cammino era ancora
lungo per il loro Pepe.
Già,
loro.
“Non vi è nulla da
ammettere o riconoscere, dottore” – si intromise educato Downey, porgendo una
busta trasparente all’ex, perché si preparasse, quanto la coppia, ad entrare
dal bimbo – “… Noi, Glam, Jude e il sottoscritto, siamo i genitori di questo
meraviglioso bimbo e dobbiamo stargli vicino, qualunque cosa accada, Dio non
voglia sia il peggio” – e gli si spezzò la voce, mentre Law lo avvolgeva
premuroso, guardando Geffen, che annuì – “Sì, dobbiamo stare con lui,
nonostante i suoi veti, più che giustificati, ma è necessario” – aggiunse l’attore,
con evidente emozione.
“Rob sono d’accordo,
Peter considera noi tre, come i suoi papà e Jude è amorevole, come nessuno, con
tutti i nostri figli, però devo prima fare una cosa … Poi tornerò, ok?” – e gli
sorrise affettuoso, dandogli un bacio sulla tempia destra ed una carezza alla
spalla dell’inglese, che arrossì.
Farrell alzò lo sguardo
sul volto stanco di Jared, appena entrato in sala d’attesa, senza però alzarsi
dalla propria sedia.
“Ciao Cole …”
“Ciao … Come sta Pepe?”
– domandò, cercando una sigaretta, nella tasca interna della casacca di jeans,
sgualcita dal volontariato e da un tempo, fagocitato dal passato, ormai remoto.
Ce l’aveva dal set di
Alexander.
All’epoca era perfetta,
come tanto tra loro, in mezzo ad una marea di situazioni totalmente avverse e
inopportune, per il comportamento, spesso irresponsabile, dell’irlandese.
“Non ne ho idea: il
reparto è off-limits e Glam tiene il cellulare spento”
“Sì, giusto … Provo con
Jude” – disse frettoloso, allontanandosi da Leto, ormai ad un soffio da lui.
“Inutile che scappi
Colin” – il cantante sorrise mesto, gli zaffiri lucidi – “… non ci sei riuscito
mai … Come me, del resto” – e fece spallucce, selezionando due bibite dal
distributore automatico.
“Io non sono andato da
nessuna parte, sono rimasto qui, non vedi?” – bissò polemico, il cuore in gola.
La bellezza e il
carisma di Jared, gli rimescolavano sangue e pensieri, anche dopo così tanti
anni, dal loro primo incontro.
“Sono stato egoista,
Cole e non so quante volte è successo, ok?” – ammise il leader dei Mars,
azzerando nuovamente le distanze, senza che l’altro si muovesse nuovamente.
“Meno male che te ne
rendi conto Jay” – replicò Farrell, guardando oltre i vetri, la Cola posata sul
davanzale – “… grazie, avevo una sete”
“So sempre ciò di cui
hai bisogno, non credi?”
“Quando ti fa comodo” –
disse, mordendosi poi la lingua, per come gli zigomi del consorte, tremolarono
mortificati.
“Sei cattivo … Senza
motivo” – sussurrò Leto, andando ad accomodarsi.
Farrell prese un lungo
respiro – “Perdonami”
“L’ho fatto anche
quando non dovevo”
“L’hai fatto perché mi
ami, Jay, così come io ti amo e ho superato un numero fottuto di problemi e
ostacoli, con o senza di te!” – obiettò innervosendosi.
“Oh sì magari con Jude”
– ribatté ironico, con una risatina irriverente.
“Dio piantala, ti
sembra questo il momento e il luogo adatto per certe stronzate!?” – e gli si
parò davanti.
“Certe stronzate, come
le definisci giustamente TU, non si dimenticano, ok Cole?!”
L’attore strinse i
denti, poi le braccia esili del compagno, dopo averle afferrate senza molti
riguardi, per sbatterlo contro alla porzione di parete, nascosta dalle
macchinette self service.
“Cazzo lasciami!” – gli
ringhiò sulla bocca Leto, permettendo all’aroma del dopobarba di Farrell, di intossicargli
le narici.
“Nemmeno se mi paghi” –
sibilò il moro, incollandosi a lui, con il resto del corpo, per immobilizzarlo,
così come stava facendo ora, con i polsi di Jared, alzandoli oltre alla sua
testa, mentre lo baciava invadente e gli apriva le gambe, simulando quasi un
amplesso, nonostante fossero completamente vestiti, ma terribilmente eccitati.
