Capitolo n. 73 - nakama
Paul infilò i vestiti
in lavatrice, velocemente, anche i sandali da monaco hippie, ancora in
accappatoio, dopo una seconda doccia, durante la quale si era persino tagliato
un centimetro di capelli, senza saperne neppure il perché.
Ci sentiva l’odore di
JD.
Del suo maledetto
tabacco.
“Cosa fai, cancelli le
tracce?”
La voce di Norman lo
trafisse, più di quanto non avesse fatto Morgan, in quella mezz’ora passata con
lui, a fare cigolare un vecchio materasse, che se solo avesse potuto parlare …
Così avrebbe dovuto
fare lui, adesso.
Reedus scoppiò a ridere
– “Ti sei dimenticato i boxer” – e glieli tirò, dopo averli raccolti in bagno.
Rovia prima sbiancò,
poi arrossì, alzandosi di scatto, da quella posizione genuflessa, davanti
all’oblò, per trenta, interminabili, secondi.
“C’è ancora troppa polvere
in giro, non si può andare in moto” – disse con un sorriso di circostanza,
capendo di non essere stato scoperto.
Norman gli si avvicinò
– “Ehi scricciolo … Hai presente quei film porno di quinta categoria” – e lo
sollevò di botto, facendolo sedere sopra all’elettrodomestico ormai avviato –
“… dove ci sono certe casalinghe disperate, l’idraulico muscoloso” – e gli leccò
il giugolo, in un gesto umido e bollente.
Era di ottimo umore.
Paul, appeso al suo
collo, rabbrividì, poi si riaccese, un nodo alla gola, che avrebbe ammazzato
chiunque.
Scoppiò a piangere.
“Mio Dio Paul, ehi!” –
Reedus gli prese il volto – “Volevo essere spiritoso, ma se ti ho offeso con le
mie cazzate”
Il più giovane sorrise,
tra le lacrime – “Ma che dici? Sono solo un po’ debole e … E non lo so … Forse
sono anche esaurito”
“Forse non ti è passata
…” – replicò lui, cupo in viso, adesso.
“No, non ci penso più,
ok? E poi nessuno è perfetto” – tirò su dal naso, poi saltò giù dalla Whirpool.
Glam fece roteare Pepe,
come un aeroplanino, divertendolo, solare e ristabilito, quasi completamente.
I tutori azzurri e
viola, che fasciavano i suoi minuscoli arti inferiori, sarebbero stati rimossi
presto.
Downey li stava
spiando, immobile, dimenticandosi di respirare.
Infine entrò nella sala
dei giochi, di villa Meliti, dove Antonio aveva invitato gran parte del loro
clan, per una cena informale.
“Papi Rob!” – esclamò
il bimbo, accogliendolo entusiasta, almeno quanto Geffen.
“Ehi tesoro, ciao, bene
arrivato, sei solo?” – gli chiese dolce, dandogli un bacio sulla tempia destra,
mentre gli passava la loro peste.
“Jude arriva più tardi,
è al doppiaggio” – spiegò un po’ teso.
“Ci sono problemi?” –
chiese piano il legale, mentre Pepe veniva sistemato su di un tappeto, con un
tablet e uno snack.
“Ma no è che io sono …
Un po’ paranoico, ecco”
“Su cosa?”
Il moro sospirò,
guardando altrove, per un attimo.
Geffen gli sfiorò il
mento – “Sfogati o esploderai” – e rise.
Si accomodarono su di
un divano – “Ha sempre sette anni meno di me, giusto?” – esordì quasi buffo,
come solo lui sapeva essere.
“Sette anni
meravigliosi, che, per quanto voglia bene a Jude, lui non eguaglierà mai” –
rivelò limpido.
“Tu sei di parte …” – e
arrossì.
“Affatto, su vai avanti:
qualcuno gli fa la corte?”
“Oh ma sì, la sua
collega, la sarta, Judsie piace un sacco alle … come si chiamano?”
“Ehm, vediamo … Hanno
due gambe, due cose qui, che piacciono a Lula” – Glam rise più sonoramente.
“Anche a te, se è per
questo!”
