sabato 4 febbraio 2017

NAKAMA - CAPITOLO N. 91

Capitolo n. 91 – nakama



Entrarono in casa senza urgenza, tenendosi per mano, dall’uscita dell’ascensore alla soglia, mentre Norman apriva con le chiavi, tenute insieme da un ciondolo della sua HD.

Glielo aveva dato Paul, era tra i numerosi gadget, di una delle prime forniture, della loro ditta.

Reedus, in compenso, non aveva ancora letto una raccomandata del commercialista di Rovia: la comproprietà dell’officina era rimasta in sospeso e lo sbirro doveva prendere una decisione in merito, presto o tardi.

Meglio tardi, pensò, dopo le feste.
Rivedere Paul, era l’ultima delle cose, che l’uomo avrebbe voluto affrontare in quel momento.

Si sentiva vulnerabile, dopo lo sgradevole episodio al Gelson’s e la stessa sensazione, ora, albergava in JD, nonostante quella confessione d’amore, pronunciata da Norman, tra il tavolino e il divano, in casa di Lukas e Philip.

Quest’ultimo, si era ripromesso di fare visita al padre il giorno dopo: il periodo di vacanza, per entrambi, sarebbe stato breve e lui voleva trascorrere più tempo possibile insieme e Morgan.

Lukas e Norman, avrebbero capito. 





Jared scartò il regalo di Geffen, con una certa trepidazione.
In certi gesti, che il legale dei vip, trovava adorabili, Leto non era mai cambiato.

“Wow un bracciale indiano”
Era in argento massiccio, con delle turchesi perfette e rare.

Un gioiello molto simile, a quello che Glam indossava sempre, anche con una certa dose di scaramanzia.

“E’ un portafortuna Jay, con me ha funzionato spesso: sono contento ti piaccia” – e sorrise affettuoso, mentre gli spostava i capelli, a lato del volto fresco e concentrato su di lui, adesso.

“Ti ringrazio … Sì, ne ho bisogno, di fortuna, intendo”

“Hai qualche problema, tesoro?”

“No, ma vorrei tornare in sala di incisione, fare un mini tour, insomma sai, quelle cose, che ti fanno sentire parte di un mondo, che ti manca, ecco” – rivelò sincero, gli occhi puliti.

“Sinceramente credevo ti riferissi ad altro … Ho parlato un po’ con Stella” – anche la sua, era una sorta di ammissione, ma non di colpevolezza.

“Ah … Capito” – Jared arricciò il naso, simpatico – “… E’ giusto, perché sarebbe il fratellino o la sorellina di Syria, sempre se sarò d’accordo a portare avanti questa idea di Colin”

“Appunto, è una sua idea: tu cosa ne pensi, sinceramente?” – domandò più serio Geffen, versando una seconda tazza di tisana digestiva a entrambi, dopo il pranzo luculliano, preparato da Miss Wong, Pam e Carmela.

“Penso sia una cosa bellissima”

“Per principio, la appoggio a pieno” – Glam rise solare – “… tu sei un papà fantastico, dovresti averne cento di figli, sai?”

Leto scrollò le spalle magre, sotto la camicia a scacchi blu e bianchi – “So che tu ci saresti, anche per questo bimbo, il che mi rassicura, così come per Cole, che non ha mai fatto mancare nulla alla nostra ciurma: siete i due punti fermi della mia vita e, in certi momenti, anche in questo periodo, non mi sento con i piedi per terra, lo riconosco … Ne parlavo un po’ con Kevin”

“E’ preoccupato per te, me lo ha detto”

“Sei il confessore di tutti Glam” – anche il cantante rise – “… Lui e Tim sono molto felici, ma anche grazie all’equilibrio che Kevin ha raggiunto con te”

“Te lo ha detto lui?”

“Sì vostro onore!”

Geffen prese un respiro – “Siamo una grande famiglia, anche se alcuni componenti mi danno da pensare” – e lanciò un’occhiata a Paul, poco distante, impegnato a parlare con Scott, seduti entrambi davanti al camino centrale, del salone dedicato alle feste, all’interno della End House.

Farrell si avvicinò al consorte – “Bene, avete flirtato abbastanza, ora mi riprendo Jay!” – scherzò l’irlandese, avvolgendo il leader dei Mars, come la cosa migliore avesse al mondo.

