Capitolo n. 55 – nakama
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Come corvi, allineati
su di un filo dell’alta tensione, le auto accostarono, lente, ma quasi
sincrone.
Dalle stesse discesero
parenti e conoscenti, in realtà esclusivamente parassiti, della potente
famiglia Nelson.
E poi lui: l’erede, di
un patrimonio, accumulato da un patriarca avido e spietato, ma di umili origini.
La madre, Tilda Rovia, al
contrario, discendeva da una casata nobile, prestigiosa, approdata negli Stati
Uniti, dalla vecchia Europa, per sottrarsi alle persecuzioni naziste: un
matrimonio perfetto per Howard, già così cinico ed arrivista, ma senza un
soldo, allo scoccare dei suoi trent’anni, una laurea conseguita a pieni voti,
ambizioso come nessuno.
Pensare che Tilda si
era innamorata di Glam, conosciuto ad una festa, data in suo onore, proprio dai
genitori di Geffen.
Un rimescolio di
rimembranze, che ora scivolava oltre la mente dello squalo del foro di Los
Angeles, come lo stavano additando i paparazzi, a debita distanza, intervenuti
per immortalare l’insolito nugolo di celebrità, a seguito dei due feretri, che
Paul, custodito dall’abbraccio di Norman, stava guardando, protetto anche dalla
presenza dei suoi nuovi amici.
In un completo scuro,
cravatta nera, su camicia bianca, occhialini da intellettuale, per una lieve
miopia, Reedus era abbigliato in modo inconsueto, ma terribilmente
affascinante.
Se solo fosse bastato a
distrarre Paul, distrutto dal dolore per avere perduto la madre, così
prematuramente.
Del padre, invece, non
gli importava nulla: Rovia fu drastico, al suo primo risveglio, casto, sul
petto di Norman, quando glielo confessò.
Come anestetizzato in
quella parte del cuore, che non provava niente, anzi, come se Howard Nelson,
gliela avesse strappata, quando lui si fidava ciecamente di quel papà
autoritario in aula, ma gentile con lui.
Morboso, ad essere
onesti e con Reedus, il ragazzo ci riuscì ad esserlo.
Sino in fondo.
Il poliziotto, prima di
recarsi alla funzione religiosa, lo abbracciò, mormorandogli semplicemente –
“Paul, quando torniamo, devo parlarti, ok?”
“Ok …” – e gli sorrise
timido, dandogli poi l’ennesimo bacio.
Vivendo così tanto in
lui, che Norman avrebbe voluto urlare di gioia, ma non poteva.
Un giorno lo avrebbe
fatto.
Di sicuro.
Jared gli si avvicinò,
con un sorriso.
Paul lo guardò
arrivare, mentre scalzo, camminava intorno al laghetto delle ninfee, alla End
House.
Norman lo scrutava,
innamorato e silenzioso, ma in disparte.
“Se hai bisogno
qualcosa, non hai che da chiedere” – esordì dolce il cantante, dandogli una
carezza tra i capelli raccolti, in un improbabile chignon.
“Ti ringrazio … Siete
tutti così premurosi” – disse in imbarazzo, guardando verso il basso.
“A testa alta, Paul,
ok?”
“Co cosa?” – e tornò a
fissarlo, stranito.
“Non vergognarti mai,
per il male subito, da qualcuno di cui ti fidavi: so di cosa sto parlando,
credimi” – affermò serio.
“Glam ti ha raccontato
di me … della mia denuncia?” – domandò esitante, cercando con lo sguardo
Reedus, che gli si era appena affiancato.
“Ci sarà chi ci definirà
come un clan, mentre di lui e di me, come eterni amanti” – Leto sorrise – “…
anzi, te ne racconteranno di tutti i colori, ma sappi che noi ci saremo sempre,
all’occorrenza, d’accordo?”
Rovia guardò Norman –
“Io ho lui … E lui ha me, adesso” – e prese un respiro – “… comunque grazie Jay
… E’ così che ti chiama Glam, vero?”