“Oh Robert, ma per
favore … Dio, sei adorabile”
“No, tu lo sei … Anche
prima, mentre sbirciavo dietro la tenda, con Peter … Insomma” – e prese fiato,
tamburellando, con i palmi aperti, sui jeans modaioli.
“Jude non commetterà
più certi errori e tu lo sai, ok?” – proseguì l’ex, con tenerezza.
“So che ne sono geloso
marcio … Pensavo di farmi un po’ di botox qui!” – ed indicò gli zigomi.
“Ma sei matto?! Guai a
te!”
“Non rientravano nelle
clausole del nostro divorzio Glam, le cure estetiche?”
“Se vuoi ti pago un
viaggio a Lourdes, visto che sei in vena di farneticazioni” – bissò con un
ghigno, poco raccomandabile.
Downey rise, finalmente
rilassato.
Geffen lo avvolse – “Ti
amo …” – gli mormorò tra le ciocche brizzolate, a occhi chiusi.
L’attore deglutì a
vuoto, scrutandolo poi, con quelle iridi immense e fluide, di inchiostro e
luce.
“Ti amerò per sempre
anch’io, Glam …” – disse in un soffio.
Erano rimaste le
parole, tra loro, i battiti del cuore, le carezze e il loro bambino, che li
raggiunse gattonando – “I miei super papà!”
“Ehi campione” – Geffen
li riaccolse entrambi, nel suo abbraccio caldo, commosso e vibrante di gioia.
Downey non aggiunse
altro, se non un bacio, sulle guance di quei tesori, che nessuno gli avrebbe
mai portato via.
Taylor gli avvolse il
busto da dietro, baciandogli la nuca nuda, così la stempiatura alta, dopo
averlo raggiunto sul bordo del letto.
Jude sentì una fitta
allo sterno e quel corpo, altrettanto nudo, di Kitsch, adesso, lo stava
infastidendo.
A differenza di un’ora
prima, quando perdersi, tra le gambe palestrate del collega ed ex compagno, era
stato così semplice.
Gli impegni da set,
erano oltre modo efficaci, nel dare loro il tempo necessario, per l’ennesima,
stupida, follia.
“Devo andare …” – disse
roco l’inglese.
Aveva ricominciato a
fumare, dopo secoli, all’insaputa di Robert, che non doveva venire a conoscenza
neppure di quanto fosse bastardo e irragionevole.
Taylor era come un
discorso sospeso, per Jude, ma l’amore di Kitsch, all’epoca, era stato puro.
Ora, con Geffen jr,
tutto andava a meraviglia, volevano persino sposarsi.
Law, però, gli era
rimasto nel cuore, insieme ad un desiderio di rivalsa, inutile, puerile.
Tra le lenzuola
disfatte e imbrattate dal loro passaggio, Law tornò a stendersi – “Mi manca l’aria”
“Cos’hai?” – chiese spaventato
l’altro, prendendogli subito dell’acqua.
“E’ il senso di colpa,
è questa cosa, che deve finire subito, ok?” – sbottò, trangugiandola, per poi
tossire, come un animale ferito.
Taylor abbassò lo
sguardo – “Siamo stati bene … invece”
Jude gli si riavvicinò,
turbato – “Scusami … Sì, è vero, ma abbiamo sbagliato e siamo impegnati, io
sono sposato, cazzo!”
Kitsch annuì, poi prese
i jeans, lasciati sulla moquette avorio.
“Forse non siamo poi
così felici …” – aggiunse, rivestendosi.
“Io lo sono con Robert,
io lo amo e non mi capisco, quando faccio CERTE STRONZATE!” – sbraitò,
incurante che qualcuno potesse sentirlo.
“Potresti almeno non
rovinare tutto, come sempre?! Non è il caso di farmi CERTE SCENATE!” – si alterò
anche Taylor.
Law saltò giù dal
materasso, cercando, frenetico, le scarpe e il resto degli indumenti – “Dobbiamo
andare dal nonno, c’è la cena, te ne sei dimenticato?”
“Bello cambiare
discorso, quando ti fa comodo!”
“Taylor non era mia intenzione
litigare, ok?” – si calmò, ossigenandosi, andando infine a stringerlo a sè.
Rimasero zitti, ad
ascoltarsi le pulsazioni.
