Capitolo n. 56 – nakama
Fu il capo della
polizia in persona, Steven Clark, a convalidare le sue dimissioni.
In pochi sapevano, che
lui e Reedus, si davano del tu.
“Sei proprio sicuro
Norman?” – chiese cupo, all’altro lato della sua scrivania, in quercia
massiccia.
Il suo ufficio era
lussuoso e funzionale, ben diverso dal marasma, che vigeva al distretto,
soprattutto nella sezione antidroga.
“Certo Stevie e poi” –
il tenente prese fiato – “… la mia vita, sta subendo dei profondi cambiamenti”
“Allora le voci sono
vere …” – bissò perplesso, versandogli un eccellente scotch.
“Quali voci?” – e
Norman lo bevve in un unico, vigoroso, sorso.
“Su Sara, che siete in
crisi, ecco”
“Confermo” – e tossì,
alzandosi, tendendogli la mano destra, che l’altro strinse, con trasporto.
“Sarai sempre il
benvenuto, se cambiassi idea, ok?” – Clark sorrise.
“Ok”
“Magari se ti cambiassi
di sezione, forse è quello il problema …” – azzardò, in un estremo tentativo di
trattenerlo in divisa.
“No, non si tratta di
quello, davvero: ti chiamerò ogni tanto, spero di non avere bisogno dei favori”
– scherzò, comunque teso.
“Figurati, io per te ci
sarò sempre, lo sai”
Una pallottola, lo
avrebbe ucciso due anni prima, proprio sugli scalini di quel palazzo, se Norman
non gli avesse fatto da scudo, beccandosi una calibro 22 nel polpaccio sinistro.
Un male cane.
Una nuova cicatrice,
per la quale i colleghi lo avrebbero sfottuto a vita.
Una vita, che Reedus,
non avrebbe più condiviso insieme a loro.
Ormai.
Sara si sentì in
disordine, colpita anche nella propria vanità, in imbarazzo davanti a
Hemsworth, che si presentò a quell’ora strana, mentre le bambine erano dai
nonni materni.
“Scusami, non volevo
disturbarti” – esordì educatamente il poliziotto, fermo sulla soglia, oltre la
blindata, che la donna chiuse solerte, appena il biondo si accomodò, ad un suo
cenno.
“No, anzi, un volto
familiare, non guasta, specialmente in questo periodo” – e tornò a
rannicchiarsi sul divano, in tuta e infradito.
“Cercavo Norman”
“Lo vedo pochissimo”
“In che senso?” –
domandò preoccupato.
“Da quando siete
tornati dalla montagna, è rimasto con noi per poche ore, con la scusa del
lavoro, dei turni, ma erano balle, giusto? Poi mi arriva questa, ieri” – e gli
porse una lettera, di uno studio legale.
Chris ne lesse
velocemente il contenuto: “Divorzio … e affido condiviso di Beatrice e Sandra?”
– mormorò stranito.
Sara lo puntò severa –
“Ha un’altra?! Avanti dimmelo Chris, almeno tu sii sincero, perché LUI continua
a mentirmi!!”
Hemsworth si ossigenò,
sentendosi così simile a lei, in quell’istante – “Credo che non abbia un’altra,
ma di più non so, dovete parlarne voi, qualsiasi cosa gli sia successa, per
portarlo a questo” – affermò schietto.
“A te, invece, cosa
è successo?
So che Tom ti ha piantato” – replicò brusca e cattiva.
Lo sbirro si alzò –
“Infatti … Comunque, se incroci il tuo ex, dagli il mio messaggio, per favore:
devo parlare con lui, grazie”
“Ma non avete più gli
stessi turni?”
Chris la fissò – “Non lo
sai, allora … Norman si è licenziato, me lo hanno detto stamani i ragazzi”
“Che … che cosa??!”
Louis si guardò
intorno, con aria vivace, seduto al bancone del bar.
Poi la vide.
Quella signora, che
Vincent le aveva mostrato in foto, con le sue bimbe, che, ora, forse, lo
stavano già chiamando papà, rimuginò Boo.
Lei si avvicinò,
asciugandosi le mani in uno strofinaccio pulito.
Era più paffutella,
rispetto a quell’istantanea.
Anzi.
Sembrava incinta.
Tomlinson perse un
battito.
“Desidera?” – chiese gentile.
“Un … non saprei,
qualcosa da bere, di forte” – e deglutì a vuoto, spalancando quei fanali
azzurri, che potevano fare innamorare chiunque.