“Sì, vero”
“Lo considero un … un
papà, ecco, ora più che mai”
“E’ comprensibile, Paul
…” – anche il leader dei Mars prese fiato – “benvenuto tra noi” – e se ne andò.
“Vuoi andare a casa,
piccolo?”
“Sì Norman … E’ casa
nostra … Spero tu non abbia cambiato idea”
“Come potrei?” – e lo
baciò forte, virile.
Presente.
Tom ebbe un’incertezza,
dopo avere controllato dallo spioncino, chi avesse suonato, a quell’ora del
pomeriggio.
Poi si decise ad
aprire.
“Ciao Chris” – lo
salutò freddo Hiddleston, senza spostarsi di un millimetro.
“Ciao Tommy … Non mi fai
entrare?” – chiese educato, con un mazzo di rose rosse, seminascoste dietro
alla sua ampia schiena.
Per poco.
“Queste sono per te” –
e gliele porse, con il migliore dei suoi sorrisi.
Era, insindacabilmente,
bellissimo.
“Mi hai trovato per
caso, sto per andare a Palm Springs”
“Con Luna?”
“Certo” – bissò rigido,
prendendo i fiori – “Dai entra, le farà piacere salutarti, prima di andare”
Hemsworth provò a
trattenersi, ma senza successo – “Da zio Glam, è ovvio” – e tossì, avanzando
verso il salotto, senza più foto di loro, sui mobili.
“Vedo che hai ripulito
la scena del crimine” – scherzò il biondo, sentendosi pervadere da un’amarezza
insopportabile.
“Se sei qui per
litigare”
“No!” – e si voltò di
scatto – “No tesoro, io sono qui per chiederti scusa, ok?” – e si sforzò, per
sorridergli ancora.
“Da Glam staremo bene,
anche se lui non ci sarà, per una settimana almeno” – Tom cambiò discorso o
terminò quello lasciato a metà, trenta secondi prima – “e anche se non vorrai
credermi, non è il mio nuovo compagno”
“Hai ragione Tommy,
stento a crederlo, anzi, temo che stiamo già parlando del domani, per te e per
lui, in questa prospettiva”
“Quale prospettiva?”
“Non ha mai mollato
l’osso, tipico dei combattenti, come Geffen e, se un tempo lui è stato un
benefattore, per entrambi, quando ti salvò, con quei suoi poteri assurdi, ciò
non mi è mai bastato, per farmelo piacere, sappilo”
“So tutto di te, Chris”
– ribatté composto, sentendosi spezzare il respiro.
“Sai che ti amo, più di
ogni cosa al mondo, quindi”
“A volte l’amore non
basta”
“Io questo ho da darti,
Tommy, con tutto il resto di me stesso!” – e si commosse, avvampando come un
tizzone.
Eppure quel fuoco, nei
cristalli di Hiddleston, sembrò essersi spento.
All’improvviso.
Sopra le nuvole, il jet
di Meliti, stava sfrecciando verso il Brasile.
A bordo, a Glam e Lula,
si erano aggregati tutti i presenti a Palm Springs, oltre a Jared e Colin, che,
in extremis, avevano deciso di trascorrere il capodanno a Buenos Aires.
Tra loro, parlavano del
particolare rito, a cui si sarebbe sottoposto soldino: Geffen era stato
sincero, così Kevin, anche se infastidito dall’intera situazione.
Per lui, quella Miriam
restava una ciarlatana.
Lux aveva confermato le
camere, nella sua locanda: un luogo pittoresco, così lo definì Louis, mostrando
ad Harry le foto della home page del locale, sul proprio tablet.
Styles stava
rimuginando che quella di unirsi al viaggio organizzato da Geffen, non fosse
stata una buona idea, ma il tormento, che ancora vedeva negli occhi di Boo,
quando Vincent tornava nei loro discorsi, doveva trovare una soluzione, ormai.
Norman intrecciò le
proprie dita a quelle di Paul, dopo essersi seduti sotto al porticato della
veranda, sopra ad una stuoia, come due bambini, pronti a condividere un gioco.
