sabato 2 aprile 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 53

Capitolo n. 53 - nakama





Gli zigomi di Jared tremolarono, al tocco di Colin.

Si stavano guardando, sereni, dopo l’invito del pastore a scambiarsi i voti nuziali.
Un impegno, reciproco, che il tempo aveva segnato e mutato spesso, nei contenuti, ma lasciandone inalterata l’essenza.
Fortunatamente.

Poco distante da loro e dall’altra coppia, che stava per imitarli, Glam Geffen osservava attento la cerimonia, alternando i propri turchesi, dal volto di Leto a quello di Downey, legato al suo Jude, in una posa inconsueta, per quel momento.

A loro piaceva stare così, perché era così, che si erano sempre sentiti e cercati: in un abbraccio, solido, caldo e accogliente.
Senza più bugie e paura di perdersi.
In nuovi abissi.

“Stanotte Jay, mi chiedevo cosa rimanesse ancora da dirci, in una situazione come questa” – Farrell ruppe il silenzio, con un sorriso compiaciuto e carico di aspettative.

Le dita, dei rinnovati coniugi, si erano intrecciate.
Simbiotiche, come i loro respiri.

“Ed ero in ansia, con la preoccupazione di deluderti, ma poi ho riflettuto, sulle uniche due parole, che ti hanno fatto restare, un giorno di molti anni fa, prima che ti perdessi di nuovo ed è accaduto anche troppe volte … Mi mancava il coraggio, ecco, di ricambiarti, come meritavi, come sentivo, ma rinnegavo a me stesso, Jared” – i suoi quarzi si incresparono di lacrime, ma questa volta, fu una carezza del cantante, a ricacciarle indietro, da dov’erano venute.

“Ti amo …”

“Ti amo Cole”

La commozione li rimescolò, Leto appeso al suo collo, mentre l’irlandese lo stringeva forte a sé, cullandolo.

Un fragoroso applauso, sembrò coronare l’attimo, che nessuno avrebbe dimenticato facilmente.
Anche Glam, che se n’era appena andato via.




Erano schegge di smeraldo, ancora vivide nella loro tonalità, quelle che Tilda Rovia, rivolse al figlio, appena Paul varcò la soglia della sua camera d’ospedale.

“Tesoro …”

“Ciao mamma … Buon Natale”

Corse da lei, come se stesse scappando da qualcosa, che lo tormentava da anni, per giungere al sicuro, dove sarebbe sempre voluto tornare.

Da lei.

Reedus se ne stava in disparte, oltre lo stipite, timido e ritroso, nel farsi avanti.

“Buongiorno” – lo salutò la donna, seduta ed appoggiata ad un cuscino, con indosso una vestaglia rosa tenue.

“Norman … vieni” – Rovia gli allungò una mano.

“Salve … Forse volete restare da soli” – accennò smarrito.

“E’ un tuo amico, Paul?” – chiese gentile la signora Nelson.

Il giovane annuì, mordendosi il labbro superiore, in un’espressione adorabile, che fece perdere un battito al poliziotto.

“Lei è davvero gentile, ma dovrei andare dai miei, ecco …”

Rovia scattò in piedi, tornando da lui – “Ma sì, certo, è giusto, cavoli” – disse imbarazzato.

“Ma poi torno, vengo a prenderti, ok?” – si affrettò a precisare lo sbirro dagli occhi di ghiaccio.

“Ci sentiamo al telefono, i numeri ce li siamo scambiati Norman, tu devi andare dalle bimbe”

“E’ sposato?” – chiese Tilda, con un piglio simpatico.

“Sì, per ora” – replicò svelto Reedus – “… cioè sì, sì sono sposato con Sara” – ed avvampò.

Paul rise, abbracciandolo spontaneo – “Buon Natale Norman e grazie per tutto”

“Ci sentiamo allora … Auguri Miss. Nelson, per … per tutto” – e quasi fuggì, da quel posto, che insolitamente sapeva di buono, di un profumo gradevole.

Rovia si rimise seduto, sul bordo del letto, riprendendo le mani di Tilda tra le proprie, fissandola, ora più in ansia – “Quanto … quanto tempo ti resta, mamma?”

“Il migliore direi … Temo davvero poco, ma tu sei qui, adesso e andrà tutto bene, vero amore mio?” – e lo prese a sé, lasciando che il ragazzo percepisse le sue pulsazioni, il corpo esile, quasi scheletrico, ma ben nascosto da quell’abbigliamento comunque elegante, il volto tirato, i capelli radi, sotto ad una parrucca sistemata ad arte.

Tilda Rovia detestava apparire sciupata e in disordine.

Alla morte, bisogna arrivarci con classe, lo diceva sempre.
Quando un po’ scherzava, quando davvero non ci pensava, a morire così presto, a soli sessant’anni.




Jude raccolse il volto di Robert, tra i propri palmi tiepidi, guardandolo, come se esistessero unicamente loro due, al mondo, in quell’istante.

