Capitolo n. 11 – nakama
Leto esitò nel
rispondergli e, quando lo fece, prese un lungo respiro.
“Ciao Colin dimmi”
Il suo tono fu secco,
incolore e, all’altro capo, il cantante riuscì a percepire nitido il disagio
dell’ex consorte.
“Ciao Jay … Come stai?
Non ci siamo più sentiti dopo”
“Non so cosa ti
aspettassi da me, Cole” – lo tagliò ancora più aspro, mentre si appoggiava alla
balaustra del solarium, più che altro per non cadere.
Il cuore di entrambi,
se fosse stato sovrapposto con un effetto speciale cinematografico, sarebbe
apparso agli spettatori, come un unico elemento.
Eppure erano
specularmente e terribilmente soli, ma così uniti, quando potevano anche solo
sentirsi al telefono, come in quel momento.
Farrell sorrise ed al
suo interlocutore sembrò di vederlo, con quell’aria scanzonata e mai sbiadita
dal tempo, come il resto di loro, all’apparenza – “Non saprei, magari che mi
rapissi con il jet del nonno e mi portassi in Marocco, Jared” – lo provocò
schietto.
“Storia vecchia”
Tante piccole
pugnalate: repliche come questa e poi la felicità del leader dei Mars,
paparazzato da Gelson’s con Geffen, a fare compere per Isotta, al loro seguito,
con Lula e Pepe - § Bimbi meravigliosi ed
educati, che adorano il nuovo marito di Jared Leto, lo zio Glam, che tutti
vorrebbero trovare sotto l’albero di Natale §
Quello era stato
l’ultimo articolo di Michael, per L.A. News, anche se né Colin e tanto meno
Jared lo sapevano ed avrebbe importato loro qualcosa.
“No! Non è affatto
così!” – ruggì l’irlandese, di pancia, di cuore, di tutto ciò gli rimanesse,
per riprendersi l’uomo che amava.
Leto sospirò, con un
sorriso bagnato dalle prime lacrime, che non riuscì a trattenere – “Dirti che
ti amo ancora, a cosa servirebbe, sentiamo Cole?”
“Jay …”
“Lo sai tu, lo so io e
lo sa soprattutto Glam”
“E’ … un tipo sveglio,
sarà per questo che l’hai sposato” – provò a scherzare l’attore, con una fitta
allo sterno, che gli toglieva il fiato ad ogni parola.
“Non dovevi baciarmi,
non è così che riuscirai a farmi stare bene, Cole, a proteggermi, come mi hai
detto a Parigi” – continuò il front man, più lucido nell’esporre il proprio
pensiero.
“Se solo potessi
cancellare quel periodo … Se solo un miracolo oppure una magia me lo
permettesse, sacrificherei qualsiasi cosa Jay”
“Noi … Noi lo abbiamo
già fatto, con le nostre paure, i tradimenti, gli insulti, la cattiveria delle
belve ferite … E’ il nostro amore, ad essere stato sacrificato, non credi? E’
palese”
“Continui a parlarne …
D’amore … perché non potresti farne a meno, te ne rendi conto?”
Sembrò una supplica,
perché Leto risolvesse le cose.
Lo aveva fatto decine
di volte.
Forse non ne aveva più
la forza.
Adesso.
Graham si rese conto al
terzo isolato, che quello non era il suo quartiere.
“Ma dove stiamo andando
Mads?” – chiese perplesso.
“A casa mia, scusa se
non te l’ho detto … Pensavo che Rambo avesse bisogno di un controllo più
accurato nel mio studio ed anche di rifocillarsi, non credi?”
“Ok … Sì, in effetti
vorrei fargli un elettrocardiogramma”
“Nessun problema, sai
che sono attrezzato” – Mikkelsen sorrise, riferendosi al seminterrato della
villa, da lui costruita una ventina di anni prima, dove viveva in piena
solitudine, escludendo il personale piuttosto nutrito, che provvedeva alla
manutenzione di quella residenza estremamente lussuosa.
“Già … Hai acquistato
nuovi macchinari?”
“Una tac … L’anno
scorso”
“Accidenti” -. Will
sorrise.
“Di seconda mano!” –
precisò Mads, altrettanto allegro, nel vederlo reagire con serenità
all’evolversi della serata.
Erano arrivati.
I cancelli si schiusero
e la Bentley si avviò al piano sotterraneo, dove c’erano tre box auto ed un
locale lavanderia piuttosto ampio.
Tre, nella sua mente,
realizzati, forse, per sé, un figlio e Will, un giorno.
Adiacente ad esso, il
laboratorio, dove Mikkelsen provava tecniche innovative di chirurgia, delle
quali pochi erano a conoscenza.
