One
shot – Non morire, tu non piangere
Los Angeles, una sera,
accaduta mai
Jared rigira la scatoletta, di
velluto avorio, tra le dita affusolate.
Mani d’artista, sua mamma
glielo dice ancora adesso, quelle di Jared Leto.
Respira.
Ci prova, almeno.
Poi la apre.
Una catenina, di fattura
semplice, pulita, con appeso un ciondolo.
Qualcuno penserebbe ad un
cornetto, di quelli italiani, lungo, sottile, a punta, come il corpo di Jared e
come le sue parole, affilate, dolorose, quando serve.
In oro bianco o argento, ma
non ha importanza.
Lui pensa unicamente che sia
identico a qualcosa di visto poco prima, che arrivasse in quell’hotel, in
quella stanza, passando dal retro, accompagnato da un bodyguard, che non è il
suo.
Lo conosce, quel tizio, che
non parla mai, però è affidabile, forse uno dei migliori e fa sempre, ciò che
gli si chiede di fare.
O glielo si ordina.
Era stato sufficiente un
biglietto, dentro la confezione di quel gioiello, per farlo salire in auto,
insieme a lui.
Jared pensa, che sa appena il
suo nome, forse neppure ne è sicuro, Dan o Ray.
Di certo, da anni, Dan o Ray o
come diavolo si chiama, lavora per Colin Farrell.
È al suo collo, che quel
gingillo penzolava, poche ore prima.
Jared gli è arrivato talmente
vicino, tirato per il braccio sinistro dell’irlandese, per poterlo notare.
Il moro aveva preteso un
selfie, rompendo una regola, fondamentale, tra loro, da anni, anche se non si
vedevano da mesi.
Mai uno scatto, mai una
parola.
L’amore vuole il silenzio.
L’amore vero, è esigente e
severo.
E’ doloroso e puro.
L’amore.
Sì, l’amore.
La porta, alle sue spalle, si
riapre e poi si chiude.
Silenzio.
Ancora silenzio.
“Se pensi di cavartela,
chiedendomi una foto con te” – Jared non riesce a stare zitto.
Buon segno.
Vuole dire che non è davvero
arrabbiato.
Diversamente, Farrell lo sa
bene, l’americano riesce a stare muto e riflessivo, mentre ti osserva, per
giorni, tenendosi nello stomaco anche litri di rabbia.
Un mondo liquido, il loro,
dove tutto scorre, in un percorso obbligato.
Da pr.
Agenti.
Sponsor.
Bisognerebbe andare oltre,
superati i quarant’anni e avere raggiunto certi traguardi.
Eppure il gioco di prestigio,
non riesce ancora a nessuno di loro.
Il motivo, si attorciglia,
come un serpente, in una spirale di scuse, di imbarazzanti timori, di
insicurezze più o meno giustificate.
Allora
non è, amore vero.
L’ultima litigata si era
chiusa con questa frase.
Lapidaria.
Dallo stomaco di Leto, ormai
esploso, al petto di Colin, contro il quale Jared aveva scagliato un anello,
che nessuno aveva mai visto, perché mai lui lo avrebbe mostrato in pubblico e
neppure in privato: Farrell ne aveva la piena esclusiva.
Eppure non in quanto
privilegio, bensì come atto di ulteriore vigliaccheria di entrambi.
Inutile raccontarsi favole.
La mezzanotte della loro vita,
era passata.
Forse.
“Il mio regalo ti è piaciuto?
Posso aiutarti a metterlo, Jay?”
Appoggiato alla tappezzeria,
le mani in tasca, la giacca aperta, sulla camicia sbottonata a metà, un po’
sotto al cuore, un po’ più sopra del suo ombelico, forse è lì, il posto
migliore, dove Jared abbia mai dormito.
Jay lo posa, sul comodino, il
suo regalo, poi si siede sul letto, scalciando via le scarpe griffate, di
serpente e strass.
Quello sì, è stato un dono
gradito, a quanto pare, pensa Colin, perché le indossa spesso.
Dettagli.
Farrell non se ne perde uno.
“Cosa fai?”
Chiede, deglutendo a vuoto, le
mani ancora in tasca, quando anche la casacca di Leto vola sulla moquette,
lasciandolo mezzo nudo e scalzo.
“Se siamo qui per scopare,
tanto vale non perdere tempo, no?”
E lo sfida, con una saetta di
zaffiro e luce, puntandolo come una preda o come un carnefice, scambiarsi quel
ruolo, è stata quasi una regola, per un’eternità, mai sbocciata, mai vissuta.
“Sì, forse siamo qui anche per
questo, ma non subito, non senza”
“Oh ti prego!” – e ride, una risata
squillante e lambita da un accenno di disperata commozione.
O commiserazione reciproca.
“Jared”
“Jared cosa?! Basta stronzate!”
– e si rialza, con un guizzo, poi riprende i suoi vestiti.
Prova ad andarsene.
Sapendo, che sarebbe rimasto
lì per sempre.
