Capitolo n. 54 - nakama
“Mezzanotte e un minuto
… Buon compleanno Jay”
Il sorriso dell’irlandese
lo avvolse, come le sue braccia, tatuate e muscolose, dapprima con tenerezza,
poi ardore, identico a quello che il rinnovato consorte, gli stava profondendo,
con baci, sempre più intensi.
Dalle labbra, al collo,
più giù sullo sterno e poi oltre, inabissandosi tra le sue gambe magre, dove
Farrell gli abbassò i pantaloni eleganti, i boxer, trasportandolo nella sua
medesima nudità, dorata, liscia, invitante.
Jared gemette forte,
per quell’assalto umido, per la bocca di Colin, ingorda di lui, sino a farlo
venire, dopo pochi minuti.
Lo voleva troppo.
Era così, dal primo
istante.
Leto realizzò, che,
forse, questo li aveva come predestinati, ad un cammino faticoso, ma ambito da
molti e conquistato da pochi.
Loro due ne facevano
parte, di questa élite senza tempo, senza radici, senza più rancori.
Sino
al prossimo ostacolo.
La festa per le doppie
nozze ed il b-day di Jared, ormai sparito di scena, giunse al culmine, con uno
spettacolo pirotecnico, sponsorizzato da Geffen, nel bel mezzo delle piste,
ancora affollate, per alcune esibizioni in notturna, delle diverse scuole di
sci locali.
Glam, piuttosto brillo,
ciondolava sotto ad un porticato, dove Richard lo raggiunse.
Era arrivato da poco,
con Taylor, per trascorrere una settimana sulle nevi, con il fidanzato,
letteralmente in fuga dal caos di Los Angeles e dai reciproci impegni,
rimandati ormai all’anno nuovo.
“Papà, ehi, ma che ci
fai qui, con quella bottiglia vuota?” – il primogenito dell’avvocato rise,
nonostante una velata ansia, nel ritrovarlo ridotto in quel modo.
Detestava vederlo così.
E poi per cosa?
Per chi?
“Ciao figliolo … Hai
ragione, è un crimine, non averne una piena!” – e, ridacchiando, Glam si
appoggiò ad una parete in mattoni.
“Perché fai così …?” –
chiese sconsolato, togliendogli quell’ingombro, per poi gettarlo in un bidone,
lì vicino.
“Dovresti buttarci
anche me … lì dentro intendo” – biascicò, raggiungendo faticosamente un
muretto, sul quale di schiantò greve, come il suo respiro.
“Non stai bene papà?
Dai ti porto in stanza, cazzo!” – quasi ringhiò l’architetto, provando a
sollevarlo, ma Geffen lo scostò, chiedendogli poi scusa.
“Sto alla grande … Mi …
mi sto preparando a togliere dalla circolazione una canaglia, sai? Domani … in
città”
“Torni a casa?” –
domandò stupito.
Geffen annuì, scrutando
il vuoto, come smarrito – “Forse … forse ho fatto finta di non vedere,
commettendo uno sbaglio imperdonabile” – rivelò in lacrime, all’improvviso.
“Ma di che parli?!”
“Del … del giudice
Nelson, te lo ricordi?”
Ricky sbuffò – “Il
padre di Paul?”
“Esatto”
“Paul si è rifatto
vivo?”
“Già, una bella
sorpresa, sai?”
“Credevo fosse in
galera” – e si accomodò anche lui, affiancandolo.
“Ha combinato un sacco
di casini, ma adesso è … è cambiato” – e chiuse la frase, con un singulto poco
elegante.
“Ah capisco, ma tu
quando l’hai visto?”
“In hotel, sì, insomma
era con Norman”
“Norman?”
“Reedus, della
narcotici, uno sbirro”
“Che lo aveva
arrestato?”
“No, no … anzi … E’ una
lunga storia … e l’epilogo mi aspetta al varco, credimi”
“Papà andiamo, su
alzati: a me importa di te, non delle stronzate, che ha fatto Paul”
Geffen si erse in piedi
di scatto, speculare a lui – “Paul è una vittima” – affermò lucido – “e avrà
giustizia: fosse l’ultima cosa che faccio.”
Il corridoio, sembrava
non finire mai.
Alla fine, finì.
Così come le mani grandi
di Glam Geffen, sulla porta a due ante, che aprì, con un gesto fluido, nell’avvicinarsi,
a passo veloce, pesante, allo scranno di Howard Nelson.
L’uomo, ingrigito dagli
anni, durante i quali si erano persi quasi di vista, lo puntò stranito e oltraggiato.
“Glam, sono in udienza,
ma cosa credi di fare?!”
Alle spalle del legale,
un nugolo di agenti e non solo.
“Tenente Reedus, legga
i diritti all’imputato, prima di portarlo via” – esordì fermo Glam, senza mai
smettere di guardarlo.
“Imputato, ma stai
vaneggiando?! E lei, Reedus, è dell’antidroga, cosa diavolo vuole da me?!” –
sbottò acre, mentre due poliziotti lo invitavano a seguirli, senza opporre
resistenza.
“Reedus vuole
arrestarti, per l’ingente quantità di sostanze stupefacenti, ritrovate e
repertate all’interno della tua residenza, ecco il mandato!” – e glielo sbatté
sul petto, senza alcun riguardo.
“Ma … non è possibile,
è … è una trappola!”
“Se ciò non bastasse,
questo è l’ordine di custodia, per molestie sessuali: capitano Hosting, se
vuole procedere” – Geffen si mise di lato, per lasciare posto al funzionario
della sezione speciale, vittime di abusi, che cominciò a sciorinare le accuse,
denunciate “… da Paul Rovia, con il sostegno di prove video, messe agli atti e”
– lo guardò rigido – “… incontrovertibili: Howard Nelson, la dichiaro in
arresto per stupro ai danni di un minorenne, con l’aggravante della crudeltà e
delle sevizie, nonché per averlo indotto alla dipendenza da eroina e cocaina:
andiamo!” – e lo spinse drastico, verso l’uscita.