O ucciderlo …
“Temo di non poterla
accontentare …” – rise – “… per i cocktail, l’esperto è mio marito, io potrei
farle una spremuta” – stranamente non dava confidenza agli avventori, seppure
sembrasse socievole.
“Vincent fa il barman?!”
Lei inarcò un
sopracciglio – “Vincent …?! No, Augustin veramente … Monsieur Lux è il
proprietario, si arrangia appena con i caffè, vede: si è fissato a fare gli
espressi all’italiana, lui che è di Parigi, buffo, vero?” – e rise più
disinvolta.
Louis avvampò.
“Ma … Io, io sono amico
di Vincent”
“Ah, la sua cricca, di
Los Angeles, il boss vi ha chiamati così, mentre mi faceva registrare le vostre
stanze: volete salire? Dov’è il resto della ciurma?”
“Miseria …” – la voce
di Styles, gli trafisse la nuca.
Louis si girò di scatto
– “Hai capito Hazza, lui ci ha”
“Ok, OK, adesso andiamo
a rinfrescarci e poi lo cerchiamo!” – sibilò il ricciolo, palesemente
incazzato.
Boo lo seguì senza
obiezioni, scoppiando di gioia dentro di sé.
“Domani è il grande
giorno, vero daddy? E meno male che Tim e io, abbiamo lasciato Layla e Thomas,
da Mark e Niall!” – sbottò Kevin, buttando i bagagli di Geffen in un angolo, di
quella camera disadorna, ma immacolata.
“Dov’è Tim?” – chiese
lui, senza scomporsi, mentre si accendeva un sigaro.
“Ma cosa fai?!”
“Fumo, non si vede?” –
e rise, nonostante provasse un certo nervosismo.
“Tim è con Lula, ovvio!
Sono in spiaggia” – e si strofinò la faccia, crollando sul bordo di un sofà,
verde mela.
Glam gli si fermò
davanti, accarezzandogli i capelli dorati e corti.
“Vai a riposarti …
Chiamerò Miriam prima di cena” – disse pacato.
“No, voglio prendermi
una sbronza in anticipo sul veglione e scopare mio marito fino all’alba!” –
ruggì, scattando in piedi.
Geffen rise sonoro –
“Mi raccomando, non confonderti tra ex, meglio se resti sobrio!”
“Ma va al diavolo,
Glam!” – e gli diede uno strattone, facendosi strada verso l’uscita, ma il più
anziano lo trattenne, con un gesto caparbio e poi voluttuoso.
Ad un centimetro dalla
sua bocca, Kevin poteva percepirne l’alito insaporito dal costoso tabacco,
arrotolato a mano, oltre al dopobarba, che Geffen non aveva quasi mai cambiato,
negli anni.
“Daddy …” – fu un
sussurro.
Glam lo lasciò andare.
Solo dopo averlo
abbracciato.
Con sconfinata
tenerezza.
Un asciugamano, steso
tra un gruppo di scogli, scomodo da raggiungere e quindi discreto.
Perfetto, per ciò che
Farrell, desiderava dall’atterraggio a Buenos Aires.
Durante il
trasferimento in taxi, dall’aeroporto a lì, non aveva mai smesso di toccare
Jared, nascondendo le sue manovre intime, sotto ad una vecchia camicia di
jeans, che l’irlandese si era sfilato da subito, restando mezzo nudo, in jeans
strappati ed espadrillas multi colore, appena comprate al duty free.
“Cazzo che caldo!” – si
era lamentato al checkout, imperlandosi di sudore, che Leto avrebbe leccato,
affossato sul sedile di quel catorcio giallo canarino, accodatosi ad altre
quattro auto simili, per giungere al locale di Lux.
Adesso, la brezza
marina, aveva asciugato i loro corpi, scaldati da altri piaceri, più lascivi e
intensi.
Le spinte di Colin,
aumentavano, allo scoccare di ogni minuto, mentre si ingrossava in lui,
invocandone il nome all’infinito.
“Jay … Mioddio Jay …
eccomi”
Un morso, un suono più
gutturale, un ansito salato ed umido, poi l’eclissi.
Il cantante si era
appeso al suo collo, dove baciava e succhiava, in piena estasi, mentre venivano
copiosi e simbiotici.
Fu uno splendido modo,
per anticipare quella fine d’anno, così travagliato e complesso.