Con un ricordo, l’ennesimo,
che gli farà così male, da non trovare pace, in alcun luogo, neppure il più remoto.
“Dovevo girare, per questo non
mi sono fatto sentire tanto e”
“Come se qualcuno te lo avesse
chiesto!” – Leto lo fronteggia, faccia a faccia.
A muso duro.
“No, nessuno me lo ha chiesto,
Jay, però tu non sei mica rimasto in esilio ad aspettarmi!”
Difesa debole.
Stupida.
Ossigeno.
Tempo.
Jared Leto ne ha bisogno, per
non precipitare di nuovo.
Per non arrendersi e dare
ancora una chance a quell’agonia.
“Ho provato a vivere una vita,
la meno odiosa, che mi fosse possibile, ok?” – ringhia e muore.
Di rabbia.
Di rancore.
“Ti sei quasi ammazzato! Devo
sapere di te, seguendo i social, come un coglione, mentre tu bivacchi sospeso o
ti arrampichi, con quei tuoi amici del cazzo!”
Uno schiaffo, è ciò che
echeggia nell’ambiente, in risposta a quell’ennesima offesa.
A Colin Farrell, gli amici di
Jared, non sono mai andati giù.
Cortigiani
e servili, solo per approfittarsi di lui.
Quando, paradossalmente, Colin
si riferiva a sé stesso, senza neppure rendersene conto.
“Muoio dalla voglia di
baciarti Jay”
Colin quasi lo sussurra, così
vicino a lui, da poterlo afferrare quel sogno.
Per il volto, percependo gli
zigomi di Jared vibrare, mentre lo bacia, febbrile e sconvolgente.
Riesce
ancora a esserlo.
Impedirglielo, sarebbe impossibile,
come fermare il vento, quando spalanca una finestra.
E
così inutile.
Infine, Farrell interrompe il
contatto, con un distacco netto, senza più fiato in gola.
Lo fissa, poi lo lascia
andare, senza liberarlo mai, dalla propria catena, in realtà.
Infine respira.
“Non morire Cole”
“E tu non piangere”
Fa un ulteriore passo
indietro, verso il centro della camera.
“Sai Jay, è stato come avere
il mondo tra le mani, sapendo di poterlo mandare in pezzi o lasciarlo
galleggiare tra le stelle!”
I suoi occhi divampano di
soddisfazione e onnipotenza.
“Hai ricominciato …”
La voce di Jared è un soffio,
mentre lo sta guardando, notando vecchi segnali, che sono come pugnalate.
“A fare cosa?”
Colin ridacchia, lisciandosi i
capelli all’indietro, ciondolando per la stanza, fino al mini frigo.
Lo apre e ne pesca un liquore.
Lo beve.
Una dose ridicola, per
chiunque, ma non per un ex alcolista come lui.
“Un goccio, ogni tanto, che
sarà mai?” – e ride ancora, passandosi il dorso sinistro sulla bocca, ancora
arroventata da quel bacio, dal sapore dell’altro.
Los Angeles, la stessa notte,
accaduta mai
Le dita affusolate, da
pianista, di Jared Joseph Leto, scivolano sui tasti, accennando una melodia
sconosciuta.
Zedd sorride, scrutandolo,
mentre se ne resta seduto, allo stesso pianoforte.
Forse lo sta ammirando, non
riesce a farne a meno, quel ragazzino, con cui Jared ha fatto l’amore un solo
pomeriggio, di una vita, un po’ meno odiosa in quegli istanti, per poi
trascorrere il giorno dopo, a chiedergli scusa.
“Scusa
di cosa?”
Il suo sorriso, il suo
candore, la sua gioia di vivere, erano la conferma, che Zedd avrebbe
conservato, dentro di sé, una memoria preziosa, quanto incredibile.
“Mai
avrei creduto, che tu ti accorgessi di me …”
Un mendicante di attenzioni,
forse così lo avrebbe insultato Colin, se solo lo avesse saputo.
Un giorno.
Jared ha la mano sinistra in
tasca, mentre di nuovo suona qualche cosa.
Che è solo nella sua testa
triste.
“Tutto ok?”
Zedd lo chiede, perché neppure
sa come mai il front man lo ha reclamato lì, a quell’ora, per un misterioso
arrangiamento a un pezzo, da sottoporre a una casa discografica, che,
probabilmente, neppure esiste.
Jared lo guarda.
Finalmente.
“Non volevo rimanere da solo,
ho bisogno di un amico, che ascolti e poi dimentichi”
Zedd fa un mezzo sorriso,
adesso.
“Allora raccontami la tua
storia o cosa ti è successo stasera” – domanda, senza girarci intorno.
Jared sfiora il ciondolo, che
si è lasciato appendere al collo, dopo essere andato a letto con Colin.
“Ho visto morire un sogno …” –
inspira, a palpebre chiuse – “… ecco cosa mi è successo, questa sera Anton”
The end
Jared Leto and Anton Zaslavski (Zedd)
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