“Se sei un cane in
calore Cole” – gli gemette sotto al giugolo, dove la fronte madida di Leto finì
per capitolare e appoggiarsi.
“E tu sei la mia
puttana Jay” – gli ansimò tra i capelli, mentre veniva, sotto a quei pantaloni
cargo, dove non indossava niente.
Tremarono, travolti dai
rispettivi orgasmi.
Era da un pezzo, che
non si ritrovavano in quella maniera così viscerale ed un po’ grezza.
Come piaceva a
entrambi.
Inutile
rinnegarlo.
I ceri accesi saranno
stati un centinaio, di colore rosso, con quella fiammella nel mezzo, che
ballava nell’aria, se qualcuno si avvicinava alla statua in legno, di Cristo in
croce.
Come aveva appena fatto
Glam, senza mai smettere di fissare quel simbolo, di una religione, che non
aveva mai sentito come propria in senso assoluto.
L’uomo si inginocchiò,
congiungendo le mani grandi, per poi ossigenarsi.
“So che sarebbe facile
dirti, prendi me, non lui, che è un cucciolo e merita di vivere ancora tanto,
ma non funziona così, vero?” – esordì pacato e in un tono fatto di dolcezza,
come sempre accadeva, quando Geffen parlava dei suoi figli – “… In compenso non
so, tu cosa pensi di me, sai? Di ciò che ho fatto e non ho fatto, nel bene e
nel male … Di come sono quasi morto e di come non ho tolto il disturbo … Di
Lula … Di questa famiglia, che è la mia vita” – e si commosse, ma si riprese
immediato.
“Non che tu mi debba
dei favori, per il dolore, che ho subito, per la malattia, per la perdita di
Syria, per le disavventure di soldino … Temo di non averti mai ringraziato
abbastanza, per avermelo ridato, non credi? Tu mi hai insegnato a non perdere
la speranza, quindi riconosco i tuoi meriti, anche se in ritardo, vero?” – ed inspirò
greve – “… Forse volevo farlo di presenza, andandomene da qui, raggiungendoti
da qualche parte, magari senza rimanere, perché sono così imprevedibile, ma non
per te” – ed alzò i turchesi, concentrandosi sulle gocce di sangue, scolpite
tra le spine, della corona di rovi.
“Ho sempre pagato a
caro prezzo, le mie scelte, come è capitato a te, giusto? … Ora ti chiedo di
non presentarmi il conto, per avere accolto Peter nei miei giorni, anche se ero
disperato, quanto lui e ci siamo salvati a vicenda … Tutti mi avevano
abbandonato, ma Pepe era pronto ad amarmi, a ridarmi la forza di riavere
dignità ed umiltà, nei miei gesti, nella mia sofferenza, per avere perduto Lula
… Forse è il suo destino, soffrire così adesso, forse non dipende da me … forse
non è colpa mia … Forse sì” – e si passò i palmi gelidi, sul capo rasato.
Un tocco lieve, tra le
scapole, lo fece sobbalzare.
“Papà …”
“Lula?!” – lo accolse
stranito, parlando, però, sotto voce.
“Pepe è sveglio” – e gli
sorrise, tirandolo per la stoffa del gilet mimetico.
“Ma va tutto bene?” –
domandò ansioso.
Soldino fece cenno di
sì.
“Dio ti ringrazio!” –
esclamò Geffen, segnandosi svelto, farfugliando delle scuse per la fretta, con
cui voleva andarsene.
Troppa, per accorgersi
dell’occhiolino, che Lula schiacciò, in direzione dell’altare, per poi seguirlo
felice.
L’officina non aveva
subito molti danni e, districandosi tra i turni alle mense e il reparto
infantile del Saint Jonas, Paul e Norman trovavano il tempo anche per
alternarsi, negli uffici della loro attività, perché non morisse sul nascere.
I pezzi di ricambio
erano gestiti da Rovia online, senza ritardi nelle consegne, al di fuori della
California, dove la passione per le HD, non era più in cima alle priorità dei
numerosi appassionati, mentre Reedus completava riparazioni e messe a punto,
lasciate in sospeso da prima del terremoto.
Paul, con ancora negli
occhi e nel cuore le risa dei pazienti in erba, della sezione oncologica, under
16, riunì le schede degli ordini evasi, in un cassetto, stranamente vuoto.
Apprendere da Geffen,
che Pepe era notevolmente migliorato, gli aveva dato un’immensa gioia.
