Capitolo n. 14 – nakama
https://www.youtube.com/watch?v=WGZpQSpv2F4
Restare ancora fermi in
quella piazzola non sarebbe servito a niente.
Harry ripartì,
sgommando, dopo un silenzio pesante, dove le sue grida non trovavano che il
vuoto, senza neppure l’eco di una protesta, da parte di Lux.
Esausto.
I cancelli della villa
di Geffen erano sigillati.
C’erano diverse auto,
parcheggiate in un’area di sosta video sorvegliata, una sconosciuta ad
entrambi.
Le cromature della
Bentley di Mikkelsen luccicavano nel sole settembrino californiano.
“Chissà chi è … Un
amico di Glam, forse” – disse piano Styles, all’improvviso smarrito.
Demoralizzato.
Quella era come una
fortezza, all’interno della quale risiedeva non un principe, ma l’imperatore
del foro, come spesso gracchiavano i suoi colleghi, tra i corridoi del
tribunale, al passaggio di Geffen, che li avrebbe potuti fare defenestrare
tutti, senza più farli esercitare, neppure nell’ultimo stato del terzo mondo.
Quel
mondo che provava a travolgerlo, senza mai riuscirci.
Glam, che osservava l’orizzonte
dall’ultimo piano, spiato quasi da Mads e Will.
“Continuo a trovarlo
inquietante … Non dovrebbe neppure essere qui e, semmai, potrebbe vivere come
un vegetale …” – sussurrò il più anziano e Graham lo guardò.
In quegli occhi, però,
adesso, c’era una luce diversa.
“Lo pensavo anch’io di
te, in un tempo che vorrei cancellare, sai?”
Il tono di Will era
calmo.
Sereno.
Mikkelsen sentì il
proprio cuore saltargli nella gola.
Si fissarono.
“Non saremo mai come
gli altri, né Geffen e neppure io … Forse per questo la gente spesso ci detesta”
“Ma io non l’ho mai
fatto Mads” – replicò serio il moro.
“Davvero?”
“Ero … così incazzato
con te, per … Per come buttavi via la tua vita in quei bordelli, indossando una
maschera orrenda”
“Solo chi conosce l’abisso,
potrà perdonare sé stesso” – bissò assorto, dandogli poi una carezza sullo
zigomo destro, raccogliendo un coraggio, che neppure sapeva di avere, in
situazioni del genere.
Era così semplice
incidere, collegare, disgiungere, applicare, anche in tentativi impensabili,
quando operava qualcuno, tenendogli tra le dita il cuore.
Il suo, in compenso,
Will lo aveva in pugno da un tempo così lontano, da fare fatica a ricordarsene
il principio.
Vincent prese la mano
di Harry, che avvampò.
Era un gesto dolce.
Paterno.
“Andiamo a riprenderci
la persona più preziosa il destino potesse donarci … Siamo stati dei pazzi e
non meritiamo nulla, che Louis vorrà darci, non ci resta altro” – disse intenso
il francese, guardandolo.
Styles si sciolse in un
pianto esasperato, terribile.
Lux lo aiutò a
ricomporsi, dandogli anche dell’acqua – “Vostra figlia non deve vederti così”
“E’ … è anche un po’
tua, Vincent” – singhiozzò, tamponandosi il viso stravolto e comunque
bellissimo – “… dovremmo imparare a riconoscere ciò che abbiamo … ciò che ci
lega da sempre, non credi?”
“Io … io non ti
capisco, Harry, davvero” – ribatté stranito.
“Ok … andiamo” – e scese
deciso, puntando con i propri cristalli screziati di dolore il volto di Glam,
che stava ricambiando con i propri turchesi, severi e cupi.
Quando l’avvocato prese
le scale, con piglio deciso, Will ebbe un sussulto.
“Miseria, ma fa davvero
paura quando è arrabbiato” – disse inquieto il chirurgo, seguendo i suoi passi
svelti e determinati.
“Qui non basterà un
ansiolitico, ma mi serviranno ago e filo di sutura” – scherzò Mikkelsen, ma
senza ridere affatto.
“Ehi ti è caduto
questo!”
Horan lo rincorse
brevemente per i corridoi della facoltà di Psicologia.
Ruffalo si girò di
scatto, afferrando un fascicolo, che avrebbe consegnato in segreteria a fine
lezione.
“Ciao Niall … Sì, che
sbadato, ma sono in ritardo” – disse trafelato e di cattivo umore.
“Lo vedo … Come stai
Mark?” – domandò il biondino, con un sorriso che apriva il cuore.
“Non bene, oggi, ho un’emicrania
che …”
La frase si spezzò nel
ricordarsi il profumo di Jared, che ancora gli stava intossicando le narici.
Il respiro stesso.
“Non dovresti
affaticarti allora” – osservò con tenerezza Horan, sfiorandogli un fianco, in
modo confidenziale.
Ruffalo deglutì un paio
di volte, strizzando le palpebre.
“Perché tu …” – poi se
le morse.
“Perché io cosa?”
Niall stava aspettando
una spiegazione, che non arrivò.
“Ne parliamo un’altra
volta, scusami, devo andare”
“Mark cosa ti prende?
Ti è successo qualcosa? Adesso sì, che mi preoccupi e”
Ruffalo lo artigliò per
la nuca, con la mano sinistra, stampandogli un bacio mozzafiato sulla bocca
schiusa, che sapeva di menta.
Di giovinezza.
