mercoledì 26 agosto 2015

NAKAMA - CAPITOLO N. 14

Capitolo n. 14 – nakama



https://www.youtube.com/watch?v=WGZpQSpv2F4


Restare ancora fermi in quella piazzola non sarebbe servito a niente.

Harry ripartì, sgommando, dopo un silenzio pesante, dove le sue grida non trovavano che il vuoto, senza neppure l’eco di una protesta, da parte di Lux.

Esausto.

I cancelli della villa di Geffen erano sigillati.

C’erano diverse auto, parcheggiate in un’area di sosta video sorvegliata, una sconosciuta ad entrambi.

Le cromature della Bentley di Mikkelsen luccicavano nel sole settembrino californiano.

“Chissà chi è … Un amico di Glam, forse” – disse piano Styles, all’improvviso smarrito.

Demoralizzato.

Quella era come una fortezza, all’interno della quale risiedeva non un principe, ma l’imperatore del foro, come spesso gracchiavano i suoi colleghi, tra i corridoi del tribunale, al passaggio di Geffen, che li avrebbe potuti fare defenestrare tutti, senza più farli esercitare, neppure nell’ultimo stato del terzo mondo.

Quel mondo che provava a travolgerlo, senza mai riuscirci.

Glam, che osservava l’orizzonte dall’ultimo piano, spiato quasi da Mads e Will.

“Continuo a trovarlo inquietante … Non dovrebbe neppure essere qui e, semmai, potrebbe vivere come un vegetale …” – sussurrò il più anziano e Graham lo guardò.

In quegli occhi, però, adesso, c’era una luce diversa.

“Lo pensavo anch’io di te, in un tempo che vorrei cancellare, sai?”

Il tono di Will era calmo.
Sereno.

Mikkelsen sentì il proprio cuore saltargli nella gola.

Si fissarono.

“Non saremo mai come gli altri, né Geffen e neppure io … Forse per questo la gente spesso ci detesta”

“Ma io non l’ho mai fatto Mads” – replicò serio il moro.

“Davvero?”

“Ero … così incazzato con te, per … Per come buttavi via la tua vita in quei bordelli, indossando una maschera orrenda”

“Solo chi conosce l’abisso, potrà perdonare sé stesso” – bissò assorto, dandogli poi una carezza sullo zigomo destro, raccogliendo un coraggio, che neppure sapeva di avere, in situazioni del genere.

Era così semplice incidere, collegare, disgiungere, applicare, anche in tentativi impensabili, quando operava qualcuno, tenendogli tra le dita il cuore.

Il suo, in compenso, Will lo aveva in pugno da un tempo così lontano, da fare fatica a ricordarsene il principio.


Vincent prese la mano di Harry, che avvampò.

Era un gesto dolce.
Paterno.

“Andiamo a riprenderci la persona più preziosa il destino potesse donarci … Siamo stati dei pazzi e non meritiamo nulla, che Louis vorrà darci, non ci resta altro” – disse intenso il francese, guardandolo.

Styles si sciolse in un pianto esasperato, terribile.

Lux lo aiutò a ricomporsi, dandogli anche dell’acqua – “Vostra figlia non deve vederti così”

“E’ … è anche un po’ tua, Vincent” – singhiozzò, tamponandosi il viso stravolto e comunque bellissimo – “… dovremmo imparare a riconoscere ciò che abbiamo … ciò che ci lega da sempre, non credi?”

“Io … io non ti capisco, Harry, davvero” – ribatté stranito.

“Ok … andiamo” – e scese deciso, puntando con i propri cristalli screziati di dolore il volto di Glam, che stava ricambiando con i propri turchesi, severi e cupi.

Quando l’avvocato prese le scale, con piglio deciso, Will ebbe un sussulto.

“Miseria, ma fa davvero paura quando è arrabbiato” – disse inquieto il chirurgo, seguendo i suoi passi svelti e determinati.

“Qui non basterà un ansiolitico, ma mi serviranno ago e filo di sutura” – scherzò Mikkelsen, ma senza ridere affatto.




“Ehi ti è caduto questo!”

Horan lo rincorse brevemente per i corridoi della facoltà di Psicologia.

Ruffalo si girò di scatto, afferrando un fascicolo, che avrebbe consegnato in segreteria a fine lezione.

“Ciao Niall … Sì, che sbadato, ma sono in ritardo” – disse trafelato e di cattivo umore.

“Lo vedo … Come stai Mark?” – domandò il biondino, con un sorriso che apriva il cuore.

“Non bene, oggi, ho un’emicrania che …”

La frase si spezzò nel ricordarsi il profumo di Jared, che ancora gli stava intossicando le narici.

Il respiro stesso.

“Non dovresti affaticarti allora” – osservò con tenerezza Horan, sfiorandogli un fianco, in modo confidenziale.

Ruffalo deglutì un paio di volte, strizzando le palpebre.

“Perché tu …” – poi se le morse.

“Perché io cosa?”

Niall stava aspettando una spiegazione, che non arrivò.

“Ne parliamo un’altra volta, scusami, devo andare”

“Mark cosa ti prende? Ti è successo qualcosa? Adesso sì, che mi preoccupi e”

Ruffalo lo artigliò per la nuca, con la mano sinistra, stampandogli un bacio mozzafiato sulla bocca schiusa, che sapeva di menta.