Paul stava preparando
dei sandwich, un po’ troppo vegetariani, per i gusti di Norman, che gli arrivò silenzioso
alle spalle, per poi farlo sussultare, come una molla, mentre lo cinturava da
dietro, sollevando, quasi Rovia fosse una piuma.
“Ehi!! Non voglio
morire a 33 anni di infarto!”
Reedus lo fece roteare,
baciandogli il collo liscio – “Come Gesù? Un po’ gli somigli!” – lo canzonò,
ridendo come un quindicenne.
Ed era così, che Norman
si sentiva: innamorato, il cuore a mille, lo stomaco leggero.
“Bentornato a casa …” –
disse piano il giovane, baciandolo poi con dolcezza.
In fondo, voleva
rimandare certi quesiti impellenti, ma poi non volle evitarli oltre.
“Hai fame? Ho fatto
questi …”
“Senza prosciutto?”
“Io ci tengo alle cosce
dei maialini!” – e rise, giocoso, solare.
Bellissimo.
“Ok Paul” – sospirò,
afferrandone uno – “… mi abituerò anche a questo”
“Ti dispiace?” –
replicò il ragazzo, sedendosi su di uno sgabello alto, appoggiando i gomiti
alla penisola della cucina.
“No” – Reedus lo
guardò, penetrante, oltre ogni considerazione.
“Come è andata?” –
chiese cauto.
“Prima parte del film
bene, direi … Il secondo tempo, con Sara e le cucciole è solo rimandato di poco”
– masticò amaro – “… diciamo che mi preparo al gran finale, ecco”
“Ti massacrerà?”
“Non mi ha ancora detto
niente, per le carte della separazione, ma so che le ha ricevute”
In quell’istante, un
cellulare suonò.
“E’ il mio … Cavoli è
lei … E’ Sara” – e lo guardò in ansia.
Paul incrociò le dita,
mostrando quel gesto bene augurante al compagno, che, dopo una prima
esitazione, si decise a rispondere.
Soldino rientrò veloce,
per cambiarsi e scendere a mangiare con Glam, già pronto da almeno un quarto
d’ora.
“Monello, arriveremo in
ritardo” – esclamò, restando nell’antibagno, arredato con mobili in vimini
bianco, essenziali, ma pratici.
“Arrivo subito!
Pista!!” – e ripassò, sotto al naso dell’avvocato, per fiondarsi verso un
cassettone, dove i suoi vestiti erano stati riposti al meglio da Kevin.
Qualcuno bussò.
Era Jared.
Geffen lo accolse gradevole
– “Ciao entra pure … Tutto a posto?”
“Sì, a posto … Colin
sta divorando mezzo buffet, temo che non ci resteranno che le briciole” –
sorrise, notando l’abbigliamento di soldino.
“Che belle tonalità
Lula, sembri un arcobaleno”
Lui sembrò non dargli
retta, restando fermo, tra il comodino ed una sedia, senza voltarsi.
Glam aggrottò la
fronte, poi si avvicinò al figlio – “Lula …”
Di nuovo quello
sguardo, vitreo e opalescente, capace di destabilizzare Geffen in maniera
totale.
“Jay è … è meglio che
tu vada”
“Perché?” – il leader
dei Mars rise, addentando una mela, presa dalla cesta di benvenuto.
“Vattene accidenti!” –
esplose, guardando Leto, come non aveva mai fatto prima.
“Ok …” – Jared indietreggiò,
senza comprendere, poi gli ubbidì, senza ulteriori repliche.
Un lieve rantolo, poi
una risata stridula – “Davvero lui non si
arrende, sai? Ti pensa ancora, ti vuole ancora, ma resterà una puttana,
immeritevole dei tuoi sentimenti”
“E tu mi vorresti
difendere anche da questo?! Da lui? Dai miei ex?!” – protestò l’uomo,
inviperito e mortificato, per l’occhiata turbata, con cui Leto lo aveva
tacitamente salutato, prima di sparire.
“Sono
più pericolosi di un terrorista armato” – e si avviò alla
finestra, per scrutare l’orizzonte, il capo inclinato verso oriente.
“E in cambio di cosa,
mi offri la tua protezione, sentiamo?!” – Geffen lo tallonò, più risoluto.
Lula o meglio, ciò che
si era impossessato di lui, lo fissò – “Restare
qui … Vivere … Respirare”
Poi svenne.
“Mio Dio! Lula!!”
Glam lo raccolse,
amorevole, disperato.
Il bambino schiuse le
palpebre, in affanno – “Mandalo via papà … Mandalo via”
Lula,
ora, sapeva.
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