Forse più grande di
loro.
Forse.
Il vento tiepido della
California, nonostante fosse dicembre, riempiva l’aria di profumi e suoni
lontani.
“Mi fidavo di lui …” –
esordì il più anziano.
“Di Chris?”
“Sì … Era stato da
sempre un partner … impavido, si dice così?”
Di scuole, Reedus ne
aveva frequentate poche, preferendo il lavoro in officina da suo zio, fanatico,
quanto lui, di Harley Davidson.
“Sì, lo si dice di chi
non ha timore di nessuno o almeno lo fa credere” – Rovia sorrise tenero,
guardandolo intenso e partecipe.
“Tutto, tra noi, si è
come frantumato, quel maledetto giorno” – e le sue falangi ebbero un fremito.
“Quando ti ha
picchiato?”
“Sì, anche … Non mi ha
solo” – e la forza di andare avanti, sembrò spegnersi, nella sua voce.
Paul deglutì, poi
riprese a sorridere, anche se triste – “Dirlo, ci libera, sai? Da quella paura,
di essere additati come i responsabili, degli errori di chi ci ha fatto del
male, come diceva Jared”
“Chris mi ha violentato”
Ecco, lo aveva detto,
lo aveva fatto, con stupore, amarezza, rabbia.
Rovia annuì, tremando,
poi si inginocchiò, così Norman e si abbracciarono, si affidarono, l’uno all’altro,
con vigore.
Quindi il giovane tornò
a fissarlo, con una serenità inspiegabile, alla razionalità di Reedus.
“Tu lo ami ancora,
Norman?”
Era questo il punto e,
anche se il tenente non lo aveva espresso, Paul l’aveva capito da un bel pezzo.
“Se … se dovessi
incontrarlo, ne sarei turbato, lo riconosco: ciò che non so, se d’amore o di angoscia,
sai?”
“Lo dovrai affrontare,
per andare avanti, per fare delle scelte importanti …”
“Per noi, vero Paul?”
“Sì …”
Norman lo baciò, con la
delicatezza, che si rimescolava alle sue maniere rudi, in un’alchimia, capace
di fare perdere ogni cognizione a Rovia, ma non abbastanza per dimenticare
dettagli scomodi e spinosi.
Le ombre, sulla loro
relazione agli albori, non erano unicamente quelle legate ad Hemsworth, ma,
soprattutto, al matrimonio di quello strano sbirro, pieno di tatuaggi,
cicatrici ed amore nei suoi confronti.
Sul finire di quel
mese, tante cose sarebbero cambiate.
Per
entrambi.
Lula si isolò in fondo
alla carlinga, su di una poltrona, il naso appiccicato al finestrino.
“Ehi campione, tutto
ok?” – Geffen gli andò vicino, restando in piedi e coprendo la sua figura esile
e raccolta.
“Ciao papà, sì sì” – rispose,
senza distrarsi.
“Siamo quasi arrivati”
Silenzio.
Poi di nuovo quel
respiro, che appannò stranamente il vetro.
“Lula …”
“Tu
davvero non vuoi il mio aiuto, non ti facevo così stupido”
Glam mantenne la calma,
nessuno poteva sentirli del resto.
Dormivano tutti.
“Perché tormenti me e
mio figlio?!” – sibilò irritato.
Soldino volse il capo,
lento e spettrale: i bulbi oculari, rovesciati all’indietro e bianchi, erano
inquietanti, quanto il suo tono cavernoso.
“Tu sbagli, perché con me sareste al sicuro, tu e lui, per l’eternità: è
un dono così importante, ma tu non sai apprezzarlo, vero?”
“Lasciaci in pace,
maledetto …” – e, stritolando il bordo dello schienale, Geffen si sentì
impotente e incastrato, in un evento ingestibile.
“Questo
rimarrà l’unico desiderio, che non potrò esaudire, Glam … In compenso, a questa
festa, io mi divertirò: e tu?”
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