Poi si baciarono.
Volevano solo che
accadesse.
Forse
per un’ultima volta.
Paul sembrò
infagottato, in quel pigiama, comprato chissà dove.
Aveva la febbre.
Norman gli preparò una
minestra, mettendo il piatto su di un vassoio, accanto alla sua birra ed un
sandwich, pieno zeppo di schifezze.
I fanali tinta cielo di
Rovia, si posarono su entrambi, mentre si rannicchiava contro i cuscini,
sistematigli alle spalle da Reedus, premuroso e in silenzio, da quando si era
messo ai fornelli.
La loro casa sulla
spiaggia, quasi completamente in legno, aveva resistito alle scosse, per
fortuna.
Rimanere a Palm Springs
risultò scomodo, per riavviare l’officina efficacemente.
Il lavoro si stava
riprendendo, anche se i soldi erano l’ultimo dei loro pensieri.
Quelli di Paul, tetri e
angoscianti.
Il suo malessere, aveva
giustificato a pieno il non potere fare l’amore con Norman, come lui
desiderava.
Ora, l’ex poliziotto,
sembrava un genitore in ansia, più che un amante focoso.
“Ho fatto del mio
meglio, Paul” – e abbozzò un sorriso timido, su quel volto particolare e
bellissimo.
“Lo fai sempre e non te
ne sarò mai abbastanza grato, sai?” – replicò mogio, rimestando la sua
brodaglia verdognola.
“Ma che discorsi fai?” –
rise complice – “Noi siamo una squadra, no? Ci sosteniamo a vicenda, come tutte
le persone che si amano”
“E io ti amo, Norman” –
puntualizzò, fissandolo di botto.
Reedus arrise a quelle
sue reazioni spontanee – “Lo so … Anch’io ti amo, devi credermi”
“A volte pensi che io
non lo faccia?” – domandò assorto.
“No Paul … Certo che no”
– e si scolò la Guinness, senza percepirne il sapore.
Era una sorta di
battaglia, anzi, di partita a scacchi: era complicato prevedere le mosse di
Rovia e Norman non si era mai sentito così a disagio.
Jude porse una rosa
rossa a Robert, appena questi si distaccò da lui, dopo avergli dato il
benvenuto alla residenza di Antonio.
Erano in fondo al
parco, dove gli invitati lasciavano le loro auto, sotto ad un porticato di
mattoni e legno massiccio, deserto all’arrivo di Law.
Downey aveva fatto una
passeggiata sino a lì, dopo essersi congedato momentaneamente da Glam e Pepe,
impaziente di incontrare il coniuge.
L’amore
di una vita.
“E’ stupenda, non
dovevi Judsie …” – e si emozionò, smarrendosi, poi, nei suoi opali di ghiaccio,
scheggiati d’oro, dal riverbero del tramonto.
“Invece sì e tu non sai
quanto” – disse perdendo un battito, per poi baciarlo, intenso.
Robert gli scivolò nell’incavo
della spalla, come a nascondersi, più che a trovare un rifugio sicuro.
“Piccolo, tutto bene?” –
domandò Jude.
Sette
anni di meno e continuava a considerarlo in quel modo, come un frutto ancora
acerbo.
Quando, al contrario, l’americano
si sentiva vecchio e stanco, specialmente di percepire certe sensazioni.
“E’ tutto a posto caro,
io ho avuto una giornata un po’ lunga, con Susan e i ragazzi” – si giustificò
banalmente.
Law sorrise – “Se posso
aiutarti …”
“No e per cosa?” –
anche Downey ricambiò quel sorriso.
“Perdonami” – e si
morse le labbra, non sapendo più dove mettere le mani – “… a volte mi credo di
essere Glam e …”
“Che sciocchezza!” – lo
interruppe brusco il più anziano, poi provò a risolvere con noncuranza – “Sono
finiti i tempi dell’antagonismo, delle ripicche, ok?”
“Ovvio che sì … Io,
comunque, stavo scherzando Rob”
“A me non sembrava …
Andiamo? Siamo perennemente in ritardo, dai” – e lo prese per quelle mani, che
ora avevano trovato una giusta collocazione.
Forse.
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