“Voglio essere tuo marito per tutta la vita, questo è ciò che sento ora, Rob … E potrei dirti mille cose, ubriacarti di frasi, come fai spesso tu e anche questo mi ha fatto innamorare perdutamente di te, sai?”

Trattenere il pianto era inutile, per Law.
Asciugarglielo con cura e tenerezza, invece, risultò irrinunciabile, a Downey.

“E io ti dirò sì, per tutta la vita, Judsie” – e lo baciò, imbrigliando le rispettive emozioni, in un atto d’amore assoluto, totalizzante.

Infinito.




“Non ti passerà mai, vero?”

La voce di Scott, fece girare Geffen, con un sussulto.
Se ne stava affacciato ad una grande finestra, a scrutare un panorama splendido.

“Quando sei arrivato …?” – Glam gli sorrise.

“Stamattina presto, Jimmy sta riposando” – anche il medico sorrise, andando ad abbracciarlo – “Buon Natale Glam”

“Buon Natale Scotty … Sono felice tu sia qui”

“Avevi bisogno una spalla su cui piangere?”

Risero, fissandosi, senza staccarsi.

“Ah quella sempre, lo sai …” – e ingoiò amaro – “… Jared mi ha chiesto di esserci, anche Robert, ma non avrei dovuto dare loro retta, sono un coglione”

Scott arrise alla schiettezza di Geffen, godendosi il tepore del suo corpo, incollato al proprio – “No, sei un uomo gentile e altruista e  loro  se ne sono sempre approfittati, guai a te se mi smentisci!” – sottolineò affettuoso.

Glam non disse nulla.




Sara aveva un nuovo taglio di capelli, ma Reedus non se ne accorse, finché lei non glielo fece notare, scocciata.

Le figlie, appese a lui, come decorazioni ad un grande albero, segnato da tatuaggi e brutti ricordi, lo stavano soffocando di baci.

Una morte bellissima, alla quale sarebbe stato complicato rinunciare.

Nella testa del tenente, si stavano affollando pensieri sconclusionati, ma saturi di emozione, tanto che seguire i discorsi della consorte, a cena, divenne estremamente difficile, per lui, perso in nuovi mondi.

“E Chris, come sta?” – domandò brusca, tagliando il dolce.

“Ha subito una nuova operazione, ora sembra stia a posto” – replicò lui asciutto, sbirciando i doni, ancora intatti, sotto all’abete finto, addobbato al centro del living.

“Meglio così … Vuole ancora trasferirsi all’antidroga, con te? Oppure sarai tu a migrare verso la squadra omicidi?”

I suoi quesiti, lo lasciarono perplesso.

“Non ne ho idea Sara … Come mai questa curiosità? Non te ne è mai importato granché del mio fottuto mestiere” – e rise, distorcendo le labbra.

“E come parli, ci sono le piccole!” – lo rimproverò severa.

“Ma se i cartoni che guardano, sono più volgari di me!” – obiettò infastidito.

Ogni dettaglio, gli stava facendo quell’effetto, a parte le cucciole, che trepidavano, per aprire i regali.

“Ok dai sul tappeto a vedere cos’ha portato Babbo Natale!” – cambiò discorso Norman, portandosele via.

Avevano sei e quattro anni: la maggiore non credeva a Babbo Natale da un bel pezzo, era più sveglia della sua età, ma molto taciturna e introspettiva.

La minore, invece, era gioia di vivere pura e ingenuità spontanea.
Come Reedus aveva scorto negli occhi di Paul.

Già, Paul, chissà come stava trascorrendo lui quelle ore …




Si schiantarono sul materasso, speculari e madidi, avvinghiati come giunchi, nati e cresciuti nella stessa isola, sulla quale erano fuggiti, per l’ennesima volta.

“Perché facciamo ancora queste cose?” – chiese in crisi d’ossigeno Geffen, baciandolo, per non farlo neppure rispondere.

Scott era una meraviglia, nella sua maturità, nella magrezza ritrovata, probabilmente per non sfigurare accanto al suo acerbo compagno.

La suite di Glam era semi buia, con qualche faretto acceso qua e là, giusto per non inciampare, se avessero voluto bersi qualcosa.

Erano a digiuno, mentre la festa di nozze, impazzava, tre piani sotto.

Glam lo sovrastò lento, lasciando che Scott si stendesse meglio, mentre gli spostava i capelli dalla faccia abbronzata.

“Forse dovremmo capire, come mai non ci siamo mai messi insieme sul serio, non credi?” – e sorrise, anche se i suoi specchi cerulei raccontavano una malinconia, mai sedata, nel tempo.

“Non lo capirò mai, Scotty … Grazie per non avermi lasciato solo, anche se”

Fu l’amico a baciarlo, ora, facendo morire sul nascere le sue scuse verso Jimmy.

Lo avrebbero fatto incazzare, come il modo, in cui Geffen lo trattava da quando Scott si era innamorato di lui, in eterna competizione con Jared, Kevin, Robert e mille altri spettri, ancora ben radicati, nel cuore dell’altro.

Faceva così male …















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