Styles notò il
bagaglio, lasciato in un angolo da Michael, senza sapere che anche lui si
trovava all’interno della villa di Lux, ma al piano superiore.
“Sei di partenza?” –
domandò brusco, scrollandosi le gocce di pioggia dai capelli folti, mentre si
accomodava nell’ingresso.
“Sì. Cosa vuoi Harry?”
Vincent reagì
nervosamente alla sua visita, notando il suo piglio astioso.
“Volevo avvisarti,
prima di farlo”
“Fare cosa?”
“Dire di noi a Louis”
Doveva accadere, prima
o poi.
“Ma sei impazzito?!” –
ringhiò il francese, puntandolo come se fosse il suo peggiore avversario.
“Non posso andare
avanti in questo modo, ok?! Ho passato la notte nel mio ufficio, raccontandogli
che avevo da fare, così oggi, neppure ci siamo visti a pranzo! Lo sto evitando,
ma non posso farlo in eterno! Mi si legge in faccia che gli sto nascondendo una
verità troppo scomoda!”
Continuava ad inveire e
Michael si accorse di lui, inevitabilmente.
Il giornalista rimase
in cima alle scale, origliando come un ladro, il cuore in gola, nel vedere le
reazioni di Vincent, sempre più alterato nei toni.
“Dirgli di NOI?! E a
cosa dovrebbe servire, eh Harry?! A ripulirti la coscienza tardivamente?!”
“No, è ovvio, ma
servirebbe a farmi riavvicinare a lui, a … a non trattarlo con risentimento,
come se fosse colpa di Boo e non mia, non NOSTRA!”
“Trattarlo con
risentimento? In quale modo?!”
“In ogni abitudine, in
ogni approccio e Louis ne risente, ma mi asseconda, ha pazienza ed io”
“TU cosa??! Prova a
fargli del male ed io non risponderò più di me Harry!”
Fu come un tuono e poi
volargli al collo, con quelle falangi affusolate ed aggressive, sbatterlo al
muro, minacciandolo di chissà quale fine, se solo avesse appunto fatto soffrire
o tormentato son petit.
“Non ti è mai importato
di nessuno se non di LUI, VERO VINCENT??! TI sei scopato chiunque, ma era a
Louis che pensavi ogni istante, AMMETTILO!”
Ormai non c’era più
nulla di civile tra loro.
Così come non c’era
alcuna comprensione nello sguardo di Michael, che si palesò.
Semmai rassegnazione.
E vergogna.
Per essere stato così
stupido.
Glielo disse senza
rimandare oltre.
“E’ … è lui che ami …
Questo bellissimo ragazzino, di cui non riesci a distruggere le foto, ma
neppure riporle in un cassetto Vincent … Sono ovunque” – disse senza energia,
riprendendo la propria valigia e posando una cornice d’argento, su di una
mensola.
L’aveva notata all’interno
di una vetrinetta, non del tutto nascosta, mentre si apprestava a scendere ed
affrontare la realtà, di quell’uomo, che non sembrava davvero in grado di
dimenticare Louis.
“Michael …”
“Michael ora se ne va
via, non potrei decidere altrimenti” – concluse, con dignità.
Lux rimase in silenzio.
Styles uscì un attimo
dopo.
I surrogati di Boo,
qualcuno avrebbe potuto malignamente apostrofarli così.
Magari Louis stesso.
Il divaricatore era
rimasto tra i tessuti, che Graham stava osservando incuriosito.
“Nessuno potrebbe
sanare una lacerazione simile, Mads”
“Neppure io, giusto?”
Will lo scrutò.
La teca refrigerante,
era stata calata su quell’esperimento, senza soluzione.
Il tavolo operatorio
era identico a quello utilizzato da entrambi, all’ospedale dove lavoravano da
anni.
“Hai ricreato tutto
solo per questo?” – Will sorrise, guardandosi intorno.
“Ci sto provando da …
un secolo, almeno” – Mikkelsen sorrise, controllando il tracciato di Rambo – “…
il tuo segugio è a posto, comunque”
“Meno male … E quello
dove l’hai rubato?” – ed indicò il cuore umano, sezionato e collegato a sensori
ed ad un groviglio di vene e arterie artificiali, perfettamente funzionanti.
“Me l’ha fornito l’obitorio,
è legale e lo sai”
“Sì, certo … Cadaveri
di sconosciuti, non reclamati, mendicanti in genere”
“Non sono un novello
dottor Frankenstein, Will” – ironizzò, attivando l’apparecchiatura e passando
bisturi laser e mascherina a Graham, che li accolse quasi onorato da quel gesto
a sorpresa – “… fammi vedere cos’hai imparato, magari hai un’ispirazione”
“Impossibile che io ti
superi”
“Vediamo …”
Graham aveva ragione.