Il rombo di un
centauro, quasi disturbò la sua quiete interiore: strano fosse un cliente, ma
il giovane andò subito a controllare.
“Scott …?”
“Ehi ciao!” – lo salutò
il diagnosta, togliendosi il casco semi integrale.
“Ciao, non sapevo ne
avessi una” – Paul rise, indicando il suo bolide su due ruote.
“Era di mio fratello …”
“Era?”
“Ci è morto, per colpa
di questa principessa, lui la chiamava così: era distrutta, ma, ricostruendola,
a poco a poco, era come ritrovare Josh, visto che lui viveva per la sua moto” –
spiegò, con una naturalezza, che confermava la metabolizzazione di un lutto
molto grave per lui.
“Mi dispiace Scott …
Forse ne avevo sentito parlare, ma era un periodo difficile anche per me, ecco”
“Sì, rammento” – e scese,
togliendosi il chiodo, per appoggiarlo sulla sella, un po’ logora, come altre
parti di quel gioiello.
“Tu frequentavi casa
nostra, ogni tanto, con Glam”
“Vero, sembra passato
un secolo” – e lo scrutò, nella sua acerba e indiscutibile avvenenza.
“E’ passato un secolo!”
– Rovia rise spontaneo e pulito.
“Se questo è il tuo
modo, per darmi del matusa, ci sei riuscito, ragazzino!” – scherzò anche Scott,
senza prendersela.
“Hai saputo di Pepe?”
“Sì, ero in ospedale,
siamo tutti sollevati, anche se ora dovremo sottoporlo all’operazione, perché non
perda gli arti inferiori”
“Certo … Una cosa alla
volta …”
“Ovvio Paul, ma non
dobbiamo tergiversare: innesteremo un impianto di viti e bulloni, un po’ come
servirebbe alla mia Betsy”
“Betsy? Carino come
nome … Ok, facciamo una lista, se sai già cosa ti serve: per l’assetto può pensarci
Norman, se tu non hai un meccanico di fiducia, ecco” – propose timido e
adorabile.
Nominare Reedus, gli
dava sensazioni magnifiche.
A Scott non sfuggì,
come molti dettagli, nel suo interlocutore.
“Forse dovrei lasciarla
qui e lasciare fare a Norman, per non dimenticare qualcosa, che ne pensi?”
“D’accordo …”
“Fare cosa?” – Reedus era
appena giunto sulla soglia, dove colse unicamente l’ultima parte della loro
conversazione.
“Ciao amore” – Rovia si
precipitò da lui – “Questa è Betsy, necessita delle tue cure e abili mani”
“Soltanto lei?” – gli soffiò
nel collo l’ex sbirro, dandogli poi un bacio, mentre sbirciava di sottecchi
Scott, lanciandogli segni inequivocabili.
“Oh ma dovevi vederlo,
per poco non pisciava intorno a Paul e segnava il territorio, un perfetto
maschio Alpha”
Brendan Laurie rise di
gusto, ascoltando la cronaca di Scott, sul suo incontro con Norman.
Stavano completando una
serie di vaccinazioni, in un quartiere malfamato e distante dal centro di Los
Angeles, non senza la vigile sorveglianza di Vas e soci, anche loro impegnati a
fare delle riparazioni, all’interno dell’ambulatorio, piuttosto disastrato, dal
sisma e dai vandali.
“Tu in compenso, volevi
fare lo splendido, a bordo di quella meraviglia smarmittata?” – chiese,
provocatorio, l’analista, congedando gli ultimi visitatori.
“No, anzi … Ok, ok, lo
sanno tutti che sono in crisi con Jimmy … Anche questo cataclisma non ci ha
aiutati …”
“E ti stai guardando in
giro, Scotty?”
“No … Forse sì … Oh
insomma, Paul è magnetico, mi manda su di giri e non vedevo l’ora di rimanere
qualche minuto insieme a lui, dopo averlo monitorato alla villa di Palm Springs”
– rivelò complice.
“Su di giri? I
riferimenti da moto GP sono sempre casuali, vero? Stai attento a non fondere il
motore …”
“Credi non abbia almeno
una chance? Se c’è riuscito quel buzzurro”
“Scott, ma cosa ti
prende?” – replicò con stupore Brendan, mentre risalivano sull’Hummer di Vas.
“Giocherò le mie carte,
ok?” – e rise, un po’ nervoso.
“Non ho dubbi … Sempre
che Norman non te le faccia ingoiare, con tutto il pacchetto!”
BRENDAN
NORMAN
PAUL