Di giovinezza.

Di sogni.

Qualche gridolino rimbombò dalle scale, anche un accenno di applauso.

Alcune studentesse approvarono il gesto impetuoso e sensuale del loro professore preferito.

Horan si sentì morire.

Quindi fuggì via.

Mark rimase fermo.

In mezzo al nulla, in cui si era arenata la sua esistenza, dove avrebbe potuto avere molto, ma aveva perduto tutto.




Colin accostò, dopo avere rallentato, aspettandolo.

Aprì lo sportello, constatando che era proprio Jared, incrociato ad un semaforo cinque minuti prima.

“Ciao … Dove stai andando?” – domandò timido l’irlandese, avvicinandosi alla vettura dell’ex, che aveva appena azionato il pulsante dei cristalli, abbassando il finestrino.

“Da nessuna parte Cole”

Gli rispose senza togliersi i Ray-Ban, per non rivelare il rossore dei propri occhi.

A ciò pose rimedio Farrell, togliendoglieli delicatamente.

“Hai pianto”

Leto annuì, tirando su dal naso e guardando altrove, senza riuscirci per più di tre secondi.

L’attore posò i palmi sulla carrozzeria bollente.

“Posso saperne il motivo?”

“No, Cole, non puoi … Non devo dirlo a te” – e sorrise amaro.

“A chi dunque? A tuo marito?”

“Sì, forse” – ed i polpastrelli del cantante vibrarono sul volante.

“Ok”

“Sì, cioè no … Non è ok, proprio per un cazzo” – ed inspirò, strofinandosi la faccia, stanco, le spalle curve, sul corpo esile.

La sua fragilità era ciò per cui chiunque avrebbe perduto la ragione.

Farrell in testa.

“Mi lascerai più entrare nella tua vita, Jay?”

“Co cosa …?” – mormorò, corrucciandosi in un’espressione indefinibile.

“Ti ho chiesto”

“Ho capito cosa mi hai chiesto, accidenti!” – sbottò, cercando poi di riavviare il suv.

Senza successo.




“Non voglio fare scenate, quindi o ve ne andate subito oppure”

“Oppure cosa Glam?! Dacci un taglio, ci stai parlando come se Louis fosse una cosa tua e non è così maledizione!! Quando qualcuno entra nella tua orbita, chiedendoti aiuto, tu lo fagociti come se ti appartenesse, ma non nel caso di Boo, fattene una ragione!”

Styles esplose in quel contrattacco a sorpresa.

In ogni caso non per Geffen, che gli si parò davanti meglio, sibilando un – “Datti TU una calmata bamboccio, prima che ti sculacci e ti prenda a pedate, ok?”

Lux si mise le mani tra i capelli brizzolati.

“Non potremmo parlarne in maniera civile!” – esplose anche lui, suo malgrado.

Geffen spintonò di lato Harry, facendosi avanti verso di lui.

“Da te non me lo sarei mai aspettato Vincent, non con il bene che volevi a questi ragazzi ed a Petra! E ringrazia la bimba” – tornò a puntare Styles – “se non ti faccio radiare dall’albo, mi basterebbe tanto così, chiaro?!” – ruggì.

“Ma chi ti credi di essere?!?” – sbraitò il ricciolo, dandogli lui uno strattone, per allontanarlo da Vincent.

“ORA BASTA FINITELA!”

La voce squillante di soldino si elevò sopra a quello scontro verbale, ormai fuori controllo.

“Lula … Tesoro, rientra in casa per favore …” – Glam gli si rivolse con la consueta pacatezza amorevole.

Louis spuntò alle spalle del bambino, che gli fece un cenno – “Boo vieni, so che vuoi parlare con questo  zuccone dagli occhi belli come un prato in primavera”

Quella frase, Tomlinson, la pronunciò tanti anni prima, dopo il loro primo bacio.

Se tutto avesse potuto ricominciare.

Se le lancette, per un sortilegio benevolo, fossero tornate indietro magicamente, Harry non lo avrebbe più fatto soffrire in quel modo, non lo avrebbe più giudicato e tormentato, con la sua gelosia e, ancora peggio, con un tradimento intollerabile.

Si abbracciarono.

Sembrarono, ai presenti, che li stavano osservando, molto più magri, consumati, sotto i vestiti, all’improvviso comodi, che si stropicciarono in quello stringersi, come i loro corpi, pelle contro pelle, lacrime contro lacrime, i cuori che si ritrovarono, in un unico battito.

“Perdonaci Boo”




La forchetta di Will, scartò una fetta di pomodoro, concentrandosi su alcune foglie di lattuga e rucola, nella scodella di Mads, che fece una smorfia.

Seduti sopra agli scogli, della caletta privata, distanti da quella guerra, in una dimensione unicamente loro, a rubarsi bocconi gocciolanti di olio italiano ed aceto di mele.

“Buono il condimento Will, complimenti: se anche mi lasciassi mangiare qualcosa eh”

Graham ricambiò la smorfia e poi gli diede un bacio leggero nel collo, appoggiando infine la testa sulla spalla sinistra del celebre medico.

“A cosa devo l’onore?” – chiese flebile ed emozionato Mikkelsen, in carenza di ossigeno.

“Non te lo dirò mai” – Graham sorrise, chiudendo gli occhi.

In pace.










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