Nonostante la sua
tecnica fosse aggiornata e spesso efficace, quella lesione sembrava
inesorabilmente letale.
“Visto?”
“Peccato … Riproverò
domani”
“Sei ostinato Mads”
“E’ … è per mio
fratello” – ed andò a sedersi su di uno sgabello, mentre ne parlava.
“Ma … Non sei figlio
unico?”
“Mio padre l’ha
concepito al di fuori del matrimonio, nascondendolo all’intera famiglia fino
alla sua maggiore età, poi la sua amante, una delle tante, ne reclamò il
riconoscimento ed un indennizzo a sei zeri: a lei interessava esclusivamente il
denaro, al mio vecchio il silenzio in società, così lui ed io avevamo già molto
in comune, senza neppure saperlo …”
“Vi frequentaste?”
“Patrick mi odiava …
Detestava papà, innanzitutto ed in questo eravamo d’accordo, però non servì: le
provai tutte, per costruire un rapporto, ma niente … Era infermiere e sentiva
il peso del mio successo, perché a lui non era riuscito di superare nemmeno i
primi esami alla facoltà di Medicina”
“E come arriviamo a …
questo?”
“Patrick ebbe un
incidente … Un banale tamponamento, lui era il passeggero, ma volò fuori dall’abitacolo
ed andò ad infilzarsi in una recinzione: lo trasportarono così, senza rimuovere
i ferri, tagliati dai vigili del fuoco”
“Ed una volta estratti,
Patrick presentava questi danni al muscolo cardiaco?” – chiese esterrefatto
Graham.
“Esattamente … Se lo
avessi salvato, forse noi ora saremmo una famiglia, Will”
“Un destino crudele …” –
disse mortificato.
Mikkelsen scattò in
piedi – “Non parliamone oltre, vuoi?”
Graham annuì,
seguendolo.
Percorsero un breve
corridoio, ritrovandosi infine in un living, che si illuminò al loro semplice
passaggio.
“Qui, invece, non è
cambiato nulla … o quasi Mads”
“Qualche carabattola
nuova, riportata dai miei viaggi, in prevalenza”
“Sì … La tua collezione
di vasi”
“Già … Vuoi da bere,
Will?”
“E’ molto tardi” – e deglutì
a vuoto, provando ad impedire a Rambo ad occupare il primo divano a tiro.
Inutilmente.
“Lascialo fare … Qui
non viene mai nessuno”
“Vuoi farti comparire,
Mads?” – sbottò più duro.
Era teso.
Emozionato.
Come mai avrebbe voluto
sentirsi.
Mikkelsen azzerò la
distanza, fissandolo, penetrante ed immune al suo sarcasmo, fuori luogo in quel
frangente.
Gli porse il bicchiere –
“Bevi e rilassati, non sei nella tana del lupo cattivo, quel Mads è morto e
sepolto”
“Non per il
procuratore, che sta indagando sul Britannia, temo”
“Una cosa alla volta
Will … Una cosa alla volta.”
Jared si massaggiò le
tempie, raggiungendo a letto Glam, che stava leggendo la posta elettronica,
senza troppa attenzione.
“Novità?” – domandò Leto,
inspirando a fondo.
“No tesoro … E tu?”
“Nessuna” – e tossì, cercando
nel comodino qualcosa.
“Le ho buttate vie Jay”
“Co cosa, scusa?” –
balbettò, tornando a guardarlo.
“Le tue pillole per
dormire: non servono più, il dolore alla caviglia è passato e tu cammini
benissimo” – precisò, con dolcezza, comunque.
“Potevi dirmelo, prima
di gettarle!” – protestò, avvampando oltre il plausibile.
“Non è necessario dirci
sempre tutto … Non accade o sbaglio?” – e sorrise, come se la sapesse lunga.
Su tutto.
Geffen, in quella
maniera, non si rendeva affatto orticante, come qualcuno avrebbe potuto
supporre, non ai sensi di Jared, almeno.
Era il totem, colui del
quale l’ombra, rassicurante e calda, poteva allungarsi ed inghiottirti,
togliendoti la paura ancestrale di rimanere al mondo.
Spesso, Jared, aveva
desiderato lasciarlo, quell’universo di persone, che lo soffocavano di premure,
di pensieri, di acclamazione.
I suoi giorni
calibrati, le sue scelte, schiacciate dai compromessi: certo, erano tempi ormai
distanti.
Storia
vecchia.
Quella frase gli
rimbombava nella testa.
Come la voce di Colin.
“Domani iscriviamo Yari
all’università” – rivelò di botto.
“Si è deciso quindi?
Bene … A che ora vedrai Colin, quindi?”
“Molto presto.”
Il
prima possibile.
Mentì.
Su Yari.
Senza
pensieri.
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