Norman era rimasto
zitto, pietrificato da quell’amara scoperta.
Rovia non era riuscito
a parlargliene apertamente, anche se lui aveva intuito, cosa lo tormentasse e
che li accumunava, in un legame, che era rimasto come sospeso.
Il cellulare gli vibrò
nella tasca dei jeans.
“E’ Paul … Sì, pronto”
Poi
tutto accadde in fretta.
Talmente
in fretta, che nessuno riuscì a impedirlo.
Howard
Nelson, aspirante senatore, con velleità di arrivare alla Casa Bianca,
sottrasse l’arma alla matricola, che lo stava conducendo verso l’esterno del
tribunale, con una mossa disperata e risolutiva.
Come
il colpo, alla tempia, che pose fine alla sua esistenza.
Definitivamente.
Gli occhi di Paul,
sarebbero rimasti impressi nella mente di Reedus, per sempre.
Adesso il corridoio era
quello della clinica e, a raggiungerlo, erano unicamente lui e Glam.
Rovia si stringeva
nelle spalle, le gote arrossate e lucide di un pianto dignitoso, ma
ininterrotto, dall’alba, di quella mattina crudele.
Norman lo avvolse,
istintivo, amorevole.
“Si … si è addormentata
… la … la mamma … ora è in pace” – singhiozzò esausto.
Geffen prese un lungo
respiro.
“Tesoro devo”
“No Glam … glielo dico
io” – mormorò Reedus, cullando Paul, come se fosse appena venuto al mondo.
Bisognoso di protezione
e amore.
Niente di più, di
questo tutto, che Norman era pronto a donargli,
Senza
compromessi.
Le chiavi dell’Hummer
finirono su di una mensola, nell’ingresso secondario della villa di Palm
Springs.
Geffen si ossigenò, per
nulla rilassatosi, durante il tragitto, mentre si allontanava dalla città degli
angeli, verso l’oceano.
“Daddy, ma dov’eri
finito?”
La voce affettuosa e
vibrante di Kevin, lo investì, come una brezza di primavera, ancora lontana.
“Ciao … Dove sono gli
altri?”
“Un po’ in spiaggia,
qualcuno sparso qua e là” – il bassista rise, azzerando la distanza, per
prendergli la giacca.
“Fa caldo”
“Sì Glam, mi sembri
così stanco: che è successo?”
“Ti dispiace se ne
parliamo più tardi?” – replicò gentile, dandogli una carezza tra le scapole,
mentre si avviavano verso il patio, dove Robert e Jude stavano giocando a
carte, con Lula e Pepe.
Sembrava tutto così
normale.
Quotidiano.
Tim faceva le treccine
a Dady, Camy e Petra, mentre Isotta giocava a ping pong, contro Jared e Colin,
alleatisi per quella sfida, contro lei e Rebecca.
Louis e Harry
passeggiavano sulla battigia, seguiti a breve distanza da Scott e Jimmy, anch’essi
allacciatisi, come adolescenti.
Come lo era Paul,
quando Nelson lo aggredì.
Quel flash back
infiammò i pensieri di Geffen, che rientrò brusco nel living.
“Vado a riposarmi,
domani andiamo in Brasile, Lula ed io” – affermò secco.
“Glam, ma non vorrai
davvero dare retta a quella squilibrata?!”
Ormai l’ex non lo stava
più ascoltando, già in cima alle scale, distante e tetro, come mai prima di
allora.
“E’ tuo questo posto?”
Reedus lo chiese
circospetto, guardandosi in giro, mentre Paul cercava qualcosa, in mezzo a dei
vasi di erbe aromatiche.
“Sì … ah eccola” – e tirò
su dal naso, infantile e fragile – “… era del nonno, me l’ha lasciata in
eredità … mi voleva un gran bene, sai?”
“E’ una meraviglia”
Sì, la era, a venti
metri dallo sciabordio delle onde, increspate d’arancio, in quel tramonto a
Malibu.
Una dimora a due piani,
con un giardino rigoglioso, ben tenuta, anche se disabitata da un bel pezzo.
“La mamma ha pagato un’impresa,
ogni mese, perché la tenesse in ordine, sperando che io ci tornassi” – disse in
un soffio, attivando la corrente elettrica ed aprendo i serramenti, per
arieggiare l’ambiente.
“Vuoi viverci, Paul?”
Reedus se ne stava
impalato, divorato dalla curiosità, tra un attaccapanni e un vaso cinese.
Rovia si girò, con un
mezzo sorriso – “Devo farti una domanda, Norman”
Il piedipiatti deglutì
a vuoto – “Ok falla”
“Devi proprio startene
lì?” – e gli tese le mani affusolate.
“No, anzi” – e tossì,
azzerando la distanza, un po’ goffo.
Riuscendo persino a
farlo ridere leggero, nonostante Rovia fosse devastato da un carico, eccessivo di
emozioni contrastanti.
“Sei sicuro?”
“Di cosa Paul?”
“Di volermi rispondere”
– e si umettò le labbra perfette.
“Certo!” – ribatté,
buffo.
Il più giovane gli
afferrò i polsi, con un certo impeto, come a darsi coraggio.
“Paul …”
E fu quel tono, intriso
di armonia e dolcezza, che non lo fece esitare oltre.
Lo baciò.
Intrecciandosi poi, a
poco, a poco, a Reedus, che smise di percepire quanto li circondava, come se
fossero precipitati in un sogno.
Dove
fu bellissimo, rifugiarsi.
Insieme.
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