Geffen arrossì leggermente – “Vi lascio soli, non combinate guai, ok?” – anche lui stette al gioco.

Del resto, non aveva molte alternative.





“Philip è innamorato di te: lo capisco”

Reedus ruppe finalmente il silenzio, mentre se ne stavano davanti alla tv, una birra a testa, a non seguire per niente un incontro di basket, piuttosto monotono.

“Morirei per lui” – asserì convinto, per poi inginocchiarsi tra le gambe del compagno, dopo avere posato la lattina sul parquet – “… e per te, Norman”

“Non ho dubbi su questo” – e gli si mozzò il fiato, davanti al suo volto sofferente.

“Perché anch’io ti amo”

Reedus annuì, tramando dentro, poi gli prese tra le dita gli zigomi, facendo aderire le loro fronti – “Eri bellissimo con tuo figlio, oggi”

“Nostro figlio … Posso pensarlo, così?”

“Certo” – e due lacrime solcarono le sue guance ben rasate, in un contrasto seducente, con la sua chioma spettinata.

Si baciarono, annullando ogni barriera, ogni rancore.

Norman gli fece spazio tra le gambe, anche se Morgan sembrò limitarsi, con pudore, a semplici carezze.

“Io voglio farlo l’amore con te, JD”

Si spogliarono, continuando a baciarsi, con foga crescente.

Collisero.

Ricominciando.
Ancora una volta.





Paul non riusciva a reggere il suo sguardo, anche un po’ inquisitore.

Scott avrebbe voluto scoprire subito le proprie carte, ma, fare i conti, con l’ennesima delusione, non era certo nei suoi programmi.

“Quel Pinkman è un tipo intrigante, ma i suoi precedenti sono inquietanti, non trovi?”

“I miei no, invece?” – bissò provocatorio il ragazzo.

Ascoltarlo sminuire Jesse, lo fece infervorare all’istante.

Tasto sbagliato
1 a 0 per Pinkman.

Il problema, quindi, era lui.

“Per te è una cosa diversa …” – abbozzò il medico.

“No Scott, sapevo quello che stavo facendo e sono finito in carcere, come un delinquente in piena regola, come tu pensi sia Jesse!” – affermò schietto.

Scott sorrise – “Difendi ciò in cui credi, senza mezzi termini, ti fa onore: Jesse è fortunato”

“Jesse ama il suo uomo, noi siamo solo amici” – puntualizzò, senza sapere il perché.

“Walter White, sì, l’ho avuto in cura, un tipo spigoloso e scostante, ma profondamente legato al suo complice: sono stati davvero pericolosi in New Mexico, Paul, te lo sto dicendo per il tuo bene, stai alla larga da Pinkman e se ti sembro invadente, perdonami, però non cambierò idea o atteggiamento nei suoi riguardi, ok?” – e si allontanò, anche per rispondere ad una telefonata.

Era Geffen.

“Finito di fare prediche al vento?” – Glam rise, mentre lo stava spiando dal piano superiore, affacciato sul salone.

“Ehi … Senti chi parla!” – Scott rise, mettendo una notevole distanza tra sé e Rovia.

“Mi occuperò di White a tempo debito e non solo: per quanto riguarda Paul, ho un conto in sospeso anche con quel Reedus” – disse più duro.

“Finiscila di fare il super eroe: Norman lo ha mollato, se mai dovessi scontare tu certe scelte, saresti già confinato in Alaska” – ironizzò il diagnosta, salendo ormai verso di lui.

Geffen chiuse la chiamata.

“Ce lo facciamo un giro Scotty?” – domandò scanzonato.

L’altro accettò, constatando che Rovia era sparito.





Si immersero nella vasca, prima Walt, aiutato da Jesse, poi questi, con estrema cautela, sospeso sopra di lui, mentre aveva ricominciato a baciarlo, i palmi aperti ai lati del collo dell’ex professore, in piena estasi entrambi.

A occhi aperti, sul reciproco appartenersi.

White si stava commuovendo, per le attenzioni dell’altro, unica sua ragione di vita.

Pinkman si staccò, spargendo ancora baci sfuggenti, su quel viso, che adorava.