Di sogni.
Qualche gridolino
rimbombò dalle scale, anche un accenno di applauso.
Alcune studentesse
approvarono il gesto impetuoso e sensuale del loro professore preferito.
Horan si sentì morire.
Quindi fuggì via.
Mark rimase fermo.
In mezzo al nulla, in
cui si era arenata la sua esistenza, dove avrebbe potuto avere molto, ma aveva
perduto tutto.
Colin accostò, dopo
avere rallentato, aspettandolo.
Aprì lo sportello,
constatando che era proprio Jared, incrociato ad un semaforo cinque minuti
prima.
“Ciao … Dove stai
andando?” – domandò timido l’irlandese, avvicinandosi alla vettura dell’ex, che
aveva appena azionato il pulsante dei cristalli, abbassando il finestrino.
“Da nessuna parte Cole”
Gli rispose senza
togliersi i Ray-Ban, per non rivelare il rossore dei propri occhi.
A ciò pose rimedio
Farrell, togliendoglieli delicatamente.
“Hai pianto”
Leto annuì, tirando su
dal naso e guardando altrove, senza riuscirci per più di tre secondi.
L’attore posò i palmi
sulla carrozzeria bollente.
“Posso saperne il
motivo?”
“No, Cole, non puoi …
Non devo dirlo a te” – e sorrise amaro.
“A chi dunque? A tuo
marito?”
“Sì, forse” – ed i
polpastrelli del cantante vibrarono sul volante.
“Ok”
“Sì, cioè no … Non è
ok, proprio per un cazzo” – ed inspirò, strofinandosi la faccia, stanco, le
spalle curve, sul corpo esile.
La sua fragilità era
ciò per cui chiunque avrebbe perduto la ragione.
Farrell in testa.
“Mi lascerai più
entrare nella tua vita, Jay?”
“Co cosa …?” – mormorò,
corrucciandosi in un’espressione indefinibile.
“Ti ho chiesto”
“Ho capito cosa mi hai
chiesto, accidenti!” – sbottò, cercando poi di riavviare il suv.
Senza successo.
“Non voglio fare
scenate, quindi o ve ne andate subito oppure”
“Oppure cosa Glam?!
Dacci un taglio, ci stai parlando come se Louis fosse una cosa tua e non è così
maledizione!! Quando qualcuno entra nella tua orbita, chiedendoti aiuto, tu lo
fagociti come se ti appartenesse, ma non nel caso di Boo, fattene una ragione!”
Styles esplose in quel
contrattacco a sorpresa.
In ogni caso non per
Geffen, che gli si parò davanti meglio, sibilando un – “Datti TU una calmata
bamboccio, prima che ti sculacci e ti prenda a pedate, ok?”
Lux si mise le mani tra
i capelli brizzolati.
“Non potremmo parlarne
in maniera civile!” – esplose anche lui, suo malgrado.
Geffen spintonò di lato
Harry, facendosi avanti verso di lui.
“Da te non me lo sarei
mai aspettato Vincent, non con il bene che volevi a questi ragazzi ed a Petra!
E ringrazia la bimba” – tornò a puntare Styles – “se non ti faccio radiare dall’albo,
mi basterebbe tanto così, chiaro?!” – ruggì.
“Ma chi ti credi di
essere?!?” – sbraitò il ricciolo, dandogli lui uno strattone, per allontanarlo
da Vincent.
“ORA BASTA FINITELA!”
La voce squillante di
soldino si elevò sopra a quello scontro verbale, ormai fuori controllo.
“Lula … Tesoro, rientra
in casa per favore …” – Glam gli si rivolse con la consueta pacatezza
amorevole.
Louis spuntò alle spalle
del bambino, che gli fece un cenno – “Boo vieni, so che vuoi parlare con questo
zuccone
dagli occhi belli come un prato in
primavera”
Quella frase,
Tomlinson, la pronunciò tanti anni prima, dopo il loro primo bacio.
Se
tutto avesse potuto ricominciare.
Se le lancette, per un
sortilegio benevolo, fossero tornate indietro magicamente, Harry non lo avrebbe
più fatto soffrire in quel modo, non lo avrebbe più giudicato e tormentato, con
la sua gelosia e, ancora peggio, con un tradimento intollerabile.
Si abbracciarono.
Sembrarono, ai
presenti, che li stavano osservando, molto più magri, consumati, sotto i
vestiti, all’improvviso comodi, che si stropicciarono in quello stringersi,
come i loro corpi, pelle contro pelle, lacrime contro lacrime, i cuori che si
ritrovarono, in un unico battito.
“Perdonaci
Boo”
La forchetta di Will,
scartò una fetta di pomodoro, concentrandosi su alcune foglie di lattuga e
rucola, nella scodella di Mads, che fece una smorfia.
Seduti sopra agli
scogli, della caletta privata, distanti da quella guerra, in una dimensione
unicamente loro, a rubarsi bocconi gocciolanti di olio italiano ed aceto di
mele.
“Buono il condimento
Will, complimenti: se anche mi lasciassi mangiare qualcosa eh”
Graham ricambiò la
smorfia e poi gli diede un bacio leggero nel collo, appoggiando infine la testa
sulla spalla sinistra del celebre medico.
“A cosa devo l’onore?” –
chiese flebile ed emozionato Mikkelsen, in carenza di ossigeno.
“Non te lo dirò mai” –
Graham sorrise, chiudendo gli occhi.
In
pace.
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