“Piccolo …”

“Buon Natale Walter”

“Buon Natale amore” – sorrise, contemplandolo, di rimando al suo identico sguardo lucido e vibrante.

“Ora rilassati” – e cominciò a tamponarlo, con una spugna a forma di stella, uno dei tanti accessori, comprati da Jesse ai grandi magazzini, in una smania di shopping convulso, piuttosto divertente, in compagnia di Paul.

Già, Paul …

Il loro intermezzo intimo, ancora bruciava nello stomaco dello studente di Chimica.

“A che pensi?” – domandò White, sensibile a ogni variazione del respiro di Pinkman.

“A noi” – sorrise, timido.

“Voglio crederti” – e deglutì a vuoto.

Bastava un nulla, per mandare in pezzi l’armonia ripristinata, da sempre.

“Perché non dovresti, Walt?”

“Ehi, non litighiamo” – replicò più dolce.

“Hai cominciato tu” – Jesse uscì dall’acqua – “come al solito!” – sbottò acre, prendendo accappatoio e asciugamani, da un mobile in vimini bianco.

“Sono geloso, ok, cosa posso farci?! E’ normale, accidenti!” – protestò, ma stava come annegando, nella propria stupidità.

Doveva fidarsi, non c’era scampo, soprattutto nelle condizioni in cui era.
Ci sarebbe voluto molto tempo per recuperare, per risalire in auto, guidare, seguire Pinkman, sorvegliarlo, spiarlo.

Jesse era suo.

“Ti chiedo scusa, torna qui, per favore tesoro” – sembrò supplicarlo.

Era patetico.
Ridicolo.

Lui, che gli aveva fatto pesare ogni cosa, penare ogni conquista sentimentale e di coppia.

Lo avrebbe perduto, non poteva permetterlo, doveva rielaborare il proprio comportamento, misurare esternazioni e reazioni.

White doveva ricombinare gli elementi, come in una formula innovativa, per loro.

“Jesse ti giuro che cambierò, ok? Sono stressato da questo infortunio, da questa sistemazione”

“Cos’ha che non va, il nostro loft?” – chiese perplesso, fissandolo, mentre se ne stava appoggiato allo stipite, le braccia conserte sul petto.

“Più che altro non abbiamo il laboratorio, ecco”

“I soldi non mancano, miseria, ne abbiamo anche troppi e ben nascosti, dovremmo smettere, basta rischi!”

“Perché sei così agitato Jesse?” – ribatté più calmo, guardandolo amorevole.

Pinkman si ossigenò – “Anche per me non è semplice, ok? Vederti ridotto così, tu che hai provveduto a me, a noi, senza mai fermarti” – provò a spiegare, ma stava solo tergiversando.

Improvvisava.

In fondo a sé, Jesse Pinkman, aveva voglia di legalità, di porre fine a sotterfugi e traffici illeciti.

Per Paul?

Chissà.





Le spinte di JD, gli sembrarono arrivare dritte al cuore e oltre.

La virilità di Morgan lo destabilizzava e colmava, in ogni vuoto, che Norman si portava dentro dall’infanzia.

Lui era costantemente stato un “diverso”.

Schivo, quando invece ti aspetti vivacità e simpatia da un bimbo, per poi diventare un autentico ribelle.

Incostante, gli studi lasciati a metà e recuperati alle scuole serali, una volta entrato all’accademia, non riusciva mai a tenersi un lavoro, neppure quello come meccanico, che adorava.

Le sue maledette moto, per poco non ci moriva, rompendosi quella zucca dura e piena di chissà quali grilli, gli tuonava il padre, all’epoca dell’adolescenza, quando i suoi pensarono anche di spedirlo in qualche comunità.

Vederlo diventare il paladino dell’antidroga, fu quanto meno scioccante, ma i conoscenti nei bassifondi, lui, Reedus il mastino, non li aveva mai lasciati perdere, anche solo per una bevuta in compagnia.

Cose passate.
A parte Jacob, i suoi contatti erano quasi tutti spariti da Los Angeles, in parte finiti in galera, i più all’obitorio.

Norman si portava dentro un inferno senza voce.
Evitava di parlarne, tranne che con Morgan.

Che adesso, venendo copioso, era diventato il suo paradiso.















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